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Ieri Bamut, oggi Bakhmut. Indietro al 1995, un’altra fortezza che non si arrese ai russi

L’assonanza è soltanto fonetica, ma il significato storico è impressionante, se si considera che la Bamut del 1995, così come la Bakhmut del 2023, segnò l’arresto di una avanzata che sembrava inarrestabile, imbarazzò l’esercito russo di fronte al mondo e ispirò tutta la nazione (cecena allora, ucraina oggi) a resistere all’invasione. Quello che segue è un estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”.

Bamut


Mentre il Gruppo di Combattimento Sever prendeva Argun, Gudermes e Shali e respingeva i dudaeviti verso il ridotto montano, ad Ovest ilGruppo di Combattimento Jug avanzava verso gli obiettivi designati. Di fronte aveva i reparti ceceni organizzati nel Fronte di Bamut, un’unità composita ma combattiva al comando di Ruslan Khaikhoroev. Il reparto era inizialmente composto da circa 200 volontari, ma per la fine di marzo, con l’arrivo del Reggimento Galachozh al comando di Khizir Khachukayev, si era già ingrossato giungendo a toccare i quattrocento miliziani. Alla metà di marzo 1995 ancora nessuno degli obiettivi prefissati per il Gruppo Jug era stato raggiunto, malgrado l’artiglieria avesse martellato quasi tutte le cittadine al fronte. La posizione cecena era favorevole, ancorché defilata rispetto alla linea principale delle operazioni. Il villaggio di Bamut, infatti, giaceva all’imbocco di una stretta gola, sovrastata ad est e ad ovest da ripide alture boscose. Ad occidente le posizioni cecene confinavano con l’Inguscezia, paese relativamente “amico”, dove gli indipendentisti potevano trovare supporto materiale ed umano. A poca distanza dal villaggio poi, su un’altura denominata “444.4” e chiamata dagli abitanti locali “Monte Calvo”, si trovava una base missilistica sovietica, in grado di resistere efficacemente sia ai bombardamenti di artiglieria che a quelli dell’aeronautica. I ceceni l’avevano occupata, trincerandola ulteriormente. In quest’area erano affluiti tutti gli equipaggiamenti pesanti a disposizione del Fronte Occidentale, oltre ad un discreto arsenale di mine antiuomo ed anticarro che Kachukhaev aveva fatto sistemare all’imbocco dell’unica strada carrabile verso la base, proveniente da Assinovskaya e diretta a Bamut. Il

18 Aprile i russi tentarono di prendere il villaggio. Una brigata si affacciò sull’abitato all’alba, ma finì ben presto sotto il tiro delle armi pesanti cecene. Nel tentativo di manovrare, i russi finirono dapprima in un campo minato, poi tra le strade del villaggio, anch’esse minate con ordigni antiuomo. Numerosi veicoli blindati ed alcuni carri da battaglia rimasero distrutti. Una volta impantanata tra le rovine, la brigata si trovò sotto il tiro dei cecchini, che falcidiarono la fanteria. Al termine dell’azione, conclusasi con il ritiro dei federali, si contarono decine tra morti e feriti. Un tentativo di alleggerimento della pressione, operato da un distaccamento delle forze speciali, finì in un fiasco, con la morte di 10 “Spetnatz” ed il ferimento di altri 17. L’esercito federale dovette così organizzare un metodico assedio delle posizioni cecene, impiegando il grosso delle forze a disposizione.

La mappa mostra l’offensiva russa in Cecenia tra il Marzo ed il Giugno 1995. A sinistra si può notare la fortezza di Bamut, che resisté alle offensive russe e rimase sotto assedio per più di un anno, fino al 24 Maggio 1996


Dopo aver schierato le truppe in assetto di battaglia, il 24 marzo Babichev riuscì a penetrare ad Achkhoy – Martan, occupandola per breve tempo prima che un contrattacco ceceno costringesse i russi a ripiegare. Il 7 aprile l’intero fronte occidentale venne investito da una violenta offensiva. Quel giorno vennero attaccate contemporaneamente
Samashki, Davydenko, Achkhoy Martan, Novy Sharoy e Bamut. L’offensiva produsse la conquista di Samashki, Davydenko e Novy Sharoy, le roccaforti più esterne, al costo di centinaia tra morti e feriti. Scontri particolarmente violenti si registrarono nei dintorni di Samashki,
dove i reparti di Mosca vennero investiti da una violenta controffensiva cecena e lasciarono sul campo una settantina di uomini. Nonostante la fiera resistenza dei militanti la preponderanza di uomini e mezzi a vantaggio dei russi era tale che la difesa della posizione non avrebbe mai
potuto produrre una controffensiva. Kachukhaev si organizzò quindi per una resistenza ad oltranza, richiamando tutti i combattenti che non avevano fatto in tempo a raggiungere il ridotto montano, o che operavano ancora in pianura. La maggior parte delle unità che giunse a portare soccorso erano milizie volontarie non inquadrate, mal coordinate tra loro, molte delle quali tentarono di raggiungere gli assediati attraverso la strada di collegamento tra Starye Achkhoy e Achkhoy – Martan, finendo intercettate dalle avanguardie russe. Altri gruppi, provenienti dal villaggio inguscio di Arshty, furono intercettati dall’aeronautica federale e dispersi. I rinforzi che riuscirono a raggiungere Bamut furono quelli che, faticosamente, si fecero largo tra le montagne passando da Sud, raggiungendo il fiume Martanka dietro Bamut e risalendolo fino alle posizioni dei difensori.

I ritardi nel concentramento dei reparti fecero sì che le unità che effettivamente raggiunsero Bamut fossero in numero grandemente inferiore alle aspettative, nonché esauste per la lunga marcia a piedi. Molti miliziani ebbero appena un paio di giorni per recuperare le forze in attesa del grande scontro. Man mano che i reparti raggiungevano la base, Kachukhaev schierava le unità lungo il perimetro difensivo sulla base della loro grandezza e della supposta capacità operativa. In tutto furono
schierate sulla linea del fronte dalle 100 alle 300 unità, cui si aggiunsero
nei giorni successivi alcune decine di volontari provenienti dall’Inguscezia, inquadrati nel cosiddetto Battaglione Inguscio. La linea difensiva correva lungo i resti del centro abitato, addossata agli edifici e organizzata in un mosaico di piccole trincee a zig zag, in ordine a contrastare le unità russe avanzanti senza offrire bersagli estesi all’artiglieria. Dietro la prima linea di trincee ne era stata scavata una seconda, così che le unità combattenti potessero agilmente cambiare posizione ed alleggerire la pressione, per poi rioccupare le posizioni avanzate alla fine dei bombardamenti d’artiglieria. Le vie d’accesso erano bloccate dai detriti delle abitazioni distrutte, ed il materiale di risulta era stato impiegato per costruire piccoli guadi attraverso i quali le unità combattenti avrebbero potuto attraversare agevolmente il Martanka, per sottarsi a combattimenti troppo pesanti o per effettuare manovre di aggiramento sulle colonne corazzate federali.

Soldati russi avanzano verso le posizioni cecene

Le truppe russe si posizionarono a circa un chilometro e mezzo da quelle cecene, a una distanza sufficiente da evitare di essere bersagliate dagli RPG, ed iniziarono a bombardare la linea di difesa di Bamut. La linea russa correva ora lungo l’argine settentrionale di un canale che, da ovest, disegnava un semicerchio a nord di Bamut per gettarsi nel fiume, che correva sul fianco orientale del villaggio. Da lì l’artiglieria iniziò a martellare la prima linea cecena. I difensori si ritirarono, lasciando ai russi soltanto una serie di trincee vuote da bombardare, ed al termine del martellamento tornarono ad occupare le posizioni avanzate. I federali, convinti di aver piegato la resistenza cecena, iniziarono a muovere in avanti: una colonna si diresse verso il villaggio attraverso la strada principale, la quale corre parallela al Martanka. Questa azione avrebbe dovuto attirare il grosso dei nemici, mentre una seconda colonna avanzava da Nordovest, varcando il canale e dirigendo direttamente verso il centro del villaggio. I ceceni tuttavia avevano fiutato la trappola, e pur mantenendo una fiera difesa della via principale
lungo il Martanka, non sguarnirono le posizioni Nordoccidentali. Conscio della natura del suo piccolo esercito, costituito più come un arcipelago di piccole unità autonome che come una forza unitaria, Kachukhaev lasciò ai comandanti locali l’onere di organizzare autonomamente la loro strategia, mantenendo come unico imperativo quello di non spostarsi dal proprio settore senza autorizzazione. Questo fece sì che i russi non riuscissero a capire quante e quali unità avessero davanti, e non avessero un’idea chiara di quale fosse il fronte della battaglia. Decine di piccoli scontri locali si accesero lungo tutta la linea di difesa, incendiando l’intero settore per tutto il primo giorno di battaglia. Le unità indipendentiste, dotate di grande mobilità, colpivano con gli RPG i veicoli blindati, li assaltavano e cambiavano immediatamente posizione, impedendo ai russi di tracciarle e di annichilirle con l’artiglieria. In questo modo i reparti che difendevano il fianco sinistro dello schieramento ceceno furono in grado di accerchiare i russi avanzanti, provocando loro gravi perdite e costringendo la colonna federale prima ad arrestarsi, poi a fare marcia indietro.

Combattenti ceceni del Battaglione Galanchozh a difesa di Bamut


Anche il fronte orientale riuscì a fermare l’attacco russo. Allorchè la pressione dei federali si fece troppo forte, Kachukhaev ordinò alle prime linee di minare le trincee e di ritirarsi sulla seconda linea. Non appena le truppe russe ebbero preso il controllo, Kachukhaev ordinò che fossero fatte brillare, uccidendo coloro che le occupavano. Persa la maggior parte delle unità di fanteria, i corazzati russi non avrebbero potuto avanzare da soli, o sarebbero finiti sotto una pioggia di RPG. Così gli attaccanti decisero di ritirarsi, vanificando i progressi ottenuti a caro prezzo in quella prima giornata di battaglia. L’artiglieria federale ora conosceva le coordinate della seconda linea difensiva cecena, ed iniziò a bombardarla, ma ancora una volta senza successo: i reparti ceceni, infatti, utilizzarono i guadi approntati nei giorni precedenti per disperdersi tra le colline intorno a Bamut, per poi tornare ad occupare le loro posizioni una volta che il bombardamento fu terminato. Quando i russi tornarono all’attacco, il giorno successivo, si trovarono davanti un dispositivo difensivo di tutto rispetto, e nel giro di una mezz’ora il comando russo ordinò di interrompere nuovamente le operazioni. La notte successiva un reparto esplorativo fu inviato ad individuare le posizioni cecene per un attacco d’artiglieria notturno. L’operazione fu un disastro: il reparto esplorante fu intercettato e finì sotto una pioggia di proiettili. 10 degli 11 componenti la squadra furono uccisi, e l’unico sopravvissuto fu fatto prigioniero. Interrogato sulla consistenza delle forze federali di fronte a loro egli riferì che gli attaccanti disponevano ancora di troppe unità perché Kachukhaev potesse capitalizzare il successo con un contrattacco, così il comandante ceceno decise di mantenere un atteggiamento difensivo, preferendo impegnare gli uomini nella ricostruzione delle trincee e nell’approntamento di nuovi sbarramenti.

I NEWS intervista Francesco Benedetti

Alcuni giorni fa Francesco Benedetti ha incontrato a Firenze Inna Kurochkina di I NEWS. L’intervista che ne è uscita fuori riprende i discorsi affrontati in un’altra chiacchierata, svoltasi più o meno un anno fa, poco prima che la Russia invadesse l’Ucraina. Nel corso di questo anno molte cose sono cambiate, il lavoro di Francesco è andato avanti e con esso la sua consapevolezza di quanto sia importante per l’Occidente la storia della Cecenia.

