Da Mosca a Nazran (estratto dal secondo volume)

Oggi pubblichiamo un secondo estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”, nel quale si parla della genesi degli Accordi di Nazran del Giugno 1996.

DA MOSCA A NAZRAN

Il 16 aprile 1996, pochi giorni prima che Dudaev fosse ucciso, si era tenuto un congresso delle principali anime politiche della Cecenia. Si erano riuniti 26 movimenti e 12 partiti politici, ed al congresso avevano partecipato Maskhadov in veste ufficiale per il governo della Repubblica di Ichkeria ed i rappresentanti di Khasbulatov per l’opposizione antidudaevita. Il documento che ne era venuto fuori conteneva la proposta di una moratoria sulle azioni militari, l’apertura di negoziati ai massimi livelli tra Russia e Cecenia, lo svolgimento di nuove elezioni parlamentari. Zavgaev fu volutamente escluso dagli inviti, non partecipò alle attività dell’assemblea e venne considerato come un semplice funzionario di Mosca. Eltsin aveva bisogno proprio di un documento del genere in quel momento. I ceceni capirono che incoraggiare Elstin avrebbe potuto portare ad una effettiva fine delle ostilità, e Yandarbiev dichiarò di essere disposto a iniziare negoziati formali, a condizione che sul piatto fosse posto il ritiro delle forze russe. Come segno di buona volontà il nuovo presidente ordinò il rilascio di 40 prigionieri, catturati durante l’Operazione Retribution. Altri 32 furono rilasciati una settimana dopo. Per parte sua, Maskhadov sostenne la posizione di Yandarbiev, dichiarando di essere disposto ad intavolare immediatamente trattative con il Generale Tikhomirov riguardanti un effettivo cessate – il – fuoco. In un primo momento la leadership dell’esercito federale, rappresentata in primo luogo proprio da Tikhomirov, non sembrò mostrarsi ricettiva: avendo avuto notizia che Eltsin si sarebbe presto recato in Cecenia, e volendo mostrare al presidente di avere la situazione  militare sotto controllo, l’alto ufficiale russo ordinò una serie di rabbiosi attacchi contro il villaggio di Goiskoye e gli insediamenti alla periferia di Urus  – Martan, provocando ampie distruzioni e ulteriori perdite da entrambe le parti, senza tuttavia ottenere risultati concreti: anzi, il 10 Maggio forze cecene tesero un’imboscata ad una colonna blindata nei pressi di Mesker – Yurt, alla periferia meridionale di Argun, costringendola ad un repentino ripiegamento. Più fortunate furono le operazioni lanciate contro le roccaforti occidentali: nel corso della seconda metà di Maggio caddero Starye Achkhoy, Yandi e Bamut (di queste battaglie parleremo più avanti). Questi parziali successi spinsero Tikhomirov a dichiarare, con ingiustificata pomposità, che non ci fossero più grandi sacche di resistenza delle formazioni armate di Dudayev e che tale evidenza avrebbe favorito negoziati senza alcuna condizione[1].

