“LA VITTORIA E’ UN AUTO – INGANNO”: INTERVISTA A MUSA MERZHUYEV

Musa Merzhuyev è stato uno degli uomini più vicini al primo Presidente della Repubblica Cecena di Ichkeria, Dzhokhar Dudaev. Nato nel 1944, trascorse la maggior parte della sua vita nell’esercito sovietico, dal quale si congedò nel 1991 col grado di Tenente Colonnello dell’aviazione. Messosi a disposizione del governo provvisorio rivoluzionario nel Novembre 1991, fu nominato Colonnello del nascente esercito nazionale ceceno, e posto a capo dello Stato Maggiore appena costituito. Nel Febbraio del ’92 tuttavia, fu rimpiazzato da Viskhan Shakhabov, anch’egli proveniente dai ranghi dell’armata rossa, e nell’Aprile del 1993 fu nominato Rappresentante Presidenziale presso le Forze Armate. Rimase in questa posizione fino allo scoppio delle ostilità, dopodiché divenne rappresentante regionale del Presidente, nel 1995. Rimasto ferito, continuò a supportare le attività delle forze armate secessioniste senza tuttavia poter partecipare alle azioni belliche, a causa di una lesione alla spina dorsale che lo costringeva spesso al riposo forzato.

Con la fine delle ostilità si ritirò a vita privata, non partecipando attivamente alla politica dell’Ichkeria postbellica, né alla successiva Seconda Guerra Cecena. L’intervista che segue fu rilasciata da Merzhuyev nel Giugno del 1997 al quotidiano delle forze armate “Difensore della Patria”. In essa è ben presente la consapevolezza che la “vittoria” dei separatisti è soltanto l’inizio di un percorso di rafforzamento dell’indipendenza che rischia di naufragare da un momento all’altro.

Musa Merzhuyev (a sinistra in uniforme) assiste ad una parata militare nell’anniversario dell’indipendenza. In quel momento Merzhuyev ricopriva il ruolo di Rappresentante del Presidente presso lo Stato Maggiore delle Forze Armate.

Musa, com’è iniziata la guerra russo – cecena?

Non si può dire che la guerra russo – cecena sia iniziata nel 1992, quando le unità militari russe hanno marciato attraverso l’Inguscezia, né che sia iniziata il 26 Novembre 1994 o l’11 Dicembre 1994. La guerra russo – cecena va avanti da oltre quattrocento anni. L’8 Novembre 1991 iniziò un altro round (della guerra, ndr.) quando Boris Eltsin inviò un reparto a Khankala, dichiarando lo Stato di Emergenza nella nostra Repubblica. Dzhokhar Dudaev allora agì con decisione, ma con prudenza e prontezza, ed i generali Gafarov e Komissarov valutarono con sobrietà la situazione nella repubblica e si ritirarono. Ecco perché allora non fu versato sangue. Il nostro paese si è poi trasformato in un grande campo militare. Il Presidente introdusse la Legge Marziale in risposta alle azioni di Eltsin.

Dopo aver subito una sconfitta con il ritiro del reparto, Mosca dichiarò alla Cecenia una guerra di propaganda, una guerra economica, politica, dei trasporti, con attacchi terroristici mirati. Il governo centrale allora non aveva un piano per affrontare la guerra: il presidente Dudaev sperava di riuscire a negoziare con Mosca. E’ vero, avevamo abbozzato un piano per la difesa della Repubblica. Ma il presidente non si è mai posto il compito di redigere un piano per condurre una guerra, elaborammo soltanto un piano per la difesa della CRhI in caso di aggressione da parte della Russia. Sapevamo che la Russia aveva iniziato a preparare un piano per la conquista totale della Cecenia. E al Cremlino avevano trovato un motivo conveniente: la restaurazione dell’ordine costituzionale, per la quale erano stati costituiti gruppi d’assalto guidati da Kvashnin. Il compito dei generali russi era quello di intimidire i ceceni con armate di carri armati. Nella fase iniziale l’enfasi era posta tutta sulle colonne corazzate.

Blindato delle forze armate separatiste schierato davanti al Palazzo Presidenziale

Il presidente Dudaev aveva dato l’ordine di costituire un esercito efficiente, ma per ragioni oggettive un tale obiettivo non era raggiungibile. C’erano troppe persone che volevano una poltrona. E questo era pericoloso. Il presidente Dudaev scommetteva sulla possibilità che le contraddizioni tra la Russia e la Repubblica Cecena sarebbero state risolte con mezzi pacifici. Questo è un tratto nazionale del popolo ceceno. Anche il partito filorusso di Zavgayev voleva questa guerra, e quanto ad Avturkhanov e Khadzhiev, loro erano semplici esecutori della volontà del partito della guerra. Il 26 novembre le truppe russe portate da Avturkhanov e Gantemirov, che erano usate come scudo dai servizi speciali russi, condussero un’incursione in forze, con l’obiettivo di catturare la Capitale e rovesciare il legittimo presidente della ChRI. Dopo il fallimento dell’assalto, la Russia emise un ultimatum chiedendo ai ceceni di deporre le armi e riconoscere la Costituzione della Federazione Russa. Ma ancora a questo punto Dudaev sperava nella pace ed accettò di tenere negoziati con il Ministro della Difesa russo, Pavel Grachev, e con la delegazione russa a Vladikavkaz. Il 26 Novembre 1994 le unità russe entrarono a Lomaz – Yurt, ma ancora una volta Dudaev sperò nella pace. Ma il Cremlino la pensava diversamente: il problema ceceno doveva essere risolto con la forza.

L’invasione del nostro paese è stata effettuata da tre lati (o direzioni): Mozdok, Khasvyurt, Nazran. Era previsto che il gruppo ausiliario si sarebbe spostato dal lato di Stavropol attraverso le regioni di Shelkovsky e di Naursk. Ma con l’inizio delle ostilità fu il fronte di Khasavyurt a diventare ausiliario, mentre quello di Shalkovsky – Naursk divenne il principale.

Sarebbe interessante conoscere le tue valutazioni riguardo l’ultima guerra…

Durante la Guerra Russo – Cecena, tutte le operazioni furono sviluppate da Aslan Maskhasov e io ero, per così dire, di riserva. E’ vero, ho cercato di fornire assistenza in modo indipendente al Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate della ChRI. Ma l’intero fardello del lavoro ricadde su Aslan Maskhadov e sul Comandante del Comando Centrale, Valid Taymaskhanov. E’ da notare che lo Stato Maggiore delle Forze Armate della ChRI svolse un ruolo di primo piano nel consolidamento di tutti i distaccamenti delle milizie popolari. Aslan Maskhadov si dimostrò un talentuoso organizzatore ed un combattente senza paura. Durante la guerra, ho subito una lesione alla colonna vertebrale, fui impegnato nella costituzione del quartier generale del Fronte Sud – Occidentale (comandante, Ruslan Gelayev) per conto del Presidente fino al 6 Marzo 1995, dopodiché fui evacuato per curarmi. Al mio ritorno, e fino al nuovo insorgere della malattia operai a Bamut, ma non potei fornire aiuto pratico a causa del mio stato di salute.