Riproponiamo il video dell’intervista, allegandone la trascrizione in lingua italiana.

TRASCRIZIONE IN ITALIANO DELL’INTERVISTA

Prima di tutto vorrei congratularmi con te da parte di tutti i visitatori, gli abbonati che hanno già letto il tuo primo volume. Da oggi è possibile avere questo secondo volume. Com’è possibile averlo?

Prima di tutto grazie a te, e grazie a tutti coloro che hanno apprezzato il primo volume, e che mi hanno dato questa considerazione. Il libro in questo momento è disponibile in italiano, su Amazon, ma sarà presto disponibile in inglese, grazie alla collaborazione di Orts Akhmadov, figlio di Ilyas Akhmadov, che sta lavorando con me alla versione inglese, e presto sarà disponibile anche in lingua russa e cecena, come per il primo volume.

L’altra volta che ci siamo visti ed abbiamo parlato del tuo libro era il Dicembre del 2021 e forse ci aspettavamo la guerra, questa tragedia. Poi ci siamo incontrati a Bruxelles nel primo giorno della guerra, quando sia noi che tu incontrammo per la prima volta Akhmed Zakayev. Con il tuo aiuto partecipammo ad alcuni eventi di Radicali Italiani, queste ottime persone che organizzarono la visita di Akhmed Zakayev in Italia, quindi in qualche modo sei coinvolto nelle nostre attività ed in quelle di Ichkeria. Com’è cambiata la tua vita durante questo anno?

Sicuramente ho avuto esperienze più reali rispetto a questo tema. Ero un semplice studente della storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, ma la mia esperienza era puramente teorica, astratta, non concreta, materiale. Da quel giorno ho avuto modo di parlare con molte persone, e questo secondo libro è scritto anche grazie alle memorie di circa un centinaio di persone con le quali ho parlato. Così, la mia conoscenza di quella esperienza storica e dell’esperienza umana dei ceceni è cresciuta enormemente. Da Febbraio ad oggi ho dato volti, nomi ed vite ad un’esperienza che per me fino ad allora era stata soltanto teoretica.

Io e te stiamo lavorando alla storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, perché anch’io sto facendo un ciclo di cronache. Capisci l’espressione “nella tua pelle”? Come hai sentito sulla tua pelle come la guerra stesse arrivando in Cecenia?

Una delle domande che mi faccio studiando la storia della Cecenia, e in particolare studiando questo periodo è stata proprio “come mi sarei sentito se mi fossi trovato in quella situazione?” E mi faccio questa domanda quasi tutti i giorni, perché il mio studio si basa sulle memorie delle persone che intervisto, e le mie interviste si focalizzano proprio si questo aspetto di ogni evento storico: naturalmente chiedo informazioni, nomi, date eccetera, ma la prima domanda che ho fatto in quasi tutte le interviste è stata “come ti sentivi in quel momento?” “Come passasti il periodo tra il 26 Novembre e l’11 Dicembre (il lasso di tempo tra l’assalto a Grozny da parte dell’opposizione filorussa e l’invasione). Personalmente provo ogni giorno ad immaginarmi quali fossero i sentimenti delle persone che aspettavano la guerra, cosa pensavano: i loro figli, le loro famiglie, come mettere in salvo le loro famiglie, come mettere in salvo le loro cose, i loro soldi, le loro auto, le loro case. Un evento come questo può distruggere completamente la vita, cambia per sempre la vita della gente. Credo di essere una persona abbastanza empatica, e ti assicuro che scrivendo questo libro ho sofferto molto. Come ogni autore rileggo molto spesso il libro che ho letto, ed ogni volta ho la stessa sensazione da una parte di tragedia, dall’altra di ammirazione per quelle persone che sono sopravvissute alla guerra, in questo caso riuscendo a vincerla, contro i loro invasori.

Vorrei comprendere come inquadri la natura del popolo ceceno. Io sono nata in Georgia, sono ucraina. Vorrei lavorare per il popolo georgiano, o per quello ceceno, ma tutto il mio cuore ora appartiene al popolo ceceno, non so perché. Come potresti descrivere il tuo sentimento verso il popolo ceceno? Perché se ti sei innamorato per questo popolo, lo hai fatto perché hai in te una passione.

Capisco quello che pensi perché, se ci penso, è veramente strano ciò che mi è capitato. Vivo in Toscana, e non ho alcun collegamento familiare, economico o di qualsiasi altro genere con la Cecenia. Eppure fin da quando ero bambino, la prima volta in cui ho ascoltato il nome “Cecenia” è successo qualcosa. Non so cosa precisamente, un’affinità elettiva che è cresciuta dentro di me, e non so precisamente perché.

Ciò che amo del popolo ceceno, riguardo a questa storia, è la sua capacità di mostrare la felicità nella tragedia. In loro ho visto persone che non vogliono essere considerate vittime, ma persone che riescono a trovare la bellezza della vita in ogni cosa. Loro hanno mostrato al mondo come si ride di fronte alla morte, e come si conserva l’umanità anche in una situazione che, se mi immagino di essere al loro posto, strapperebbe via l’umanità anche da me. Se una guerra distruggesse la mia vita forse diventerei pazzo. Ho parlato con molte persone che hanno combattuto una guerra e non sono impazzite, ma anzi hanno conservato la loro gentilezza, il loro essere persone buone. Non so se sarei in grado di conservare in me queste qualità, combattendo una guerra. Penso che questo tratto caratteriale dei ceceni sia bellissimo: il fatto che siano riusciti a conservare felicità e voglia di vivere nonostante abbiano dovuto affrontare esperienze così amare.

Conoscendo questo tratto caratteriale speciale di questo popolo, pensiamo a quanto la Russia si sia impegnata a distruggerli. E’ una storia biblica per me. Tu che ne pensi?

Quando un bullo prova a picchiare una vittima, e questa gli sorride, il bullo diventerà ancora più rabbioso, ma alla fine sarà sconfitto dalla resilienza della sua vittima. In questo senso ho amato la lotta dei ceceni, i quali hanno mostrato ai russi che il loro spirito non si sarebbe mai spezzato.

In quest’ultimo anno ci siamo resi conto che gli ucraini non avevano capito cosa fosse stata la guerra in Cecenia, perché esattamente come i russi non se ne erano preoccupati. Adesso hanno capito, ed il parlamento ucraino ha riconosciuto l’indipendenza, lo stato di occupazione ed il genocidio del popolo ceceno. Cosa deve succedere perché anche i liberali russi capiscano questa tragedia? Nella loro visione della vita non c’è nessuna guerra cecena e nessuna tragedia cecena, e ovviamente non c’è nessuna Ichkeria. Cosa ne pensi?

Penso che i liberali russi siano anche loro parte dell’impero russo. Forse vogliono un “impero liberale”? Forse è un non – senso. Non credo che in questo senso ci sia tanta differenza tra i partiti radicali e quelli moderati, o liberali. Tutti vogliono la stessa cosa: rafforzare l’impero, in una forma o nell’altra. Forse i liberali russi, non vogliono combattere la guerra in Ucraina, ma non vogliono neanche perdere l’integrità del loro impero. Non vedo niente di strano in questo. Sono più abituato a studiare ed a leggere le notizie di un altro impero, quello americano, ed i liberali dell’impero americano non sono meno arrabbiati ed aggressivi rispetto ai nazionalisti. I cittadini di un impero crescono pensando che l’unico modo per preservare il paese sia tenero unito e schiacciare ogni voce dissonante.

Sono stata molto sorpresa dal tuo “hobby”. Mostrerò dei pezzi di uno dei video della tua band, che si chiama “Inner Code”. Parlami di questa canzone che parla dell’impero. Sono così sorpresa perché sei di Firenze, noi non riusciamo a mettere in relazione il concetto di “impero” con la città di Roma,  che è così bella.

Roma in questa canzone è l’archetipo dell’impero. Quando pensiamo all’impero romano pensiamo all’impero per definizione. Lo stesso impero russo si ispira all’impero romano. La parola “Zar” è la traduzione del latino “Caesar”, il Kaiser dell’impero tedesco è la traduzione germanica di “Caesar”, e così via. “Brucerà Roma” parla della caduta di Roma, ma per estensione parla della caduta di tutti gli imperi. Per quanto grande e forte, ogni impero prima o poi cadrà. Quando ascolto questa canzone trovo un collegamento con la storia di cui stiamo parlando, essendo una storia che può funzionare con qualsiasi impero, anche per quello russo. Consiglio comunque di ascoltare la canzone a volume basso!

[…]

Fondamentalmente, tutto ciò di cui stiamo parlando gira intorno alla parola “Libertà”. Tu sei una persona libera sotto tutti i punti di vista, come vedo. Vedi la libertà di Ichkeria sotto attacco? Pensi che le forze imperiali, l’Fsb, vogliano cancellare questo obiettivo di libertà? Noi percepiamo questi attacchi, per esempio quelli che stanno venendo portati contro Akhmed Zakayev, una persona che è un simbolo della libertà di Ichkeria. Percepisci questi attacchi dall’Italia?

Immagino che questo comportamento sia coerente con la situazione. Ho una percezione indiretta di questo, perché sfortunatamente i giornali italiani non raccontano molto ciò che succede in Cecenia o nella diaspora cecena. Tuttavia avendo alcuni contatti con i membri della diaspora cecena per via dei miei studi, immagino che queste persone stiano parlando di progetti  presenti e futuri per raggiungere l’indipendenza e la libertà della Cecenia e che talvolta lo facciano discutendo animatamente, o arrabbiandosi. Parlo da italiano, non penso di avere il diritto di dire ai ceceni ciò che devono fare. Solo, vedendo da fuori ciò che succede nella diaspora cecena, noto che ci sono delle “questioni irrisolte” ed è possibile che l’Fsb, o chiunque non voglia una Cecenia indipendente possa enfatizzare queste divisioni del fronte indipendentista per indebolirlo. Spero che le persone non cadano in questa trappola. Non so se l’indipendenza della Cecenia è lontana o vicina, ma è importante che ad ogni passo ci si trovi nella migliore condizione per raccogliere insieme tutte le forze per conquistare la libertà.

Negli ultimi mesi, anche grazie a te ed ai Radicali Italiani (penso all’incontro a Roma tra Zakayev e Benedetto della Vedova, al discorso al parlamento italiano, al riconoscimento di Ichkeria da parte del parlamento ucraino, all’appena terminato intervento di Zakayev al parlamento europeo ecc..) abbiamo visto un’evoluzione nella proposta del governo di Ichkeria. A Bruxelles Zakayev ha presentato un progetto di ricostituzione della Repubblica della Montagna, costituita nel 1918 e dissolta dai Bolscevichi, e che a suo tempo Zviad Gamsakhurdia e Dzhokhar Dudaev volevano ricostituire negli anni ’90.  Adesso Zakayev sta portando avanti quest’idea, questo progetto, ed il Ministro degli Affari Esteri, Inal Sharip è andato a Washington DC e lo sta presentando là. Da storico, pensi che questo progetto della Repubblica della Montagna sia più sicuro, più realizzabile rispetto alla Cecenia indipendente? Pensi che da sola la Cecenia riuscirebbe a sopravvivere ai suoi vicini così “mostruosi”?