Zelimkhan Yandarbiev

Il 23 maggio, finalmente, fu annunciato che Yandarbiev era stato invitato a Mosca per porre fine alla guerra. Il 27 Yandarbiev raggiunse l’aereoporto inguscio di Sleptovskaya accompagnato da una nutrita scorta armata, e da qui volò fino alla capitale russa. Insieme a lui c’erano Akhmed Zakayev, Khozh – Akhmed Yarikhanov e, Movladi Ugudov, oltre ad altri funzionari[2], tra i quali alcuni rappresentanti dell’OSCE. Quando la delegazione cecena raggiunse il Cremlino, Yandarbiev ed i suoi entrarono nella sala del negoziato da una porta laterale, trovandosi faccia a faccia con la rappresentanza del governo filorusso, Zavgaev in testa, che stava entrando dalla parte opposta. Quando entrambe le delegazioni furono una di fronte all’altra, dalla porta centrale apparve Eltsin. Era chiaro che questi intendeva presentarsi alle parti come il “mediatore” che avrebbe risolto un “conflitto interno” alla repubblica cecena. Eltsin si sedette a capotavola, invitando le parti a sedersi sui lati del tavolo. Ma Yandarbiev si rifiutò di assecondarlo, finché Eltsin non avesse accondisceso a prendere il posto di Zavgaev, riconoscendosi come una parte in causa e non come un giudice super partes. Davanti al folto gruppo di inviati accorsi a riprendere l’evento, il Presidente ad interim della Repubblica Cecena di Ichkeria dichiarò: Sono venuto ad incontrare il Presidente russo, non alla riunione di una commissione. Avete capito?  Eltsin oppose resistenza, rispondendo: Mettiamoci a parlare: non siamo pari a lei, indicando una sedia alla sua sinistra. Avvicinatosi fin quasi a toccarlo, Yandarbiev rispose: Anche se non siamo pari, dobbiamo decidere, rimanendo in piedi davanti al presidente russo, il quale, sempre più stizzito, insisteva: Si sieda! Si sieda! All’ordine di Eltsin il presidente ceceno rispose: Boris Nikolaevic, se lei usa questo tono con me, io non mi siederò! Messo l’avversario sulla difensiva, Yandarbiev riprese: Parliamo a tu per tu! Al rifiuto di Eltsin, tra gli sguardi imbarazzati dei funzionari del Cremlino, e nel silenzio della delegazione del governo Zavgaev, il leader indipendentista rispose: Allora non parleremo affatto. Io non mi siedo. Basta! E poi, volgendogli le spalle: Non tollero azioni del genere. Di fronte all’imbarazzo dei russi, Yandarbiev chiese che Zavgaev ed i suoi delegati abbandonassero il tavolo. Eltsin replicò: ci sono documenti da firmare, li firmerà lui, indicando Zavgaev. L’altro, prontamente, rispose: se non ci troveremo d’accordo, non firmeremo alcun documento. Il presidente russo rispose che un documento doveva assolutamente essere firmato: bisogna mettere termine allo spargimento di sangue, bisogna porre fine alla guerra. In questo modo palesò all’altro il suo assoluto bisogno di chiudere quell’incontro con la firma di un documento politico. E a quel punto fu chiaro a Yandarbiev che il suo avversario era sul punto di cedere. Io voglio parlare con lei. Lo incalzò. Penso che sarà lei a trarne vantaggio. Dopo alcuni minuti di confusione, Eltsin si alzò dal capotavola, si sedette dal lato di Zavgaev ed invitò Yandarbiev a sedersi. I ceceni l’avevano spuntata: ora il negoziato sarebbe stato tra Russia ed Ichkeria.

Yandarbiev discute con Eltsin il 27 Maggio 1996

La scena fu ripresa dalle TV di tutto il mondo, e fu piuttosto imbarazzante per il Presidente russo. Sul momento questi incassò il colpo, ma il suo piano aveva appena iniziato a svilupparsi: mentre i colloqui sul cessate il fuoco andavano avanti, Eltsin volò a Grozny, lasciando il Primo Ministro, Chernomyrdin, alle prese con un ignaro Yandarbiev. I negoziati portarono alla firma congiunta di un documento che impegnava le parti a cessare tutte le operazioni dalla mezzanotte del 1 Giugno 1996 e ad organizzare un nuovo round di negoziati nella capitale del Daghestan, Makhachkala. Nel frattempo, mentre il presidente ceceno ed il premier russo firmavano un accordo di pace, il Presidente russo si mostrò nella capitale cecena per una fugace visita elettorale di quattro ore, proclamando la vittoria delle forze russe, e dichiarando che ben presto le poche unità indipendentiste rimaste sarebbero state liquidate. Poi, durante il viaggio di ritorno, dichiarò che la sua visita era servita a dimostrare che la Cecenia è parte della Russia, e di nient’altro. Fu una vigliaccata che Yandarbiev non gli perdonò, oltre che una inutile e pomposa menzogna. Di fatto Yandarbiev si trovò ad essere l’ostaggio dietro al quale Eltsin poté volare in Cecenia garantendosi l’incolumità personale[3]. Ad ogni modo, il 2 Giugno il Comitato di Difesa dello Stato confermò gli Accordi di Mosca, modificando unicamente la sede del secondo ciclo di colloqui da Makhachkala a Nazran, in Inguscezia. Il 6 Giugno questi ripresero sotto il patrocinio del presidente inguscio Ruslan Aushev. Capi delle rispettive delegazioni erano il Ministro delle Nazionalità russo, Mikhailov, ed il Capo di Stato Maggiore delle forze armate cecene, Maskhadov, accompagnato da Said – Khasan Abumuslimov, nuovo Vicepresidente della Repubblica Cecena di Ichkeria, appena nominato da Yandarbiev[4].

