Congresso nazionale del popolo ceceno

STORIA DEL CONGRESSO NAZIONALE DEL POPOLO CECENO (OKCHN)

INTRODUZIONE

La storia dell’indipendentismo ceceno è piena di personaggi carismatici, il cui protagonismo ha spesso messo in ombra il vivace e contraddittorio background politico dal quale sorse l’autoproclamata Repubblica Cecena di Ichkeria. Il panorama è dominato dalla figura del Maggior Generale Dzhokhar Dudaev, che ne fu il suo primo Presidente. Il suo carisma e la sua ambizione hanno monopolizzato le cronache giornalistiche, lasciando nell’anonimato molti tra coloro che con il loro agire portarono alla cosiddetta Rivoluzione Cecena. Quasi tutti questi personaggi furono coinvolti in un’organizzazione sociopolitica della quale pochi ormai hanno memoria, ma la cui esistenza fu cruciale per il destino della Cecenia: il Congresso Nazionale Ceceno, poi rinominato Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (OKChN).

NOTA BENE: prima di addentrarci nella storia di questa istituzione così determinante per la storia della Repubblica Cecena di Ichkeria una precisazione è d’obbligo. Al pari di tutte le altre fonti documentali, anche quelle relative al Congresso Nazionale del Popolo Ceceno sono andate perdute durante la Prima e la Seconda Guerra Cecena. I bombardamenti hanno gravemente danneggiato gli archivi pubblici e privati, e buona parte di ciò che è sopravvissuto alle bombe è stato distrutto dai separatisti e dall’esercito russo. Con molta probabilità grandi quantità di documenti sono chiusi in archivi federali, sottoposti a sequestro o secretati. Il lavoro di ricerca è pertanto tutt’altro che terminato, e rimangono ancora molte incognite riguardo la struttura, il funzionamento ed il materiale prodotto dal Congresso e dai suoi membri, del quale conosciamo appena una frazione, pubblicata sui giornali o nelle memorie di alcuni dei suoi partecipanti.  

BACKGROUND

Come raccontato in maniera più approfondita nel libro Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria (acquistabile QUI) il collasso dell’Unione Sovietica colse la Cecenia in uno stato di grande incertezza. Le difficoltà economiche e sociali, aggravatesi nel corso degli anni ’80, e l’immobilismo della classe dirigente locale avevano spianato la strada all’avvento di Doku Zavgaev, ex Ministro dell’Agricoltura della RSSA Ceceno – Inguscia. La sua elezione al vertice locale del PCUS (1989), e poi al vertice della Repubblica (1990) fecero di Zavgaev, ceceno di nascita, il primo tra i suoi ad occupare le massime cariche dello stato. Inizialmente i ceceni videro nel suo avvento una svolta storica. Le richieste di maggior rappresentanza nelle istituzioni si accompagnavano a quelle, montanti soprattutto tra gli intellettuali, di democratizzazione della vita politica. Perestrojka e Glasnost erano in pieno svolgimento ed in tutta l’URSS si respirava un’aria di pluralismo e di libertà senza precedenti. Zavgaev, che aveva attinto a piene mani sia alle richieste dei nazionalisti, sia a quelle dei democratici, si presentò come il prodotto di questo cambiamento, ed attuò in breve tempo un repulisti nella gerarchia dello Stato: molti leader distrettuali vennero sostituiti, ed intorno al nuovo leader della Cecenia – Inguscezia si raccolsero nuovi personaggi. Per ampliare ulteriormente la sua base di consenso Zavgaev promosse una rinascita culturale del paese incentrata sul risveglio dei valori religiosi: in tutto il paese sorsero moschee e centri islamici, ed il governo sponsorizzò il primo pellegrinaggio di massa alla Mecca nella storia della Repubblica. Così facendo, Zavgaev promosse ed alimentò tutte quelle tendenze tipiche del popolo ceceno (nazionalismo, islamismo e spirito democratico) che avrebbero portato il paese all’insurrezione. Il lavoro di promozione culturale consisté anche nella revisione della teoria storica revisionista dell’ingresso volontario, secondo la quale la Cecenia avrebbe volontariamente accettato di divenire parte della Russia. Fino ad allora questa teoria, sostenuta e difesa dal professor Vinogradov, era stata la versione ufficiale alla quale tutti gli accademici ceceni avevano dovuto conformarsi per poter lavorare nel campo dell’istruzione universitaria. L’avvento di Zavgaev permise che Vinogradov uscisse di scena, aprendo ad un serio dibattito storico sulle cosiddette “pagine bianche” della storia del paese, cioè quegli eventi traumatici che per ragion di stato non venivano studiati o approfonditi nelle scuole e nelle università.

Doku Zavgaev. Ex Ministro dell’Agricoltura nella RSSA Ceceno – Inguscia, divenne leader locale del PCUS e del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio a cavallo tra il 1989 e il 1990, diventando il primo ceceno ad assumere la guida della Repubblica.