Penso che creare una confederazione sia molto difficile, ma se questa è guidata da un centro forte, può moltiplicare la forza di ogni suo singolo membro. Se la confederazione è una semplice somma di soggetti non credo che durerà a lungo. Un esempio può essere quello dell’Unione Europea: una somma di paesi, ma la sua forza non è equivalente alla somma delle forze che la compongono. Perché ogni paese difende i suoi interessi, e questo è un problema perché uno stato costruito in questo modo non può resistere a forze di paesi come Stati Uniti, Russia, Cina. Il problema della nostra confederazione  è che non abbiamo un centro, una nazione che tiene unite tutte le altre. E ogni volta che una delle nazioni europee prende la supremazia le altre la combattono. Così la nostra confederazione europea è politicamente debole. Se i ceceni vogliono guidare una confederazione non devono farlo come lo hanno fatto gli europei. Se saranno abbastanza credibili da attrarre le altre nazioni in una confederazione della quale loro siano il centro, non come un centro imperiale, ma come il luogo di coloro che credono più di tutti gli altri a questo progetto,  e che per questo sono pronti a sacrificarsi più degli altri per tenere tutti insieme, allora credo che questo sia un progetto politico che può durare. Come, per esempio, gli Stati Uniti, i quali sono una confederazione che, dopo alcuni grossi problemi, è diventata la più potente nazione della terra. Una confederazione, quindi, può durare, ma ti serve un centro che abbia la credibilità e la forza per tenere insieme tutti gli altri, non con la forza ma dando l’esempio. Penso che i ceceni abbiano mostrato più di una volta al mondo grandi esempi.

Nel 1997 Russia e Cecenia firmarono un trattato di pace che poi fu tradito. Cosa pensi del desiderio da parte della comunità mondiale di convincere l’Ucraina a firmare un trattato simile con la Russia?

Guardando alla storia si capisce perfettamente che il reale valore dei documenti dipende dal fatto che questi riflettano o meno la situazione reale. Nel 1997 la Russia firmò un trattato di pace, ma mentre lo firmava stava preparando la seconda invasione. Secondo me se adesso accettasse un compromesso con la Russia, questo compromesso in nessun caso potrebbe sistemare alcuna situazione, perché non credo che i russi sarebbero soddisfatti, e neanche gli ucraini lo sarebbero. Credo che adesso un compromesso sarebbe soltanto un modo per spostare in avanti la guerra di tre o quattro anni. Credo che questo sia un momento nel quale è necessario risolvere un problema che è nato proprio in Cecenia. In una bellissima recensione di Adriano Sofri, un italiano che conosce bene la Cecenia, e che ha scritto un bellissimo articolo su questo libro, lui dice che quello che è successo in Ucraina è un remake di quello che è successo in Cecenia e in Georgia, e che l’Ucraina è la fine di una linea che inizia in Cecenia. E’ il momento di interrompere questa linea una volta per tutte, altrimenti dovremo aggiungere un altro punto a questa linea, tra quattro o cinque anni. Come europeo rifletto sul fatto che questa linea non si dirige lontano dall’Europa, ma dalla Cecenia verso l’Europa. Il punto successivo sarà ancora più vicino a casa nostra, non più lontano. Credo che l’Europa dovrebbe pensare a questo. Se non interrompono questo processo adesso, lo affronteranno di nuovo ancora più vicino a casa.

Memories of Budennovsk: Francesco Benedetti interviews Ikhvan Gerikhanov

Mr. Gerikhanov , your intervention in the Budennovsk hostage crisis begins on the evening of June 15, 1995, when you reach the city hospital, occupied by Basayev’s men, with the intention of starting negotiations. The task had been assigned to her by the Minister for Nationalities of the Russian Federation, Mikhailov. Do you remember how you responded to his request? Were you able to communicate with ChRI authorities from the time you were called to the hospital until you entered the hospital?

That’s essentially how it went. As chairman of the Constitutional Court , I had no contact with the leadership of the Chechen Republic, and was busy reporting on the war crimes that were taking place on the territory of our republic. I have personally held dozens of international conferences and roundtables, in which I have called for the intervention of the world community to stop the destruction of the Chechen people as an ethnic group!

At the time I was in Moscow, as an expert in the session of the International Tribunal for war crimes and crimes against humanity in the Chechen Republic, headed by State Duma Deputy Galina Starovoitova, later killed due to her civil engagement on the events in Chechnya. While I was at work, I was approached by one of my compatriots who held a responsible position in the presidential administration of the Russian Federation. He was looking for me at the request of the Minister for Nationalities, Mikhailov, who asked for my assistance in freeing the hostages held in Budennovsk. Naturally, I accepted the assignment, aware of the moral responsibility I had for these facts, as a senior official of the republic.

First of all, I interpreted my mission as that of allowing the hostages to understand the reason for this armed incursion, and to explain to them that they were not “militants”, as reported by all the world’s media, but defenders of their homeland.

Two or three days after I received the request, I was on a plane bound for Grozny, on which was also a delegation from the Russian Liberal Democratic Party, headed by Zhirinovsky. We had no contact with them, but the departure of the plane from Moscow was delayed for several hours.

Ikhvan Gerikhanov waits in front of an entrance to the Budennovsk hospital manned by one of Basayev’s men

Together with her were other Chechen officials. Who were they? And why did you choose them?

With me . were Paskushev and D. Khangoshvili . The second is a Georgian Chechen. Neither was an official of the state structure of the republic. I didn’t choose them, we just happened to be together. In fact I was not the head of the delegation. The other two simply knew my position among the authorities of the republic, and they recognized me as a sort of “primacy” in relation to the responsibility of my work. Unfortunately Khangoshvili passed away a week ago. Paskushev remained at headquarters in the Ministry of Internal Affairs building to ensure our safety.

I take this opportunity to express my special gratitude to my comrades for their courage and perseverance in these events. We were exposed to mortal danger of being shot in the rear by the Russian army, or by a sniper, or of being shot by our own if the military’s provocations ended with the assault on the hospital.

Did you personally know Basayev before Budennovsk? What opinion did you have of him? And how has it changed after the seizure of the hospital?

Before these events I had never had personal contact with him, as a Member of Parliament on first call and President of the Constitutional Court I was busy with my duties.

My opinion on this raid is still ambiguous today, I am against violence against civilians, although dozens of times we Chechens have seen how Russian troops put groups of civilians in front of them and went on the attack. But war is war , there are no rules of engagement and no one chooses the methods. This was mutually evident when civilians were killed by carpet bombing on the territory of the republic and filter camps were set up, where ordinary civilians, both women and men, were tortured, raped and killed.

The indifference of the absolute majority of Russian citizens and the world community gave the following result: our soldiers were forced to attract everyone’s attention in this way, to stop the destruction of the Chechens on a national basis. By the way, to this day the participants of Basayev’s raid are “found guilty” and sentenced to the maximum sentence, while not a single officer or soldier of the Russian army, except for the freak and rapist Budanov, has been held responsible for the criminal acts made on the territory of our republic.

This raid, with its pitiable innocent victims, produced results: the war was stopped and the Khasavyurt Accords on the cessation of hostilities and the beginning of peace negotiations were signed.

After landing in Budennovsk and reaching the hospital, you made contact with the Chechen units barricaded in the facility. Your first request to talk to Basayev, however, was turned down. Aslambek Ismailov, clarified that there would be no negotiations. Why do you think Basayev reacted so harshly? Didn’t he recognize you as a senior ChRI official? And speaking of Ismailov, did you know him before the Budennovsk events?

Before our arrival in Budennovsk, Basayev made it clear to everyone that there would be no negotiations before the withdrawal of the Russian army from the territory of our republic and that negotiations with Dudayev for the recognition of independence should begin. To all delegations, including one composed of Basayev’s relatives, he made it clear that he would not speak to anyone, and that any attempt to force the situation would lead to the death of the hostages.

After arriving at the Headquarters, headed by Russian Deputy Prime Minister Egorov, I informed everyone about the purpose of my visit and after long discussions I called the hospital directly to explain that my intention was to visit the building where the hostages were being held. Since it was night, I resolved to enter the building the next morning. Ismailov, Basayev’s deputy, answered me. I had never met him before. He knew me, he knew I was a high official of the republic. He promised to tell Basayev what I was proposing, and to give me an answer within a few hours.

To get an affirmative answer, I had to declare that I was willing to remain inside the hospital together with the hostages and Basayev’s men if my efforts to resolve the crisis were unsuccessful.

June 18 , you finally managed to enter the hospital, leading two different groups inside the facility and starting negotiations to open an exit corridor for Basayev’s men, in exchange for the release of a certain number of hostages. How did these negotiations take place? Why do you think Basayev changed his attitude towards you?

My first contact was on June 16 , when Khangoshvili and Ismailov met at the hospital entrance. Before our arrival a sniper had shot one of Basayev’s men, and his corpse was still lying in plain sight, covered in blood, at a distance of 1.5 – 2 meters. To avoid risking the same end, we met on the entrance stairway, sheltered from snipers. After a short conversation with Ismailov, we parted. On the same day he contacted the General Headquarters informing those present that Basayev was available to meet the President of the Constitutional Court of the Chechen Republic.

Women and children hostages are freed during the negotiations.

What situation did you find in the hospital? Do you remember the conditions of the hostages and militants during your stay in the facility?

The situation was very tense, there were many women and children, some wounded, mothers who had just given birth. With respect to this, the Russian media presented a distorted version of reality: with the exception of military pilots and police officers, the hostages were shown respect and care, relative to the conditions in which they found themselves. The hostages themselves had spread white scarves and sheets outside the windows to prevent an assault by the Russian army. I saw a woman, a doctor from the hospital, slap a police lieutenant general who was saying that Basayev’s team was putting women and children against the windows!

Khangoshvili and I have been to the hospital 5-6 times until June 18th , and each time we came back with several children, who we returned to their mothers. They persuaded me to take the children with me, referring to the fact that Basayev would not object and that the children would be saved. On our next visit, we heard the voices of the women talking to each other saying that there was a “mustachioed prosecutor” and that another group of children needed to be rounded up.

According to press reports, it was you who developed the text of the agreement that led to the resolution of the crisis. Do you remember the genesis of this document? Were there discussions about what should be written on it? Do you keep a copy of this document?

Yes, I wrote that text. At the first meeting with Basayev he recognized my rank as an official, but said that he was accountable to his command, and that without the approval of his bosses he would not take any decision. Basayev insisted that the withdrawal of Russian troops from Chechnya and the republic’s independence could not be negotiated. His detachment would not have left if these two conditions were not met. If necessary they would all have sacrificed their lives for this. I had to talk to all the members of Basayev’s team to explain to them that at this stage of the conflict, fulfilling both conditions would be impossible, even with the sacrifice of all Chechens on earth.

In the end, thanks to the help of the witnesses I brought, and the arguments of my reasoning, I managed to persuade Basayev that the withdrawal of troops and the opening of negotiations would be real steps towards ending the war and recognizing Chechen sovereignty . After another visit to the hospital on June 17 , Basayev finally declared that he was ready to open a dialogue on this basis, and asked me to draft a document. To the above conditions he added the request for a guarantee of safety for his men, so that they could return to Chechnya without incident. Finally, he reminded me that, as a Chechen, I would answer to the people and to Allah if the Russian military and political leadership did not abide by the agreements.

The text was signed by responsible persons. I was asked to sign as head of the Chechen delegation, but I refused because I was a state official. However, having to identify a guarantor among the Chechens, I asked Kanghoshvili to sign, since the Russian government would not accept my signature as an official of the Chechen Republic.

The main concern for me and for Basayev was: who would guarantee the free passage of the buses on which the Chechen fighters and their escorts would leave? Knowing the insidious behavior of the Russian military and leadership, when I returned to the HQ I asked on my own initiative that this guarantee be given by the Russian Prime Minister Chernomyrdin: without his direct intervention, Basayev’s men would not have left the building, and they would have agreed to fight to the death. All those present reacted with anger: Deputy Prime Minister Yegorov , FSB director Stephasin and other military commanders invited me to leave. To which, brusquely, I told them that if they stormed the hospital, the whole world would immediately know about it from me, and the death of the hostages would remain on their conscience!