Riguardo Dudaev?

Dzhokhar Dudaev aveva un talento eccezionale come organizzatore, aveva la capacità di infiammare le persone, di far loro capire quanto era giusto fare quello che chiedeva. Nei tempi difficili non si perse mai d’animo. Si fidava di Maskhadov, di Gelayev, di Basayev, conosceva bene le qualità di ciascuno di loro.

L’ultima volta che ho visto il Presidente è stato nell’Ottobre 1995 a Starye Achkhoy, ma rimasi in contatto con lui tramite intermediari fino al Marzo 1996, quando tramite un messaggero gli inviai un rapporto sull’assegnazione dei fondi per le cure mediche. Non ebbi risposta, per le ragioni note a tutti.

Dzhokhar Dudaev (sinistra) e Aslan Maskhadov (destra) nel 1995

Riguardo ai mercenari?

Nella Guerra Russo – Cecena non un solo mercenario ha combattuto dalla parte del popolo ceceno, non c’erano “calzamaglie bianche”. C’erano volontari che difendevano la nostra indipendenza. Non c’erano molti tagiki, karakalpak, tartari, cabardini, abkhazi, daghestanu, kharachais, ucraini, baltici. Un fatto che racconto adesso è rimasto inosservato: vicino a Mozdok circa 300 ragazzi cabardini disarmarono i russi e si mossero per aiutarci, ma non riuscirono a passare. Furono circondati dai russi e fatti prigionieri. Ad oggi, il loro destino è sconosciuto. Alcuni cabardini, azeri e karachais presero parte alla Battaglia per Bamut.

Tutto il popolo ceceno ha combattuto contro il nemico. Una volta un anziano abitante di Gekhi portò tre figlie e sua sorella con sé. Il villaggio di Gekhi è noto in tutto il nostro paese per il fatto che a metà del XIX secolo la coraggiosa ragazza Taimaskha comandò un distaccamento di combattenti contro le truppe zariste.

L’Operazione Jihad

L’operazione del 6 Agosto 1996 è stata organizzata al massimo livello. Piccoli distaccamenti di milizie hanno bloccato la guarnigione di Grozny. Nella storia della guerra e dell’arte militare questa operazione non ha eguali. Fu il coronamento delle capacità di leadership militare di Maskhadov e dei suoi associati Shamil Basayev, Ruslan Gelayev e molti altri coraggiosi e intrepidi comandanti delle forze armate della ChRI. Nella sua organizzazione venne presa in considerazione la mentalità del combattente ceceno. Agli occhi del nemico, ogni soldato ceceno si è trasformato in mille uomini.

Quali sono le lezioni impartite dalla Guerra Russo – Cecena?

Dire che in questa guerra abbiamo sconfitto la Russia è impossibile, è un autoinganno. Non puoi mentire alla tua gente. Non possiamo illuderci. La Russia, dopo aver ricevuto un duro colpo, sta traendo le sue conclusioni e riorganizzando le forze, cosa che noi, invece, non stiamo ancora facendo. Se vogliamo ottenere e rafforzare l’indipendenza, dobbiamo creare un esercito regolare, mettendo particolare attenzione alle difese antiaeree e anticarro.

In questa guerra il soldato russo, invasore, ha mostrato le sue qualità più vili, mentre il combattente ceceno, difensore e liberare, le sue qualità più nobili. I soldati del nostro esercito devono coltivare proprio queste qualità di alto umanesimo.

Miliziani separatisti festeggiano la presa di Grozny (Agosto 1996)

Il modo in cui i soldati russi si sono comportati con prigionieri e civili è noto a tutto il mondo. I soldati russi hanno persino trasformato i cimiteri in latrine, costruire strutture difensive dentro le chiese. Hanno bruciato e ucciso prigionieri e civili, scaricato cadaveri e feriti dagli elicotteri. I regolamenti militari dovrebbero tenere conto sia del passato che del presente, fare affidamento sui tratti spirituali e nazionali del popolo ceceno. Gli ufficiali possono e devono essere formati nel nostro paese, ma anche negli Stati Uniti, in Germania, Francia, Cina. E della questione deve occuparsi lo Stato Maggiore delle Forze Armate della ChRI. L’armamento del nostro esercito non dovrebbe dipendere dalla fornitura di armi estere. Non dobbiamo dipendere dalla fornitura di armi dall’esterno. Dobbiamo creare una nostra industria militare, solo allora il nostro esercito sarà pronto per il combattimento e veramente indipendente del condurre operazioni militari.

GLI AMBASCIATORI DI ICHKERIA – QUINTA PARTE

DIPLOMAZIA DI GUERRA

Lo scoppio della Seconda Guerra Cecena vanificò le speranze del governo di Grozny di veder riconosciuta l’indipendenza della Cecenia. Con l’inizio delle operazioni militari l’esercito russo blindò i confini terrestri e lo spazio aereo, impedendo al governo di Maskhadov ed al Parlamento di comunicare efficacemente con le loro rappresentanze all’estero. Per ovviare alle prevedibili difficoltà logistiche, Maskhadov aveva inviato fin dal novembre del 1999 alcuni suoi uomini di fiducia in Europa e negli Stati Uniti. Tra questi vi erano il Ministro degli Esteri Ilyas Akhmadov, il Ministro della Sanità, Umar Khambiev, nominato rappresentante personale del presidente in Europa, il Ministro della Cultura e dell’Informazione, Akhmed Zakayev, l’ex presidente del Parlamento “epurato” da Dudaev nel 1993, Akhyad Idigov (rieletto parlamentare nel 1997 e Presidente della Commissione Esteri), Usman Ferzauli, inviato a Copenhagen, e Mairbek Vatchagayev, rappresentante del Presidente a Mosca. Questo network di funzionari governativi avrebbe dovuto riuscire a costruire una rete di contatti in grado di mantenere sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo il tema della guerra in Cecenia, di acquisire sponde per stimolare i governi occidentali e le organizzazioni internazionali a compiere passi concreti per costringere Putin a sedersi ad un tavolo negoziale e fermare la guerra. Alcuni di loro, molti anni dopo, hanno raccontato il loro lavoro in libri di memorie. La traccia più precisa e puntuale è fornita dall’allora Ministro degli Esteri Akhmadov, che in due opere, “The Chechen Struggle” e “Secret Wartime Diplomacy” racconta l’attività svolta in quel difficile contesto. Il metodo con il quale il presidente, non potendo comunicare direttamente con i suoi funzionari a causa del blocco delle telecomunicazioni imposto dalla Russia, riusciva a far pervenire i suoi messaggi, era ingegnoso ma molto articolato. Scrive Akhmadov:

Ilyas Akhmadov, ultimo Ministro degli Esteri del Governo Maskhadov, rappresentò la Repubblica Cecena di Ichkeria all’estero fino all’Agosto del 2005, quando il nuovo Presidente Abdul Khalim Sadulayev licenziò tutte le rappresentanze della ChRI all’estero. Oggi vive negli Stati Uniti. (Photo by Alex Smailes/Sygma via Getty Images)

“Uno dei grandi problemi […] erano le comunicazioni. Nei primi mesi di guerra […] sapevamo che le conversazioni sarebbero state monitorate. Ricordavamo come il Generale Dzhokhar Dudaev fu ucciso mentre usava un telefono satellitare. Maskhadov sapeva benissimo che sarebbe stato un bersaglio dei russi. Se avesse usato un telefono satellitare, poco dopo i russi avrebbero lanciato un bombardamento d’artiglieria in direzione della sua posizione triangolata. Alla fine decise di non utilizzare ulteriormente questi telefoni […] e di impiegare il più primitivo ma affidabile metodo di spedizione tramite corriere. […] Il modo in cui funzionava questo sistema di comunicazione era il seguente: Maskhadov aveva organizzato una rete di corrieri per la raccolta di informazioni. Un gran numero di corrieri erano donne perché erano sottoposte ad un controllo più blando ai posti di frontiera rispetto agli uomini. Il corriere doveva prima di tutto riuscire ad uscire dalla zona di guerra, raggiungendo generalmente Baku, in Azerbaijan, con delle cassette registrate. […] Il corriere spesso doveva aspettare settimane perché si “aprisse una finestra”. Avrebbe dovuto aspettare che il controllo russo si indebolisse e poi avrebbe dovuto capire come andare dal punto A al punto B. Dipendeva da molti fattori. Naturalmente questo ha causato problemi quando avevi bisogno di una risposta rapida al tuo messaggio […]. Non era un sistema che funzionava come un orologio, e c’erano spesso interruzioni inaspettate. Ma questo era l’unico mezzo nelle condizioni di controllo totale, monitoraggio telefonico totale, controllo di tutte le strade che portavano fuori dalla Cecenia ed all’interno della Cecenia.”

Akhmadov era riuscito ad uscire dal Paese prima che i confini fossero completamente sigillati. Per prima cosa cercò di raggiungere l’Europa. Dovette prima volare a Baku, poi ad Istanbul, e da lì mettersi a cercare un consolato che gli garantisse un visto per volare in Occidente. Ci volle un bel po’ prima che il consolato olandese, dopo lunghe perorazioni, autorizzasse Akhmadov a volare ad Amsterdam. Una volta in Olanda Akhmadov riuscì ad ottenere un’audizione al parlamento, grazie all’intercessione dell’associazione umanitaria Pax Christi. Uno dei segretari, Egbert Verseling, riuscì poi a metterlo in contatto con il Comitato Americano per la Pace in Cecenia, un’associazione di volontari che combatteva per la tutela dei diritti umani dei cittadini ceceni. Grazie a quell’invito Akhmadov poté raggiungere Washington nel gennaio del 2000, dove incontrò rappresentanti del Senato e della Camera dei Rappresentanti tra i quali John McCain, Chuck Hagel e Paul Wellstone. Il Senato americano adottò una serie di risoluzioni nelle quali si esprimeva preoccupazione per gli eventi in Cecenia, ed Akhmadov fu invitato ad in ciclo di conferenze nelle università americane.

LE INTERFERENZE DEI RADICALI

Fu alla prima di queste conferenze che si rese conto che la corrente fondamentalista della resistenza aveva un proprio “Ministro degli Esteri” non autorizzato. Mentre lui e gli altri volavano in Occidente, infatti, Zelimkhan Yandarbiev, ex Presidente della Repubblica pretoriano del defunto Dudaev, era volato in Afghanistan a cercare il riconoscimento da parte dei Talebani. Durante la sua prima conferenza pubblica, alla John Hopkins University di Washington, dal pubblico giunse la domanda: “Come vedi il fatto che il tuo governo ha fatto un’alleanza con i talebani?”. Akhmadov non sapeva niente di tutto questo e rispose che non ne era informato, e che se fosse stato così probabilmente era a causa del destino comune che i due popoli avevano affrontato durante l’occupazione russa. Akhmadov chiamò Maskhadov e gli chiese: “Hai inviato Yandarbiev dai Talebani alle mie spalle? Questo è un casino totale!” Maskhadov rispose che era al corrente del fatto che Yandarbiev era in Afghanistan, ma che non aveva dato alcun ordine di aprire canali diplomatici ufficiali. In sostanza, Yandarbiev, che non era un signore della guerra ma soltanto uno stimato politico, l’unico che fosse ancora in piedi dall’inizio della rivoluzione cecena, era diventato una sorta di “inviato” presso i movimenti islamici e gli stati del Medioriente e dell’Asia Centrale, rivendicando una sua propria politica personale. Qualcosa di simile a quello che stava facendo Ugudov, che dopo essere stato licenziato dal Ministero degli Esteri nel 1998 aveva svolto il ruolo di regista dell’informazione del Congresso dei Popoli di Cecenia e Daghestan, aveva sponsorizzato l’invasione dei wahabiti e poi, una volta fuoriuscito, aveva continuato ad animare il sito Kavkazcenter.org e da lì la propaganda islamista nel Caucaso. Il riconoscimento della Repubblica Cecena di Ichkeria da parte dei Talebani fu il primo e l’unico da parte di un governo indipendente, e fu controproducente dal punto di vista politico. Yandarbiev non era stato inviato in Afghanistan da Maskhadov, ma questi dovette accettare il fatto compiuto e cercare di trarre il massimo profitto dal nuovo legame diplomatico stabilito. Il fatto era che lo stesso Emirato di Afghanistan a guida talebana era riconosciuto da appena tre paesi: Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Zelimkhan Yandarbiev guida una preghiera pubblica dietro un’immagine di Dzhokhar Dudaev

Nessun governo occidentale avrebbe visto la sponsorizzazione dei talebani come uno stimolo a prendere le parti dei ceceni ed anzi, alla luce di quanto sarebbe successo l’11 settembre del 2001, con l’attentato terroristico al World Trade Center e l’inizio della guerra globale al terrorismo, l’accostamento ai Talebani sarebbe stato un colossale boomerang. Dopo il rientro dagli USA, Akhmadov si recò a cercare l’appoggio degli stati europei. Nel marzo del 2000 ebbe contatti con l’allora presidente del Parlamento Europeo, Nicole Fontaigne, con gli esponenti delle principali fazioni politiche, ed insieme ad altri deputati ceceni esuli riuscì a convincere l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa  (PACE) a votare una mozione per estromettere la Russia fintanto che la guerra in Cecenia fosse continuata.Secondo quanto racconta Akhmadov, la prima prova diplomatica importante fu proprio l’incontro del PACE. In quell’occasione Akhmadov riuscì a convincere l’assemblea ad adottare una risoluzione di condanna alla Russia ci fu e questo aprì un dibattito di alto livello tra le istituzioni europee ed il Cremlino. Putin non poteva ignorare i rapporti con l’Unione Europea, che insieme agli Stati Uniti era la principale fonte di prestiti per le sue disastrate finanze. Così il presidente russo inviò i suoi parlamentari a trattare con il PACE, proponendo ai membri dell’Assemblea di partecipare alla scrittura di una nuova Costituzione cecena che ricomponesse il conflitto e riportasse la pace nel paese.