Mandatory Credit: Photo by Yuri Kochetkov/EPA/Shutterstock (8489593a) Ingush President Ruslan Aushev

I negoziati non iniziarono nel migliore dei modi, giacché subito dopo il loro inizio la cittadina di Shali fu oggetto di un attacco, durante il quale furono catturati 14 tra funzionari e poliziotti del governo filorusso. Non è chiaro cosa successe precisamente, fatto sta che il Generale Shamanov, al comando delle unità schierate in quel settore, pose sotto assedio la cittadina. Per rappresaglia, i ceceni assediarono un avamposto della milizia dipendente dal Ministero dell’Interno presso il villaggio di Shuani, catturando 27 militari. Di nuovo si materializzò l’impasse che aveva fatto naufragare i negoziati l’anno precedente, e nonostante le delegazioni giunte a Nazran avessero già concordato un cessate – il – fuoco permanente ed il progressivo ritiro delle truppe federali entro la fine di Agosto, la parte russa dichiarò di non essere intenzionata a portare avanti il ritiro a causa della scarsa collaborazione offerta dalla parte cecena. Ci vollero un paio di giorni prima che il clima si distendesse a sufficienza da far riprendere i negoziati, i quali proseguirono sul blocco delle questioni politiche. Maskhadov chiese, ed ottenne, la promessa che entro il 1 Luglio le forze federali abbandonassero il paese, e che Mosca accettasse la costituzione di un governo di unità nazionale che traghettasse il paese a nuove elezioni. A tal proposito, Mikhailov si impegnò a garantire che nessuna consultazione elettorale si sarebbe tenuta finché le forze di Mosca non avessero completato il loro ritiro. Questo tema era considerato fondamentale dagli indipendentisti, ed era tanto più caldo in quanto il premier filorusso, Zavgaev, che a Mosca, durante le trattative tra Yandarbiev ed Eltsin, era stato pubblicamente degradato a fantoccio dei Russi, intendeva consolidare la sua posizione con un nuovo voto popolare, ed aveva indicato per il 16 Giugno la data della nuova consultazione, in contemporanea con le elezioni presidenziali russe, il cui appuntamento era stato il principale motore della riapertura dei negoziati da parte di Eltsin. Qualora le elezioni si fossero svolte prima del ritiro, Zavgaev avrebbe avuto più chances di mettere in angolo i nazionalisti i quali, molto probabilmente, avrebbero boicottato la tornata. La vittoria elettorale avrebbe permesso al Capo della Repubblica Cecena di presentarsi alle parti come l’unico in grado di costituire un governo di unità nazionale, potendo così amministrare il passaggio di consegne tra Mosca e Grozny e tenere lontani dal potere Yandarbiev e Maskhadov. Una convincente tornata elettorale, infine, avrebbe dissipato le sempre più minacciose nubi che si addensavano sul suo esecutivo, sempre più nel mirino degli inquirenti a causa di certi ammanchi finanziari dei quali, al momento, Zavgaev non sapeva rendere conto. Da tempo infatti la procura federale portava avanti indagini sui flussi che dalle casse dello Stato transitavano attraverso numerose banche commerciali, e da queste finivano nelle disponibilità dei dicasteri ceceni deputati alla ricostruzione del paese, in particolare nelle mani dell’ex sindaco di Grozny, Bislan Gantamirov. Su di lui pesavano le accuse di aver dirottato miliardi di rubli destinati alla ricostruzione verso il riarmo della propria milizia personale. Come abbiamo visto, Gantamirov era già stato sindaco della città una prima volta, quando era allineato sulle posizioni degli indipendentisti, tra il 1991 ed il 1993, ed anche in quell’occasione era finito sotto l’occhio della magistratura per malversazione di quote petrolifere. Le accuse della procura federale sembravano ricalcare in maniera speculare quelle rivoltegli a suo tempo dalla procura repubblicana. Un’elezione popolare avrebbe forse attenuato il crescente astio che montava tra la popolazione di Grozny verso il suo governo, già di per sé debole a causa della presenza pervasiva dell’esercito federale, e ora accusato apertamente di essere corrotto. I dudaeviti ovviamente contestavano la proposta di Zavgaev, ed a Nazran Maskhadov dichiarò che i suoi non avrebbero preso parte alle elezioni e che non le avrebbero in alcun modo riconosciute ma anzi, che qualora esse non fossero state annullate entro il 12 Giugno, avrebbero ripreso le ostilità contro le truppe federali ancora presenti in Cecenia.