While returning to Moscow with the Chechen delegation, the human rights activist, S. Kovalev, approached us, and told us that Chernomyrdin was willing to talk with us about the guarantees to be given to Basayev’s men. I replied that this shouldn’t have been behind the scenes, but that it should have been an official statement. I then demanded that the Prime Minister speak to Basayev directly on the phone, and threatened to abandon the negotiations, and to return to my job if the conversation did not take place.

When you left the hospital, you took about a hundred hostages with you. Do you remember any of them? Were you able to exchange a few words between you? What did the hostages think about what was happening?

As I said, after I learned that Chernomyrdin would call Basayev, I returned to the hospital on June 18th . Arriving from Basayev I asked him: if the Prime Minister provides a guarantee of safe passage to Chechnya, will this be a sufficient basis for the release of the hostages? Basayev and his men laughed: they didn’t believe such a guarantee would be possible. However Kovalev and the accompanying State Duma deputies confirmed my words, so we added this clause to the agreement, and signed it. I asked Basayev to give a sign of good will by handing over, together with the request for agreement, at least 100 hostages, including women and children, to be released. Basayev agreed to the request the next day.

Upon your departure, Basayev reportedly warned you: “Remember that you are a Chechen. If even a single hair falls from my fighters’ heads along the way, your whole family will answer for it!” Does this mean you got involved in a family feud to save the Budennovsk hostages?

Naturally this was a provocation on Basayev’s part. After all, I could not vouch for their free passage through Russian territory. Knowing about Yeltsin’s intention to show himself to the world community as a fighter against “terrorists”, I nipped in the bud another provocation thought up by the head of the operation to free the hostages, General Yerin . As soon as I arrived in Moscow, I gave several interviews to Russian and foreign journalists in which I feared a possible military provocation against Basayev’s detachment on the way back.

After signing the agreement, on your way home, you were abruptly called back at Aslambek ‘s explicit request Abdulkhadzhiev . The feds had asked all those who had joined Basayev on the return journey to sign a document that effectively exempted the Russian authorities from any responsibility in the event of accidents on the way back. It was a tacit admission of a willingness to raid Basayev’s convoy as soon as it entered Chechnya. Abdulkhadzhiev stated that without your intervention the negotiations would not have resumed. Did you know him? Why was your presence deemed necessary?

I have already mentioned General Yerin , the author of this receipt stating that such and such a person “voluntarily joins Shamil Basayev’s group…”. Abdulkhadzhiev reacted urgently to this provocation and declared that without a conversation with the President of the Constitutional Court of the Republic, the agreement would not proceed.

A car caught up with us on the way to the airport, and we were asked to come back. Upon arrival in Budennovsk, after reading the text proposed by General Yerin , I asked to speak urgently with Chernomyrdin and, after my explanations, Chernomyrdin slipped through Yerin , scolded him about the receipt and ordered him to cancel it. It later became known that the General was preparing an assault on Basayev’s convoy on orders from President Yeltsin, who was outside Russia at the time. Indeed, an attempted assault took place near the Chechen border, at the height of Kurskaya , when military helicopters began flying over the buses. However, due to the great attention these events caused and the presence of many foreign journalists, the attack did not take place.

Hostages leave the hospital

After resolving this second crisis, you were faced with the frustrated reaction of the Russian military and civilians who had witnessed the kidnapping. Why were they mad at you? What made them so nervous?

The answer in this case is unequivocal. Many soldiers wanted to destroy Basayev’s detachment and gain prestige. They didn’t care about the hostages and their punishments at the time. On our next visit to the hospital we realized that the army’s special units clearly wanted to take advantage of the stalemate in operations due to the negotiation process to storm the hospital. And the police major’s snide comment: You can’t come here, you’re no better than the terrorists you sent home I assumed I never expected the most basic humanity or gratitude from these people.

After Basayev’s return to Chechnya, your mission was over. Were you able to contact Dudayev, or another official of the Chechen Republic of Ichkeria?

Unfortunately no, I was very busy with the international tribunal, and until 1996 I was unable to return to the republic. According to Abdulkhadzhiev , in the presence of Ismailov and Basayev, my actions in this mission were highly appreciated by the President, who said that at the first meeting with me he would present me with the Republic’s highest award, the “Honor of the Nation ”. Unfortunately, the infamous assassination of the President of the Chechen Republic prevented us from meeting on this earth.

Did the Russian authorities give you any credit for ending the Budennovsk hostage crisis?

First of all, I didn’t expect anything from gold and I didn’t work for them. I only accepted the offer to participate in this matter, in good faith, because I was one of the highest officials of the Republic. Secondly, I did what I did out of civic duty, and I am grateful to the Almighty for giving me the opportunity to be of service to my people and to free more than 1200 hostages who were not involved in hostilities, like dozens of thousands of civilians in Chechnya, who suffered the most from the presence of the Russian army.

It was said a long time ago that I was offered an apartment in Moscow. Speculation around this topic was a useless farce of the Russian leadership, just as some newly emerged “patriots” among the Chechens could be accused of treason, who even today cannot understand and evaluate my actions as Chairman of the Constitutional Court of the Republic Chechen. But that’s another topic!

The Budennovsk crisis allowed the Chechen government to conclude a truce which proved useful in winning the war. However, it has cast a shadow of terror on the resistance. How do you think Budennovsk changed the history of independent Chechnya?

Today the whole world has known the face of the Russian Empire and has finally understood that the war of the aggressor, launched against our republic, was the beginning of perfidy and contempt for all norms and principles of international law, so as well as its obligations to the world community. The Budennovsk events forced the Russian leadership to sit down at the negotiating table, and this saved tens of thousands of lives, both on the territory of our republic and in Russia itself.

As for the “shadow of terror”, state terror was declared against the Chechen people by Russia, exclusively on a national basis, and has not stopped to this day, even though the peace treaty with the Chechen Republic of Ichkeria was signed a long time ago! So who is guilty of terrorism? Who is the terrorist?

Thank God the European community has already declared Russia a sponsor of terrorism. This is mine answer at the your last question !

Text of the agreement drawn up by Gerikhanov.


The document, translated for us by Inna Kurochkina, says:

Agreed text for the time 10 hours 40 minutes 18.06.95.

On the release of the hostages, the city of Budyonnovsk.

Commitment:

-On the part of the Government of the Russian Federation represented by the Prime Minister

V.S. Chernomyrdin:

Immediately stop hostilities and bombardments of the territory of Chechnya.

All other issues, including the disengagement of troops, should be resolved exclusively by personal means on the basis of the negotiation process.

The person authorized to negotiate with the Chechen side is Usman Imaev.

-From Shamil Basayev:

Release of hostages, with the exception of the security assurance team.

Time of completion:

Statement by Chairman of the Government of the Russian Federation Chernomyrdin.

The release of the hostages in the amount of one hundred people Sh. Basaev immediately after the speech of Viktor Chernomyrdin.

The rest, with the exception of the security guarantee group, are released during the time for the security of the departure of Sh. Basayev’s group.

18.06.95

10 hours 03 minutes

Signatures:

Viktor Stepanivich Chernomyrdin

Shamil Basaev

From the Government of the Russian Federation on behalf of Viktor Chernomyrdin: Head of

the Delegation Sergey Kovalev

From the Administration of the Stavropol Kraj Member of the delegation Sergey Popov

Deputy of the State Duma of the Russian Federation Yuliy Rybakov

From the side of the Chechen diaspora Khangoshvili Dzhabrail

Federation Council Deputy Viktor Kurochkin

Assistant to Kovalev Oleg Orlov “Memorial”

Amendments to the first document

The document, translated for us by Inna Kurochkina, says:

Additional agreements to the text of the Agreement dated June 18, 1995.

The delegation of the Russian Federation and Shamil Basayev’s group agreed on the following:

All questions of a political settlement, including the question of the status of the Republic of Chechnya, its relations with the federal authorities of the Russian Federation, and the republics of the Russian Federation, and other issues, should be resolved exclusively by peaceful means, on the basis of international legal acts, legislation and agreements reached in the negotiations.

This procedure should be the subject of consideration by authorized officials of the Chechen Republic of Ichkeria and representatives of the Government and the Federal Assembly of

the Russian Federation.

18.06.95

11 hours 03 minutes

Signatures

Shamil Basaev

From the side of the Chechen diaspora Khangoshvili Dzhabrail

From the delegation of the Russian Federation:

Sergey Kovalev

Juliy Rybakov (Deputy of the State Duma)

Viktor Kurochkin (Member of the Federal Assembly)

Oleg Orlov (“Memorial”)

From the Administration of the Stavropol Kraj Sergey Popov

Akhmed Zakayev a Rimini (11/12/2022) “Da dove viene l’espressione ‘La Cecenia fa parte della Russia’?”

Quello che segue è il testo integrale dell’intervento presentato dal Presidente del Gabinetto dei Ministri del governo ceceno, Akhmed Zakayev, al Congresso Nazionale dei Radicali, svoltosi a Rimini tra il 9 e l’11 Dicembre 2022. Lo avevamo tradotto per l’occasione dall’inglese, affinchè potesse essere distribuito agli astanti. Lo riproponiamo ai lettori di questo blog.

11.12.2022 Rimini, Italia

Signor Presidente,

Signore e signori,

All’inizio del mio intervento, vorrei ringraziare gli organizzatori di questo forum. In particolare ” Radicali Italiani ”. così come tutti i membri del movimento.

Da più di 30 anni partecipo direttamente ai processi militari e politici in corso sia all’interno della stessa Cecenia, sia – ora – al di fuori della Cecenia. Le informazioni rilasciate dagli uffici stampa dei ministeri e delle agenzie russe hanno lo scopo di distogliere l’attenzione da fatti oggettivi. Gli ideologi del Cremlino praticano ancora la teoria totalitaria secondo cui se ripeti mille volte una bugia, diventerà la verità. Preferisco l’affermazione di Abraham Lincoln: che puoi ingannare alcune persone per sempre, e tutte le persone per qualche tempo, ma mai tutte le persone per sempre.

Il presente e il futuro di qualsiasi conflitto devono essere definiti innanzitutto dalla natura di quel conflitto. Probabilmente avrete sentito dozzine di versioni delle origini del conflitto tra Russia e Cecenia. Le riserve petrolifere e il terrorismo islamico internazionale hanno poco o nulla a che fare con l’origine del conflitto. Vorrei spiegare di cosa ha così paura il governo russo.

Dall’inizio della guerra russo-cecena, l’11 dicembre 1994, ogni tentativo della comunità mondiale di impegnarsi nella soluzione pacifica del conflitto è stato bloccato dalla tesi dell’integrità territoriale della Federazione Russa. Oggi che il nostro conflitto è degenerato in un circolo vizioso, è estremamente importante esaminarlo dal punto di vista della sua legalità. Epiteti come “autodichiarato”, “separatista”, “ribelle” o “non riconosciuto” sono spesso usati per descrivere la Repubblica cecena. Essi non si basano su fatti storici e legali.

Lo status sovrano della Repubblica cecena è legittimo quanto lo era l’URSS. Nell’aprile 1990, durante le riforme del sistema sovietico di Gorbaciov, il Soviet Supremo dell’URSS adottò due leggi di fondamentale importanza per le nazioni dell’Unione Sovietica.

Il 10 aprile 1990. “Sulla base dei rapporti economici tra l’URSS e l’Unione e le Repubbliche Autonome” Poi il 26 aprile 1990 “Sulla divisione dell’autorità tra l’URSS ei sudditi della Federazione”. Questa normativa conteneva, accanto a disposizioni più generali, una serie di articoli che modificarono radicalmente lo statuto delle repubbliche autonome. Da quel momento esse condivisero gli stessi diritti delle altre repubbliche sovrane. Entrambi i tipi di repubbliche godettero del diritto alla “libera autodeterminazione dei popoli”.