La proposta muoveva dalla presunzione di considerare quello che stava succedendo in Cecenia come il frutto di una guerra civile tra una fazione filorussa ed una indipendentista. Questa visione delle cose presentava il Cremlino non come una delle parti in causa, ma come il mediatore di un conflitto che era andato fuori controllo, e che si sarebbe risolto soltanto quando le anime moderate del nazionalismo ceceno avessero ritrovato la concordia. I governi europei videro di buon grado la soluzione proposta da Putin, interpretando la visione di una guerra civile come la più realistica e rifiutandosi di riconoscere per intero le ragioni dei rappresentanti della ChRI. Fu un vero disastro per Maskhadov: tutti gli sforzi fatti per ottenere sponde dall’occidente naufragarono nella disponibilità dell’Occidente a sacrificare l’indipendenza della Cecenia.

IL “PIANO AKHMADOV”

Akhmadov si dette alla ricerca di personalità pubbliche che sponsorizzassero qualsiasi soluzione alternativa. Tra il 2001 ed il 2003 propose di fare della Cecenia un protettorato sotto mandato delle Nazioni Unite per un periodo di 10 o 15 anni, durante i quali il paese sarebbe stato ricostruito e le istituzioni democratiche sarebbero state implementate, sul modello di quanto stava succedendo in Kosovo ed a Timor Est. Maskhadov avrebbe rassegnato le sue dimissioni, l’esercito russo si sarebbe ritirato e le forze armate cecene avrebbero smobilitato. Una volta che la situazione si fosse stabilizzata e le istituzioni democratiche avessero iniziato a funzionare sotto la protezione delle forze armate dell’ONU, nuove elezioni avrebbero portato alla costituzione di una Cecenia indipendente. Il piano era di difficile attuazione, perché avrebbe dovuto passare dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del quale la Russia faceva parte, e difficilmente il Cremlino avrebbe accettato la presenza di forze di pace entro quelli che considerava i propri confini. Un segnale incoraggiante comunque giunse da Putin, che in relazione al piano proposto rispose: “Oggi la questione dell’indipendenza o meno della Cecenia dalla Russia è assolutamente non di fondamentale importanza. Ciò che è di fondamentale importanza per noi è soltanto una questione. Non vogliamo permettere che questo territorio venga usato ancora una volta come testa di ponte per un attacco alla Russia.”

Putin visita la Cecenia durante la seconda invasione del paese

In questi termini, Putin poteva essere teoricamente disponibile a congelare nuovamente la questione dell’indipendenza in cambio della completa smilitarizzazione della Cecenia. Il piano venne sottoposto a Maskhadov qualche settimana dopo, sponsorizzato dallo scrittore francese Andrè Glucksmann e dal politico belga Olivier Dupuis, che si dissero disponibili a farsene relatori presso le autorità europee ed all’ONU. Esso tuttavia era debole per due motivi: prima di tutto la Cecenia non era come il Kosovo perché la Russia non era come la Serbia, né in fatto di peso politico, né in fatto di rapporti con l’occidente. In secondo luogo, come spiegò Maskhadov nella sua risposta alla proposta di Akhmadov, “La mentalità della resistenza cecena era sempre più religiosa e sempre più frustrata rispetto all’Occidente ed alla democrazia, rispetto a quanto non fosse durante la prima guerra. […] dovete capire che quello che la gente vede riguardo alle democrazie occidentali sono dichiarazioni preoccupate di routine, gestualità vuote, che irritano soltanto la gente. Dovete capire che questo è tutto quello che hanno visto di codeste democrazie”. Maskhadov confidò che non sarebbe riuscito a tenere insieme il fragile fronte indipendentista se un simile piano fosse stato sponsorizzato da lui. In particolare, una simile soluzione avrebbe messo la resistenza in rotta di collisione coi suoi finanziatori, che erano per lo più comunità religiose mediorientali le quali mai avrebbero supportato finanziariamente un movimento che andava a braccetto con l’ONU, vista dai più come una sovrastruttura al servizio del potere occidentale. Rispose quindi che il piano poteva essere presentato, ma come una iniziativa personale di Akhmadov e dei suoi amici, e non come un documento ufficiale della ChRI. Anche all’interno di ciò che restava della gerarchia repubblicana, il dibattito sul piano fu acceso ed i funzionari non riuscirono a trovare un accordo.  Laddove Umar Khambiev, Ministro della Sanità ed inviato personale di Maskhadov in Europa, appoggiò entusiasticamente il piano, Akhyad Idigov, ex Presidente del Parlamento dudaevita, lo attaccò pesantemente accusando Akhmadov di voler vendere l’indipendenza della Cecenia e di attentare alla costituzione. Akhmadov propose il piano in via personale nel marzo 2003, ma proprio in quei mesi iniziò la seconda invasione americana dell’Iraq, e la questione cecena finì nelle ultime pagine dei giornali. Olivier Depuis raccolse comunque le firme per presentare il piano alle Nazioni Unite, e per la metà del 2003 ne aveva già raccolte 30.000. L’azione di Depuis, che era un deputato del Partito Radicale Transnazionale, avrebbe portato, nel febbraio del 2004, il Parlamento Europeo a varare una risoluzione nella quale per la prima volta si riconosceva la deportazione dei ceceni del 1944 come “genocidio”, ma oltre all’adozione di questa risoluzione, non ci sarebbe stato altro di politicamente rilevante.

L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE)

LA GUERRA AL TERRORISMO

In ogni caso la discussione del “Piano Akhmadov” non riuscì neanche a decollare, giacché l’11 settembre 2001 Osama Bin Laden lanciò il suo attacco terroristico agli Stati Uniti. Da quel momento il timore del terrorismo islamico si impadronì delle società occidentali, ed anche i secessionisti ceceni finirono per essere considerati parte del fenomeno. Come scrive Akhmadov: “Le cose sono cambiate radicalmente dopo l’11 settembre 2001, quando la maggior parte delle persone in Occidente, e certamente la maggior parte dei governi, ha iniziato a guardarci attraverso la lente dell’antiterrorismo. Il pretesto che l’uccisione di massa di civili ceceni da parte della Russia abbia contribuito alla guerra contro il terrorismo ha permesso all’Occidente di mantenere stretti rapporti con la Russia e di assolvere la sua coscienza collettiva ignorando le atrocità. Vedere questa guerra come uno dei fronti di guerra contro il terrorismo globale ha liberato l’Occidente dai suoi obblighi al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale nei suoi rapporti con la Russia.”. La resistenza cecena, che per parte sua aveva compiuto atti di terrorismo e che, radicalizzandosi, aveva assunto i turpi connotati del fanatismo religioso, fu pesantemente colpita dai nefasti effetti dell’azione di Al Qaeda, che gli alienarono completamente le simpatie dell’occidente, fatta eccezione per qualche giornalista, qualche associazione umanitaria e qualche uomo politico di scarso peso. Le autorità russe si resero conto di avere campo libero nel portare a termine la loro invasione e chiusero a qualsiasi negoziato che potesse portare anche soltanto ad una tregua. 