Non passò molto tempo che il comportamento di Zavgaev cominciò a rivelarsi simile quello dei suoi predecessori: l’autorità dello stato, prima ostaggio del PCUS e della sua burocrazia corrotta ed inefficiente, divenne il feudo personale dei suoi collaboratori, spesso legati a lui a vincoli familiari o appartenenti al suo stesso Teip, i quali mostravano gli stessi, odiosi difetti. A questa pessima prova del suo governo si affiancavano il continuo deterioramento della situazione economica e sociale e la sempre più precaria situazione del governo centrale, ormai sul procinto di collassare sotto il peso delle riforme di Gorbachev. Man mano che la stella di Zavgaev si eclissava, in seno al Soviet Supremo della Repubblica e fuori dai palazzi del potere si organizzavano i primi circoli politici contrari alla sua leadership. Nella fattispecie, all’interno della nomenklatura si fecero strada le figure di Lecha Umkhaev, deputato al Soviet Supremo e Vicepresidente della Commissione per le relazioni interetniche, e di Hussein Akhmadov, laureato in storia e anch’egli deputato del Soviet, membro della Commissione Alimenti e Merci. Fuori dal PCUS, invece, la situazione politica si stava definendo. Inizialmente coloro che contestavano la classe dirigente socialista si erano raccolti in una associazione informale chiamata Fronte Popolare e guidata da Khozh – Akhmed Bisultanov. Le sue generiche istanze di rinnovamento erano state intercettate in tempo da Zavgaev, il quale nel giro di un paio d’anni era riuscito a disorientare Bisultanov, a rabbonirselo ed a neutralizzarlo accogliendolo nel suo stesso sistema di potere. Il Fronte Popolare, rimasto orfano del suo leader e dilaniato dalle lotte intestine, si era frammentato in molte sigle diverse: partiti moderati, come il Partito Socialdemocratico, ma anche nazionalisti radicali, come il Partito Democratico Vaynakh di Zelimkhan Yandarbiev, radicali islamici, il Partito della Rinascita Islamica o il partito Via Islamica, e anche ambientalisti, come il Movimento Verde del professore universitario Ramzan Goytemirov. Tutti questi soggetti, pur molto diversi tra loro per obiettivi e valori, alla metà del 1990 erano accomunati dall’ostilità verso Zavgaev ed il suo governo clientelare.

Zavgaev era ben cosciente che la comunità dei suoi detrattori si stava dispiegando sia dentro che fuori dai palazzi del potere. Così come aveva saputo neutralizzare la vecchia guardia comunista e prendere il potere, così come era riuscito a rabbonirsi Bisultanov ed il Fronte Popolare, era intenzionato a neutralizzare nello stesso modo anche questo nuovo pericolo incombente sulla sua carriera politica: facendo sue le proposte dei suoi avversari, accogliendo nel suo entourage i più moderati e lasciando ai margini i più esagitati. L’occasione di prendere le redini della situazione gli fu posta da Lecha Umkhaev, che insieme ad un gruppo di intellettuali stava maturando l’idea di un Congresso Nazionale Ceceno, un’associazione a metà tra il culturale ed il politico che fungesse da “leale opposizione” al Soviet. Se fosse riuscito a prenderne il controllo, Zavgaev avrebbe potuto neutralizzare i più pericolosi e gestire la Cecenia come una sorta di “sovrano illuminato”, secondo un principio che si stava facendo largo un po’ i tutte le repubbliche sovietiche e che sarebbe stato magistralmente rappresentato negli anni successivi dal regime di Nursultan Nazarbayev in Kazakhistan. Viceversa, Umkhaev sperava di utilizzare il Congresso come base per legittimare il suo peso politico all’interno del Soviet, permettendogli di iniziare un’offensiva politica contro Zavgaev e prenderne il posto. Ma l’istanza di un Congresso non veniva soltanto dai membri del Soviet in guerra tra loro. Anche i partiti moderati e radicali usciti dalla frammentazione del Fronte Popolare avevano la stessa idea, e dal loro punto di vista, evidentemente, l’obiettivo non era quello di fungere da carne da cannone nella lotta per il potere tra Zavgaev e Umkhaev, quanto di costituire le premesse per un superamento del Soviet Supremo ed il passaggio al multipartitismo o, nel caso dei nazionalisti radicali, di costruire uno “stato nello stato” e progressivamente ridurre il Soviet Supremo ad un guscio vuoto.

Zelimkhan Yandarbiev. Leader del Partito Democratico Vaynakh, fu il principale ideologo della Rivoluzione Cecena. Intorno a lui si raccolsero i nazionalisti radicali favorevoli alla secessione.