Il 27 novembre 1990 , a seguito di un editto ufficiale del Soviet Supremo dell’URSS, il Soviet Supremo della Repubblica ceceno-inguscia ha adottato una Dichiarazione sulla sovranità dello Stato.

Per tutta la vita dell’URSS, tutto ciò che aveva a che fare con lo status giuridico, la “statalità” ei confini delle varie entità etniche all’interno del paese era prerogativa esclusiva del Soviet Supremo dell’URSS.

Il motivo per cui sto entrando così nei dettagli è perché possiate capire che non c’è stata alcuna rivolta, nessuna presa del potere da parte di separatisti armati. La sovranità della Repubblica cecena è stata stabilita dall’adozione nell’URSS di diverse nuove leggi nell’aprile 1990, e quindi era assolutamente legale e legittima ai sensi del diritto sovietico, del diritto russo e del diritto internazionale.

Quindi, quando l’Unione Sovietica fu sciolta nel dicembre 1991, la Repubblica cecena esisteva da più di un anno come stato sovrano, riconosciuto nell’ordinamento giuridico dell’URSS, uguale a tutte le “Repubbliche dell’Unione” (Russia, Georgia , Ucraina, Stati baltici e altri) e si stava preparando a firmare il Trattato dell’Unione aggiornato.

Lo status paritario della Repubblica cecena è stato infatti riconosciuto dal governo della Russia nel 1992, in occasione della spartizione ufficiale delle armi e dei beni dell’ex esercito sovietico che si trovavano nella Repubblica di Cecenia. Una simile divisione delle armi e dei beni dell’esercito sovietico ebbe luogo tra la Russia e tutte le ex repubbliche dell’URSS.

Il 1992 è stato un anno chiave per la Repubblica cecena a causa di altri due eventi che hanno avuto luogo: il primo è stato l’adozione della nostra Costituzione, che ha confermato lo status della Repubblica cecena come Stato sovrano democratico. La seconda è stata la firma del Trattato federale in Russia, cui la Repubblica cecena non ha partecipato.

Akhmed Zakayev

Da dove viene l’espressione “la Cecenia fa parte della Russia”?

Nell’ottobre 1993 il presidente Eltsin ordinò alle truppe di sparare sul parlamento russo e disperse l’assemblea. Quando il presidente Eltsin ordinò un referendum per una costituzione russa, non esisteva né il parlamento russo né la costituzione russa. Poiché la Repubblica cecena aveva un parlamento dal 1991, il quale aveva adottato una costituzione nel 1992, la Repubblica cecena non ha partecipato al referendum russo. La Costituzione russa contiene un articolo in cui si afferma che lo Stato russo è uno Stato federale, composto da soggetti che hanno firmato volontariamente il Trattato federale. Un altro articolo afferma che la Repubblica cecena è un soggetto della Federazione Russa. La presidenza russa ha violato tutte le possibili norme legali quando ha incluso la Repubblica cecena come “soggetto” della Federazione Russa nella Costituzione russa.

Nel 1994, dopo tre anni e mezzo di terrorismo di stato, di ricatti, di tentativi di indebolire la leadership cecena, che non sono riusciti a far capitolare la Repubblica cecena, la Russia ha scatenato un’invasione militare su vasta scala. Questa guerra fu cinicamente dichiarata per “l’instaurazione dell’ordine costituzionale”, mentre in realtà fu una guerra che violava tutti i principi del diritto internazionale, comprese le Convenzioni di Ginevra che regolano le norme di guerra.

Nel 1996 la guerra finì e tutte le truppe russe furono ritirate dalla Repubblica cecena. Nel gennaio 1997, con l’attivo supporto metodologico e logistico dell’OSCE e in conformità con la Costituzione cecena del 1992, la Cecenia ha tenuto le elezioni presidenziali e parlamentari, ufficialmente riconosciute dal Consiglio d’Europa che ha inviato un gran numero di osservatori, e dalla stessa Federazione Russa.

Il 12 maggio 1997è stato firmato il documento più importante di tutta la storia dei rapporti tra Russia e Cecenia. Il trattato di pace che ha stabilito i principi fondamentali per le relazioni tra la Federazione Russa e la Repubblica cecena di Ichkeria .

Il difficile ma chiaramente promettente processo di creazione di relazioni interstatali reciprocamente accettabili tra la Russia e la Repubblica cecena fu interrotto nel 1998, quando il Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, presieduto da Putin, il quale era anche direttore dell’FSB, pose un clamoroso freno al processo negoziale.

Al nostro governo viene spesso rimproverata l’accusa di aver avuto il tempo e l’opportunità dopo la fine della prima guerra russo-cecena di rafforzare e affermare la nostra sovranità. Posso affermare con piena autorità che in realtà non abbiamo avuto né il tempo, né l’opportunità, e questo perché i servizi segreti russi hanno immediatamente avviato seri preparativi per una seconda guerra. Hanno scatenato una dura ondata di operazioni terroristiche contro la Cecenia, che includevano esplosioni, omicidi e rapimenti, in particolare di stranieri e giornalisti. Molti noti politici hanno dichiarato pubblicamente che la Cecenia doveva essere portata a uno stato tale da implorare in ginocchio di poter rientrare nella Federazione Russa.

Dopo lo scioglimento dell’URSS, i sostenitori di un forte governo centrale in Russia si lamentavano che non esisteva più un’idea unificatrice e quindi che ciò che restava del grande impero russo, la Federazione Russa, avrebbe potuto sgretolarsi. Il Cremlino ha trovato l’idea che era necessaria. Hanno sostituito l’idea di Marx di combattere il capitalismo con l’idea di combattere il terrorismo. Il vantaggio della nuova idea era che quando si trattava di teoria e pratica degli atti di terrore, la Russia era stata il leader mondiale per tutto il XX secolo, e in tutti i continenti.

Vi interesserà sapere che durante la prima guerra del 1994-1996 siamo stati etichettati come banditi, separatisti, fascisti, ogni sorta di cose, ma nessun politico russo si è sognato di chiamarci fondamentalisti o terroristi islamici, figuriamoci terroristi internazionali.

Il Cremlino aveva già esperienza nel collegare la questione cecena con i problemi internazionali. Stalin, ad esempio, quando affrontò la questione cecena nel 1944 (deportando l’intera nazione nelle steppe del Kazakistan e della Siberia), accusò il popolo ceceno di collaborare con i tedeschi fascisti, anche se i nazisti non riuscirono mai ad occupare la Cecenia. Gli alleati democratici di Stalin potevano allora trovare comprensibili le sue affermazioni. Nel nostro tempo, presentare la Cecenia come uno dei principali focolai del terrorismo islamico internazionale sembra adattarsi convenientemente all’opinione pubblica russa, ma anche a quella dell’Occidente.

Akhmed Zakayev parla alla Camera dei Deputati in Italia

Negli ultimi anni i liberal-democratici russi ci hanno parlato dei processi negativi che hanno avuto luogo e sono tuttora in corso in Russia. Sono profondamente convinto che ciò che il regime di Putin ha fatto in Russia sia la conseguenza e il riflesso di quanto è accaduto, e continua ad accadere, in Cecenia.

L’isteria anti-cecena fomentata dal Cremlino che gode dell’appoggio della maggioranza assoluta della società russa, democratici compresi.

Menzogne spudorate, illegalità e crimini crudeli sono gli strumenti della politica russa nei confronti della Cecenia. Infiammata dalla propaganda della Grande Potenza, la società russa acconsentì prontamente ai mezzi ovvi e malvagi usati contro i ceceni, e quando questi iniziarono ad essere usati contro gli stessi russi era già troppo tardi per cambiare qualcosa.

Una campagna di terrore contro una piccola nazione non può portare a risultati positivi. Le prevedibili conseguenze di una guerra criminale scatenata contro la Cecenia sono state una restrizione delle libertà democratiche, inclusa l’abolizione della libertà di parola, della libertà per l’attività imprenditoriale privata e della libertà per le minoranze religiose. Procedimenti penali politicamente motivati, persecuzione delle organizzazioni per i diritti civili, violazione dei diritti elettorali dei cittadini, fascismo sempre più forte e grave interferenza negli affari interni degli stati vicini: questi sono tutti risultati naturali della criminale guerra anti-cecena, che continua nel suo 28 anno.

Il rifiuto della Russia di riconoscere l’indipendenza della Repubblica cecena, e il conseguente scatenarsi di una guerra, ha creato false aspettative in molte persone riguardo alla possibile risoluzione dei conflitti post-sovietici. La Georgia, la Moldavia ei loro amici volevano vedere la Russia soggiogare la Cecenia il prima possibile, immaginando che dopo questo sarebbe stata ripristinata la loro “integrità territoriale”.

I bombardamenti a tappeto di villaggi e città, la violazione di ogni norma militare, le pulizie etniche e il genocidio commessi durante le due guerre anti-cecene erano tutti considerati affari interni della Russia.

Putin era fiducioso che gli attuali leader occidentali non avrebbero mai cambiato il loro atteggiamento pubblicamente dichiarato nei confronti della Russia , qualunque cosa faccia.

Il regime russo è emerso nella sua forma attuale in gran parte grazie all’incoraggiamento che la Russia ha ricevuto dagli stati occidentali nella sua barbara guerra contro la Cecenia, uno dei conflitti più sanguinosi e violenti in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale. 300 mila civili , di cui oltre 40mila bambini , sono stati uccisi in Cecenia.

 Sono profondamente convinto che gli interessi economici di alcuni paesi e gli interessi politici di alcuni politici non debbano essere superiori al destino di un intero popolo. Sono anche assolutamente sicuro che la mancanza di un’adeguata reazione del mondo occidentale alla tragedia cecena sia la ragione principale per cui la Russia ha commesso un’aggressione militare contro la Georgia e l’Ucraina.

Sono lieto che il mondo si sia reso conto che la politica di pacificazione non può essere continuata e abbia condannato fermamente l’aggressione russa contro l’Ucraina.

I ceceni sono stati coinvolti in questa guerra dalla parte degli ucraini dal 2014. Putin, durante l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, ha attirato i cosiddetti Kadyroviti nelle file degli occupanti russi. Questa decisione è stata presa con l’obiettivo di portare odio tra ceceni e ucraini. Ma grazie alla saggezza del popolo ucraino e alle azioni corrette del governo della CRI in esilio, Putin non è riuscito a raggiungere questo obiettivo. Il 26 febbraio Bruxelles ha ospitato una riunione del Comitato di Stato per la Disoccupazione della CRI, di cui sono a capo, in qualità di capo del governo della CRI in esilio. In questo incontro si decise di formare distaccamenti di volontari tra i ceceni in Europa per partecipare alla guerra a fianco degli ucraini. Lo stesso giorno, abbiamo annunciato questa decisione attraverso i media. Mi sono anche rivolto al presidente Zelensky sulla necessità di concludere un accordo sulla cooperazione militare tra le parti. In modo che la partecipazione dei ceceni a un conflitto armato non contraddica la Convenzione di Ginevra del 1949 e il protocollo aggiuntivo del 7 dicembre 1978 “Protezione delle persone che partecipano alle ostilità”, in modo che questa persona non rientri nell’articolo “mercenari” della suddetta Convenzione.