La prima conseguenza di questo nuovo cambio di prospettiva fu un’ulteriore stretta sugli agenti diplomatici della repubblica, che si trovarono ovunque in difficoltà per ottenere i visti per raggiungere le loro destinazioni. Ilyas Akhmadov: “Il mio bisogno più elementare era quello di ottenere i visti per entrare nei vari stati, ma ogni richiesta era una battaglia. Anche la logistica era complicata, senza considerare il fatto che non avevamo ambasciate, o personale, o coordinamento tra i rappresentanti. I rappresentanti dei governi stranieri ci incontrarono, normalmente in veste personale, e ci fu permesso di partecipare ai forum internazionali, ma normalmente senza il diritto di parola o di voto.” Il secondo importante problema era determinato dal fatto che molti comandanti di campo ed alcuni dei principali inviati del governo (reali o auto dichiarati) erano fermamente contrari all’apertura di negoziati perché, a differenza di Maskhadov, continuavano a nutrire il sogno di uno stato islamico. Secondo uomini come Ugudov, Yandarbiev, ma anche Basayev e Khattab la guerra non soltanto non doveva finire, ma doveva valicare i confini della Cecenia e trasformarsi in una vera e propria insurrezione islamica, dalla quale sorgesse un Emirato Islamico del Caucaso, sulla falsariga di quanto successo in Afghanistan. In questa ottica qualsiasi accordo di pace con la Russia avrebbe soltanto allontanato il risultato politico auspicato, e pertanto la guerra doveva continuare, come e più forte di prima.

L’INSURREZIONE ISLAMICA

 Di questo progressivo scollamento tra Maskhadov ed i suoi gruppi più agguerriti si ha traccia nelle audio lettere che il presidente inviava al Ministro degli Esteri, nelle quali si riferiva a numerose riunioni con Basayev ed a piani per una nuova invasione di Grozny ai quali il comandante di campo faceva resistenza passiva, rimandando gli incontri operativi e rifiutandosi di mettere in pratica operazioni militari che in qualche misura potessero costringere i russi a riaprire i negoziati. In uno di questi audio messaggi diceva: “Dunque, riguardo Basayev.  Gli ho fatto visita quattro volte ed ho cercato di convincerlo: “Lascia tutto da parte, lascia queste politiche ed il passato da parte. Battiamo insieme i russi! Ecco il nemico, ecco l’avversario: battiamolo! […] Voglio riprendermi la città [Grozny], voglio entrare in città. […] Di quanti combattenti hai bisogno? 500? 1000? Ordinerò una pronta preparazione. Quando entrerai, sarà necessario attuare tattiche diversive in qualche altro posto e io le preparerò.” Quindi abbiamo deciso. Passarono tre o quattro mesi con la promessa di attaccare domani, dopodomani, e non ne uscì nulla. Poi disse che non riusciva a comunicare, e così via, così via. Poi ho capito che nelle sue espressioni c’erano pensieri del tipo: “Non dobbiamo sbrigarci, dobbiamo prendere tempo. Non è vantaggioso per la Russia portare avanti questa guerra, la Russia sì è indebolita. Dobbiamo risparmiare le nostre forze.” Non sono d’accordo con un simile approccio. In che senso non sono d’accordo? Non possiamo prendere tempo. Se iniziamo a prendere tempo, loro [i governi occidentali] si dimenticano di noi e poi diventa più difficile per te parlare laggiù, diventa più difficile per me. Abbiamo un’opportunità al cento percento di colpire in qualche posto almeno una volta al mese, e di fare molto rumore al riguardo. Ma il comportamento di questi comandanti mi suggerisce che vogliono trascinare avanti questa guerra con qualsiasi mezzo.”

Basayev e Maskhadov: nella foto c’è tutta la loro reciproca frustrazione

GLI AMBASCIATORI DI ICHKERIA – quarta parte

LA POLITICA ESTERA DI ASLAN MASKHADOV

1997 – 1999

Convinto di aver archiviato, almeno per il momento, le problematiche interne, il governo ceceno riattivò i contatti con la Russia e programmò una serie di visite internazionali volte ad aprire canali di riconoscimento estero. L’opinione pubblica occidentale aveva simpatizzato per i separatisti durante la guerra, anche se nessun governo aveva mai fatto passi concreti per supportare la Repubblica Cecena di Ichkeria. Le rivendicazioni dei governi dei paesi sviluppati si erano limitate alle violazioni dei diritti umani compiuti dall’esercito federale ed a generiche richieste di interrompere lo stato di guerra. Bill Clinton, allora Presidente degli Stati Uniti, aveva più volte fatto appello ad Eltsin affinché intavolasse negoziati con i separatisti per porre fine ai combattimenti, ma non aveva mai preso seriamente in considerazione la questione politica alla base del conflitto, né aveva mai minacciato sanzioni in cambio del riconoscimento di una Cecenia indipendente. Maskhadov pensò che, ora che la Repubblica Cecena di Ichkeria godeva dell’autogoverno, l’atteggiamento dei governi occidentali avrebbe potuto essere diverso.

Aslan Makhadov posa nell’ufficio presidenziale

A fine luglio Maskhadov si incontrò a Nazran con il nuovo Primo Ministro della Federazione Russa Kirienko. L’incontro non produsse nulla di determinante, ma Kirienko ribadì l’impegno della Russia a partecipare alla ricostruzione del paese. Il primo effetto di questo incontro fu la riapertura di una rotta internazionale dall’aeroporto di Grozny, gestito dalla compagnia privata Ross – Avia. Kirienko promise di trasferire i fondi necessari al completo ripristino dell’aeroporto, pesantemente bombardato durante la guerra. Durante il nuovo round di negoziati Kurin rispose alle critiche rivolte a Mosca dal governo ceceno, secondo le quali i conferimenti promessi sarebbero arrivati in ritardo ed a singhiozzi, impedendone un impiego coerente da parte del governo ceceno. Kurin ripose che non c’era alcun programma credibile di ricostruzione, e che per questo lo stanziamento dei fondi era difficile se non impossibile. Aggiunse anche che la Federazione Russa aveva conferito 800 milioni di rubli al bilancio ceceno tra denaro e rifornimenti di elettricità e gas. 235 milioni di questi erano stati corrisposti in pensioni, 41,3 per il ripristino delle strade. Mosca aveva finanziato la ricostruzione del teatro drammatico e del cementificio di Chiri – Yurt, assegnato 80 abitazioni prefabbricate per i residenti delle aree montane, acquistato attrezzature per il Ministero della Sanità e dell’Istruzione, pagato il trattamento di 1600 malati ceceni nelle cliniche russe, ed il ricovero di 340 bambini. Citò inoltre un decreto del 1° dicembre firmato dal Premier Primakov per lo stanziamento di corposi fondi per il ripristino delle strutture industriali e produttive del paese, la fornitura di macchine agricole e di materiali da costruzione, e la disponibilità di costituire una zona economica “speciale” in Cecenia per attrarvi investimenti. Inoltre confermò l’impegno della Russia a stanziare due miliardi di rubli per l’anno 1999 nel programma di ricostruzione della Cecenia. 