L’ORGANIZZAZIONE DEL CONGRESSO

Tutte le forze politiche attive nella RSSA Ceceno – Inguscia erano orientate verso un obiettivo comune: la convocazione di un congresso da utilizzare come arena nella lotta per il potere. L’idea di istituire un comitato che mettesse in piedi l’assemblea fu quindi appoggiata da tutti: con grande entusiasmo da Umkhaev, Zavgaev e Yandarbiev, con minor enfasi dal Soviet Supremo, che in quanto unica struttura politica autorizzata dal sistema a partito unico in vigore fino a poco tempo prima era refrattario a riconoscere, se pur su un piano meramente consultivo, organismi ad esso alternativi. Il Comitato Organizzativo per la convocazione del Congresso Nazionale Ceceno si costituì ufficialmente il 15 Agosto 1990. Umkhaev, che per primo aveva avanzato l’idea, ne ottenne la presidenza. Vi entrarono come membri esecutivi Yusup Soslambekov, leader del Partito Democratico Vaynakh, lo storico Dalhan Khozhaev, il professore e poeta Apti Bisultanov, lo scrittore Musa Beksultanov, lo scrittore, poeta e drammaturgo Musa Akhmadov, lo sportino Chingiz Zubairaev, lo storico e deputato al Soviet Supremo Yusup Elmurzaev e la professoressa di scienze storiche Ganga Elmurzaeva. Al Comitato aderirono sia esponenti della nomenklatura sovietica, come il Segretario della sezione cecena del PCUS, Yandarov, il Presidente del Soviet Distrettuale di Shali, Paskhachev ed uno dei membri più in vista del Soviet Supremo, Bugaev, sia esponenti del nazionalismo radicale, come Zelimkhan Yandarbiev. Oltre a questi si unì un personaggio destinato ad occupare un ruolo di primo piano nella Rivoluzione Cecena. Si tratta di Hussein Akhmadov, dottore in storia e membro del Soviet Supremo, uomo dal carattere mite ma animato da una ferrea volontà politica. Il Comitato Organizzativo stilò un documento nel quale si specificavano le ragioni e gli obiettivi del Congresso. In esso si legge:

MOTIVAZIONI E OBIETTIVI DEL CONGRESSO DEL POPOLO CECENO

“La nazione cecena, che costituisce circa il 60% della popolazione della RSSA  Ceceno – Inguscia ed il 3% della popolazione della RSSA del Daghestan è stata privata delle basi materiali per un normale sviluppo per molti decenni, ed è stata discriminata persino nella sua terra. L’ingiusta discriminazione dei ceceni che sopravvissero alla terribile tragedia nazionale nel 1944 e persero la metà della loro popolazione durante gli anni della deportazione si manifesta nel fatto che anche nella rinata Ceceno – Inguscezia la loro rappresentanza negli organi di governo, nell’economia nazionale e nel campo della cultura spirituale e della vita pubblica era e rimane molto più bassa rispetto alle altre popolazioni che con loro la repubblica.

Il ritardo del governo centrale nel risolvere il problema dei Ceceni, la presenza di oltre 230 mila ceceni costretti a vivere al di fuori del loro stato nazionale, la crisi sociale ed economica che ha attaccato la Cecenia – Inguscezia, la necessità di rilanciare la lingua nazionale e preservare il patrimonio spirituale e religioso, che ha messo all’ordine del giorno il problema di ripristinare l’autonomia dell’Inguscezia, l’aggravamento delle relazioni interetniche nel paese, pone al popolo ceceno tutta una serie di problemi nazionali specifici, tali che senza la loro risoluzione è impossibile garantire il suo sviluppo come nazione. In queste condizioni un gruppo di deputati del popolo, membri dello stato di tutte le parti della Cecenia, hanno formato un comitato organizzatore, assumendosi la responsabilità di convocare e tenere un congresso del popolo ceceno.

Gli obiettivi del congresso sono:

1 – Resoconto sulla storia e sulla formazione dell’etnia cecena e sul territorio che occupa;

2 – Creazione di meccanismi in grado di garantire l’integrità territoriale di tutta la Cecenia e l’unità etnica della nazione cecena;

3 – Discussione sull’idea di creare una repubblica cecena sovrana basata su principi democratici che integrino la struttura sociale tradizionale;

4 – Studio delle questioni relative alla garanzia di rappresentatività numerica dei ceceni a tutti i livelli del potere statale, nell’economia nazionale, nel campo della vita pubblica.

5 – Creazione di una moderna infrastruttura socio – economica della repubblica attraverso la costruzione di industrie economicamente redditizie, rispettose dell’ambient e accessibili alle popolazioni locali.

6 – Rafforzamento e sviluppo di legami culturali ed economici con i ceceni che vivono al di fuori della Cecenia, al di fuori dell’URSS e creazione delle condizioni necessarie per il loro graduale ritorno in patria.

7 – Armonizzazione delle relazioni interetniche, razionalizzazione dei processi migratori, rinascita dell’amicizia tradizionale tra ceceni e rappresentanti di altri popoli che vivono in Cecenia e oltre.

8 – Formulazione della piena ed incondizionata restaurazione dei diritti storici del popolo ceceno che fu sottoposto a repressioni terribili nel 1944 – 1957, incluso il ritorno dei ceceni orientali nei loro luoghi di residenza storica ed il risarcimento per il grave danno subito dal popolo durante l’esilio.

9 – Risveglio delle istituzioni pubbliche nazionali [Mehk – Khel, Mehk – Khetasho) per mantenere la salute morale della nazione, la sua nascita ed il suo consolidamento.

10  Conservazione e sviluppo della lingua e della cultura del popolo ceceno, conservazione del suo patrimonio culturale e religioso.

11 – Studio delle questioni relative all’allineamento della legislazione repubblicana alle tradizioni nazionali del popolo ceceno.

12 – Liberazione della storia del popolo ceceno di contetti pseudoscientifici e creazione delle basi per una ricerca veramente scientifica del percorso storico dei popoli che abitano la Cecenia.

