Il 27 Gennaio 1997 si tennero in Cecenia le elezioni per il rinnovo del Parlamento e per la carica di Presidente della Repubblica. Fu una sfida elettorale molto agguerrita, la quale vide contrapposto il fronte moderato, guidato dall’ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito Aslan Maskhadov, ed il fronte radicale, fedele alla linea della “guerra continua” propugnata dal suo più formidabile combattente, Shamil Basayev. Le elezioni videro la vittoria a larga maggioranza di Maskhadov, ma provocarono anche un pericoloso “scisma” tra le due anime del separatismo ceceno, che avrebbe condizionato la politica del paese nei quasi tre anni di periodo interbellico, trascinando la Repubblica Cecena di Ichkeria in una guerra civile strisciante e provocandone, infine, la caduta. Il 28/01/1997, quando ancora la commissione elettorale non aveva diffuso i risultati definitivi, era già chiaro che Maskhadov avrebbe stravinto. Una inviata del Giornale “L’Unità” intervistò il favorito. Quella che segue è una delle poche interviste rilasciate da Maskhadov ad un giornalista italiano.
Aslan Maskhadov tiene una conferenza stampa al termine dello spoglio elettorale. Alla sua sinistra siede il candidato alla vicepresidenza Vakha Arsanov, sostenuto dal Partito dell’Indipendenza Nazionale
GROZNY – Aslan Maskhadov, forse da stamattina secondo presidente della repubblica cecena “Ichkeria” ha un tic, una piccola tosse, che soprattutto in pubblico non lo abbandona mai. Dicono che l’abbia presa durante la guerra, per lo stress. Questo generale ceceno di 46 anni, apprezzato e stimato perfino dai russi, non ha barba, ha smesso la divisa il giorno dopo gli accordi di pace e non ama portare le armi. Quando è venuto a Mosca per incontrare Cernomyrdin era addirittura in giacca e cravatta. Forse è per tutte queste cose messe insieme che non a tutti i ceceni piace: dicono che sono cattive abitudini prese durante il servizio nell’esercito russo quando ancora c’era l’URSS. Aslan Maskhadov dopo aver vinto la guerra vuole vincere la pace. Prima di incontrare noi, nella casa della sorella, nel villaggio di Staniza, ha a lungo discusso con gli anziani, il fondamento della società caucasica, per convincerli che è li l’uomo del futuro.
Signor Maskhadov, lei pensa di vincere al primo turno?
Lo vorrei sul serio. Perché il secondo turno è indesiderabile non soltanto per me, ma in generale per tutto il popolo, perché il popolo è stanco e vuole solo la pace. E poi anche perché le forze della provocazione avrebbero più probabilità di agire nel secondo turno.
La repubblica è un mucchio di macerie: a chi chiederete aiuti, alla Russia o ad altri paesi?
Non pregheremo la Russia di prestarci soldi. Le chiederemo, invece, di risarcire il danno arrecato dalla guerra. La Russia porta la responsabilità diretta per la distruzione dell’economia nazionale, delle città, dei centri abitati, è giusto che paghi. Quanto all’assistenza degli altri paesi, non la rifiuteremo da chi avrà il desiderio di darci una mano. Ma a condizioni di reciproco vantaggio, non vogliamo chiedere l’elemosina a nessuno.
Molti elettori non vogliono aspettare l’indipendenza per cinque anni, la vogliono subito. Che cosa risponde loro?
Anche noi non vogliamo che questo obiettivo si ponga solo tra cinque anni, oppure tra dieci. Penso che, fatte le elezioni, oneste democratiche e libere, tutto il mondo, compresa la Russia, sarà costretto a riconoscere che il Presidente eletto da tutto il popolo è legittimo. Ci metteremo così subito con Mosca al tavolo delle trattative per continuare quello che è cominciato a Khasavyurt. Non supplichiamo nessuno né per uno status né per l’altro ma vogliamo che ci riconoscano come Stato sovrano. Preciserei ancora che dovremo definire con la Russia solo i principi dei rapporti reciproci perché lo status è stato già stabilito nel 1991. Noi vogliamo il riconoscimento internazionale della nostra indipendenza, e cercheremo di averlo.
Un miliziano separatista ed un bambino in divisa mimetica posano davanti ad un manifesto elettorale di Aslan Maskhadov.
Molti parlano oggi dell’Ordine Islamico. Qual è il suo programma sul punto della religione? Quale ordine cerca lei, moderato all’egiziana o più rigoroso all’iraniana?
Si dice “ordine islamico”, “repubblica islamica”. Ma c’è il Corano. E’ la Costituzione, la legge di Allah, là c’è scritto tutto, non bisogna inventare nulla. Solo che in Arabia Saudita lo interpretano in un modo, in un altro paese diversamente. Ma il Corano è uguale per tutti. Bisogna prenderlo, conoscere il suo contenuto e fare come questo prescrive. E basta.
Nel corso della campagna elettorale Basaev ed altri candidati hanno mosso critiche nei suoi confronti. Ciò non potrebbe provocare una scissione nelle file dei sostenitori dell’indipendenza della Cecenia?
Penso che sia il problema ed il guaio di Basaev. Quando gli ho parlato, a quattrocchi, una decina di giorni fa, gli ho fatto la stessa domanda: “Shamil, perché ti abbassi a tanto, perché diffondi voci e dici bugie in tv?” Egli mi ha risposto: “E cosa devo fare? Voi state bene al potere, vi conoscono, a me che resta da fare? Sono i metodi della mia battaglia politica. Ciascuno combatte come può.”
Basaev entrerà nel governo che lei formerà da Presidente?
Si.
In caso di sua vittoria si aspetta difficoltà provenienti da Basaev e dai suoi sostenitori?
Mi aspettavo sì difficoltà, ma le legavo ai servizi segreti russi, cioè difficoltà prima delle elezioni, provocazioni e cose del genere. Abbiamo affrontato quella ipotesi molto realisticamente ed abbiamo prevenuto molto. Io personalmente sono andato a parlare con i cosacchi nel distretto di Naursk, aizzati dai russi. Però tutto è andato bene e nel “salvadanaio” dei nostri avversari non è rimasto più niente, a quanto pare. Dopo le elezioni penso che non avremo nessun problema, ne sono certo. Ho riunito apposta tutti i comandanti, in pratica dall’80 al 90 percento di tutti i capi delle formazioni. Con loro si è stabilito: ci sarà il presidente eletto dal popolo e tutti dovranno eseguire rigorosamente tutti i suoi ordini, i decreti e le disposizioni. Non ci può essere nessun dubbio su questo. La variante afghana o tagica che qualcuno si aspetta da noi non ci sarà. Anche se Shamil sarà consigliato male i suoi uomini non mi dichiareranno mai guerra, ne sono sicurissimo.
Shamil Basayev tiene un comizio elettorale nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni. Lo “Scisma” tra Basayev e Maskhadov sarà all’origine dell’instabilità politica della repubblica.
Ma parlando con “L’Unità” Basaev ha detto che in caso di un non riconoscimento dell’Ichkeria lui potrebbe andare all’estero a far esplodere una bomba nucleare. Si possono prendere sul serio certe dichiarazioni?
Credo che sia la passione preelettorale, delirio ed immaginazione malsana. Nessuno andrà a far scoppiare centrali atomiche, lui compreso. Se noi vinceremo queste elezioni, raccoglieremo tutti i nostri sostenitori, tutti i compagni d’armi per riflettere insieme, e ci sarà anche Shamil Basaev, su come costruire il nostro Stato, su come farlo in un’unica squadra aiutandoci a vicenda. Nessuno sarà escluso da questo consiglio, e meno che mai Basaev.
Perché crede di essere migliore di altri candidati?
Non sono mai stato presuntuoso, affronto tutto con realismo. Non mi stupire se ci fossero falsificazioni a queste elezioni, quindi ci sono preparato. Ma in una battaglia onesta io ho più chances degli altri. Non dico di essere migliore, però è un dato di fatto che la base da cui si parte è a guerra ed è toccato a me essere tra i primi a condurla ed a guidare il processo postbellico. Tutti i documenti per finire la guerra sono stati firmati da me o in mia presenza. Perciò il popolo stanco di questa guerra spera che io porterò la pace nella terra cecena. Queste promesse sono legate al mio nome e inoltre il mondo si è accordo che sono uno promesso a compromessi accettabili, un uomo di parola.
Quanto può il business petrolifero influire sul benessere della repubblica?
Si, il petrolio è la ricchezza principale della Cecenia, la sua materia prima strategica e per la rinascita dell’economia faremo leva su questo, ma siamo anche ricchi della nostra agricoltura e del sottosuolo. Voglio dire che il petrolio non è l’unica fonte della nostra sopravvivenza.
Maskhadov presta giuramento come Presidente della Repubblica. Alla sua destra presenzia Akhmat Kadyrov, a quel tempo Muftì della ChRI.
Quale nome è stato scelto per la capitale: Grozny o Dzhokhar – Gala?
Lo ha deciso il Presidente Yandarbiev: Dzhokhar – Gala, cioè, “Città di Dzhokhar” in onore di Dudaev. Io penso che se lo sia meritato e tutto quello che facciamo si richiama a Dudaev. Perciò forse si chiamerà davvero così.
Come risolverà il problema delle troppe armi in giro per la repubblica?
I Ceceni hanno sempre portato le armi, in tutti i tempi, non è mai stato un problema, Ma oggi faremo tutto il possibile perché le porti solo chi ha il diritto di farlo e a chi spetta. Tutte le armi saranno registrate, tutte le formazioni armate troveranno il loro posto nell’esercito regolare, nelle forze dell’ordine, le armi portate illegalmente saranno sequestrate, ma sarà anche possibile l’acquisto di queste armi da parte dello Stato. Ci sono tante ipotesi, le abbiamo esaminate tutte. Quando lo spoglio delle Schede sarà finite ci metteremo al lavoro.
Servizio dell’emittente russa NTV sull’elezione di Aslan Maskhadov alla Presidenza della Repubblica
Abdul – Halim Abusalamvic Sadulayev nacque ad Argun, in Cecenia, dopo che la sua famiglia era già tornata dall’esilio in Kazakistan. Fin da ragazzo si dedicò allo studio dell’Islam, imparando l’arabo e frequentando le massime autorità religiose della Cecenia. Allo scoppio della Rivoluzione Cecena si mise a disposizione del Comitato Esecutivo, e dal 1992 fu nominato parte della Commissione di Controllo del Municipio di Argun.
Allo scoppio della Prima Guerra Cecena si arruolò volontario nella milizia di Argun, Dal 1995 guidò la Squadra Investigativa Speciale sotto lo Stato Maggiore dell’esercito, diventando uomo fidato di Maskhadov. Dopo la guerra tornò a dedicarsi alla teologia, venendo nominato Vicedirettore della TV di Stato con delega agli affari religiosi. In questa veste tenne spesso sermoni serali molto apprezzati dalla popolazione. La sua fama di uomo equilibrato, anche allineato su posizioni rigorose, lo rese uno dei pochi leader della Repubblica apprezzati sia dai radicali che dai moderati. Nel 1999 Maskhadov lo nominò membro della Commissione responsabile della redazione di una nuova Costituzione islamica.