GLI IRRIDUCIBILI “REMANO CONTRO”

Dal canto suo, la Cecenia mancava di una politica e di un atteggiamento coerente verso la Russia. Maskhadov ed i suoi plenipotenziari dichiaravano di voler collaborare con Mosca, ma molti esponenti del suo governo si sperticavano in violente dichiarazioni antirusse. Il Direttore del Servizio di Sicurezza Nazionale Khultygov, fratello del defunto predecessore, in una conferenza stampa a Grozny dichiarò che le autorità russe stavano preparando un’esplosione nucleare sotterranea nella ex base militare di Bamut per provocare un terremoto nel paese. Affermazioni del genere, oltre ad essere assurde, alimentavano la polemica tra le due parti, inficiando il buon esito dei negoziati. Alle dichiarazioni incendiarie dei politici ceceni si aggiungeva la Procura della Repubblica, la quale insisteva nel voler citare la Russia per i crimini di guerra durante il conflitto, inondando il Tribunale Internazionale dell’Aja di richieste di apertura di processi contro generali, colonnelli e soldati semplici dell’esercito federale in un momento nel quale, forse, sarebbe stato il caso di fermarli.

Aslan Maskhadov si avvia a presiedere la prima riunione del Gabinetto dei Ministri

Nel frattempo Maskhadov viaggiava all’estero, tentando di conquistarsi il favore di qualche Ministro degli Esteri. Un primo accordo venne raggiunto con gli Emirati Arabi. Riguardava l’apertura di una rotta aerea con un volo charter di linea, in ordine a favorire i pellegrinaggi dei fedeli ceceni nei luoghi santi dell’Islam.  Ai primi di Agosto Maskhadov iniziò un giro di visite negli Stati Uniti, in occasione della Seconda Conferenza Internazionale dell’Unità Musulmana, alla quale parteciparono le autorità religiose di 25 paesi islamici. La visita fu un successo, e Maskhadov venne accolto con tutti gli onori, venendo addirittura nominato presidente onorario dell’organizzazione. Il 9 agosto, al termine della conferenza, funzionari della Banca Islamica Mondiale firmarono con Maskhadov un accordo di partenariato per aprire una succursale in Cecenia. A latere della Conferenza il presidente ceceno incontrò alcuni funzionari dell’amministrazione Clinton. Il 7 agosto tenne una conferenza stampa a Washington, dichiarandosi pronto a coinvolgere gli Stati Uniti in un negoziato trilaterale con la Russia. Le visite ripresero in ottobre, con la visita di Maskhadov in Polonia per partecipare alla Conferenza Internazionale sui Diritti Umani. La conferenza, le cui cronache furono trasmesse in tutto il mondo, fu un grande risultato politico per Maskhadov, che incassò il voto quasi unanime di una risoluzione nella quale si concordava sula necessità di riconoscere la piena indipendenza della Repubblica Cecena di Ichkeria.  In quell’occasione Maskhadov incontrò il Primo Ministro polacco ed alcuni leader politici e sindacali. A seguito tenne una conferenza stampa nella quale si disse fiducioso di poter costruire la pace con la Russia a partire dal Trattato del maggio 1997.

Maskhadov in posa al termine del Congresso dell’Unità Islamica a Washington, Stati Uniti

Sulla via del ritorno si fermò a Baku per congratularsi con il presidente Aliyev, appena eletto alla carica. Contemporaneamente una delegazione dalla Malesia, dove Maskhadov aveva aperto un ufficio di rappresentanza guidato da suo figlio Anzor, visitò la Cecenia, venendo accolta con tutti gli onori nell’edificio del teatro appena restaurato. Infine il Presidente si recò in Inghilterra. A Londra la delegazione cecena organizzò un ricevimento al quale parteciparono decine di parlamentari della Camera dei Lord e della Camera dei Comuni. Fu un discreto successo, anche se di carattere informale. In particolare fu importante la presenza dell’ex Primo Ministro Margaret Thatcher, che accettò di cenare con Maskhadov. Il suo interesse tuttavia era focalizzato per lo più sulla questione dei rapimenti.  In quei mesi si era verificato il rapimento dei quattro tecnici della Granger Telecom di cui abbiamo già parlato, e durante la cena l’argomento tenne banco praticamente sempre. Vatchagaev, che era presente all’incontro, riporta: “Non importa quale argomento introducesse Maskhadov, lei [La Thatcher, ndr] concludeva dicendo: “Deve ammettere, Signor Presidente, che i cittadini della Gran Bretagna devono essere trovati”. […] Salutandosi, si voltò verso Maskhadov con un sorriso e disse: “Il vostro paese è davvero piccolo, sono sicuro che potete trovarli, Signor Presidente.”

Maskhadov posa a fianco dell’ex Primo Ministro britannico Margaret Thatcher. A destra Khozh .Akhmed Nukhaev, ex Viceprresidente del Gabinetto dei Ministri, all’epoca Consigliere Presidenziale e promotore di un progetto transnazionale volto alla costituzione di un mercato di libero scambio caucasico.
Aslan Maskhadov tiene una conferenza stampa a Londra, 13/03/1998

LE MISSIONI PARLAMENTARI

Anche il Parlamento di seconda convocazione, costituito a seguito delle elezioni del Gennaio – Febbraio 1997, portò avanti una politica estera attiva, volta a presentare la Repubblica Cecena di Ichkeria come uno Stato funzionante e desideroso di aprire canali diplomatici ufficiali con il mondo occidentale. I principali artefici di questa azione furono il Presidente del Parlamento, l’ex comandante di campo Ruslan Alikhadzhiev, ed il Presidente della Commissione parlamentare Affari Esteri, ex Presidente del Parlamento di prima convocazione, Akhyad Idigov. Delegazioni parlamentari visitarono i paesi baltici, dove si intrattennero con alcune tra le massime autorità dei governi locali, raggiunsero la Polonia, l’Ucraina e la Germania. Da quì Alikhadzhiev giunse ad incontrare le autorità della Regione Autonoma italiana del Trentino Alto Adige, intrattenendo colloqui con l’allora governatore Luis Durnwalder.