13 –  Proseguimento del processo di ripristino dei nomi nazionali degli insediamenti della Cecenia e perpetuazione della memoria di importanti eventi della storia nazionale nei nomi delle strade e delle piazze dei villaggi.

Il Comitato Organizzatore per la convocazione del Congresso Nazionale Ceceno.

La dichiarazione d’intenti del Comitato Organizzatore era per certi versi una carta programmatica. Il preambolo ripercorre la situazione di difficoltà nella quale si trova il popolo ceceno, a causa dei torti subiti durante lo stalinismo e del ritardo con il quale lo Stato sta intervenendo per ripararli. Se il primo punto ha una dimensione più scolastica e folkloristica, il secondo, il terzo ed il quarto sono delle vere e proprie proposte: in particolare il punto 3 (L’idea di una repubblica cecena sovrana) sarebbe diventato centrale al Congresso. L’idea di una repubblica sovrana era ben radicata sia nella componente moderata, sia in quella radicale del Comitato. Nessuno tra gli organizzatori del Congresso apprezzava l’attuale stato di sudditanza politica della Cecenia nei confronti della Russia. Prima di tutto perché questa si traduceva in una sorta di apartheid sociale, culturale e politico paradossale, per il quale i legittimi padroni morali della Cecenia si ritrovavano ad esserne i più poveri, meno scolarizzati, meno occupati e meno rappresentati fra tutte le etnie che abitavano il paese. Lo stato di “repubblica autonoma” impediva il pieno sviluppo della cultura cecena, permetteva l’imposizione di una verità storica artefatta ad uso e consumo della classe dirigente legata a Mosca, impediva che i ceceni si dessero una forma di stato che aderisse alle loro tradizioni ed alla loro religione, impediva perfino loro di parlare liberamente la loro lingua o di scriverla in un alfabeto che rappresentasse tutta la sua fonetica. Di fronte a questo fatto tutti, moderati e radicali, erano d’accordo, come si evince dal programma del Comitato. Il conflitto, in effetti, non era sul fatto che la Cecenia dovesse essere o meno una repubblica sovrana, ma su che uso di questa sovranità dovesse fare. Per i moderati questa avrebbe permesso alla Cecenia di negoziare un nuovo patto federativo con la Russia in condizioni di parità. Per i radicali la sovranità sarebbe stata la premessa della piena indipendenza del paese il quale, eventualmente, avrebbe potuto costituire una confederazione caucasica con le altre repubbliche della regione, ed affrancarsi una volta per tutte dal dominio russo.

La macchina organizzativa del Congresso si mise in moto. Al Congresso avrebbero partecipato 1000 delegati: 839 di questi sarebbero stati eletti dai ceceni su base distrettuale, in numero di 1 deputato ogni circa 1000 abitanti, secondo il seguente schema:

Distretto di Achkhoy – Martan (57.305 abitanti) 57 delegati

Distretto di Vedeno (32.219 abitanti) 32 delegati

Distretto di Grozny (85.982 abitanti) 86 delegati

Distretto di Gudermes (63.117 abitanti) 78 delegati

Distretto di Malgobek (5.789 abitanti) 10 delegati

Distretto di Nadterechny  (33.478 abitanti) 33 delegati, compresi 3 del villaggio di Goragorsky (2991 abitanti)

Distretto di Naursk (27.583 abitanti) 28 delegati

Distretto di Nozhai . Yurt (48.594 abitanti) 36 delegati

Distretto di Sunzha (13.047 abitanti) 23 delegati

Distretto di Urus – Martan (84.016 abitanti) 84 delegati

Distretto di Shali (131.566 abitanti) 132 delegati

Distretto di Shatoi (13.220 abitanti) 15 delegati

Distretto di Shelkovsky (16.876 abitanti) 20 delegati

Città di Grozny (1213.50 abitanti) 121 delegati

Ceceni del Daghestan (57.877 abitanti) 58 delegati

A questi si sarebbero aggiunti i rappresentanti della diaspora all’estero: 55 delegati in tutto tra i quali 15 dal Kazakistan, 5 dalla giordania, 5 dalla Turchia, 8 dalla Calmucchia, 8 dalla Georgia, 3 dall’Ossezia del Nord, 5 dalla regione di Rostov, 4 dal Territorio di Stavropol, 1 dalla Siria e 1 dalla comunità universitaria cecena a Mosca, raccolta nell’associazione “Daimokhk”. Oltre ai delegati sarebbero state invitate personalità di spicco del mondo politico, accademico e scientifico ceceno. Per svolgere interamente il programma sarebbero stati necessari almeno 3 giorni. Finanziare un simile, importante avvenimento, provvedere alla sistemazione di tutti gli intervenuti, al loro vitto e ad una qualche forma di riconoscimento per il lavoro svolto non era facile. Servivano fondi importanti, ed il Comitato Organizzativo si mosse alla ricerca di finanziatori. Il risultato fu eccellente: non soltanto il Comitato ebbe le risorse per organizzare il Congresso, ma riuscì a raccogliere una cifra doppia rispetto al necessario. Di comune accordo, fu deciso di costituire un Fondo per la Rinascita della Cultura Cecena cui conferire le eccedenze. Alla presidenza di quel fondo fu nominato il giovane scrittore Musa Akhmadov. Una volta strutturata l’organizzazione di base e reperita la liquidità per svolgere l’incontro, il Comitato Organizzatore iniziò a progettare l’organigramma dei corpi esecutivi del Congresso, cioè di quegli uffici che avrebbero dovuto dirigerlo, sviluppare i suoi contenuti in un programma politico e vigilare sulla sua attuazione da parte del Soviet Supremo. Vennero così progettati un Comitato Esecutivo del Congresso che fungesse da “governo” ed un centro di coordinamento che si occupasse di tradurre gli interventi dei relatori in mozioni e proposte da mettere ai voti. Il lavoro esecutivo sarebbe stato supervisionato da un Presidente e, in sua vece, da due vicepresidenti. Le nomine dei vertici del Congresso sarebbero state effettuate dal Comitato Esecutivo,  che si sarebbe formato ed avrebbe iniziato ad operare all’apertura dell’assemblea.