Il 28 maggio, nella città di Kiev, è stato firmato un accordo di mutua assistenza e sostegno tra i dipartimenti militari dell’Ucraina e la CRI. Da quel momento è in corso la formazione di una brigata separata per scopi speciali come parte della legione straniera dell’Ucraina. Due battaglioni sono lì dal 2014. Due battaglioni sono stati formati dopo la firma di un accordo interdipartimentale. E al momento, il terzo battaglione sta venendo reclutato.

Ora vorrei divagare leggermente dall’argomento principale e citare il primo presidente della Repubblica cecena di Ichkeria , Dzhokhar Dudayev, il quale ha detto nel 1995: “quando il sole della libertà sorgerà in Ucraina, verrà la fine dell’Impero russo”.

Infatti, oggi, in connessione con la guerra in Ucraina, il mondo si sta riorganizzando e l’Ucraina è diventata il leader del mondo libero.

La mia fiducia è rafforzata dal fatto che il 18 ottobre la Verkhovna Rada dell’Ucraina ha riconosciuto il genocidio del popolo ceceno e che il territorio della Repubblica cecena di Ichkeria è stato temporaneamente occupato dalla Russia. Questo è un evento epocale nella storia della formazione dello stato ceceno. Questo apre grandi opportunità per il governo della CRI in esilio.

Sono sicuro che oggi il mio popolo, come mai prima nella sua storia, è vicino al ripristino della propria statualità. E garantisco che con l’aiuto dell’Onnipotente, il nostro governo all’estero non perderà questa occasione storica.

Grazie a tutti.

Akhmed Zakayev

Presidente del Gabinetto dei Ministri della Repubblica Cecena di Ichkeria

Capo del Comitato per la De – Occupazione della Repubblica Cecena di Ichkeria

31/12/1994 – 03/01/1995: Il fiasco di Capodanno

Quello che segue è un estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte!” Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria. Lo pubblichiamo nell’anniversario della Battaglia per Grozny,

Nella notte tra il 30 ed il 31 dicembre 1994 l’artiglieria federale iniziò un bombardamento a tappeto su Grozny. Migliaia di colpi d’artiglieria sventrarono i quartieri residenziali della periferia settentrionale. Il mattino seguente l’aeronautica continuò l’opera scaricando sulla città una pioggia di bombe e razzi. Per far sì che il bombardamento fosse continuo erano stati assegnati due equipaggi ad ogni velivolo, cosicché i cacciabombardieri federali potevano effettuare le loro missioni senza sosta[1]. Ciononostante, a causa del maltempo l’attività dei bombardieri non sortì grandi effetti sulle difese cecene, mentre generò il panico tra la popolazione e produsse grandi distruzioni nei quartieri centrali della città, abitati massicciamente da russi[2]. Dopo 24 ore di bombardamenti le truppe di terra iniziarono ad avanzare. Il grosso dell’operazione era, come abbiamo visto, assegnato ai Gruppi d’Assalto Nord e Nord-ovest le cui punte di lancia erano costituite dall’81° Reggimento Motorizzato e dalla 131a Brigata Motorizzata. Le due unità iniziarono ad avanzare verso il centro cittadino alle prime luci dell’alba del 31 dicembre. Il piano prevedeva che la 131a avanzasse in profondità fino alla stazione ferroviaria, dove avrebbe costituito una testa di ponte per le unità del Gruppo d’Assalto Ovest, mentre l’81° avrebbe aperto la strada verso il Palazzo Presidenziale.

L’avanzata della 131a incontrò una resistenza piuttosto accanita. Quando l’unità raggiunse Viale Majakovsky, una sorta di anello stradale che circonda tutto il settore occidentale della città, il plotone di ricognizione in testa alla colonna venne investito da un violento fuoco incrociato. Il primo carro T – 72 della colonna saltò in aria, ed i veicoli che lo seguivano rimasero danneggiati. Nel corso della marcia la colonna si era allungata, e quando i superstiti del plotone di ricognizione fecero marcia indietro si scontrarono contro il resto del convoglio che avanzava in direzione opposta. All’altezza dell’ingorgo c’era una scuola elementare, dalla quale un gruppo d’assalto ceceno aprì il fuoco contro i russi in confusione. Soltanto l’intervento dell’artiglieria semovente ed un bombardamento aereo che riuscì a centrare in pieno la scuola permisero all’unità di riprendere l’avanzata. All’altezza della Casa della Stampa, a poca distanza dal complesso industriale Krasnij Molot (“Martello Rosso”) i russi incontrarono l’accanita resistenza di alcuni reparti a difesa del centro urbano[3]. L’81°, per parte sua, si trovò a combattere per aprirsi la strada fin dal primo ponte sul Sunzha a nord della città (il Ponte Zukhov). Con i mezzi blindati incolonnati e impossibilitati a manovrare, il reggimento subì numerosi attacchi a colpi di lanciagranate, a seguito dei quali riportò la perdita di cinque veicoli corazzati. Nel frattempo, le unità che seguivano l’81° raggiunsero l’avanguardia, aumentando l’ingorgo e rendendo ancor più difficile il dispiegamento sull’asse di marcia. La situazione fu ulteriormente complicata dal fatto che il piano d’attacco non era sufficientemente dettagliato da individuare più vie d’accesso al quartiere governativo, così le unità avanzanti procedettero incolonnate seguendo uno schema caotico e disorganizzato. All’ingorgo si aggiunsero progressivamente elementi di altre unità, reparti sciolti e veicoli che, a causa di guasti lungo il tragitto, avevano dovuto fermarsi e adesso stavano recuperando terreno, cercando di riunirsi ai loro comandi. In breve, i reparti si confusero tra loro, perdendo la capacità di coordinarsi. Per ridurre la congestione della colonna l’81° venne diluito attraverso vie secondarie, delle quali i capireparto non possedevano mappe aggiornate.  Giunti a pochi isolati dal Palazzo Presidenziale, i russi si trovarono nel bel mezzo di un’imboscata. I reparti a difesa dell’anello difensivo interno si attivarono improvvisamente, sommergendo i russi sotto una pioggia di proiettili.  Basayev aveva atteso che l’81° Reggimento si fosse ben addentrato nel dedalo di strade che convergevano sul Palazzo Presidenziale, e una volta che le colonne federali si furono allungate sufficientemente fece attaccare i carri in testa ed in coda, paralizzando i tronconi centrali e scagliandogli contro i gruppi d’assalto armati di lanciagranate. Quei pochi reparti che riuscirono a manovrare si trovarono isolati e privi del supporto della fanteria, che era rimasta bloccata dal tiro dei cecchini. Impossibilitati a rispondere al fuoco proveniente dai piani alti degli edifici, i veicoli superstiti tentarono di chiudersi in un perimetro di difesa, ma finirono sotto una pioggia di RPG e vennero completamente distrutti. Le retrovie del Gruppo da Battaglia Nord, che arrivavano alla spicciolata, si trovarono davanti un brulicare di soldati terrorizzati che cercavano rifugio dietro alle carcasse incendiate dei loro veicoli. Il gruppo venne investito in pieno dalla controffensiva cecena. Alcuni reparti riuscirono a barricarsi nel quartiere ospedaliero, a qualche centinaio di metri a nord del Palazzo Presidenziale, ma per molti altri non ci fu scampo: privi della copertura aerea e del supporto dei mezzi corazzati, dovettero uscire allo scoperto e tentare la fuga, diventando facili bersagli per i cecchini. Entro sera i russi avevano già perduto una settantina di mezzi, e centinaia tra morti e feriti.

Anche la 131a Brigata, che fino alle 13:00 era avanzata senza incontrare forti resistenze, venne investita da un improvviso e violento contrattacco non appena raggiunse il suo obiettivo[4]. Alle 15:00 in punto la Stazione Ferroviaria divenne il bersaglio del tiro di centinaia di armi da fuoco e lanciagranate. Nel giro di 60 minuti i federali persero tredici carri armati e numerosi mezzi blindati. Il comandante della Brigata, Ivan Savin, guidò il ripiegamento delle unità all’interno della stazione, venendo ferito ad entrambe le gambe. Una volta dentro, Savin ordinò ai suoi uomini di trincerarsi, e chiamò in soccorso la riserva della brigata, che ancora non era entrata a Grozny e stazionava nei sobborghi a nord della città, agli ordini del Colonnello Andrievski. Nel frattempo la difesa cecena si attivava in tutti i settori nei quali erano penetrati i nemici. A metà del pomeriggio il caos si era impadronito dalla città, ormai trasformata in campo di battaglia[5].

Per tutta la notte i reparti superstiti dell’81° Reggimento e della 131a Brigata rimasero isolati, asserragliati nei loro ricoveri di fortuna. Il Ministro Grachev venne richiamato precipitosamente mentre stava festeggiando il suo quarantasettesimo compleanno. Giunto alla base di Mozdok, si rese conto del pasticcio che aveva combinato: non soltanto i suoi gruppi d’assalto non avevano effettuato il blitz, ma erano addirittura finiti in trappola. Alle 6:00 del 1° gennaio la retroguardia della 131a Brigata tentò un’incursione per liberare i compagni assediati. Una colonna di una quarantina di veicoli tentò di raggiungere la stazione, ma l’intenso fuoco ceceno impose ai russi di muoversi ai margini del centro abitato, lungo Via Majakovskij, nel tentativo di intercettare i binari e procedere parallelamente a questi, tenendo almeno un fianco al coperto. Non appena giunta nei pressi della linea ferroviaria, tuttavia, la colonna fu bloccata dall’esplosione dei veicoli di testa. Il Colonnello Adrievski fece appena in tempo ad invertire la rotta, prima che anche la coda della colonna finisse distrutta. Decise così di tornare indietro e percorrere una delle strade secondarie che correvano parallelamente ai binari, sperando di riuscire a superare il fuoco che i ceceni gli stavano vomitando addosso dai tetti dei palazzi e dagli scantinati. Giunto con i resti della sua unità all’incrocio antistante il piazzale della stazione, il reparto cadde in una seconda imboscata, durante la quale una granata colpì il veicolo del Colonnello Andrievski, uccidendolo. Privi di un comandante, i suoi uomini si trovarono immobilizzati mentre i ceceni facevano saltare il carro in testa e quello in coda, e procedevano poi a distruggere tutte le unità intrappolate all’interno. La fanteria, rimasta senza protezione, fu sterminata. Soltanto due carri, i cui equipaggi erano riusciti a divincolarsi tra le carcasse degli altri veicoli, riuscirono ad uscire dall’imboscata sfrecciando a tutta velocità verso la stazione ferroviaria, dove i carristi si barricarono insieme ai commilitoni che avrebbero dovuto soccorrere. Un altro carro, che era riuscito a guadagnare un’uscita sul lato opposto, finì contro gli argini del Sunzha e si inabissò.

Il piano di recupero era fallito in tragedia, ed il comando russo ordinò un secondo tentativo. Un distaccamento della 19a Divisione Motorizzata, avanguardia del Gruppo d’Assalto Ovest, tentò di raggiungere la stazione nella tarda mattinata, ma non riuscì a prendere contatto né con la prima colonna di soccorso, ormai distrutta, né con i resti della 131a. Finalmente alle 13:00 del 1 gennaio il comandate della Brigata Ivan Savin ottenne il permesso di tentare una sortita, mentre un terzo gruppo di soccorso, composto da reparti della 106a e della 76a Divisione Paracadutisti (il resto del Gruppo d’Assalto Ovest) avrebbe tentato di rompere l’accerchiamento. L’azione, già difficilissima di per sé a causa dei più di 60 feriti che Savin avrebbe dovuto trasportare mentre tentava la fuga, fu resa più difficoltosa dal fatto che al pari di tutti gli altri ufficiali, Savin non possedeva mappe dettagliate del quartiere circostante la stazione. Nel giro di un’oretta i fuggiaschi si persero, sbagliarono direzione ed invece che muoversi verso il Gruppo Ovest si lanciarono a tutta velocità verso Nord, ritrovandosi di fronte al Palazzo Presidenziale e venendo accolti da una pioggia di proiettili. Morirono praticamente tutti gli ufficiali, Savin compreso, mentre 76 coscritti finirono nelle mani dei ceceni[6]. La 131a Brigata venne completamente distrutta: dopo 24 ore di combattimenti aveva perduto 20 carri armati su 26, 112 veicoli su 120, 6 cannoni semoventi e praticamente tutto il personale combattente. Fu un disastro senza precedenti, aggravato dal fatto che, mentre i Gruppi di Battaglia Nord e Nord-ovest erano almeno riusciti a penetrare in città, i gruppi Est ed Ovest non erano nemmeno riusciti ad entrare nel centro abitato.