Da sinistra a destra: il Presidente della Lituania Seimas Vytautas Landsbergis, il Deputato dell’APCE Ernst Muleman, il Deputato del Parlamento della CRI Akhyad Idigov e rla appresentante della CRI in Lituania Aminat Saieva, 20.08.1999
La delegazione parlamentare cecena posa con alcuni alti funzionari della Regione Autonoma del Trentino Alto Adige. Il secondo da sinistra è l’allora governatore della regione, Durnwalder. Ruslan Alikhadziev è il quarto da sinistra.
Delegazione parlamentare della CRI guidata da Akhyad Idigov (vestito in abito nero, a sinistra nella foto) presso il Ministero della Difesa della Lettonia, marzo 1998. A fianco di Idigov siede l’ex Colonnello dell’Esercito di Ichkeria, Deputato e membro della Commissioni affari esteri, Hussein Iskhanov

GLI AMBASCIATORI DI ICHKERIA – TERZA PARTE

ASLAN MASKHADOV

LA RICERCA DISPERATA DELLA PACE

Aslan Maskhadov ereditò dal suo predecessore Yandarbiev un paese al collasso, eppure ancora ubriacato dalla vittoria militare conseguita l’anno precedente. Il nuovo Presidente dovette così destreggiarsi tra la necessità di ricostruire rapporti decenti con la Russia, unico possibile partner nella ricostruzione del Paese, e il revanscismo dei comandanti di campo, i quali premevano perché i rapporti tra Grozny e Mosca non si ricucissero troppo. I margini di manovra erano così stretti da essere quasi impraticabili: Mosca infatti non era interessata a riconoscere ufficialmente l’indipendenza della Cecenia, ed al Cremlino vi era una corrente interventista che premeva affinché la Cecenia fosse isolata e sprofondasse nell’anarchia, giustificando così un secondo intervento militare che lavasse il prestigio della Russia. I governi occidentali, per parte loro, non sembravano interessati a rivalutare la loro opinione riguardo la cosiddetta “questione cecena”, preferendo continuare a considerarla un “affare interno” alla Federazione Russa. In patria, infine, l’ala nazionalista radicale, rappresentata da Shamil Basayev, Salman Raduev, Ruslan Gelayev e perfino dall’ex Presidente Yandarbiev osservava con disappunto gli ammiccamenti di Maskhadov verso la Russia, temendo che il nuovo leader “tradisse” la Rivoluzione Cecena.

I primi mesi del governo Maskhadov furono quindi impiegati per lo più nella costituzione di una piattaforma negoziale con la Russia che permettesse al Presidente ceceno di guadagnare tempo, mentre il Paese iniziava la ricostruzione, nella speranza di ammorbidire le posizioni dei nazionalisti radicali e di allacciare rapporti diplomatici con il Cremlino. Atto fondamentale di questo processo fu il Trattato di Mosca del 12 Maggio 1997.

RUSSIA. May 12, 1997. Meeting of Boris Yeltsin and Aslan Maskhadov. Russian President Boris Yeltsin (R) and the President of the Chechen Republic of Ichkeria Aslan Maskhadov after signing of the Russia-Chechen Peace Treaty. Alexander Sentsov, Alexander Chumichev/TASS –осси€. 12 ма€ 1997 г. ¬стреча Ѕ. ≈льцина и ј. ћасхадова. ѕрезидент –оссии Ѕорис ≈льцин (справа) и глава „ечни јслан ћасхадов после подписани€ в  ремле договора о мире и принципах взаимоотношений между –оссийской ‘едерацией и „еченской –еспубликой »чкерией. —енцов јлександр, „умичев јлександр/‘отохроника “ј——

IL TRATTATO DI MOSCA

Il 12 maggio la delegazione cecena, composta da Maskhadov, Ugudov e Zakayev raggiunse Mosca, dove procedette alla firma solenne del Trattato di Pace tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria. Fu un evento epocale: per la prima volta in quattrocento anni di guerre e tensioni il governo di Mosca e quello di Grozny si promettevano ufficialmente la pace. Vennero firmati due documenti: il primo si intitolava “Trattato di Pace e Principi di Relazione tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”, il secondo si chiamava “Accordo tra il governo della Federazione Russa e il governo della Repubblica Cecena di Ichkeria sulla cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa e la preparazione delle condizioni per la conclusione di un trattato su vasta scala tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”. I due documenti, dagli altisonanti titoli, avrebbero dovuto essere la base giuridica sulla quale si sarebbero costruiti i rapporti tra Russia e Cecenia. Il trattato iniziava con un epico preambolo riguardo la reciproca volontà di “[…] Porre fine al confronto secolare, cercando di stabilire relazioni forti, uguali e reciprocamente vantaggiose […]”. Un iniziò di tutto rispetto, dal quale ci si aspetterebbe un lungo ed articolato documento. E invece niente di questo. Il testo si costituiva di cinque articoli, e soltanto tre contenevano qualcosa di politicamente rilevante. In essi Russia e Cecenia si impegnavano:

A rinunciare in modo permanente all’uso ed alla minaccia dell’uso della forza come forma di risoluzione di eventuali controversie;

A Costruire le loro relazioni conformemente ai principi ed alle norme generalmente riconosciuti dal diritto internazionale, e ad interagire in aree definite da accordi specifici;

A considerare il Trattato come base per la conclusione di qualsiasi altra negoziazione.

Di per sé le tre affermazioni possono essere considerate solide basi, ma a ben guardare si prestano a molteplici interpretazioni, come tutti gli altri “documenti”, “dichiarazioni” e “protocolli” firmati fino ad allora. In particolare Maskhadov considerò il Trattato come il riconoscimento di fatto dell’indipendenza cecena, dichiarando che la sua sottoscrizione apriva “Una nuova era politica per la Russia, il Caucaso e l’intero mondo musulmano”. Uno dei funzionari della politica estera cecena, delegato in Danimarca per conto della Repubblica Cecena di Ichkeria, Usman Ferzauli, quando venne inviato da Maskhadov a firmare le Convenzioni di Ginevra, dichiarò: “[…] La Russia, firmando nel maggio 1997 il Trattato di Pace con la Repubblica Cecena di Ichkeria di fatto ha riconosciuto la Repubblica. Abbiamo il diritto di considerarci un soggetto di diritto internazionale. […].”.