Aslan Maskhadov (Photo by Oleg Nikishin/Getty Images)

Il 10 giugno Maskhadov ed il Comando militare russo giunsero ad un accordo, che Mikhailov non esitò a definire l’ultima possibilità e, forse, l’unica opportunità di pace[5]: i federali avrebbero tolto l’assedio ai villaggi sotto attacco entro il 7 Luglio, ed in cambio i ceceni avrebbero consegnato le loro armi entro il 7 Agosto. Al termine della demilitarizzazione, prevista per il 31 agosto, le forze federali avrebbero definitivamente lasciato la Cecenia. Nel frattempo i due fronti si sarebbero scambiati i prigionieri ancora nelle rispettive mani. Furono costituiti gruppi di lavoro congiunti, incaricati di redigere le liste dei prigionieri da scambiare, e commissioni militari che organizzassero la demilitarizzazione dei villaggi. La firma dei protocolli militari portò ad un primo ritiro delle unità schierate a ridosso delle cittadine di Vedeno e Shatoy, l’11 Giugno 1996. Quello tuttavia fu l’unico effetto pratico dell’accordo giacché, il giorno successivo, Zavgaev confermò che il 16 si sarebbero tenute regolarmente le elezioni[6]. Eltsin, che proprio quel giorno avrebbe dovuto affrontare la prova elettorale più difficile della sua vita politica, non aveva intenzione di infangare la sua immagine con un intervento riguardo la Cecenia, e liquidò le elezioni come un affare interno alla piccola repubblica, non appoggiandole esplicitamente, ma neanche condannandole[7], e considerandole come un “tampone” in attesa che il ritiro fosse completato e si potesse procedere a nuove elezioni. Zavgaev, da parte sua, smentì questa posizione, dichiarando che le elezioni che erano in procinto di tenersi avrebbero costituito il corpo legislativo dello stato almeno fino al 1998, escludendo a priori qualsiasi margine di trattativa politica con gli indipendentisti.