Il Gruppo di Battaglia Est, composto da elementi della 194a Divisione Paracadutisti e dal 129° Reggimento Motorizzato, da un distaccamento di paracadutisti dei corpi speciali e da un battaglione di carri armati aveva raggiunto con successo la base di Khankala, e respinto la controffensiva cecena. Ma alla vigilia dell’attacco il comandante della 194a si rifiutò di partecipare, dichiarando che il piano non era stato adeguatamente preparato e che sarebbe finito in una carneficina. Così al momento dell’offensiva si mosse solo il 129°, appoggiato da una colonna di carri armati.  Anche questo contingente raggiunse con poche difficoltà il centro cittadino, ma all’altezza del ponte ferroviario sul Sunzha si trovò investito dal contrattacco degli uomini di Basayev. I russi persero buona parte dei loro veicoli tentando di trovare una strada alternativa e, non conoscendo il terreno di battaglia, passarono da un’imboscata all’altra senza riuscire a sganciarsi. Attestatisi in uno spiazzo, i superstiti organizzarono un perimetro difensivo, ma furono bombardati per errore dalla stessa aviazione federale, che mise fuori combattimento altri cinque veicoli ed aprì la strada al contrattacco degli indipendentisti. I russi si ritirarono alla rinfusa verso la base di Khankala, che raggiunsero soltanto alle 2 di notte del 1° gennaio, con i reparti ormai ridotti a brandelli. Nell’infruttuoso attacco erano caduti 150 uomini e la maggior parte dei veicoli era andata persa. Infine il Gruppo di Battaglia Ovest si mise in marcia in ritardo, riuscendo a raggiungere il quartiere residenziale con meno della metà degli effettivi e quando ormai gli altri tre gruppi erano stati bloccati e costretti a ritirarsi o ad asserragliarsi in posizioni di fortuna. Il Gruppo non riuscì a reggere il fuoco ceceno, e si dispose in posizione difensiva presso il Parco Lenin, tra il Palazzo Presidenziale e l’Ospedale dov’erano asserragliati i resti dell’81°. Nel giro di qualche ora fu chiaro che i reparti del Gruppo Ovest non avrebbero potuto muovere in nessuna direzione senza subire alte perdite.

L’unico Gruppo di Battaglia che riuscì a manovrare con compostezza fu il Nord – Est. Il suo comandante, il Tenente Generale Rochlin, fu l’unico che mantenne un ordine soddisfacente, avanzando senza fretta e preoccupandosi di mantenere sempre un contatto con le retrovie, senza ingolfare la testa della colonna e predisponendo coperture laterali per le sue unità. Fu grazie a lui se i reparti sbandati del Gruppo Nord, barricati nell’ospedale, riuscirono ad evitare la tremenda fine della 131a Brigata. Rochlin dispiegò i suoi reparti ad arco, assumendo corrette posizioni difensive e riuscendo a respingere l’attacco dei ceceni fino a tarda notte, costituendo una posizione d’appoggio dentro la città dalla quale poter fornire assistenza sia ai resti dell’81° arroccati nell’ospedale, sia agli altri reparti in ripiegamento che necessitavano di copertura. Fu solo grazie a lui se il fiasco dell’assalto di Capodanno non si tramutò in una completa disfatta. La resistenza degli uomini di Rochlin fu tuttavia facilitata dalla scelta, presumibilmente compiuta dallo stesso Generale, di barricare i suoi uomini nella struttura sanitaria, in quel momento piena di civili feriti e di personale medico, usandoli di fatto come scudi umani contro un possibile attacco ceceno. Si trattò di un crimine di guerra, nonché del primo di una serie di “sequestri ospedalieri” che avrebbero insanguinato la storia del conflitto ceceno[7]. Al “Blitz” parteciparono 6.000 uomini dell’esercito federale, appoggiati da 350 mezzi corazzati.  Alla fine della giornata risultavano persi dai 534 (fonti russe) ai 1000 (fonti cecene) soldati e 200 veicoli, 20 dei quali erano stati recuperati dai difensori. Nelle mani dei ceceni rimanevano anche 81 prigionieri. Era stata la più sanguinosa battaglia urbana dalla Seconda Guerra Mondiale, e per i russi era stata una disfatta.


[1] Riguardo a questo, va specificato che l’idea di assegnare due equipaggi allo stesso velivolo, avanzata dal Comandante delle Forze Aeree federali, Colonnello Generale Piotr Deneikin, sbatté spesso contro la carenza di equipaggi in grado di garantire il servizio. Ciò produsse spesso incidenti anche mortali, con la perdita di uomini e velivoli, cosicché alle prime sortite con doppio equipaggio seguirono presto sortite classiche, con un solo equipaggio affidato al singolo velivolo da bombardamento.

[2] Nonostante l’enorme esodo di profughi da Grozny il centro cittadino era ancora pieno di civili, per la maggior parte russi etnici che non erano riusciti a sfollare in tempo, o che non avevano trovato appoggi nei villaggi di campagna. I bombardamenti federali, concentrati principalmente sul centro cittadino, finirono quindi per colpire prima di tutto gli abitanti di origine russa.

[3] Ilyas Akhmadov, presente in quella posizione, mi ha raccontato con queste parole quanto successe alla Casa della Stampa: Tutto era sotto il tiro dell’artiglieria pesante. […] C’era un comandante, non ricordo il suo nome, ma ha chiesto se qualcuno volesse farsi avanti per aiutare il nostro cecchino a trovare il cecchino russo che stava colpendo la nostra posizione. Mi sono offerto volontario e sono salito al nono piano con un Kalashnikov preso in prestito per proteggere il nostro cecchino. Proprio quando siamo arrivati in cima ricordo che il terreno sotto i miei piedi tremava violentemente. L’artiglieria stava colpendo il pavimento sotto di noi. […] L’edificio era per lo più vuoto, ma ogni tanto un ceceno correva al secondo o al terzo piano e sparava ai veicoli russi. […]. Inoltre, l’edificio era al centro di molti combattimenti e offriva una vista vantaggiosa in tre direzioni. Questo è probabilmente il motivo per cui i russi hanno lavorato così furiosamente per distruggerlo.

[4] Poco prima che le truppe federali finissero sotto il tiro dei lanciagranate ceceni, fu registrata una conversazione destinata a diventare tristemente famosa negli anni a seguire.La sua trascrizione è l’incipit di questo capitolo.

[5] Emblematiche sono le parole di Ilyas Akhmadov, che rievocando quei momenti descrisse così la situazione: Intorno alle 16, i cinque combattenti con cui ero salito sul camion e il civile che ci accompagnava si avviarono verso il Palazzo Presidenziale a circa 1,5 miglia di distanza. Ma, con l’inferno intorno a noi, era una distanza molto lunga. Era difficile capire dove fossero russi e ceceni. Puoi immaginare com’è quando metti 100 cani affamati in una gabbia, era la stessa cosa. […] Era un circo pazzo. I carri armati correvano in ogni direzione, disorientati. […] In ogni strada, i ceceni sfrecciavano con i lanciagranate e quando sentivano i carri armati gli correvano incontro per distruggerli. Ho visto una volta due gruppi ceceni litigare a pugni su chi aveva eliminato un carro armato e chi meritava il bottino all’interno. Era difficile capire chi avesse distrutto questo o quel carro armato perché c’erano ragazzi che sparavano su di loro da molti piani diversi, da diversi edifici e direzioni.

[6] I federali riuscirono a recuperare i corpi dei caduti soltanto il 23 Gennaio successivo. I loro pietosi resti, divorati dai cani randagi, furono rinvenuti ormai ridotti a scheletri. Il corpo di Savin, colpito a morte, giaceva accanto a quello di un medico, freddato da un cecchino mentre gli prestava soccorso.

[7] Questa circostanza è importante da ricordare allorché parleremo dei più celebri sequestri di Budennovsk e di Kizlyar. Contrariamente a quanto conosciuto ai più, il primo sequestro di civili in un ospedale fu, quindi, portato a termine dalle forze federali. Citando il libro Tribunale Internazionale per la Cecenia di Stanislav Dmitrevsky, Bogdan Gvraeli e Oksana Chelysheva:  Così, durante l’assalto di Capodanno, in fuga dai membri delle formazioni armate cecene che difendevano la città, ufficiali e soldati dell’81° reggimento delle guardie hanno fatto irruzione nel territorio dell’ospedale di emergenza repubblicano e hanno preso in ostaggio i medici e i pazienti che si trovavano lì. Il comando ceceno ha avviato negoziati con loro, promettendo un corridoio sicuro in cambio del rilascio di civili. In quel frangente, secondo quanto riportato nella stessa opera, gli uomini di Rochlin si resero responsabili di un altro crimine di guerra: Il 3 gennaio 1995, subito dopo il primo assalto senza successo, un gruppo di residenti di Grozny fu catturato personalmente sotto la guida del generale Lev Rokhlin. Diverse persone sono state uccise, altre sono state caricate su veicoli e portate a Mozdok, dove sono state tenute in ostaggio in vagoni ferroviari. Alcuni di loro furono successivamente scambiati con soldati russi catturati in battaglia.

Approfondimento sulla Cecenia con Francesco Benedetti

Francesco Benedetti è ospite del canale Youtube Economia Italia per un approfondimento sulla storia della Cecenia ed alcune riflessioni sulla situazioni attuale in Ucraina.

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“Un manuale su come sconfiggere un impero” – Adriano Sofri presenta “Libertà o Morte!”

Il 13 Dicembre scorso, due giorni dopo l’uscita del secondo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, Adriano Sofri ha presentato il libro sulle colonne de Il Foglio, nella sua rubrica Piccola Posta. Riportiamo di seguito le sue parole, pubblicate anche su Facebook, su Conversazione con Adriano Sofri.

Adriano Sofri

Il singolare caso del giovane uomo che sa tutto della Cecenia e non si è mosso da Firenze

Segnalo oggi un caso culturale e umano piuttosto straordinario. Riguarda la Cecenia, e un giovane fiorentino che non ci è mai stato, non ne conosce la lingua, non conosce (ancora) il russo, ed è diventato lo studioso più autorevole della storia contemporanea di quel piccolo paese dai destini fatali. Francesco Benedetti è nato nel 1987, si è laureato in storia, ha una famiglia, una sua professione, una pratica musicale metal, e si appassionò presto alla vicenda di quel territorio grande, cioè piccolo, come una minore regione italiana, e popolato da poco più di un milione di persone, che si è ribellato per secoli all’impero russo e che, alla fine della versione imperiale sovietica, ha preteso l’indipendenza, ha sconfitto l’esercito russo in una devastante guerra aperta tra il 1994 e il 1996, e ne è stato sconfitto in una seconda guerra di sterminio nel decennio tra 1999 e 2009. Al costo della falcidie di un quinto della sua gente, dell’esilio di migliaia, della sottomissione dei rimasti alla corte di Putin, di cui sono diventati i pretoriani esosi ed efferati. Benedetti ha deciso di ricostruire su giornali, trasmissioni e memorie la cronaca quotidiana di questa vicissitudine, e di raccoglierne direttamente tutte le voci ancora disponibili, in ogni parte di mondo in cui si sono disseminate. Mette così insieme una mole impressionante di racconti, che va diventando il riferimento internazionale principale per chi voglia conoscere il conflitto fra Cecenia e Russia dopo il 1991, e per gli stessi protagonisti. Se ne è fatto editore, stampando (e vendendo, in volume, 15 euro, o kindle, 5,99) attraverso Amazon, e intanto mettendo in rete una profluvie di interviste e fonti su Facebook, al suo nome e a quello di Ichkeria.net – il nome della repubblica cecena.