La bandiera del Congresso Nazionale Ceceno: su campo verde (colore dell’Islam) una banda orizzontale bianca e due rosse, una corona di 9 stelle rappresentanti i 9 Tukkhum (federazioni di clan) ceceni.

Nel Settembre del 1990 tutto sembrava più o meno pronto. Soltanto un’incognita gravava sul Comitato Organizzatore: la presenza dei vicini ingusci al Congresso. Per quanto infatti questi non fossero tecnicamente ceceni, appartenevano alla stessa famiglia etnolinguistica, ed i due popoli erano culturalmente così vicini che quasi non era possibile distinguerli tra loro. La stragrande maggioranza dei cittadini di entrambe le nazioni era a favore della conservazione dell’unità statale ceceno – inguscia, e anche se l’evoluzione della situazione politica sembrava portare da tutt’altra parte, prevaleva anche nei membri del Comitato Organizzatore la volontà di lanciare un segnale politico in senso unitario. Il fatto era che gli ingusci, per parte loro, erano alle prese con una grossa rivendicazione, la quale condizionava tutta la loro agenda politica.

Nel 1944, a seguito della deportazione dei popoli ceceno e inguscio in Asia Centrale, la Repubblica Autonoma Ceceno Inguscia era stata sciolta ed annessa alle regioni circostanti. Alla morte di Stalin il governo sovietico aveva “perdonato” i deportati ed aveva permesso loro di rientrare in patria. La vecchia repubblica autonoma era stata ricostituita, e quasi tutti i distretti che la componevano vi erano stati riannessi. Uno solo era rimasto fuori: si trattava del distretto di Prigorodny, un’area posta a sud est dell’odierna repubblica di Inguscezia, sulla quale insiste gran parte della città di Vladikavkaz. Il distretto di Prigorodny era stato annesso alla Repubblica Autonoma dell’Ossezia del Nord, e nel corso dei tredici anni seguenti alla deportazione degli ingusci decine di migliaia di osseti vi si erano insediati. Inoltre la città di Vladikavkaz era diventata la capitale dell’Ossezia del Nord, e si era accresciuta di un importante distretto industriale costruito interamente sul lato del distretto di Prigorodny. Gli ingusci non avevano mai digerito l’annessione del distretto, che consideravano ingiusta, e fin dall’avvento di Gorbachev avevano organizzato manifestazioni di massa a favore del suo reintegro. Molti di loro speravano che un avvicinamento alla Russia avrebbe garantito un appoggio di Mosca in questa battaglia irredentista. Per questo motivo erano riluttanti a partecipare alle attività del Congresso, temendo che le loro aspirazioni politiche ne avrebbero risentito qualora la Russia avesse interpretato questo gesto come una sfida politica.

Uhmaev ed altri tre membri del Soviet Supremo decisero quindi di rassicurare gli ingusci organizzando un incontro al vertice con la dirigenza dell’Ossezia del Nord, in modo da mettere sul piatto il tema ancor prima che il Congresso avesse luogo. L’incontro si ebbe nel Settembre 1990 a Vladikavkaz. Gli osseti si dichiararono disposti a cedere all’Inguscezia tutta la parte del distretto di Prigorodny ad est di Vladikavkaz, ma non la loro capitale, sulla quale insistevano i  ¾ del potenziale industriale della repubblica. Entrambe le parti concordarono per la costituzione di una commissione congiunta che iniziasse quanto prima i negoziati. Umkhaev ed i suoi pensarono di aver raggiunto un buon accordo di compromesso, e si diressero a Nazran, capoluogo dell’Inguscezia, per confrontarsi con le forze politiche irredentiste locali. In quel periodo il movimento di maggior respiro tra gli ingusci era Niisho (Giustizia) un gruppo nazionalista al cui vertice militava Isa Kodzoev. Questi era di orientamento radicale, per molti versi simile a quello che Zelimkhan Yandarbiev era per i ceceni, e rifiutò categoricamente le proposte di Umkhaev, dichiarando che nessun accordo sarebbe mai stato firmato della la restituzione di tutto il distretto, città e fabbriche comprese. Ad un successivo incontro con le organizzazioni nazionaliste ingusce, in occasione del loro Congresso Nazionale, Uhmaev ebbe nuovamente conferma della loro posizione. Anzi, Kodzoev si spinse un po’ oltre, rivendicando non solo Prigorodny, ma anche vaste aree dei distretti ceceni di Magobek e di Sunzha, abitati prevalentemente da ingusci. Umkhaev, che si era proposto di risolvere il problema degli ingusci, si ritrovò a difendere la stessa Cecenia da ulteriori rivendicazioni, ed abbandonò ogni speranza.

