GAZA COME GROZNY: L’IMPERIALISMO HA UN SOLO VOLTO

Leggere sui giornali i tragici fatti di sangue che stanno avvenendo in Palestina è come assistere al remake di un film che l’umanità ha già visto molte volte, lungo quella terribile scia di sangue che è la storia dell’imperialismo. Chi conosce la storia recente della Cecenia non potrà non individuare le analogie tra la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ichkeria nel 1999 e quella scatenata da Israele contro la Palestina pochi giorni fa. Genesi e sviluppo di entrambi questi prodotti dell’imperialismo sembrano essere quasi sovrapponibili.

La Cecenia è incuneata nella Federazione Russa, e possiede un solo confine alternativo, con la Georgia, attraverso un ripido passo di montagna

Partiamo della geografia. La Striscia di Gaza confina per due parti con lo Stato di Israele, per un altro col Mar Mediterraneo ed infine con l’Egitto, tramite il varco di Rafah. Come sappiamo, Israele ha bloccato sia i confini terrestri che quello marittimo, costringendo Gaza in un assedio di fatto tramite il quale Tel Aviv mantiene letteralmente il diritto di vita e di morte sui due milioni e mezzo di palestinesi che vi abitano. Anche la Cecenia del 1999 era nella stessa situazione: circondata da tre lati su quattro dalla Federazione Russa, poteva contare soltanto su una precaria strada di montagna, l’autostrada Itum Khale – Shatili, per eludere il blocco economico cui Mosca aveva sottoposto il paese fin dal 1997.

Da un punto di vista politico La Striscia di Gaza dovrebbe far parte di uno stato palestinese indipendente, riconosciuto da Israele e dall’ONU, ma ancora oggi il governo di Tel Aviv (Secondo gli israeliani ed i loro protettori americani, Gerusalemme) non ha compiuto alcun passo in questo senso, preferendo considerare quel territorio una sorta di “terra di nessuno” da amministrare con periodiche incursioni militari di “pacificazione”. Anche la Cecenia del ’99 viveva in uno stato “sospeso” simile a quello di Gaza. La Federazione Russa, che pure aveva firmato con il governo ceceno un Trattato di Pace, non aveva mai ratificato l’indipendenza del paese, e si ostinava a considerarlo un soggetto della federazione, minacciando di gravi ritorsioni qualsiasi governo ponesse in essere una procedura di riconoscimento dell’indipendenza di Ichkeria.

Gaza è incuneata nello Stato di Israele, e possiede un solo confine alternativo, con l’Egitto, tramite il valico di Rafah

Dal 2008 la Striscia di Gaza è governata di fatto da Hamas. Si tratta di un partito estremista, responsabile di numerose azioni terroristiche già prima dell’Ottobre 2023, e considerato organizzazione terroristica dalla maggior parte dei paesi occidentali. Il suo potere si fonda essenzialmente sulla disperazione nella quale Israele tiene artificialmente la popolazione palestinese, costretta a vivere in uno stato di grave sovraffollamento, con un reddito inferiore di circa 75 volte a quello dei cittadini israeliani, costretta a razionare acqua, cibo, medicine ed energia elettrica ed a pregare gli occupanti israeliani per poter uscire da quel “grande ghetto” che è la Striscia. Una situazione molto simile a quella che si sperimentava nella Cecenia del ’99, quando il debole governo Maskhadov, democraticamente eletto, operava sotto il ricatto di milizie armate di orientamento islamista, senza poter contrapporre al bellicismo dei signori della guerra le politiche sociali necessarie a risollevare le sorti della popolazione ed allontanarle dalle lusinghe dei più radicali. Anche in questo caso l’invasore di turno, la Russia, non erogando le riparazioni di guerra per ripristinare l’economia che essa stessa aveva devastato con l’invasione del 1994 – 1996, ritardando o bloccando il pagamento delle pensioni e delle indennità ai cittadini ceceni e, come nel caso di Gaza, rendendo il paese dipendente dalle forniture di energia elettrica, fomentava una popolazione ridotta alla miseria, spingendola tra le braccia del fondamentalismo.