Solo in certi bambini speciali o in certi inquietanti concorrenti al rischiatutto sorge e dura il proposito di sapere tutto di qualcosa. Un pezzo leggendario del Caucaso, Pushkin e Tolstoi e Lermontov – e Anna Politkovskaya – chi non vorrebbe? Senza una simpatia intima per il suo tema una simile ambizione non potrebbe esistere, e tuttavia nell’opera di Benedetti ai valori dell’audacia, della tenacia e della fiera tradizione montanara sono congiunti il disonore, la rivalità, il fanatismo e la violenza che nel corso di una lotta così strenua, impari e spietata si sono fatte strada. La Cecenia del ’91 aveva il suo passato tragico da vendicare, e lo rivendicò più presto che altri paesi, compresa l’Ucraina: dopo alla grande carestia del Holodomor ucraino negli anni ‘30, che aveva infierito anche nel Caucaso, venne la brutale deportazione del 1944 in Siberia e in Kazakistan: nessun ceceno dei nati fra il 1944 e il 1956 (e oltre) nacque in Cecenia. Il primo volume, “Libertà o morte. Storia della repubblica cecena di Ichkeria (1991-1994)”, 425 pagine, era uscito in italiano e in inglese (c’è una versione cecena in corso) nel febbraio 2020. Il secondo, “La prima guerra russo-cecena. 1994-1996”, 373 pagine, è uscito l’altroieri (in inglese a marzo). L’autore lo presenta così, in un modo che raccomando energicamente:

“La guerra in Ucraina è iniziata in Cecenia. Può sembrare una provocazione. Eppure, è la realtà che rivelano le pagine di questo secondo volume, interamente dedicato alla Prima Guerra Russo–Cecena. Genesi, sviluppo e svolgimento di questo sanguinoso conflitto sembrano la bozza del copione cui il mondo sta assistendo in questi mesi tra il Donbass e la Crimea. Anche allora, come oggi, la Russia invase uno stato libero, mascherando la guerra che stava scatenando dietro alla definizione di ‘operazione speciale’. Anche allora, come oggi, il nemico dello stato russo era stato etichettato e demonizzato: se Zelensky ed il suo governo sono chiamati oggi ‘nazisti’, Dudaev ed i suoi ministri furono chiamati allora ‘banditi’. Anche allora, come oggi, convinti della loro superiorità, i comandi militari marciarono sulla capitale, pretendendo di piegare un popolo alla loro volontà, come avevano fatto più volte in epoca sovietica. Ma anche allora, come oggi, furono costretti a ritirarsi, per poi scatenare una sanguinosa guerra totale, la più devastante guerra europea dal 1945.

La Prima Guerra Russo–Cecena fu il primo tragico prodotto del revanscismo russo: il ‘punto zero’ di una parabola che da Grozny porta a Kiev, passando dalla Georgia, dalla Crimea, dalla Bielorussia e dal Donbass. Con una differenza sostanziale: che quella prima guerra contro la Cecenia, i russi, la persero. Le loro ambizioni, poggiate sulle fondamenta logore di un impero fatiscente, finirono frustrate dalla caparbietà di una nazione immensamente inferiore, per numero e per mezzi, a quella ucraina, che oggi difende la sua terra dalla guerra scatenata da Putin.

Questa storia può impartire a chi avrà la pazienza di leggerla due importanti lezioni: cosa succede quando si assecondano le ambizioni di un impero, e come si fa a sconfiggerlo. Se è già tardi per mettere in pratica la prima, per la seconda siamo ancora in tempo”.

Libertà o morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria – Esce oggi il secondo volume in italiano

La guerra in Ucraina è iniziata in Cecenia. Può sembrare una provocazione. Eppure, questa è la realtà che rivelano le pagine di questo secondo volume, interamente dedicato alla Prima Guerra Russo – Cecena. Genesi, sviluppo e svolgimento di questo sanguinoso conflitto sembrano la bozza del copione cui il mondo sta assistendo in questi mesi tra il Donbass e la Crimea.

Anche allora, come oggi, la Russia invase uno stato libero, mascherando la guerra che stava scatenando dietro alla definizione di “operazione speciale”.

Anche allora, come oggi, il nemico dello stato russo era stato etichettato e demonizzato: se Zelensky ed il suo governo sono chiamati oggi “nazisti”, Dudaev ed i suoi ministri furono chiamati allora “banditi”.

Anche allora, come oggi, convinti della loro superiorità, i comandi militari marciarono sulla capitale, pretendendo di piegare un popolo alla loro volontà, come avevano fatto più volte in epoca sovietica. Ma anche allora, come oggi, furono costretti a ritirarsi, per poi scatenare una sanguinosa guerra totale, la più devastante guerra europea dal 1945.

La Prima Guerra Russo – Cecena fu il primo tragico prodotto del revanscismo russo: il “punto zero” di una parabola che da Grozny porta a Kiev, passando dalla Georgia, dalla Crimea, dalla Bielorussia e dal Donbass. Con una differenza sostanziale: che quella prima guerra contro la Cecenia, i russi, la persero. Le loro ambizioni imperiali, poggiate sulle fondamenta logore di un impero fatiscente, finirono frustrate dalla caparbietà di una nazione immensamente inferiore per numero e per mezzi, a quella che ucraina, che oggi difende la sua terra dalla guerra scatenata da Putin.

Questa storia può impartire a chi avrà la pazienza di leggerla due importanti lezioni: cosa succede quando si assecondano le ambizioni di un impero, e come si fa a sconfiggerlo. Se è già tardi per mettere in pratica la prima, per la seconda siamo ancora in tempo.

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FREEDOM SOLD OR WAR BOUGHT? – REFLECTIONS BY APTI BATALOV (part 1)

I believe I am not mistaken when I say that one of the tragedies of the Chechen people originated on the day when Chechnya proclaimed itself an independent state. After choosing the first president, the Chechens naively believed that Russia would respect their choice. After all, Yeltsin said “take all the freedom you can swallow!” The Chechens did not know that “Swallowing freedom” they would regurgitate their blood.

The conquest of freedom

The Russians did not recognize the presidential elections held on October 27, 1991 in Chechnya. Rejecting any possibility of peaceful separation from Chechnya, the Kremlin has focused on the definitive solution of the Chechen “problem”. In planning actions against Chechen sovereignty, it was obvious that the Russian government would prioritize provocative and subversive activities, and this was evident from the growing activity of pro-Russian provocateurs on the territory of Chechnya. Funded and armed by Moscow, the leaders of the “anti-Dudaevites” began to form criminal groups under the cover of political slogans, calling themselves “opposition of the Dudaev regime”. In reality, the ideologues of this movement were full-time agents of the Russian special services and, following the instructions of the Lubyanka , they caused a civil war in the Chechens. Through these ” Mankurts ” [1], in the first half of the 90s of the twentieth century, Chechnya was transformed into a land of internal contrasts and social instability. Having already gained political independence from Moscow, many officials who held high positions in the state did what they could to discredit the idea of independence. With their actions they compromised the government, corrupted it, doing everything to make the Chechens repent of their choice. Every day, these people desecrated the idea of a free and sovereign state, and achieved many successes in this action, furthering the premises of the 1994/1996 Russo-Chechen War.

However, one detail had not been taken into consideration: the war imposed by the Kremlin would have ignited the genetic memory of the Chechens. All the people, with rare exceptions, took up arms and stood up to defend that choice. Evidently, after receiving the order to intensify their activities, the Russian special services agents began to increase their efforts to destabilize the political, economic and social situation throughout the Ichkeria territory. By sowing discord among the leaders of the state, creating an atmosphere of mutual distrust and enmity in the relations between yesterday’s comrades, the Russian mercenaries achieved the objectives set by Moscow. Instead of rallying around the president, in this hard and difficult time for the fate of the Chechen nation, and exercising their authority to defend and strengthen the authority of Ichkeria, the leaders of the country faced each other in the political arena with every sort of intrigue, against each other, using their credit only for speculative and populist purposes. After withdrawing troops from Ichkeria in 1996, the Russians invaded it with their agents. Terrible times came for Ichkeria, banditry assumed the proportions of a national catastrophe, kidnapping and the slave trade became the profession of a significant part of the former freedom fighters, lack of work and poverty swelled the ranks of criminals.

Heroes yesterday, enemies today

Thus there was no effective authority in Ichkeria. The comrades in arms of the President of yesterday, having had the opportunity to strengthen it, did not do so, but rather, having become politicians, they were the real antagonists of the President, doing everything to weaken his power. On every occasion, and under various pretexts, his authority was undermined: not a day passed without some “emergency” directed against the President. At that time I was convinced that these antagonists wanted to break Maskhadov psychologically. Imagine the state in which a person subjected to daily torture can be, every day more sophisticated and insidious. One fine day, the President collapsed… all this turmoil around the presidency drove the people to despair, their faith in authority and yesterday’s heroes disappeared. Social inequality, the absence of any guarantee of security, corrupt authorities at all levels, poverty and devastation: the Chechen people faced the 1999 war in these conditions … With an economic blockade, political and information isolation in place, the Chechen leadership he had no way of adequately preparing for Russian aggression.

The signs that the Russians were preparing a new war against Ichkeria appeared as early as February – March 1999. In February 1999, a demonstration of many thousands of people was held in support of the President’s policy in the city of Dzhokhar [formerly Grozny, NDR ]. The participants in the demonstration approved and supported in unison Maskhadov, the foreign and internal policy he pursued, and expressed the desire and willingness to take up arms to restore order in the country. Two or three Russian journalists were present at this gathering, being able to work without any restrictions. They assured me that the Russian media would report the demonstration, but not a single TV channel mentioned it. On the other hand, Russian public opinion began to be influenced by the idea that Maskhadov was a weak and indecisive person, that he had lost the support of the people, that power in Ichkeria was in the hands of the field commanders, that banditry and the slave trade flourished in Ichkeria. Obviously it would be wrong to deny these claims, which were partly true, but that the people did not support Maskhadov, or that he was weak, that was an absolute lie. The Chechen people had responded to the President’s appeal, and were willing to defend him. But the Russian media hid this fact from their audience. As for the field commanders, most of them obeyed without question the President and Commander the Chief of the Armed Forces.

But, as they say, no family is without monsters. On the occasion of the second anniversary of the signing of the Peace Treaty between Ichkeria and Russia on May 12 , 1997, well-organized celebrations were held in the city of Dzhokhar: events were held in the city center, horse races were held on the outskirts of the capital, with prizes in prize money, including “VAZ” 6 car models. It was a bright and festive day, during which the Ichkeria leadership showed all its desire for peace with Russia. Once again, Russian TV reporters worked on the event, as always without restrictions. And once again the media did not say a single word about the fact that similar celebrations were held in the city of Dzhokhar. All of this suggested that there would be no celebration the following year.


[1] Figuratively speaking, the word ” mankurt ” refers to people who have lost touch with their ethnic homeland , who have forgotten their kinship . For further information: https://en.wikipedia.org/wiki/Mankurt