In questo modo mentre gli occhi di tutto il mondo erano puntati sul Cremlino, a Grozny ed in qualche altro distretto ancora sotto il controllo federale si tennero le elezioni – farsa di cui Zavgaev aveva bisogno[8]. Si trattò di una consultazione priva di rappresentatività, poco partecipata e boicottata dagli indipendentisti, al termine della quale Zavgaev uscì, come previsto, vincitore. Alla Camera dei Rappresentanti, uno dei due nuovi organi previsti da Zavgaev,  venne eletto l’ex membro del Presidium del Soviet Supremo Amin Osmaev, mentre la Camera Legislativa elesse presidente l’ex Capo del Governo di Rinascita Nazionale, l’organo costituito nell’estate del 1994 dal Consiglio Provvisorio, Ali Alavdinov. L’OSCE, che aveva avuto modo di verificare quanto poco trasparenti fossero state le elezioni, giudicò la consultazione illegittima, pubblicando una nota nella quale la certificava come non allineata agli standard minimi di legalità, oltre a contraddire lo spirito del protocollo sul cessate il fuoco e sulla risoluzione del conflitto armato firmato il 19 Giugno a Nazran[9].  Il primo risultato delle elezioni fu una recrudescenza delle azioni militari: gli indipendentisti risposero alla presa di posizione di Zavgaev chiedendo l’annullamento della consultazione, le dimissioni del governo Zavgaev e la ricostituzione della delegazione russa in modo che questa non includesse personaggi gravati dalla responsabilità di aver scatenato la guerra[10],  lanciando una serie di attacchi alle truppe federali, alle quali i russi risposero con uguale ferocia: nel corso delle prime tre settimane di giugno i ceceni attaccarono le posizioni russe almeno 350 volte, ed altrettante furono le azioni di rappresaglia compiute dalle forze federali[11].

Doku Zavgaev

L’effimera vittoria politica ottenuta da Zavgaev con le sue elezioni, non portò al leader ex – sovietico alcun vantaggio tangibile. Anzi, contribuì ad isolarlo sia rispetto alla popolazione cecena, che ormai lo odiava, sia rispetto al Cremlino, che non poteva più spenderlo come candidato credibile alla guida di un governo di unità nazionale, malgrado questi ribadisse di aver ottenuto tale investitura con il voto appena conclusosi. La leadership indipendentista continuò a pretendere che i negoziati si svolgessero esclusivamente tra i suoi rappresentanti e quelli della Russia, relegando Zavgaev al ruolo di mero collaborazionista delle forze di occupazione. I russi, per parte loro, avevano come unico obiettivo quello di porre fine alle operazioni militari, e di presentare la Cecenia “pacificata” e non avevano più alcuna intenzione di perdere tempo e risorse nel puntellare il potere di Zavgaev. Prova di questo fu l’arresto, operato dalla stessa polizia federale, dell’ex sindaco di Grozny, nel frattempo diventato Vice Primo Ministro, Bislan Gantamirov, fermato a Mosca con l’accusa di appropriazione indebita di 7 miliardi di rubli dai fondi destinati alla ricostruzione della Cecenia, e di frode[12]


[1] Stanislav Dmitrevsky, Bogdan Gvraeli, Oksana Chelysheva – Tribunale Internazionale per la Cecenia.

[2] Insieme ai delegati sopra citati presenziarono alle trattative gli assistenti presidenziali Movlen Salamov ed Hussein Bybulatov ed il Viceministro degli Esteri Yaragi Abdulaev.

[3] Tale considerazione fu condivisa anche dai media russi. In un articolo di Kommersant del 29/05/1996 si leggeva: Il viaggio di quattro ore del presidente non poteva rivelarsi un fallimento, come molti scettici avevano previsto. Né poteva finire tragicamente: la delegazione degli indipendentisti ceceni, rimasta a Mosca fino al ritorno di Eltsin, si è fatta garante della sua incolumità.

[4] Said – Khasan Abumuslimov: Nato in Kazakistan il 01/02/1953, professore presso l’Università Statale Cecena, era stato uno dei principali ideologi dell’indipendentismo ceceno ed uno dei suoi primi attivisti avendo partecipato alla fondazione, nel 1988, della rivista Bart, dalla quale sarebbe sorto il Partito Democratico Vaynakh. Membro del Comitato Esecutivo del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (Ispolkom) era stato eletto deputato alle elezioni popolari dell’Ottobre 1991. Nel Giugno 1993 aveva sostenuto Dudaev, rimanendo in Parlamento fino allo scoppio delle ostilità.

[5] Kommersant, 13/06/1996.