Esattamente come successo ad Ottobre 2023 a Gaza, nell’Agosto del 1999 un piccolo esercito di guastatori, guidato dal comandante di campo ceceno Shamil Basayev, compì un raid in profondità nel Daghestan, con l’intenzione di promuovere una sollevazione generale contro il potere russo ed instaurare un emirato islamico. In questo caso gli obiettivi sono leggermente diversi (Hamas ha dichiarato che l’azione era volta unicamente a colpire l’esercito israeliano ed a dimostrare la vulnerabilità dello Stato di Israele) ma la dinamica è sorprendentemente simile: penetrati quasi senza incontrare resistenza, evidentemente a causa di un allentamento delle misure di sicurezza che sembra quasi provocato intenzionalmente, gli uomini di Basayev, al pari di quelli di Hamas, avanzarono per parecchi chilometri prima di essere bloccati da un veloce (forse troppo) dispiegamento militare e ricacciati in Cecenia. Un’azione “suicida” che sembrava fatta apposta per dare un casus belli alla Russia, e giustificare una nuova invasione. A completare il quadro giunsero una serie di attentati terroristici ai danni di condomini in svariate città russe (rispetto alle quali ancora non è stato chiarito chi e perché li abbia condotti) che provocarono la morte di trecento persone ed il ferimento di altre 1000, suscitando un’ondata di indignazione popolare che l’astro nascente della politica russa, Vladimir Putin, seppe cavalcare abilmente, conquistandosi la presidenza della Federazione sulla promessa di “ammazzare i terroristi anche al cesso”.

Militanti di Hamas

A ben guardare anche la terribile strage compiuta da Hamas ha i suoi “beneficiari politici”. Stupisce che, anche in questo caso, i leggendari servizi di sicurezza di Tel Aviv abbiano fallito in modo così eclatante nell’impedire l’attacco, loro che sono sempre stati così solerti nell’infiltrare spie, nel dare la caccia ai nemici dello stato in qualunque parte del globo, e nel prevenire azioni ostili contro Israele. Mentre stupisce meno, ahimè, il vantaggio politico conseguito dal premier Netanyahu, in piena crisi di consensi fino a pochi giorni prima, ed ora di nuovo in sella con un “governo di emergenza” che finalmente può avere mano libera nel “risolvere” il problema palestinese con i metodi più affini al gretto nazionalismo che il Primo Ministro rappresenta.

Ma le analogie non finiscono qui: l’operazione militare scatenata da Israele per vendicare i suoi morti ha una sproporzione che è assimilabile soltanto a quella usata da Putin contro la Cecenia. Oggi come allora, dopo un blocco totale dei confini ed una campagna terroristica contro la popolazione civile (con missili lanciati sui mercati, colonne di profughi bersagliati, servizi idrici ed elettrici tagliati, aiuti umanitari bloccati) si dichiara che lo scopo non è punire un popolo ed attuare un genocidio, ma “creare una zona cuscinetto”, un “cordone sanitario” che salvaguardi l’attaccante dalla risposta dell’attaccato. E nel frattempo si avvisa la popolazione civile di “andarsene”. Dove? Non è importante. Per quello che valgono le vite dei civili, possono andare a morire di sete in qualche scantinato. Se il Ministro della Difesa israeliano ha definito genericamente “animali umani” l’obiettivo dell’invasione, al Cremlino i ceceni non erano visti in modo diverso.

Le milizie di Basayev in procinto di penetrare in Daghestan, 1999

C’è una cosa che Gaza e Grozny non hanno in comune: il nome di chi le ha distrutte. Eppure il motivo alla base del martirio di ceceni e palestinesi è lo stesso: l’arroganza di un popolo che pretende di schiacciarne un altro, mettendo in atto tutti gli strumenti, leciti e illeciti, morali ed immorali, per perseguire il suo scopo. Che poi non è nient’altro che imperialismo, sublimazione politica della prepotenza, del cinismo, dell’egoismo elevato a culto di sé, capace di piegare, deformandola, ogni virtù politica, civile e morale. In questi giorni quel Putin che ha scatenato il genocidio dei ceceni si indigna per il genocidio palestinese scatenato dagli israeliani, i quali a loro volta si erano indignati quando Putin bombardava i profughi o li torturava dei campi di filtraggio. Ognuno di questi personaggi, a Mosca come a Tel Aviv, a Pechino come a  Washington, accusa gli altri di essere “L’impero del male”. Ma la verità è che l’Impero è esso stesso “il male”, e che non esistono “imperi buoni”.

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