Abdul – Khalim Sadulayev
Allo scoppio della Seconda Guerra Cecena fu nominato Vice – Muftì, si arruolò nuovamente nella milizia di Argun e combattè in difesa della città. Quando questa cadde si trasferì con i resti del suo reparto sulle montagne, mettendosi a disposizione di Maskhadov. Agli inizi del 2002 questi lo nominò suo successore in caso di morte. Quando ciò avvenne, l’8 Marzo 2005, Sadulayev fu immediatamente riconsciuto da tutti i gruppi armati della resistenza come nuovo Presidente. Egli tuttavia già da tempo maturava l’idea di estendere la ribellione cecena a tutto il Caucaso, trasformando la resistenza in un’insurrezione islamica generale. Questa sua politica lo portò a costituire il Fronte Caucasico, una sorta di sovrastruttura militare nella quale inserire anche i numerosi gruppi armati islamici che operavano fuori dal paese, non in favore del nazionalismo ceceno ma certamente contro l’imperialismo russo. Per effetto di questo l’asse politica della ChRI, già da tempo fortemente orientata verso il radicalismo islamico, si spostò talmente tanto verso l’insurrezionalismo fondamentalista da perdere sostanzialmente di consistenza. Sadulalyev si oppose per tutta la durata del suo mandato allo svolgimento di azioni terroristiche, ed effettivamente sotto la sua presidenza nessuna azione contro civili fu intrapresa dalle forze armate della ChRI.
Il 17 Giugno 2006 Sadulayev fu intercettato alla periferia di Argun dai servizi federali, su delazione di uno dei suoi conoscenti. Coinvolto in uno scontro a fuoco, rimase ucciso nella sparatoria. Suo successore fu Dokku Umarov, già comandante sul campo delle principali formazioni combattenti della ChRI, nominato Naib nel 2005. La presente intervista, pubblicata dalla rivista “Caucaso Settentrionale”, fu rilasciata alla Jamestown Foundation nel 2006. Sadulayev ricevette le domande per iscritto e registrò un video di risposta, pubblicato on line ed ancora disponibile in lingua originale.
L’INTERVISTA
Salutiamo tutti i nostri amici, tutte le persone che si preoccupano per la libertà e l’indipendenza del popolo ceceno, tutti coloro che vedono oggettivamente e correttamente l’immagine della nostra repubblica, intorno a noi; che riconoscono il diritto del popolo ceceno all’autodeterminazione ed all’indipendenza. In questo tentativo di rispondere ad alcune domande cercheremo di spiegare e mostrare chiaramente la nostra posizione. Le domande che abbiamo ricevuto dai nostri amici sono:
Come valuta la situazione in Cecenia dopo la morte di Aslan Maskhadov? La morte di Maskhadov ha influenzato la resistenza cecena, le sue tattiche politiche e militari?
Abbiamo adottato la tattica di allargare la Jihad nel 2002 al grande Majilis – ul – Shura [il consiglio di guerra costituito allo scoppio del secondo conflitto con la Russia, ndr.] ed oggi stiamo ancora lavorando a quel piano. Tale piano, presentato dal Comitato Militare del Makilis – ul – Shura della ChRI, dovrebbe durare fino al 2010. La politica ha subito piccoli cambiamenti. Il piano da cui siamo guidati oggi deriva da quei progetti e da quelle decisioni adottate dal Majilin – ul – Shura, il quale era diretto dal nostro Presidente, Aslan Maskhadov (un martire, la pace sia su di lui).
Aslan Maskhadov ha ripetutamente dimostrato la sua adesione all’idea di negoziati con la parte russa. In particolare, il Presidente deceduto dichiarò che una conversazione di 30 minuti con Putin sarebbe stata sufficiente per porre fine alla guerra. Insisterete ora sul ritiro delle truppe dalla Cecenia come condizione essenziale per l’avvio dei negoziati?
Per fermare la guerra i nostri avversari hanno bisogno di forte volontà e coraggio, e di pensare in modo strategico. Purtroppo non vediamo queste qualità nella leadership russa. Certo, non è possibile fermare la guerra in 30 minuti; è possibile interrompere la fase attiva delle operazioni militari. Potremmo riuscirci. Sebbene la presenza delle loro truppe nella nostra repubblica non sia un fattore positivo, l’avvio di qualsiasi negoziato con la parte russa non rappresenta un grande ostacolo. Per parafrasare Yaroslav Gashek, i negoziati con un cappio al collo non possono essere definiti veri e propri negoziati. Tuttavia, la presenza di truppe non è un grande ostacolo perché tutto ciò può essere stipulato nel processo di negoziazione. Proveremo a non renderlo un punto critico.
Sadulayev (sinistra) seduto al fianco di Maskhadov (destra)
Considera l’operazione dei mujahideen a Nalchik, il 13 Ottobre 2005, un successo? Ha informazioni precise sui risultati (perdite da entrambi i lati, quanti civili innocenti sono stati uccisi, quante armi sono state catturate)? Coloro che attaccarono gli edifici delle strutture di potere quel giorno, nella Capitale della Cabardino – Balcaria, agirono seguendo i tuoi ordini? I combattenti ceceni erano presenti? Verranno ripetute sortite simili? Quanto è giustificabile la morte di civili innocenti durante tali attacchi su larga scala?
Prima di tutto, vorrei evitare tale terminologia della propaganda russa, parole come “sortite” e simili. L’operazione a Nalchik è stata un’operazione di sabotaggio classica, e nonostante vi furono perdite tra i mujahideen e, sfortunatamente, tra la popolazione civile, ed i principali obiettivi non furono raggiunti, l’operazione fu considerata riuscita.
Non era necessario impartire ordini speciali ai mujahideen. Il piano è stato presentato, l’ho approvato ed autorizzato. Non è stato necessario inviare i nostri combattenti dalla Repubblica Cecena di Ichkeria, dal Daghestan, dall’Inguscezia o dagli altri settori dei nostri fronti. Naturalmente l’Emiro militare Shamil Basayev ha preso parte allo sviluppo ed alla preparazione dell’operazione, ma non abbiamo distolto combattenti dagli altri settori.
Le perdite militari tra i nostri mijahideen ammontarono a 37 persone. Il resto di coloro che furono uccisi dagli attaccanti e dagli occupanti russi erano principalmente civili. Lo vediamo anche dalle scarse fonti russe. Secondo i genitori – padri e madri – un giovane ha lasciato la casa mezz’ora prima e poi è stato ritrovato morto tra “gli uomini armati”. Un altro giovane uscì dal cortile di casa e non tornò, fu ritrovato tra i morti. Non abbiamo questo tipo di mujahideen, che vanno a combattere per mezz’ora e poi tornano. Ci sono professionisti ben addestrati ed altamente qualificati, e uomini più giovani sotto la guida dei mijahideen esperti.
Un numero enorme di persone è stato ucciso tra la popolazione civile della Cabardino – Balaria: migliaia di persone, comprese donne incinte, sono state perseguitate dagli aggressori russi. Naturalmente non è possibile accettare le perdite tra civili innocenti, indipendentemente dall’operazione. E le nostre operazioni sono sempre messe a punto prendendo in considerazione il fatto che la popolazione civile non dovrebbe soffrire, anche se l’aggressore pone sempre le sue basi e installazioni solo all’interno dei confini dei centri abitati e nelle aree più densamente popolate. Si proteggono in questo modo. Comprendiamo perfettamente perché lo anno.
Sadulayev (destra) seduto a fianco di Shamil Basayev (sinistra). Sullo sfondo la bandiera di combattimento della ChRI ai tempi della presidenza di Sadulayev.
Quali sono i tuoi rapporti con Shamil Basayev? Alcuni credono che lui, e non tu, controlli tutte le unità della resistenza. Qual è il meccanismo per la formazione ed il coordinamento delle unità militari che operano al di fuori dei confini della Cecenia?
I media ci pongono sempre domande del genere, sulle nostre relazioni con Shamil Basayev e con persone illustri come Dokku Umarov. Abbiamo relazioni normali e buone. Il fatto che sorga una domanda del genere, tuttavia, non ci sorprende, perché queste persone hanno un’enorme autorità sia in Cecenia che nel Caucaso Settentrionale. Queste persone sono veramente leader della loro causa. Se qualcuno sta cercando di scoprire se questo ostacola il nostro lavoro – la nostra lotta per liberare la nostra terra – allora, la risposta è il contrario: ciascuno dei mijahideen, ciascuno degli emici, conosce il suo dovere, la sua posizione. Shamil Basayev ricopre la posizione di Emiro militare del Majilis – ul – Shura e, naturalmente, tutte le nostre unità sono subordinate a lui. E, naturalmente, egli è subordinato al comandante in capo, cioè a me.
Per quanto riguarda le nostre unità, esse sono sottoposte tutte direttamente al Comitato Militare, al Ministero della Difesa ed allo staff congiunto. Non ci sono grandi differenze tra le unità di mijahidee che operano all’interno della Cecenia e quelle che operano all’esterno. Siamo tutti parte di un meccanismo unificato ed i nostri mihajideen sono divisi in fronti e settori. Ogni settore e ciascun fronte conosce il suo Emiro diretto. Ognuno conosce i propri obiettivi. Gli Emiri dei settori e dei fronti sono spesso incaricati di risolvere molti compiti. Effettuiamo anche operazioni militari su larga scala, sebbene solo con l’autorizzazione del comandante in capo e del Comitato Militare.
Quando Maskhadov era vivo la leadership di Ichkeria ha ripetutamente condannato qualsiasi metodo terroristico di condurre la guerra. Qual è il tuo atteggiamento nei confronti di questo problema come presidente della ChRI?
Consideriamo inaccettabili i metodi terroristici, e questo è dimostrato dal fatto che da un anno e mezzo siamo riusciti ad osservare gli accordi raggiunti su insistenza di Maskhadov per un rifiuto unilaterale di atti terroristici. Questi vengono attualmente osservati. Tuttavia, nonostante questo gesto di buona volontà e gli sforzi della leadership della ChRI e del Comitato Militare del Mijilis – ul – Shura, non vediamo azioni corrispondenti da parte degli aggressori russi. L’omicidio dei nostri innocenti continua; i rapimenti, le uccisioni extragiudiziali e le torture continuano. Ad oggi è in funzione un sistema di prigioni clandestine che si è sviluppato non solo in Cecenia ma in tutto il Caucaso Settentrionale. Le persone in queste prigioni vengono torturate, violentate ed uccise.
Sadulayev (sinistra) con Rappani Khalilov (centro, leader dei miliziani islamisti daghestani) ed Abu Hafs al Urdani (referente di Al Quaeda nel Caucaso)
Nel tuo primo appello da Presidente hai osservato che “la leadership cecena continuerà a mantenere stretti contatti e amicizia con tutto il mondo civile, ma nel fare ciò la base ideologica dovrebbe prendere in considerazione la visione del mondo del popolo musulmano della Cecenia”. Potresti spiegare se questo significa che dopo la guerra la Cecenia creerà uno Stato confessionale basato sulla Sharia e non uno Stato laico basato sulla Costituzione adottata nel 1992? Oppure pensi che sia possibile un compromesso tra queste due opzioni, combinando leggi religiose e secolari?