[6] In una nota pubblicata dal quotidiano russo Kommersant il 13/06/1996, il portavoce di Zavgaev dichiarò: L’annullamento delle elezioni significherebbe la sconfitta davanti agli indipendentisti e che la dirigenza cecena non intendeva essere condizionata da una manciata di ricattatori.

[7] Uno dei membri della delegazione russa a Nazran, Vladimir Zorin, commentò: le elezioni per il rinnovo del parlamento ceceno non sono una priorità, perché non rientrano nel quadro degli accordi firmati a Mosca. Tra il 10 ed il 16 Giugno i delegati russi difesero blandamente l’idea delle elezioni, cercando di convincere Yandarbiev che queste non avessero a che fare con il ben più importante tema della risoluzione del conflitto, e che la tornata elettorale sarebbe stata comunque cancellata da nuove elezioni non appena terminato il ritiro delle truppe russe dal paese. Sergei Stephasin rassicurò sui media che lo svolgimento dell’attuale votazione non annulla le future elezioni democratiche, le quali si svolgeranno dopo il ritiro definitivo delle truppe e la smilitarizzazione della repubblica mentre il rappresentante presidenziale Emil Pain dichiarò che le elezioni avevano l’unico scopo di costituire un corpo legislativo democratico che assicurasse una transizione che fosse più breve possibile (Kommersant, 15/06/1996).

[8] Secondo quanto riportato in The War in Chechnya: Anche il rappresentante del Quartier Generale Russo, Tenente Generale Andrei Ivanov, fu costretto ad ammettere indirettamente che considerare “svolte” le elezioni era possibile soltanto con un discreto sforzo di fantasia. Le elezioni non si tennero affatto in tutta la regione di Khuchaloy, né nei territori circostanti Bachi – Yurt, Alleroy, Tsentoroi, Gudermes, Vedeno, Shelkovsky e Shali. Furono parzialmente tenute nelle regioni di Kalinovskaya e Sovetskoye, e solo in alcune comunità nelle regioni di Nozhai – Yurt ed Achkhoy – Martan.

[9] La posizione assunta dall’OSCE, e più volte ribadita dall’inviato dell’organizzazione in Cecenia, Tim Guldiman, irritò non poco Zavgaev, il quale, secondo quanto riportato da Kommersant, giudicò la condotta del diplomatico svizzero unilaterale e minacciò di chiedere la sua rimozione.

[10] Quest’ultima richiesta era riferita alla presenza di Sergei Stephasin, all’epoca dell’inizio della guerra Direttore dell’FSK – FSB.

[11] Secondo quanto riportato in The War in Chechnya le azioni di guerriglia nel mese di Giugno portarono alla morte di 30 militari russi, ed al ferimento di un centinaio, oltre alla perdita di un elicottero da combattimento e due veicoli blindati. La parte cecena soffrì la perdita di 25 uomini ed il ferimento di altri 75.

[12] Il Governo filorusso si affrettò a dichiarare sé stesso e Gantamirov estranei a qualsiasi addebito, rimbalzando l’accusa sullo stesso governo russo. Il Vicepremier Bugaev dichiarò: la distribuzione dei fondi di bilancio è completamente controllata dal centro di Mosca. Il governo della repubblica e, in particolare, Gantamirov, non hanno niente a che fare con questi soldi. Anche il sindaco successore di Gantamirov, Yakub Deniyev, sostenne l’innocenza del primo: La notizia dell’arresto di Gantamirov ha causato sconcerto e rammarico in città. Ha gettato un’ombra su uno dei più tenaci combattenti contro Dzhokhar Dudaev. Il processo contro Gantamirov si sarebbe protratto fino al 1999, quando il Tribunale di Mosca lo avrebbe condannato a 6 anni di reclusione. Tuttavia nel giro di 6 mesi sarebbe uscito di carcere tramite un provvedimento di grazia concessogli da Eltsin in concomitanza con l’inizio della Seconda Guerra Cecena, durante la quale Gantamirov sarebbe stato nominato Capo del Consiglio di Stato del governo filorusso (Vedi il Volume IV di quest’opera).