LA PRIMA SESSIONE  

23/25 Novembre 1990

Il 23 Novembre 1990 l’edificio del circo cittadino aprì i battenti per la prima sessione del Congresso Nazionale Ceceno. L’edificio era imponente, ma non sufficiente a raccogliere la fiumana di delegati, invitati e spettatori che si accalcavano ai suoi cancelli. Molti cittadini accorsi per assistere all’evento dovettero rimanere fuori, e l’organizzazione installò degli altoparlanti per permettere anche agli esclusi di ascoltare gli interventi degli oratori.  Alle 10 del mattino le note della canzone scelta come inno del congresso, una canzone popolare scritta dal musicista Ali Dimaev, risuonarono dentro e fuori dal palazzo, dando il via ai lavori dell’assemblea. Sul palco centrale fu esposta la bandiera del congresso: un drappo verde dell’Islam attraversato da due bande rosse ed una bianca, ed una corona di 9 stelle dorate, rappresentanti i 9 Tukkhum (confederazioni di clan) della nazione cecena. La prima giornata fu dedicata essenzialmente al saluto delle autorità, alle questioni di interesse storico e culturale, agli interventi dei rappresentanti della diaspora cecena all’estero e del Comitato Organizzativo. Lasciamo la cronaca ai giornali locali:

dal giornale “Voce della Cecenia – Inguscezia” numero 78 del 24 Novembre 1990

Ieri il Congresso Nazionale del Popolo Ceceno ha aperto i lavori. Tra i partecipanti ci sono rappresentanti di tutte le città e le regioni della Repubblica, ospiti dalle vicine regioni e repubbliche indipendenti. Al Congresso è giunta anche la diaspora delle comunità cecene che vivono in Asia Centrale, Mosca, Leningrado ed altre città del paese (della Russia, ndr.), ed anche i nostri compagni dalla Giordania, dalla Siria, dalla Turchia e dagli Stati Uniti. […] La platea è strapiena. Molti di coloro che vogliono assistere ai lavori del Congresso vengono lasciati fuori dall’edificio. Per loro sono stati installati altoparlanti in strada.

[…] Ore 10 del mattino. Suona l’inno ceceno. Per primi ad intervenire sono il poeta popolare A. Suleymanov, il famoso scrittore A. Ajdamirov, il Professor K. Chokayev dell’Università Statale. Il Presidente del Soviet Supremo della RSSA Ceceno – Inguscia (Zavgaev, ndr.) tiene un breve discorso di apertura. La procedura di apertura termina, ed i membri si muovono al lavoro pratico. Il primo blocco di rapporti è dedicato alla storia del popolo ceceno. Questo ampio argomento è trattato dallo storico I. Akhmadov e dal Vicepresidente Elmurzaev.  Ci sono molte pagine drammatiche nell’antica storia del popolo ceceno. Sono la Guerra Caucasica, il periodo della Guerra Civile, gli anni della cosiddetta collettivizzazione. Naturalmente, la tragedia più terribile è l’Ardakh del 1944. La storia dei ceceni è stata mistificata, riscritta per ordine delle autorità. […]  Gli oratori ed i moderatori del dibattito hanno discusso in dettaglio la situazione sociale ed economica. Si è sottolineato che la Cecenia – Inguscezia, un tempo la Repubblica più sviluppata del Caucaso Settentrionale, adesso è molto indietro rispetto ad altre regioni dell’URSS sul piano del benessere materiale, dello sviluppo sociale e spirituale della sua popolazione. […]”

Di seguito il giornale pubblica un riassunto di alcuni interventi tra i più apprezzati:

Mahmud Wappi (Siria) Uomo anziano e forte, con capelli corti e baffi grigi. […] parla bene il ceceno, con un caratteristico accento arabo. Legge. Di particolare interesse è la storia dei popoli del Caucaso Settentrionale nel Medio Oriente. […] “Viviamo un interesse per tutto ciò che accade in Unione Sovietica, principalmente, ovviamente, nella terra dei nostri antenati. […] Ora sono sicuro che la mia gente sta iniziando il conto alla rovescia per l’autocoscienza ed un vero riconoscimento nazionale. Spero che stia arrivando il risveglio della cittadinanza cecena, della lingua, della cultura, dei costumi e delle tradizioni che hanno attraversato millenni. Me lo auguro con tutto il cuore.” Mahmud Wappi è un discendente di ceceni, emigrati dal distretto di Khasavyurt. Ci ha visitati molte volte e sogna di trasferirsi qui. Ora è in pensione. A Damasco possedeva una scuola piuttosto buona con 500 studenti e tre dozzine di insegnanti. Ha quattro figli. Adele ed Islam sono laureati all’Università di Damasco, ingegneri meccanici. Arif ed Imad sono medici, uno terapista e uno chirurgo. […].