Durante la guerra continueremo a creare lo Stato che avevamo pianificato dall’inizio sulla base della Costituzione adottata nel 1992. Il punto è che questa Costituzione, secondo la decisione presa non solo dagli organi esecutivi e legislativi del potere della ChRI, ma anche dal Comitato Militare del Majilis – ul – Shura, da tutti i Comitati che ne fanno parte ed anche per volontà di una vasta parte della popolazione dovrebbero riflettere l’essenza islamica del popolo ceceno. Né un singolo regime, neppure quello sovietico, con tutto il suo totalitarismo, con tutta la sua politica misantropica, potrebbe costringere i ceceni o i popoli vicini ad abbandonare la pratica di risolvere i loro problemi attraverso i tribunali della Sharia. Naturalmente questi non potevano funzionare a pieno regime.
Io stesso sono stato testimone di come in Russia, nell’Ex Unione Sovietica, tre costituzioni si sostituirono in breve tempo e poi arrivarono la Perestroika, lo sviluppo della democrazia, e successivamente il regime revanchista che ancora una volta sta trascinando la Russia in guerre e conflitti: un regime che ha cominciato a combattere per la “Grande Russia” non è collegato né alla libertà né ai diritti umani. La “Grande Russia” significa guerra senza fine, morte e menzogna per milioni di persone. Pertanto non vogliamo approvare delle leggi che dovrebbero essere modificate ogni 10 – 15 – 20 anni. Leggi che sarebbero buone soltanto per un leader, calcolate per una sorta di periodo temporaneo. Tutte le leggi dovrebbero basarsi sui principi fondamentali dell’umanità che si trovano nella religione: nel Corano, nei Vangeli, nella Torah. I principi di base sono espressi dai libri sacri, inviati dall’Onnipotente Allah, e l’umanità non dovrebbe ignorarli. Quando qualcuno cerca di sfuggire a questo e introduce altri valori che contraddicono la natura umana, questo genera conflitto, locale o generale.
L’Islam ha tre nemici. Il primo è l’ateo militante. L’ateo è un pericolo per qualsiasi paese, per qualsiasi nazione, perché è una persona senza valori. Voglio essere compreso correttamente qui: quando i musulmani usano la parola “infedele” intendono persone che non hanno accettato l’Islam, ma che non sono Cristiani, Ebrei o rappresentanti di altre religioni. Cioè persone che hanno una propria scala di valori. Le persone che hanno tali valori, tali regole, possono trovare un linguaggio comune.
Il secondo nemico dell’Islam è il fanatismo, il fanatismo del teologo che interpreta erroneamente l’Islam. Questo è ciò che stiamo vedendo anche oggi in molti paesi islamici in cui le persone soffrono sotto regimi totalitari dittatoriali invece di godere dei diritti umani e delle libertà, che sono valori che dovrebbero essere protetti per ogni persona. Ciò non è in alcun modo conforme all’Islam.
Il terzo nemico è l’ignorante fanatico. Queste persone sono un pericolo per qualsiasi società. Per quanto riguarda il mio primo appello, ho semplicemente detto che nessuno dovrebbe interferire negli affari interni di uno Stato sovrano.
Quale, secondo te, dovrebbe essere la politica della comunità mondiale e, in particolare, dei governi dei paesi musulmani, che potrebbe avere un impatto reale e fermare la guerra in Cecenia? Pensi che sia possibile che i mediatori internazionali possano prendere parte ai negoziati tra Russia e ChRI? Qual è il tuo atteggiamento nei confronti del piano di [Ilyas] Akhmadov, il quale propone un mandato internazionale temporaneo sotto la Nazioni Unite?
La politica della comunità mondiale non dovrebbe discostarsi dai valori di base che possono essere presi dal Corano, dai Vangeli o dalla Torah. La partecipazione dei mediatori internazionali è possibile, ma non è obbligatoria. Al piano di Akhmadov è stato dato il via libera da diversi assi, ma sfortunatamente non ha funzionato. Non perché il piano fosse negativo, ma perché i nostri avversari non erano pronti per una soluzione pacifica del problema. Oggi il piano non si adatta alla realtà attuale. Abbiamo resistito e ci siamo rafforzati. Non abbiamo più bisogno di questo piano e ci sono altre proposte e soluzioni a questo problema. Ma la cosa principale è che il Cremlino dovrebbe separarsi dal suo militarismo e diventare più pragmatico, corretto e rispettoso del diritto, il diritto internazionale.
Ilyas Alhamdov, autore di un piano di pace che prevedeva la trasformazione della Cecenia in un mandato fiduciario delle Nazioni Unite. Il piano non fu mai seriamente discusso nè dalla Russia, nè dalla dirigenza della ChRI.
Accetteresti personalmente trattative dirette con la leadership filo – russa della Cecena – Alu Alkhanov e Ramzan Kadyrov – e, in tal caso, quale forma, secondo te, dovrebbero assumere?
Vorrei usare un esempio comprensibile a tutti. Immaginiamo di essere attaccati da un branco di cani appartenenti al tuo vicino. Dovresti parlare col proprietario dei cani, giusto? Non avrebbe senso parlare con gli animali, con i cani. Loro svolgono un ruolo disonorevole e non dignitoso di semplici burattini. Se riponessimo le nostre speranze su di loro danneggeremmo non solo l’onore e la dignità dei martiri caduti ma anche l’onore dell’intera nazione cecena. Cosa possono fare questi pupazzi? Quale problema possono risolvere? Tutto ciò che fanno lo fanno con il permesso del Cremlino e dei servizi speciali russi. Non hanno mai preso una decisione da soli. Non hanno mai deciso nulla da soli e non lo faranno mai. Quindi questa domanda dev’essere compresa correttamente. Non è una questione della nostra riluttanza a fermare le operazioni militari. Semplicemente non ha senso condurre negoziati con quella gente.
In caso di trattative tra la ChRI e la Federazione Russa, quale ruolo potrebbero svolgere gli emiri delle comunità delle altre repubbliche del Caucaso Settentrionale? Qual è lo scopo finale della lotta portata avanti da queste Jamaat? In che modo la loro lotta è correlata alla guerra combattuta dai ceceni per la loro indipendenza? Vedi la prospettiva di diventare il leader politico dell’intero Caucaso Settentrionale?
Certamente, se inizieranno i negoziati tra la ChRI e la Russia, tutte le questioni saranno risolte tra di noi in modo consultivo, osservando i principi della Shura. Non solo gli emiri delle Jamaat prenderanno parte alle discussioni, ma anche i mijahideen ordinari prenderanno parte alla pari. Tutti abbiamo un obiettivo comune: la liberazione dalla schiavitù coloniale ed il raggiungimento della libertà e dell’indipendenza. Come il popolo ceceno, tutti i popoli intorno a noi si sono sollevati e vogliono libertà e indipendenza. Ci sono Jammat sul territorio della Russia, alcune costituite da russi etnici, molti dei quali hanno prestato giuramento di fedeltà come emiri del Majilis – ul – Shura e si sono subordinati direttamente a noi. Esistono gruppi del genere ma sono i ceceni che in passato non hanno mai avuto il desiderio di rimanere nella Russia e non hanno un tale desiderio neanche oggi. Ci sono anche nazioni vicine che condividono la nostra richiesta di indipendenza. Tutte queste domande saranno affrontate in modo consultivo, collegiale e di comune accordo.
Sono un leader non perché voglio esserlo, ma perché è un fatto universalmente riconosciuto nel Caucaso Settentrionale. Il Majilis – ul – Shura è l’organismo legale di tutti i musulmani del Caucaso Settentrionale e, come è già stato detto, anche all’interno della Russia, dove ci sono molte Jamaat che hanno prestato giuramento di fedeltà a noi. Questo è un dato di fatto, ma non è come se noi stessi avessimo cercato in modo specifico di realizzarlo.
Fotogramma di un programma di divulgazione religiosa mandato in onda sulla TV di stato durante il periodo interbellico. Gli interventi televisivi di Sadulayev erano molto apprezzati e seguiti dalla popolazione.
Quale posizione è più importante per te: essere uno Sceicco e un Emiro del Majilis – ul – Shura o essere il Presidente della ChRI?
Secondo l’Islam, la parola “Sceicco” esprime un atteggiamento rispettoso nei confronti di uno studioso o di un anziano appartenente alla famiglia. E’ vicino al significato della parola inglese “Sir”. L’Emiro del Majilis – ul – Shura e il Presidente hanno la stessa funzione e lo stesso ruolo. L’unica differenza è che l’Emiro del Majilis – ul – Shura ha più diritti e più doveri. Naturalmente il popolo ceceno si è sempre comportato secondo la Costituzione, in cui è assegnata la posizione di Presidente della ChRI. “Sceicco”, come è già stato detto, è soltanto una forma di rispetto.
Cerchiamo di sondare il tuo atteggiamento nei confronti dei paesi occidentali. Consideri gli Stati Uniti come un potenziale nemico della ChRI o consideri l’America un nemico, come al Russia?
Penso che possiamo fare amicizia non soltanto con gli Stati Uniti, ma anche con la Russia. Nonostante questa guerra omicida, sporca e barbare che la Russia ha intrapreso contro di noi, non abbiamo mai respinto le relazioni di buon vicinato ed amichevoli con la Russia. Sfortunatamente, questo ha sempre colpito un muro di incomprensioni, arroganza ed ambizioni imperiali. Tuttavia non siamo persone che possono essere trasformate in schiavi. E’ meglio averci come amici. Se una nazione, in particolare una superpotenza mondiale come gli Stati Uniti, è pronta a dialogare con noi, siamo sempre aperti e saremo sempre disponibili a questo. Se siamo pronti ad essere buoni vicini con la Russia, non possiamo avere problemi con l’America.
Aslan Maskhadov ha avuto qualche influenza sulla formazione delle tue opinioni?
Indubbiamente. Aslan Maskhadov è sempre stato un enorme esempio per tutti i nostri mujahideen e per l’intera popolazione. Maskhadov è stato un grande leader e con il suo martirio è diventato ancora più grande perché ha mostrato come un leader dovrebbe andarsene, come dovrebbe andarsene un emiro. Quei cani russi che danzavano intorno al suo cadavere dovrebbero vergognarsi. Anche da morto, Maskhadov è stato grandioso, mentre la Russia si è disonorata agli occhi di tutte le persone oneste e rispettabili del mondo. Come dice il proverbio, un leone morto può essere cacciato anche da un coniglio. Anche dopo la sua morte, Maskhadov rimane un grande leader ed un esempio per me.
Potresti fornire alcuni fatti della tua storia personale? Ci sono molte notizie contraddittorie sulla stampa. Sei nato davvero ad Argun? Hai preso parte alle operazioni contro l’esercito russo? La stampa russa ti ha descritto come un ardente wahabita. Fai parte di una particolare scuola dell’Islam?
Vengo davvero dalla città di Argun. Se Allah lo permetterà, avrò presto 40 anni. Sono nato ad Argun nel 1966. La scuola di pensiero islamica che ho studiato e seguito l’ho appresa dagli insegnamenti dell’Imam Shafi’i, sebbene conosca anche le altre opere degli altri tre grandi Imam e gli insegnamenti delle quattro scuole islamiche di base, i quattro Madhabs. Ho anche cercato di attingere all’Hanbali Maskhab, ma i ceceni sono sempre stati seguaci dell’Imam Shati’i; questa è la ragione per la quale l’ho studiato a fondo. Per quanto riguarda il wahabismo […] esso non ha nulla a che fare né con la nostra religione né con le nostre credenze.