TRATTATO DI MOSCA (12/02/1997) – Scarica il Pdf

Anche alcuni ricercatori internazionali, come Francis A. Boyle, professore presso il College Law dell’Università dell’Illinois, produssero ricerche giuridiche sul Trattato. Nella discussione di Boyle si legge: “L’elemento più importante del trattato è il suo titolo: “Trattato sulla pace e i principi delle interrelazioni tra la Federazione russa e l’Ichkeria della Repubblica cecena”. Secondo i principi di base del diritto internazionale, un “trattato” è concluso tra due stati nazionali indipendenti. In altre parole, il CRI viene trattato dalla Federazione Russa come se fosse uno stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali. […] Allo stesso modo, l’uso del linguaggio “Trattato sui … principi di interrelazione” indica che la Russia sta trattando la CRI come uno stato nazionale indipendente anziché come un’unità componente della Federazione Russa. Normalmente, “i principi delle interrelazioni” tra uno stato federale come la Federazione Russa e un’unità componente sono determinati dalla Costituzione dello stato federale. Questo documento non dice nulla della Costituzione della Federazione Russa.  […]Certamente l’elemento più importante del titolo del Trattato è l’uso del termine “Repubblica Cecena di Ichkeria”. Questo è il nome preciso che il popolo ceceno e il governo ceceno hanno deciso di dare al loro stato nazionale indipendente. In altre parole, ancora una volta, la Federazione Russa ha fornito ai Ceceni il riconoscimento di fatto (anche se non ancora di diritto) come stato nazionale indipendente alle loro condizioni. […] L’articolo 1 del trattato è sostanzialmente in linea con il requisito dell’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite secondo cui gli Stati membri “si astengono dalle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza …” Allo stesso modo, la Carta delle Nazioni Unite Articolo 2, paragrafo 3, impone agli Stati membri di “risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici ….” Quindi, con questo Trattato, la Federazione Russa ha formalmente riconosciuto il suo obbligo di trattare la CRI in conformità con questi due requisiti fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. […] Il secondo articolo dell’accordo è estremamente importante: “Costruire le nostre relazioni corrispondenti ai principi e alle norme generalmente accettati del diritto internazionale …” Secondo la mia opinione professionale, l’unico modo in cui l’articolo 2 del presente trattato può essere correttamente letto alla luce di tutto ciò che è stato detto in precedenza nel suo testo è che la Federazione russa sta trattando l’IRC come se fosse di fatto (anche se non ancora de jure) stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali, con una propria personalità giuridica internazionale. Solo gli stati nazionali indipendenti sono soggetti ai “principi e norme generalmente accettati del diritto internazionale”.  […].” Il governo Russo negò questa interpretazione, considerando l’assenza di qualsiasi affermazione chiara in merito.

Salman Raduev (al centro) uno dei principali esponenti dell’ala nazionalista radicale, fu sempre contrario alla firma di un trattato di pace con la Federazione Russa, dichiarando la sua volontà di proseguire la guerra fino alla completa “liberazione” del Caucaso dal controllo russo.

Rispetto a questo, negli anni successivi sarebbe sorto un lungo dibattito. In una sua trattazione del tema, il ricercatore russo Andrei Babitski scrisse: “L’essenza di questo documento è semplice. È solo un documento sulla cessazione delle operazioni militari. […] Non menziona la capitolazione da parte di nessuna delle parti, non proclama nessuno vincitore e non formula principi chiari per governare le relazioni tra Russia e Cecenia. La risposta a queste domande è stata rinviata. La cosa più importante era terminare la guerra.”. Silvia Serravo, ricercatrice esperta in questioni caucasiche, specificò in un’intervista: “Il documento contiene la possibilità di interpretazioni diverse. […] L’indipendenza della Cecenia non è stata riconosciuta. Tuttavia, il documento ha reso possibile, almeno per la parte cecena, interpretarlo come il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza cecena. […] Il trattato può certamente essere considerato un risultato. […] Tuttavia si può sempre speculare sulla misura in cui le parti erano sincere quando fu firmato questo documento e se la conclusione del Trattato si basava su alcuni motivi fraudolenti.”

L’ALLEGATO AL TRATTATO

Il secondo documento, collaterale al primo, conteneva un’altra generica serie di intese difficilmente realizzabili. In esso si definiva l’attuazione dei contenuti degli Accordi di Khasavyurt in fatto di ripristino dei servizi vitali per la popolazione civile, il regolare pagamento delle pensioni e degli stupendi pubblici da parte della Federazione Russa,  il pagamento di un risarcimento alle vittime dei combattimenti, la “piena attuazione del programma di ripristino del complesso socioeconomico” del paese, il rilascio di ostaggi e prigionieri, e lo scioglimento della Commissione Governativa congiunta riguardo alla gestione del periodo interbellico, contemporaneamente all’entrata in vigore del Governo uscito dalle Elezioni del Gennaio precedente. Se il primo documento, come abbiamo visto, poteva lasciar pensare che la Russia volesse trattare la Cecenia come uno Stato indipendente de facto, anche se ancora non de jure, il secondo assomigliava molto ad un accordo interfederale tra una repubblica autonoma bisognosa di aiuto ed un governo centrale che intendeva corrisponderglielo. Particolarmente evidente era l’impegno, da parte di Mosca, di erogare gli stipendi pubblici dell’amministrazione cecena. Questo passo è fondamentale, Perchè accettandolo Maskhadov riconobbe implicitamente l’autorità di Mosca di mantenere la struttura amministrativa della Cecenia esattamente come faceva ai tempi dell’Unione Sovietica.

Aslan Maskhadov (allora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito) e Alexander Lebed (rappresentante della parte russa ai negoziati per la tregua) firmano gli Accordi di Khasavyurt, con i quali la ChRI e la Federazione Russa concordarono un cessate -il -fuoco a tempo indeterminato. Secondo alcuni storici sarebbe proprio questo il documento con il quale la Federazione Russa riconobbe (implicitamente) l’indipendenza della Cecenia.

Non un solo accenno era previsto riguardo al riconoscimento, anche formale, all’indipendenza del paese, ed il trattato aveva in calce non già la firma di Eltsin e di Maskhadov (in qualità di presidenti) ma quelle di Chernomyrdin e Maskhadov in qualità di Primi Ministri. Ed i primi ministri, né nella Costituzione russa, né in quella cecena, avevano autorità di negoziare trattati internazionali. Il Trattato di Pace firmato da Maskhadov fu un documento utile ad accreditare lui presso l’opinione pubblica ma fallì nel rappresentare uno strumento diplomatico utile a risolvere alcunché. Certamente pose ufficialmente fine alla guerra e ad ogni ingerenza del governo federale sulla politica interna del paese, ma niente oltre a questo. Il Trattato si limitò a stabilire gli strumenti tramite i quali i due stati avrebbero comunicato tra loro. Dette ampia libertà di interpretazione sia al governo ceceno, che vide in quelle poche righe un implicito riconoscimento da parte di Mosca, che al governo russo, che ci riconobbe esclusivamente l’impegno assunto a riportare su binari politici il conflitto. Sul momento comunque sia Maskhadov che Eltsin poterono dirsi soddisfatti: il primo tornava in patria con un trattato di pace tra le mani, qualcosa che i Ceceni non avevano mai visto in tutta la loro storia. Il secondo tirava un sospiro di sollievo e metteva un temporaneo tampone a quella emorragia di consensi che era stata la Prima Guerra Cecena. Rientrato a Grozny, Maskhadov incassò l’entusiastico consenso delle forze moderate, che al termina della sua relazione al Parlamento lo salutarono con uno scrociante applauso.