Said Beno (Giordania) Un tecnico delle costruzioni di strade e abitazioni, è stato Ministro, ed ora possiede una società di consulenza. “Nell’agenda del Congresso vedo questioni di storia, cultura, relazioni interetniche e rilancio di antiche tradizioni popolari. Naturalmente, non ho preso parte alla stesura ed alla preparazione di questo programma, ma esso soddisfa pienamente le mie aspirazioni e speranze. Sono venuto al congresso non solo per ascoltare ciò di cui si sarebbe parlato, ma anche per prendere personalmente parte ai suoi lavori. Ho portato una lettera da leggere qui. In essa, propongo di organizzare a Grozny un centro culturale per le relazioni con i ceceni che vivono all’estero. Ho il sogno di raccogliere in questo centro tutto ciò che è scritto sulla storia della mia gente, sulla sua cultura, sui suoi legami. Questo materiale può essere reperito in Unione Sovietica e all’estero. E per questo non risparmierò le forze.”

Abdulatip Beno (Giordania)  […] “La lingua unisce le persone” afferma. “E la forza della gente è solo nell’unità. Probabilmente non saremmo sopravvissuti nelle nostre terre tormentate se non avessimo cercato l’unità ed il sostegno reciproco. […] Sono un militare. So quanto è fatale la minaccia dell’odio etnico. In nessun caso questo dovrebbe essere consentito, e vi sono già incidenti nell’Unione [Sovietica, ndr]. I ceceni non hanno mai certato di prendere ciò che è di qualcun altro; si sono distinti per la genuina ospitalità. […]” Abdulatip Beno è il primo ceceno giordano a salire al rango di Generale. Era un addetto militare del suo paese a Mosca, ora ha rassegnato le dimissioni ed è in pensione.

Shamil Shaptukayev (New Jersey, Stati Uniti) Contrariamente alla convinzione tradizionale per la quale tutti i Vaynakh all’estero, specialmente in un paese come gli Stati Uniti, siano delle persone “speciali”, egli ha lavorato come escavatore per tutta la vita, e sa quanto vale il denaro.  […] “ci sono circa 300 famiglie Vaynakh in America […] Nella sua storia, il nostro popolo non ha mai ignorato i bisogni e le preoccupazioni dei nostri vicini, ha sempre cercato di aiutare il più possibile. Quindi noi negli Stati Uniti abbiamo creato un comitato speciale per rafforzare i legami con i popoli caucasici. […]”

Il Maggior Generale Dzhokhar Dudaev segue lo svolgersi del congresso dalla sua poltrona di ospite, 25 Novembre 1990

Resoconto del Congresso, dal giornale “Voce ella Cecenia – Inguscezia” numero 80 del 27 Novembre 1990

Il Congresso Nazionale Ceceno passerà alla storia come un punto di svolta significativo nel percorso del risveglio spirituale, morale e culturale della nazione. […] i tre giorni di lavoro del congresso saranno per sempre iscritti negli annali del popolo ceceno. Giustizia, Libertà Unità. Questi sono gli slogan del Congresso, questi sono ideali vicini a ciascun amante della propria Patria.  Il Congresso ha esaminato la questione della sovranità della Repubblica Cecena, e ha adottato appelli: al popolo ceceno, a tutti i popoli della RSSA Ceceno Inguscia, al fraterno popolo osseto, ai popoli della RSSA del Daghestan, al Congresso dei Deputati del Popolo ed al Soviet Supremo della RSFSR. All’unanimità è stata adottata una risoluzione sul genocidio del popolo ceceno. Sono stati approvati l’inno nazionale, l’emblema e la bandiera della Repubblica Cecena. […] Sono stati inviati al Congresso circa 1000 delegati. Tra loro ci sono rappresentanti della classe operaia, contadini, intellettuali, clero e militari. Nella sala sono presenti anche coloro hanno effettuato il pellegrinaggio alla Santa Mecca quest’estate. Al congresso hanno partecipato anche 22 donne. Il delegato più anziano ha 98 anni, il più giovane ne ha 24. Oltre 420 delegati hanno un’istruzione superiore.  […]

L’ordine del giorno comprende questioni relative a tutte le aree della vita pubblica della repubblica. Gli argomenti di relazioni e discorsi sono stati suddivisi nei seguenti blocchi principali: storico, socioeconomico, ambientale, culturale, relazioni interetniche, questioni relative alla rinascita del Mehk – khel e allineamento della legislazione repubblicana alle tradizioni e ai costumi nazionali del popolo ceceno. Il problema principale del congresso sono i problemi della sovranità della repubblica. Il presidente del Consiglio supremo della Repubblica autonoma cecena-ingusca D. G. Zavgaev si è rivolto ai delegati con un breve discorso. Dopo aver salutato cordialmente gli ospiti e i delegati, ha osservato che il congresso è stato indetto in un momento in cui il nostro intero vasto paese incontra difficoltà economiche e politiche, varie forze si sono scontrano e le relazioni etniche si stanno aggravando. Pertanto, è molto importante dare tutto ciò che sta accadendo intorno una valutazione equilibrata e ponderata. […] D. G. Zavgaev ha espresso la speranza che il popolo ceceno abbia abbastanza saggezza, moderazione ed equilibrio da mantenere la calma e andare oltre, non per prendere la strada della separazione, ma anzi raggiungere un riavvicinamento delle diverse nazionalità che vivono nella repubblica, e rafforzare l’amicizia fraterna tra i popoli.