Spero di essere stato in grado, nel mio breve discorso, di rispondere ad alcune delle domande dei nostri amici e di aver chiarito la situazione in cui ci troviamo. Ogni paese ed ogni nazione che sostiene il popolo ceceno non sostiene soltanto noi, ma anche sé stesso, perché se neghi la libertà a qualcuno, neghi la libertà alla tua stessa gente. Il fatto che i nostri amici in America facciano queste domande serve alla causa della pace ed avvicina i nostri popoli. Vi ringrazio per la vostra simpatia e per i vostri sforzi di capire la situazione nella nostra repubblica. Ringrazio tutti voi.
Tra il 10 ed il 19 Gennaio 1995 nel pieno della Battaglia per Grozny, le truppe federali lanciarono un violento assalto all’edificio dell’ex Consiglio dei Ministri dell’era sovietica, a quel tempo sede del Parlamento le forze separatiste difesero l’edificio per 9 giorni, combattendo piano per piano, stanza per stanza. La presa del “Sovmin” fu la prima vera “vittoria” dell’esercito federale, e portò al ritiro dei dudaeviti sulla sponda destra del Sunzha. Quì la battaglia sarebbe durata altri due mesi, prima che le unità agli ordini di Maskhadov si ritirasssero definitivamente dalla capitale.
IL SOVMIN
Costruito agli inizi del XX Secolo per ospitare il Grand Hotel della capitale, il SOVMIN era un elegante edificio di quattro piani che si ergeva nel pieno centro di Grozny. Dopo aver ospitato l’illustre struttura ricettiva, allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre fu occupato dai bolscevichi, i quali vi installarono il loro quartier generale. Da qui il comando locale dell’Armata Rossa diresse la difesa della città dagli assalti dell’Esercito Cosacco del Terek, tra l’Agosto e il Novembre 1918 (la cosiddetta “Battaglia dei cento giorni”. Con la vittoria dei rivoluzionari sulle armate bianche il palazzo fu trasformato nella sede del potere esecutivo locale, il Consiglio dei Ministri della neonata Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Ceceno . Inguscia, assumendo il nome comune di “SovMin”.
Il SOVMIN in una foto del 1952
Nel Novembre del 1991, allo scoppio della Rivoluzione Cecena, il Parlamento appena uscito dalle elezioni popolari del 27 Ottobre si installò nella struttura, designandola come la sede permanente dell’assemblea. A quel tempo il quartiere amministrativo della città di era espanso, con la costruzione di numerosi edifici ministeriali e di polizia, oltre che del celebre “Palazzo Presidenziale” (in origine sede del Comitato Regionale del PCUS, il cosiddetto “Reskom”), ed il Parlamento si trovò così a pochi passi dal Palazzo dove aveva preso residenza il Presidente della Repubblica, Dzhokhar Dudaev.
L’ASSALTO A GROZNY
Il 11 Dicembre 1991 l’esercito federale entrò in Cecenia per porre fine all’indipendenza della repubblica, considerata un’organizzazione illegittima governata da bande armate illegali. L’esercito russo penetrò con difficoltà nel territorio ceceno, ed approcciò un attacco alla capitale secondo uno schema militare poco efficace, nella convinzione che il semplice “mostrare i muscoli” sarebbe stato sufficiente a far arrendere i secessionisti. L’attacco, svoltosi tra il 31 Dicembre 1991 ed il 1 Gennaio 1992 (il cosiddetto “Assalto di Capodanno”) fu un totale fiasco, e le forze federali dovettero procedere ad occupare la città combattendo casa per casa.
Uno dei cardini della difesa cecena nel quartiere centrale era proprio il Sovmin, che con la sua imponente struttura e la sua posizione a pochi passi dal Palazzo Presidenziale (fulcro del sistema difensivo separatista) era una posizione chiave per qualsiasi attacco che volesse respingere i separatisti oltre la riva destra del Sunzha. Le unità di Maskhadov (reparti della Guardia Presidenziale oltre ad elementi militarizzati del Servizio di Sicurezza di Stato ed altre milizie volontarie) erano asserragliate all’ultimo piano dell’edificio e nel seminterrato. Da queste due posizioni potevano agevolmente controllare l’avanzata dei reparti russi, tenere a distanza la fanteria e colpire i mezzi blindati che si avvicinavano alla piazza antistante l’edificio. I rifornimenti erano assicurati dal vicinissimo Quartier Generale dell’esercito separatista, situato nel seminterrato del Palazzo Presidenziale.
A sinistra il SOVMIN. Dietro a questo l’Istituto Petrolifero, dalla cui vetta era possibile tenere sotto tiro la sede del Parlamento.
I primi tentativi dell’esercito federale di raggiungere il Sovmin furono frustrati dalla rabbiosa reazione dei difensori, i quali riuscirono a tenere a distanza i reparti d’assalto russi fino dal 1° al 12 Gennaio. Nella notte tra il 12 ed il 13 un reparto di paracadutisti della 98a Divisione Aviostrasportata riuscì a raggiungere la base dell’edificio, dopo che l’artiglieria aveva martellato il piazzale antistante per tutta la giornata precedente, impedendo l’arrivo di rinforzi e munizioni alla guarnigione assediata. Alle 5:30 del mattino i paracadutisti riuscirono a penetrare nell’edificio, ma i separatisti reagirono con prontezza, riuscendo a bloccare l’assalto ed a procurare numerose perdite agli attaccanti, tra morti e feriti. Contemporaneamente i ceceni chiamavano a raccolta tutte le unità disponibili a difesa della posizione.
Dalla tarda mattinata del 13 Gennaio iniziarono ad affluire consistenti reparti corazzati a supporto dell’azione della fanteria, nel frattempo sostenuta dall’arrivo di reparti di fanteria di marina del 33° Reggimento. Le unità separatiste accorse in supporto ai difensori lanciarono violenti contrattacchi per tutto il giorno, e per buona parte di quello successivo, distruggendo numerosi veicoli blindati e martoriando le unità di fanteria con un costante tiro di mortaio. Gli scontri continuarono fino al 19 Gennaio, con i paracadutisti ed i fanti di marina russi asserragliati ai piani bassi dell’edificio ed i dudaeviti che ne controllavano i piani alti, mentre tutto introno i difensori tentavano di respingere gli attaccanti combattendo casa per casa. Lo scontro raggiunse livelli di violenza tali che a molti coscritti russi saltarono i nervi. Nel suo rapporto il Tenente Colonnello Victor Pavlov, vicecomandante del 33° Reggimento di fanti di marina scrive:
“… Il personale del gruppo d’assalto, che teneva la difesa al Consiglio dei ministri, dopo il raid della nostra aviazione e le perdite subite dalla nostra aviazione, si è rivolto al comandante del gruppo, il maggiore Cherevashenko, chiedendo di lasciare la posizione […]. Con enormi sforzi il maggiore Cherevashenko riuscì a impedirlo … I soldati giacevano negli scantinati del Consiglio dei ministri, non mangiavano né bevevano, si rifiutavano persino di portare fuori i loro compagni feriti. Ci sono stati casi di esaurimenti psicologici e capricci tra i soldati. Quindi, il soldato G … ha dichiarato che non poteva più tollerare una situazione del genere e ha minacciato di sparare a tutti. […].”
LA PRESA DEL PALAZZO
Anche nel campo ceceno, tuttavia, la situazione iniziava a degenerare, e gli imponenti bombardamenti di artiglieria federali, accompagnati ora da un preciso tiro con armi a corto raggio installate nei palazzi vicini ormai caduti nelle mani dei federali (l’Hotel Kavkaz, adiacente al Sovmin, l’Edificio dell’Istituto Petrolifero, la cui vetta dominava la piazza antistante il palazzo, e l’Ispettorato di Polizia Fiscale, sul lato est).
La foto mostra il centro di Grozny subito fopo la fine della battaglia. La freccia a sinistra indica il Palazzo Presidenziale, quella a destra le rovine del Sovmin.
Il 16 gennaio alle 5.20, quando il Consiglio dei Ministri era quasi completamente occupato dalle unità del raggruppamento del generale Rokhlin, Ruslan Gelayev (nominativo di chiamata Angel-1) parlò a Maskhadov (indicativo di chiamata Cyclone):
5.20 Angel-1 – Ciclone: “Ci sono dei codardi. Non sono andati alla Camera del Parlamento. Devono essere fucilati. “
Alle 5.45 Ciclone – Pantera: “Questa è la nostra prima battaglia persa” .
La sera del 18 Gennaio, quando ormai anche il Palazzo Presidenziale era in procinto di cadere e Maskhadov ne aveva già ordinato l’evacuazione, il grosso dei difensori si ritirò dai ruderi della struttura, ormai ridotta ad un cumulo di macerie. Una piccola retroguardia abbandonò l’edificio la mattina seguente, lasciando i mano russa un campo di battaglia crivellato di proiettili.
Hussein Iskhanov è forse uno degli ultimi esponenti della Repubblica Cecena di Ichkeria ancora in vita che sostiene attivamente la restaurazione dello Stato separatista. Unitosi ai dudaeviti nel 1992, partecipò alla guerra civile del 1994 dalla parte dei lealisti. Nel 1995 fece parte dello Stato Maggiore della difesa di Grozny, alle dirette dipendenze di Aslan Maskhadov in qualità di suo Aiutante di Campo, guadagnandosi il grado di Colonnello. Eletto deputato al Parlamento della seconda legislatura nel Gennaio del 1997 fece parte del raggruppamento leale a Maskhadov, nel frattempo divenuto Presidente della Repubblica. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Cecena Iskhanov fuggì in Polonia, e da lì in Austria, dove risiede tutt’ora ed anima l’associazione politico – culturale Kultulverein Ichkeria. I passi pubblicati sono estratti da una lunga intervista rilasciata alla testata giornalistica online Small Wars Journal nel Giugno del 1999.
Hussein Iskhanov oggi
LA GUERRA CIVILE
Sono diventato aiutante di campo di Maskhadov all’inizio della guerra, ed ho ricevuto il grado di Colonnello alla fine. Prima della guerra avevo maturato qualche esperienza combattendo contro le unità di Bislan Gantemirov durante l’operazione del 26 Novembre 1994. […] L’opposizione cecena supportata da 50 carri armati guidati da ufficiali russi della Divisione Taman e da contractors russi entrò a Grozny. In meno di un giorno i carri furono distrutti e 25 ufficiali russi vennero presi prigionieri. Fu l’inizio della guerra. […] L’esercito russo si mosse su Grozny da 3 direzioni. Non avevamo un’aviazione che difendesse i nostri confini. Il primo scontro si ebbe nel villaggio di Lomaz Yurt, nel distretto dell’Alto Terek, dove avevamo installato alcune difese per proteggere la frontiera. Riuscimmo a ritardare l’avanzata dei russi per qualche giorno. I nostri uomini colpirono 2 APC, ma a causa della mancanza di munizioni dovettero ritirarsi. […] Il nostro “esercito” era uno scherzo rispetto all’armata degli invasori. Decidemmo di combattere a Grozny, avevamo già l’esperienza del 26 Novembre ed i loro carri armati non ci spaventavano più. Il morale era alto a quel tempo, grazie agli stessi russi. Ricordo come il 26 Novembre uomini armati di lanciagranate e mukhas, dentro delle Zhiguli avevano fatto a pezzi i carri russi. […] Dopo Lomaz Yurt un’altra battaglia ebbe luogo a Dolinsky: Maskhadov, ex ufficiale di artiglieria, decise di usare i GRAD direttamente contro le colonne russe. Era un metodo inedito di usare i GRAD. Nessuno prima di Maskhadov aveva pensato di usarli in quel modo. Più tardi, quando iniziammo i negoziati nel 1995, i russi ammisero di aver perduto più di duecento uomini a Dolinsky.
Unità dell’esercito regolare ceceno di guardia ad una postazione antiaerea davanti al Palazzo Presidenziale di Gozny, poco prima dell’inizio della Prima Guerra Cecena
La terza battaglia ebbe luogo ad Ermolovka. Là perdemmo alcune apparecchiature. All’inizio della guerra avevamo 18 APC e carri armati T – 76, ma erano vecchi modelli e non avevamo sufficienti munizioni. Avevamo anche qualche howitzer, ma capimmo presto che erano di poca utilità. Il loro effetto era minimo a causa del fatto che le nostre posizioni venivano bombardate dal cielo e noi non avevamo armi antiaeree. I nostri artiglieri non erano addestrati per una simile situazione: una cosa è usare l’artiglieria quando sei posizionato a 10 o 20 km dal tuo obiettivo, un’altra è affrontare una colonna di carri armati da vicino. Era difficile trasportare l’artiglieria sotto il fuoco aereo. Non avevamo abbastanza trattori e motrici. Gli uomini erano occupati ad evacuare le loro famiglie ed a metterle in salvo. Molti dei mezzi di trasporto erano usati per l’evacuazione perché il governo non aveva dichiarato la mobilitazione generale. Avevamo trascurato il fatto che avremmo avuto bisogno di mezzi per trasportare la nostra attrezzatura, e adesso non ne avevamo a disposizione. Abbandonammo il nostro equipaggiamento, tenemmo i mortai montati su ruote perché erano facili da muovere, così come qualche pezzo d’artiglieria. Non furono perdite gravi, giacchè non avevamo munizioni per i pezzi che lasciammo indietro.
Avevamo un’acuta penuria di munizioni fin dall’inizio della guerra. Mancavamo anche di munizioni per i lanciagranate, per gli RPG, per i calibri da 7.62 e per i 5.45 degli AK 74. Ricordo di quando io e Maskhadov eravamo nel seminterrato del Quartier Generale nel Palazzo Presidenziale prima dell’assalto dei russi a Grozny del 31 Dicembre 1994: avevamo due letti e una scrivania, con poca luce fornita da un piccolo motore a diesel. Questo fu distrutto poco dopo durante il bombardamento e così passammo ad un piccolo motore elettrico trasportabile alimentato da petrolio o diesel. Lo usavamo per alimentare le batterie della radio e per l’illuminazione. Quel giorno avevamo 34 proiettili per RPG sotto i nostri letti. Ci sentivamo alla grande, ma c’erano momenti nei quali avevamo appena 3 o 4 proiettili. I combattenti accorrevano continuamente in cerca di munizioni. Siamo stati fortunati, qualcuno è sempre accorso portando munizioni quando ne avevamo più bisogno.
Dopo Ermolovka le nostre unità si ritirarono dentro Grozny. La pressione era molto forte e molti dei combattenti erano volontari inesperti. Avevamo pochi comandanti e ufficiali. Maskhadov decise di richiamare tutte le unità disponibili ed i volontari nel centro della città per usare al meglio l’esperienza del 26 Novembre. Non vedevamo altro modo per mettere su una difesa. Gli edifici avrebbero fornito copertura al fuoco del nemico e noi saremmo stati meglio protetti dal fuoco costante di artiglieria. Costruimmo alcune barriere di cemento su Via Staropromyslovsky, nei pressi della fabbrica Electropribor. Erano primitivi ma speravamo che avrebbero rallentato i carri, sapevamo che non saremmo riusciti a fermarli. Aspettammo che i russi muovessero avanti da Staropromislovsky. Li aspettammo, sperando che passassero di lì, perché quello era uno stretto corridoio circondato da colline e da edifici di cinque piani. Sarebbe stato facile colpirli là dentro. Ma ovviamente loro temevano di finire in un’imboscata e aspettavano a muovere i carri dentro la città. Ricordavano l’esperienza del 26 Novembre. Anziché penetrare subito in città la accerchiarono e usarono l’artiglieria a lungo raggio. Nel frattempo le nostre unità usavano tattiche “attacca e fuggi” e raid notturni.
APC russo distrutto dopo l’Assalto di Capodanno, foto AP
Ovunque i russi si trovassero al calar del buio, immediatamente si trinceravano ed interravano i loro cannoni ed i loro carri. Quello era il miglior momento per attaccarli. Usavamo la nostra conoscenza del territorio e la nostra esperienza durante il servizio militare contro i russi. Sapevano come i russi preparavano le loro difese. Conoscevamo le abitudini dei russi ed il loro linguaggio. I raid causavano grande panico ma la reazione dei russi era interessante: loro si rifiutavano di ingaggiare le nostre unità. Anziché respingere gli attaccanti puntavano le loro armi contro Grozny o Argun e spazzavano i quartieri residenziali. Ovviamente lo facevano nella speranza che la popolazione si rivoltasse contro di noi. Molte delle vittime civili furono dovute a questi bombardamenti indiscriminati.
L’ASSALTO A GROZNY
Poi iniziò l’assalto a Grozny. I russi si mossero lentamente verso il centro della città. Non avevamo forze sufficienti a fermare la loro armata. Secondo i nostri dati preliminari loro avevano schierato 600 tra carri armati ed APC e un grosso contingente di fanteria. La 131° Brigata fu la prima a muovere. Sfondò all’altezza della stazione ferroviaria, circa 500 metri dal Palazzo Presidenziale. I russi pensavano che una volta preso il Palazzo la nostra resistenza avrebbe avuto fine e ci saremmo ritirati. Ho controllato il diario che tenevamo nel 1995: secondo i nostri dati, avevamo 350 uomini a difesa di Grozny, all’inizio del 1995. Questo è il numero di coloro che erano registrati al Quartier Generale. Aggiungerei altri 150 uomini che non si erano registrati da noi o dai comandanti, uomini che erano venuti a sparare per un paio d’ore e poi erano tornati a casa. Avevamo non più di 500 persone a difesa di Grozny.
Come ho detto prima, usammo la nostra conoscenza dei russi. Avevamo anche lo stesso sistema di comunicazione radio. Il nostro capo delle comunicazioni, Colonnello Taimaskhanov [ucciso poco dopo l’inizio della guerra] aveva servito come ufficiale addetto alle comunicazioni nell’esercito sovietico. Conosceva perfettamente il suo lavoro. Il Generale Babichev minacciò di impiccare Taimaskhanov al primo lampione non appena lo avesse preso. Avevamo una stanza speciale per i radio operatori nel Palazzo Presidenziale. Ogni volta che avevamo un momento andavamo a “parlare” con i russi. Ascoltavamo le loro chiamate, aspettavamo il momento in cui passavano gli ordini e, una volta compreso chi fosse in comando e chi il subordinato, intervenivamo, dando ordini differenti con un approccio amichevole, fornendo false informazioni e così via. Come risultato i russi patirono più perdite all’inizio della guerra a causa del fuoco amico che a causa del nostro[…].
Vista del centro di Grozny da Piazza MInutka. Sulla sinistra il Palazzo Presidenziale svetta in mezzo alle macerie, gravemente danneggiato.
La 131a Brigata Maikop era sotto il comando dello sfortunato Babichev. Egli è l’ufficiale responsabile di aver mandato a morte gli uomini della Maikop. Praticamente tutta la brigata fu distrutta in una notte tra il 31 Dicembre 1994 ed il 1 Gennaio 1995, anche se alcuni combattimenti continuarono fino al 2 di Gennaio. I russi dichiararono che 100 uomini sopravvissero ma io non ci credo perché noi stessi catturammo l’equipaggio dell’ultimo APC della brigata. Il comandante della Brigata fu ucciso ed il suo secondo in comando fu catturato con l’ultimo APC ed il suo equipaggio, 10 o 12 uomini in tutto. […] Più avanti durante i negoziati con il Generale Romanov a Khankala, il Tenente Generale Shumov (dell’MVD) mi chiese quanti uomini avessimo perso in guerra. I risposti “circa 2000”. Erano le mie stime per le nostre perdite dall’inizio della guerra fino ai negoziati del 1996. Gli chiesi delle loro perdite. Egli rispose che secondo le stime ufficiali preliminari loto avevano perduto 1800 uomini. Gli chiesi allora: “Dove avete nascosto la Brigata Maikop e l’81esimo Samarski?” Lui rise ma non aggiunse altro. I russi hanno sempre dissimulato le loro perdite. […].
I COMBATTIMENTI PER GROZNY NEL 1995
Le battaglie campali ebbero luogo dall’inizio di Gennaio del 1995. I russi continuavano ad avanzare verso il Palazzo Presidenziale dall’aereoporto lungo Via Pervomaiskaia. Lasciammo che i russi penetrassero, poi distruggemmo il primo APC della colonna, l’ultimo ed un paio nel mezzo. I russi furono schiacciati perché era difficile manovrare i carri armati e gli APC in città, la visibilità era pessima, gli autisti non riuscivano a vedere dove stavano andando. Li circondammo e distruggemmo quasi un intero reggimento. Prendemmo anche dei prigionieri. Fu allora che l’81° Reggimento Samarski venne distrutto. Secondo le nostre stime loro persero tra i 4000 ed i 5000 uomini tra la Brigata Maikop ed il Reggimento Samarski. I russi persistevano con un attacco diretto sul Palazzo Presidenziale. Nello stesso momento bombardavano gli ospedali e le strutture educative, le scuole, i centri culturali, le biblioteche e così via. Piano piano giunsero in prossimità del Palazzo. Il loro successo costò loro caro. Intorno alla metà di Gennaio i combattimenti infuriavano a 100 – 200 metri dal Palazzo. I russi occuparono un palazzo di cinque piani davanti al Palazzo e l’edificio dell’Archivio Nazionale dall’altra parte della strada. Questa era la situazione al 18 Gennaio.
Nelle prime due settimane di Gennaio usammo prevalentemente cecchini. A causa della carenza di munizioni, ordinammo di usare i fucili automatici come fucili a colpo singolo. Ricordo la distribuzione delle munizioni: fornivo 3 proiettili di 7 – 62 o 5 caricatori di munizioni con trenta proiettili ciascuno per ogni AK 74. Con questo i nostri uomini avrebbero dovuto affrontare l’esercito russo. Avevamo anche un altro handicap: gli uomini erano riluttanti all’inizio ad usare proiettili traccianti perché temevano di rivelare la loro posizione. Li esortai ad immaginare la paura del soldato russo: lui vedeva il proiettile e sapeva che lo avrebbe colpito. Gradualmente i nostri uomini iniziarono ad abituarsi all’idea. Quando i russi sentivano colpi singoli, credevano che fossero colpi di cecchino. Avevamo fucili da cecchino ma erano davvero pochi, li avevamo presi dagli APC e dai carri armati che avevamo colpito. Avevamo anche trasformato le armi ausiliarie dei carri russi in modo che potessimo usarle a mano. La maggior parte delle munizioni che ottenemmo le conquistammo sul campo durante le operazioni. Nello stesso modo prendemmo molte delle armi automatiche. Non ce n’erano così tante in giro prima di Dicembre 1994. Una volta armammo un’unità con 12 lanciagranate. Per i nostri standard quella era da considerarsi un’unità veramente potente. Di norma un gruppo di dieci uomini aveva un solo lanciagranate. La nostra unità standard era composta da 10 – 20 persone. Non potevamo armare unità più grandi perché il Quartier Generale non era nella posizione di rifornirle e di nutrirle. In ogni caso sarebbe stato difficile per grossi gruppi muoversi agilmente in città.
Il Sovmin, sede del Consiglio dei Ministri in epoca sovietica e poi sede del Parlamento indipendentista, completamente distrutto dopo la presa della città da parte delle truppe federali.
18 GENNAIO 1995
La situazione non era facile al Palazzo Presidenziale. Il 5 o il 6 Gennaio il quarto ed il quinto piano del Palazzo presero fuoco. […] Il 18 Gennaio il Palazzo patì un massiccio bombardamento aereo e d’artiglieria. Contammo che il palazzo venne colpito al ritmo di un colpo al secondo. Era un bersaglio facile, perché spiccava bene tra gli edifici circostanti. Alla fine il Palazzo fu colpito da una bomba di profondità, la quale attraversò 11 piani e distrusse il soffitto dell’ospedale da campo, situato nelle cantine. Fortunatamente non c’era nessuno nell’ospedale in quel momento. A causa dei danni non riuscimmo a capire quante persone rimasero uccise. Era una bomba di precisione, esplose a venti metri dal Quartier Generale di Maskhadov. I russi avrebbero potuto avere informazioni precise riguardo la posizione del Quartier Generale da chiunque – c’erano molte persone nel Palazzo in quel momento, lasciavamo entrare giornalisti, deputati della Duma, madri dei prigionieri di guerra russi. Una compagnia esplorativa aveva occupato un hotel vicino alla stazione ferroviaria. I nostri uomini li assediarono all’ultimo piano, il dodicesimo. La situazione era in stallo ed iniziammo a negoziare con loro. L’ufficiale comandante, un capitano, fu portato al Palazzo. Era stupido, ma la gente allora era davvero naïve. Lui andò alla radio e contattò Babichev dal Palazzo. Babichev e Maskhadov si incontrarono all’hotel.
Ormai non avevamo niente di utilizzabile intorno al Palazzo, non avevamo veicoli corazzati o da trasporto, tutto era stato distrutto, anche se l’unità di Shamil Basayev, oltre il Sunzha, possedeva ancora armamenti pesanti. I russi inviarono un APC per prenderci e portarci ai negoziati. Discutemmo la questione dei 65 prigionieri di guerra che tenevamo nel Palazzo. Accettammo di rilasciarli ma di tenerci le loro armi. Maskhadov invitò i russi a riprendere i corpi dei loro caduti, loro offrirono un cessate – il – fuoco di 2 o 3 ore. Noi avevamo il timore delle epidemie, non potevi muoverti senza pestare un cadavere. Ogni APC colpito aveva una media di 10 – 11 cadaveri. Questi giacevano intorno alla carcassa mezzi bruciati o mangiati dai cani. Ma al comando russo non fregava niente. Maskhadov provò ad appellarsi ai loro sentimenti più nobili, chiedendo loro come avrebbero potuto guardare in faccia le madri dei soldati se non avessero seppellito i loro figli. Ma questo non funzionò, i generali furono inamovibili. Babichev se ne andò, noi rilasciammo i prigionieri di guerra come avevamo promesso, così come il capitano degli scout che si trovava al Quartier Generale. Fu lui che probabilmente dette la posizione del Quartier Generale, anche se c’era una gran quantità di spie nel Palazzo.
Riguardo alle due bombe di profondità di cui parlavo prima, per la verità ne esplosero due. Ero sulla piattaforma del primo piano quando successe, in contatto radio con le unità arroccate nel Sovmin e nell’Hotel Kavkaz dall’altra parte della piazza (non potevamo comunicare dal basamento perché la nostra antenna sul tetto del Palazzo era stata distrutta. Senza un trasmettitore i Motorola avevano un raggio di appena 500 – 600 metri). Vidi un aereo scendere in picchiata e mi aspettai un missile, non una bomba. L’uomo che era con me era appena rientrato dentro. Ci fu una grossa esplosione. La gente urlava in cerca di aiuto. Mi precipitai di sotto per controllare il Quartier Generale. Era buio. Non riuscivo a vedere niente. Mettemmo fazzoletti sulle nostre facce per respirare normalmente. In serata prendemmo la decisione di andarcene. Era diventato troppo pericoloso: un altro attacco del genere e saremmo stati tutti uccisi. Lasciammo il Palazzo nella notte in piccoli gruppi. I giornalisti scrissero che eravamo fuggiti attraverso dei tunnel, che il Palazzo era costruito come un bunker militare. Credimi, ho esplorato tutto il palazzo e non c’erano tunnel. Il Palazzo non era costruito come un Bunker. Il tetto era composto da lastre di cemento ordinarie.
Hussein Iskhanov parla alla folla radunata in Piazza MInutka, reclutando volontari per difendere il fronte. Fotogramma dal film “war” di Alexei Balabanov
L’INIZIO DELLA RITIRATA DA GROZNY
La nostra linea di difesa successiva era oltre il fiume Sunzha. Tentammo di distruggere i ponti come potevamo ma non riuscimmo a buttare giù quello principale, perché non avevamo sufficiente esplosivo. La linea del fronte fu posta lungo il Sunzha. Passammo quasi un mese confrontandoci sul fiume. Controllavamo la sponda destra, mentre i russi tenevano la sinistra. Non c’erano combattimenti ravvicinati, usavamo principalmente fucili da cecchino. Il Sunzha forniva una buona protezione perché i russi avevano paura di attraversare il fiume con i loro APC. Per qualche tempo le loro forze rimasero concentrate intorno al Palazzo Presidenziale, dove loro celebravano la loro vittoria. Per inciso, osarono entrare nel Palazzo soltanto 3 o 4 giorni dopo che lo avevamo abbandonato. Erano posizionati a cento metri davanti al Palazzo ma non avevano realizzato che ce n’eravamo andati.
Non tutti gli uomini armati combattevano. Molti erano nascosti nel distretto di Minutka. Forse davano sicurezza agli abitanti di Minutka, ma a noi non erano utili. Erano una seccatura perché passando per combattenti, su di loro erano deviati i rifornimenti di cibo e munizioni. […] Molti per vari motivi non raggiunsero mai la linea del fronte. Passarono una settimana o due nei seminterrati e poi tornarono a casa raccontando alle loro mogli di quanto erano stati coraggiosi. C’erano anche persone di questo tipo, non tutta la nazione stava combattendo. Ti darò un esempio: all’inizio di Gennaio del 1995 Maskhadov mi inviò a Minutka per raccogliere volontari. Quando arrivai lì, radunai le persone, tenni un discorso, inviai un gruppo a Salamov in aiuto al Presidente Dudaev. Loro percorsero la ferrovia, attraversarono il ponte Belikovski perché era pericoloso attraversare il ponte principale, i russi avevano appena raggiunto l’Istituto Petrolifero e c’erano combattimenti sul ponte principale. Dopo averli inviati, raccolsi un altro gruppo di 70 uomini. Li guidai verso il Palazzo Presidenziale attraverso il ponte principale. Quando raggiungemmo il ponte iniziò un fitto bombardamento di mortai. Dissi agli uomini che dovevamo aspettare 15 minuti che il fuoco calasse di intensità e poi passare il ponte in gruppi di 4 o 5. Dopo 20 minuti ero rimasto con un solo uomo. Tutti questi coraggiosi combattenti della resistenza se ne erano andati. Rimandai l’uomo a Minutka ma non riuscì a riportare indietro nessuno. Tornai al Palazzo Presidenziale da solo.
I COMBATTIMENTI AL TRAMPARK
Dopo esserci ritirati dal Palazzo, muovemmo il Quartier Generale al cinema “Gioventù” vicino al tunnel di Viale Lenin. Rimanemmo la per 3 giorni ma il tiro dei mortai russi ed il fuoco dell’artiglieria era così pesante che rimanere la divenne pericoloso. Per evitare perdite ci muovemmo più lontano dal centro verso Minutka. Ero responsabile di scegliere l’edificio per il Quartier Generale e decisi per l’Ospedale Cittadino numero 2. La mia scelta fu determinata dal fatto che l’edificio aveva un piano interrato dove potevamo vivere e proteggere gli accessi. L’ospedale era un grande edificio circondato da case di un piano. Era in rovina, ma la cantina era utilizzabile. Per la prima volta dopo un mese di combattimenti la fanteria mosse dal centro cittadino all’Università, a 60 metri da Viale Lenin. Se la fanteria fosse riuscita a raggiungere il viale le nostre unità rimaste sull’altra riva del fiume vicino al Palazzo sarebbero state circondate. Immediatamente inviammo rinforzi al Trampark (il parco dei tram). Per la prima volta dall’inizio della guerra riuscimmo a respingere il nemico spingendolo oltre il cerchio stradale esterno, nel Microraion. Devo confessare che non avevamo armi anticarro, non avevamo artiglieria, soltanto lanciagranate, mortai ed armi leggere. Fu la nostra prima offensiva. Questo ci dette coraggio e sicurezza.
I ruderi dell’Istituto Petrolifero dopo la conquista di Grozny da parte delle truppe federali
Sfortunatamente accadde l’ovvio: un’unità di osservazione cecena che stazionava sul Sunzha se ne andò senza avvisare il Quartier Generale. I russi riuscirono ad attraversare il Sunzha, e penetrarono nel distretto senza essere notati, seguendo la riva de fiume. I russi osservavano attentamente i movimenti ceceni ed immediatamente occuparono le posizioni che le nostre unità avevano abbandonato. La carenza di professionalità e disciplina fu un grosso handicap all’inizio della guerra. C’erano circa 100 APC al Trampark. Il combattimento fu pesante. I russi usarono fuoco di mortaio, da 80 e da 122 mm. Le nostre posizioni sulla riva destra si allungavano fino al ponte ferroviario. Era conveniente, perché oltre quello non c’erano altri ponti. Dovevamo difendere quel ponte perché avevamo fallito nel distruggerlo completamente (un lato era collassato ma un APC poteva ancora attraversarlo). Una divisione del DGB (il Dipartimento di Sicurezza dello Stato) comandato da Geliskhanov stava a guardia del ponte di Voikov, vicino alla Casa della Cultura Krupskaya. Dopo essere stata bombardata, la divisione di Geliskhanov se ne andò senza avvisare il Quartier Generale. La fanteria russa fu in grado di attraversare il fiume e di entrare in Via Saikhanov, avvicinandosi alla nostra posizione. Realizzammo quanto era successo soltanto quando la fanteria russa era a 200/300 metri dal Quartier Generale. Cercammo di respingerla richiamando molte unità in soccorso. La prima ad arrivare fu la Guardia Presidenziale, che era rimasta con Dudaev. Ma presto perdemmo i contatti. Provai a chiamarli per tutta la notte ma non riuscii a prendere contatto radio. In mattinata giunsero la notizia che erano stati circondati o catturati. L’informazione era falsa. Inviammo altre unità in soccorso ed i combattimenti si accesero in Via Saikhanov. Sapemmo più tardi che la Guardia Presidenziale si era persa da qualche parte nei pressi della Stazione dei Bus. Gli Okhrana (guardie del corpo) dello Stato Maggiore, che avevano combattuto bene nel Novembre del 1994, vennero schierati successivamente. Anche loro si persero. Maskhadov mi mandò da Basaev per raccogliere rinforzi ed andò egli stesso a Minutka a cercare volontari. Raccogliemmo tutti gli uomini che potemmo per rafforzare la linea del fronte. La battaglia fu feroce. Mumadi Saidaev fu lasciato a capo della difesa. Fece del suo meglio per organizzare la linea del fronte. Sostituì il Tenente Colonnello Isa Ayubov come vicecomandante in capo. Ayubov era morto, fatto a pezzi da una granata mentre proteggeva un’infermiera con il suo corpo.
Ottenemmo alcuni successi moderati – in alcuni punti i russi si ritirarono, Avevano raggiunto la scuola di Via Saikhanov. Per poterli sloggiare da lì dovevamo usare i carri armati. Avevamo ancora 3 carri ma c’era un problema: i nostri equipaggi temevano di venire colpiti dalle nostre stesse unità[…] Durante la battaglia muovemmo il Quartier Generale in un altro ospedale vicino, lasciando i feriti con una squadra medica ed un’unità a protezione. L’unità era sotto il comando di un uomo di nome Andi, di Novogroznensky. Per qualche ragione egli abbandonò i suoi uomini e tornò a casa. Gli uomini non organizzarono il servizio di vedetta. Al calare del sole gli informatori ceceni portarono i russi all’ospedale. Questi occuparono il piano terra. Il personale medico ed i feriti erano nel seminterrato. Due uomini uscirono per fumare e si trovarono faccia a faccia con i russi. Ne venne fuori una sparatoria. Un uomo morì, l’altro rimase ferito. Un’unità di 10/20 uomini che passava da quelle parti sentì gli spari e corse in aiuto, sloggiò i russi e portò feriti e medici al Quartier Generale.
Carri armati del Reggimento Corazzato “Shali”, l’unica unità blindata dell’esercito regolare ceceno. I mezzi corazzati della ChRI vennero distrutti nelle prime fasi della guerra.
I combattimenti continuavano lungo Via Saikhanov. Secondo me avevamo rafforzato le nostre posizioni abbastanza per contrattaccare e costringere i russi a ritirarsi sulle loro vecchie posizioni oltre il Sunzha. C’era un forte reparto di 40 uomini ben armati vicino al ponte non lontano dalla posizione di Basaev. Chiesi loro di rinforzarla ma loro si rifiutarono, dichiarando che il loro comandante era assente e che avevano bisogno del suo consenso. Se ne andarono, ed i sempre vigili russi mossero i loro carri attraverso il ponte per supportare la fanteria su Via Saikhanov. Divenne difficile difendere l’area. Se avessimo fallito nel fermare l’attacco russo avremmo rischiato di rimanere tagliati fuori. I russi avevano sfondato attraverso il villaggio di Gikalo e nel Microraion. C’erano combattimenti nei sobborghi. La strata per Atagi da Gikalo era stata tagliata, così come l’autostrada Rostov – Baku. L’unica via d’uscita da Grozny era attraverso Chernorechie lungo Via Pavel Musor, nel 12° Distretto. Prendemmo la decisione di abbandonare la difesa del Trampark e di ritirare le nostre forze, circa 400 uomini. Passammo due o tre giorni nel 12° Distretto ma era impossibile costruire delle difese perché le case erano troppo piccole. I russi occuparono la maggior parte della città. Non aveva senso continuare a combattere a Grozny ora che il centro era stato catturato. Basayev fu lasciato a Chernorechie a proteggere la ritirata. Il Quartier Generale fu spostato ad Argun.
L’EVACUAZIONE
Basaev si ritirò una settimana più tardi. Evacuammo chiunque fosse in grado di farlo. I feriti furono inviati ad Atagi, dove installammo un ospedale da campo, i prigionieri a Shali. Maskhadov se ne andò a fare rapporto a Dudaev. Io e Saidaev evacuammo il Quartier Generale attraverso Starie Atagi. Avevamo un piccolo APC per caricare tutte le poche riserve che avevamo. Maskhadov ci disse che Zelimkhan Yandarbiev ci avrebbe aiutato ad evacuare, essendo Starie Atagi il suo villaggio natale. […] Arrivammo a notte fonda. Mi aspettavo che accorresse ad accoglierci. Dopo tutto avevamo combattuto per due mesi! Quando arrivammo il villaggio era meravigliosamente quieto, avevamo dimenticato cosa fossero la pace ed il silenzio. Eravamo affamati e stanchi. Chiesi di Yandarbiev. Lui venne e ci incontrammo per strada. Promise di inviare un camion per portarci ad Argun. Aspettammo seduti tutta la notte in un capannone con un solo pezzo di pane che avevamo trovato da qualche parte. Nessuno ci invitò a casa sua. Il giorno seguente aspettai fino all’ora di pranzo, poi inviai delle persone da Yandarbiev affinché gli comunicassero di arrivare quanto prima. Ma erano promesse ma nient’altro. Inviati uno dei nostri combattenti a fermare un camion Kamaz. Il primo che si fermò trasportava patate. L’autista acconsentì ad aiutarci con grande convinzione. Caricammo tutto sul camion, montammo un mortaio da 122mm e partimmo per Argun.
Hussein Iskhanov posa con “L’Onore della Nazione” una delle più alte onorificenze riconosciute dal governo separatista ai suoi combattenti
ARGUN
Argun era rimasta relativamente tranquilla durante la Battaglia per Grozny. […] Avevamo predisposto le nostre difese ad Argun mentre combattevamo per Grozny. Le trincee erano già scavate. Il fiume Argun era una barriera naturale. Il letto del fiume era facilmente attraversabile, ma una sponda è più ripida dell’altra. I russi non avrebbero potuto attraversare il fiume senza essere scoperti e non avrebbero potuto lanciare attacchi di sorpresa.Trovai un posto per il Quartier Generale dopo una giornata di ricerche. Il Quartier Generale doveva essere sufficientemente vicino alla linea del fronte, se fosse stato troppo lontano il panico avrebbe prodotto voci secondo le quali lo Stato Maggiore fosse scappato, ma neanche troppo vicino da finire sotto il fuoco di artiglieria. Scelsi la fabbrica “Krasnyi Molot”. Era ben rinforzata contro gli attacchi aerei e in una posizione comoda ai margini della città. Io e Maskhadov riuscimmo a uscire vivi da Argun per pura fortuna. Era il 3 di marzo, il giorno di Uraza. Ci erano rimasti 3 carri. Quegli idioti dell’equipaggio, probabilmente su di giri, sparavano sui russi dal Quartier Generale. I russi individuarono la nostra posizione ed iniziarono un bombardamento di artiglieria. […] Maskhadov stava andando da qualche parte. Eravamo in un’auto con una guardia del corpo. Io ero alla guida. Maskhadov mi ordinò di rimanere al Quartier Generale e di inviargli un altro autista. Mentre aspettava, un missile esplose a sei metri da noi. Fu un miracolo che non rimanessimo feriti. Corremmo dentro l’edificio mentre un altro missile colpiva direttamente l’auto. Un uomo rimase ucciso e molti feriti. Rimanemmo ad Argun, se ricordo bene, fino alla fine di Marzo del 1995. Ci difendemmo bene. I comandanti erano Khunkarpasha Israpilov ed il suo vice, Aslanbek Ismailov. […]
Quando i russi sfondarono le difese di Argun, successe come sempre a causa della nostra scarsa attenzione. Un’unità posizionata nel 5° Sovkhoz se ne andò senza avvisare, permettendo ai russi di muovere i loro APC all’interno del nostro dispositivo. Dovemmo ritirarci a Shali. La ritirata da Argun fu effettuata in buon ordine. Il Quartier Generale fu spostato prima a Shali, poi a Serzhen Yurt. Non rimanemmo a lungo a Shali. Ciò era dovuto al nostro campanilismo. Fino ad allora i russi avevano diretto i loro attacchi sul nostro Quartier Generale. Le truppe russe stazionanti in Inguscezia e ad Achkhoy Martan non erano ancora state impegnate in operazione. Era prima che scoppiassero i combattimenti a Bamut e Samashki. In quei giorni la gente combatteva soltanto per difendere il proprio villaggio o città. Grozny era un’eccezione, era la capitale, apparteneva a tutti noi. Ognuno voleva essere parte dell’azione. Successivamente i comandanti furono riluttanti a organizzare posizioni difensive nei loro villaggi, a causa delle pressioni familiari. Preferivano combattere lontani dai loro villaggi. Shali fu accerchiata senza combattere nonostante da lì provenissero molti dei comandanti che si sarebbero fatti un nome nel proseguo della.
SULLE MONTAGNE
Fummo costretti a ritirarci nelle montagne. La linea del fronte era rotta. Combattevamo nei canyon delle montagne: a Serzhen Yurt il “Fronte Centrale” era comandato da Shamil Basaev, ad Agishty da Alikhadzhiev. Il distretto di Nozhai Yurt era quieto. Gudermes fu circondata senza combattere, Salman Raduev era incapace di organizzare una difesa a causa dei politici locali. Con il fronte diviso in due sezioni dopo la nostra ritirata da Shali, i russi iniziarono una massiccia offensiva su due fronti. I combattimenti iniziarono a Bamut. Le unità di Gelayev erano posizionate sulla strada principale per Shatoy (il comando del Fronte Sudoccidentale era organizzato da Mumadi Saidaev perché Gelayev era stato ferito più volte ed aveva dovuto smettere di combattere. Il collegamento tra il Sudest ed il Sudovest era interrotto. Per tutta la guerra i collegamenti con il Sudovest rimasero difficili. Quando ci ritirammo da Serzhen Yurt a Vedeno inviammo un operatore, Kurgan Tagir, al Fronte Sudoccidentale. Lui raggiunse Shatoy per installare una trasmittente proprio quando Shatoy fu presa. Poi giunse la ritirata da Vedeno. Occorse un fraintendimento: le unità di Gelayev avrebbero dovuto proteggere il canyon del fiume nella direzione di Shatoy da Duba Yurt mentre Alikhandzhiev avrebbe dovuto proteggere l’altro lato, da Selmenthausen. Ma loro non si trovavano nelle loro posizioni. I russi con l’aiuto di una guida locale riuscirono ad attraversare quella stretta gola, la quale non era minata perché la usavamo frequentemente. Era il collegamento principale tra il Quartier Generale ed il Fronte Sudoccidentale. Era utile perché potevano guidare jeeps, camion ed addirittura bus lungo il letto del fiume.
Shamil Basayev nell’ospedale di Budennovsk tiene una conferenza stampa, affiancato dai suoi aiutanti di campo.
Dopo che i russi entrarono nel Canyon le nostre unità si ritirarono. L’offensiva russa su Vedeno, superata Elistanzhi, acquisì slancio. Cercammo di fermarli, inviando il battaglione di Batalov da Nozhai Yurt, ma fallimmo nel chiudere la breccia, schiacciati dal numero di carri armati ed elicotteri. Nonostante avessimo combattuto una guerra di posizione per quasi sei mesi, non eravamo preparati a combattere in quelle condizioni in quel preciso momento. Richiamammo le unità che difendevano Agishty e Serzhen Yurt e ci ritirammo a Dargo. Nel 1995 durante i negoziati con i russi, Maskhadov parlò con il generale che aveva comandato l’offensiva sul canyon di Agishty. Il generale si lamentava riguardo alla carenza di equipaggiamento ed alle difficili condizioni durante le operazioni. Egli chiese a Maskhadov: “dimmi, quanti uomini avevate là?” Maskhadov rispose: “non ricordo il numero esatto, avevamo 30 o 40 uomini”. Dopo aver lasciato Agishty, il loro ultimo rifugio fu la foresta.
L’ultimo ad abbandonare Vedeno fu Shamil Basaev. Era il suo territorio. Minò le strade per evitare che i russi lo inseguissero. Ma era poco probabile che lo facessero, perché la strada tagliava attraverso le montagne e le foreste, con poco spazio di manovra per i carri armati. In ogni caso gli elicotteri ci inseguirono durante la ritirata. Da Dargo, Maskhadov ordinò che il Quartier Generale fosse spostato a Benoy. Dargo era la casa di alcuni membri dell’opposizione antidudaevita, tra i quali Khadzhiev. La gente era divisa e spaventata, non voleva operazioni militari nel proprio villaggio. Un famoso bandito, Allaudi Khamzatov (che fu ucciso più tardi) era con noi. (aveva connessioni con Ruslan Labazanov prima, ma si mostrò valoroso fin dall’inizio della guerra). Allaudi aveva una brutta reputazione, poteva uccidere un uomo senza alcuna provocazione. Egli disse alla popolazione locale “Se non siete soddisfatti riguardo la presenza di unità militari, prenderò 3 uomini uno dalla periferia del villaggio, uno dal centro un altro dall’altra parte del villaggio, e li ucciderò. Ed ucciderò tutti coloro che oseranno squittire. Puntò il cannone di uno dei due carri armati che eravamo riusciti a ritirare da Vedeno contro la casa di un membro dell’opposizione molto conosciuto. Nessuno disse una parola. Dargo è molto bella, forse gli abitanti volevano preservare quella bellezza. Ma rimasi sorpreso: Dargo aveva una tradizione eroica e gloriosa, quella tradizione avrebbe dovuto ispirare la popolazione. In questa guerra Dargo non ha niente di cui andare fiera. Quando Basayev installò la sua base qui, nel 1996, la popolazione non osò opporsi. La maggior parte della popolazione ci era fedele. In ogni caso quando fummo sospinti sulle montagne dopo Vedeno e Dargo, iniziammo ad avere problemi a Benoy ed a Nozhai Yurt. La gente pensò che avevamo fallito, che la guerra era perduta. L’attitudine della popolazione divenne ambigua. La gente iniziò a guardarci con sospetto, tentava di spiarci. Iniziarono a dire che stavamo creando un problema alla nazione che avremmo dovuto perire o ritirarci sulle montagne, e lasciarli vivere le loro vite indisturbati. Fu un periodo difficile. Tutto cambiò quando Basaev prese la decisione di marciare su Budennovsk.
Aslan Maskhadov ed il Generale Romanov portano avanti negoziati dopo il Raid di Budennovsk, 16 Giugno 1995
DOPO BUDENNOVSK
Fino a Budennovsk avevamo le schiene alle montagne, non c’erano più villaggi oltre. Il nemico era vicino 5 o 6 km. I russi sparavano con i GRAD da Vedeno su Benoy. Il raid di Basayev cambiò il corso della guerra. Guadagnammo tempo. Durante molti mesi di negoziati a Grozny la nostra sicurezza crebbe. L’approccio della popolazione cambiò, ancora una volta venimmo accolti ovunque. Quando ci dirigemmo per la prima volta a Grozny con Maskhadov una grossa folla ci circondò per congratularsi con noi a Novogroznensky, tutti volevano toccarci, neanche fossimo santi! Secondo me i russi fecero un errore quando insisterono per svolgere a Grozny i negoziati, anziché in un territorio neutrale, come Argun o Urus – Martan. Arrivammo a Grozny come un’orda di Mongoli. All’inizio Maskhadov ebbe autorizzazione a varcare i checkpoint con 12 guardie del corpo in 5 auto, ed il reparto avrebbe dovuto essere armato secondo uno specifico protocollo. All’inizio rispettammo queste condizioni, ma presto le cose cambiarono. Iniziammo a conoscere i militari nei posti di blocco lungo la strada. I nostri combattenti iniziarono a mostrare il loro disprezzo per loro. Entravano nei posti di guardia, scattavano fotografie. Presti iniziarono a superare i posti di blocco senza fermarsi. A Grozny incontrai l’Aiutante di Campo del Generale Romanov. Diventammo amici. Mi dava spesso dei lasciapassare in bianco. (penso che fu ucciso più tardi, fu un peccato, era un bravo ragazzo). Ordinai attraverso amici a Mosca una copia del sigillo dell’Alto Comando russo, lo usavamo talvolta per portare i nostri uomini dentro Grozny, ma più spesso utilizzavamo i nostri contatti personali con i russi. Le nostre unità iniziarono ad infiltrarsi dentro Grozny da tutte le direzioni. Grozny era piena di nostri uomini.
Nella notte tra il 22 ed il 23 febbraio 1944 ebbe il via la cosiddetta Operazione Lentil, passata alla storia con il termine russo di Chechevitza e nella memoria cecena come Ardakhar: nel giro di una giornata tre quarti dell’intero popolo ceceno – inguscio venne ammassato nelle stazioni, caricato su treni merci e spedito in Asia Centrale. Nei giorni seguenti lo stesso destino toccò all’ultimo quarto, che a causa delle forte nevicate non era stato raggiunto il primo giorno. Chiunque non fosse in grado di muoversi o opponesse resistenza venne giustiziato sul posto. Schierati in file di 4, i deportati vennero caricati sui camion destinati al raccolto del grano e portati alle più vicine stazioni, dove li aspettavano convogli merci pronti per trasportarli, in condizioni disumane, verso l’Asia Centrale. Le guardie di origine cecena, dopo essere state costrette a scortare i loro connazionali fino alle stazioni, vennero a loro volta disarmate e caricate sui treni. Qualsiasi resistenza fu inutile. I villaggi nei quali si verificarono resistenze vennero dati alle fiamme, ed i loro abitanti trucidati sul posto. Tra il 10 ed il 20% dei deportati morì durante la traversata. I sopravvissuti vennero scaricati alla rinfusa e costretti a costruirsi da soli ripari e capanne ai margini di aziende agricole collettive nelle quali sarebbero diventati la più bassa forma di manodopera. Il governo sovietico impose loro la permanenza coatta. Ogni mese i deportati dovevano presentarsi alle autorità e dichiarare la loro presenza, pena una condanna a 20 anni di lavori forzati. Della Ceceno – Inguscezia non rimase più nulla: la repubblica venne sciolta, i suoi distretti vennero annessi alle repubbliche vicine o trasformati in Oblast, province senza identità. Tutto il patrimonio culturale dei Ceceni venne fatto a pezzi: le moschee ed i centri islamici vennero distrutti, e le loro pietre divennero materiale da costruzione. Le stesse steli che adornavano i cimiteri vennero usate come materiale edile con il quale vennero erette case, edifici governativi, perfino stalle e porcili. I Tyaptari, le cronache dei Teip scritte su pergamena e conservate dagli anziani, vennero bruciate o trasferite negli archivi di Mosca. La Ceceno – Inguscezia, spopolata, fu riempita di profughi di guerra. Dalle regioni maggiormente distrutte centinaia di migliaia di cittadini sovietici vennero sistemati in una Grozny divenuta una città fantasma.
Veicoli del Ministero degli Interni sovietico caricano i deportati sui vagoni piombati nel Febbraio del 1944
IL MEMORIALE
Esattamente cinquant’anni dopo il Presidente della Repubblica Dzhokhar Dudaev inaugurò il primo monumento alla memoria di quei terribili giorni. Il progetto, realizzato dallo scultore Darchi Khasakhanov, venne realizzato lungo Via Ali Mitaev, nel pieno centro della città, utilizzando le stesse steli a suo tempo abbattute dai sovietici ed utilizzate come materiale di risulta. I cittadini ceceni si occuparono di reperirle riesumandole dalle costruzioni civili dove queste erano state utilizzate come mattoni. In mezzo a queste, si ergeva una mano che sollevava al cielo un pugnale caucasico e di fronte ad essa era sistemato un Corano aperto. Sullo sfondo vi era scritto a grandi lettere: “Duhur dats! Dolhur dats! Dits diyr dats!” (“Non ci spezzeremo! Non piangeremo! Non dimenticheremo!”).
il memoriale appena inaugurato, il 23 Febbraio 1944
Pe la maggior parte dei ceceni il monumento divenne presto non soltanto un memoriale della deportazione, ma un vero e proprio simbolo di rinascita nazionale, un tributo all’indipendenza appena conquistata. Tra il 1994 ed il 1996, e poi ancora dal 1997 al 1999 (dopo essere stato ricostruito a seguito dei danni subiti durante i bombardamenti) il monumento fu il teatro di imponenti manifestazioni, il 23 Febbraio di ogni anno, durante le quali i leaders della repubblica si riunivano per commemorare la tragedia della deportazione e, dopo la Prima Guerra Cecena, per ricordarne i caduti. Qui, infine, le nuove reclute dell’esercito regolare prestavano giuramento alla Repubblica.
LA DEMOLIZIONE
Resti del Memoriale dopo la Seconda Guerra Cecena
Con la seconda invasione di Grozny nell’inverno 1999 il memoriale fu nuovamente danneggiato dai bombardamenti. L’iscrizione sulla parete della struttura fu spazzata via dalle bombe, ma il grosso della struttura rimase in piedi fino al 2008, quando l’autorità civile di Grozny ne decise lo smantellamento “per postare il memoriale in un posto migliore”. La decisione non piacque ai ceceni, che continuarono a raccogliersi davanti al monumento ogni 23 febbraio, nonostante non vi si tenessero più manifestazioni pubbliche. L’attivista per i diritti umani Natasha Estemirova si spese in prima persona in difesa del memoriale, riuscendo a mantenere alta l’attenzione sui progetti di risistemazione e scongiurando la demolizione fino alla sua morte, avvenuta l’anno seguente. Nel 2014, su ordine di Ramzan Kadyrov, i resti della struttura furono smantellati e le lapidi, sbarbate dalle loro sedi, furono risistemate intorno al nuovo Monumento alle le Vittime del Terrorismo, destinato a commemorare i funzionari di polizia caduti contro il movimento insurrezionale islamista dalla la fine della Seconda Guerra Cecena.