Sale sul il presidente del comitato organizzatore per la convocazione di un congresso nazionale del popolo ceceno, il deputato Lecha Umkhaev. “Devono esserci serie ragioni per convocare un simile congresso”, ha affermato nel suo intervento. “I nostri antenati convocarono un congresso popolare solo quando una grave minaccia incombeva sulla loro patria o quando divenne necessario scegliere un nuovo percorso di sviluppo sociale. Che tipo di minaccia incombe sui ceceni oggi, in che modo dovremmo preferire, avendo discusso prima di tutti gli altri? A queste domande è probabile che i nostri saggi anziani, studiosi, figli amanti della libertà rispondano. Sono trascorsi più di due secoli da quando abbiamo riconosciuto la mano pesante dell’Impero russo. La guerra del Caucaso, che ha mostrato il coraggio senza pari dei nostri antenati, si è conclusa con grandi perdite per il popolo. I popoli furono sconfitti, ma non distrutti! […] Il vecchio regime è stato sostituito da un nuovo governo. I ceceni avevano molte speranze, ma la dittatura fu di nuovo stabilita. […] Tutti i migliori rappresentanti del popolo furono sterminati. Dopo furono privati della loro terra natale, poi stati inviati nelle steppe kazake. Durante tutti e tredici gli anni di esilio i ceceni non abbandonarono mai il sogno di tornare nella loro patria. Le persone sono sopravvissute grazie alla resistenza, all’assistenza reciproca, all’unità, cercando costantemente di ripristinare i loro diritti. Infine hanno riguadagnato la loro patria.”

Vi è stata una dettagliata discussione al Congresso sul problema del rilancio della lingua nazionale. Tra gli interventi più interessanti c’è stato quello del professor Chokaev. Egli ha affermato che grazie alla Perestrojka abbiamo acquisito il diritto di parlare liberamente e di risolvere i problemi inerenti la nostra lingua e la cultura nativa. L’importanza della lingua per la cultura spirituale dei popoli è stata ribadita da studiosi e poeti. Riassumendo, possiamo dire: i concetti di “lingua” e “popolo” sono identici. Se non prendiamo misure urgenti per preservare la nostra lingua madre, presto la perderemo. Soffermiamoci su alcuni fatti. Nel sesto anno dall’avvento della Perestrojka, cosa è stato fatto per questo? E’ stato introdotto l’insegnamento delle lingue madri nelle scuole di Grozny ed in alcune scuole elementari si è iniziato ad insegnare nella lingua madre. Questo è tutto, ed è tutt’altro che sufficiente. Lo studio scientifico delle lingue native lascia molto a desiderare. Presso l’istituto di ricerca della Kabardino – Balkaria (nel settore linguistico) ci sono 16 persone, nel nostro 6 persone: 3 ceceni e 3 ingusci. Data la quantità di lavoro, questo non è abbastanza. Non sarebbe abbastanza neanche se ci fossero 30 persone, vista la necessità di studiare i dialetti ceceni e compilare i dizionari. Ad oggi non abbiamo neanche una grammatica completa. La letteratura versa nel medesimo stato. […] la frequenza e la diffusione dei giornali repubblicani e distrettuali è scarsa. Quasi tutti i giornali regionali sono per lo più in russo, anche dove la popolazione ceceno – inguscia costituisce il 99 percento dei residenti. L’insegnamento delle lingue native sia nei villaggi che nelle città è mal gestito. Se prendiamo in considerazione l’indifferenza dei dirigenti riguardo questa materia, la scarsa quantità di ore di insegnamento, possiamo giustamente affermare che anche in questo caso le lingue materne sono considerate come “figli illegittimi”. […]

A. Bugaev, Presidente del Comitato Permanente per le Politiche Nazionali e le Relazioni Interetniche del Soviet Supremo della RSSA Ceceno – Inguscia ha parlato a tutti di un argomento preoccupante. Oggi, più che mai abbiamo bisogno della saggezza dei nostri antenati, dei nostri anziani, perché oggi abbiamo un’occasione così storica, e mancarla sarebbe una catastrofe, una tragedia. Questo significa che oggi dobbiamo buttarci a capofitto per immergere la gente nell’abisso delle passioni politiche e delle ambizioni di individui e fazioni? Questo non può essere permesso in nessun caso. […] Qui vivono i rappresentanti di 82 nazionalità. I più grandi gruppi entici cono i ceceni, i russi, gli ingusci, gli armeni, i kumyk, i nogai ed altri. La nostra principale preoccupazione è che ogni residente della Repubblica, indipendentemente dalla sua nazionalità, si senta tranquillo e sicuro. […] Allo stesso tempo, si deve ricordare che il benessere generale di una famiglia multinazionale dipende in gran parte dal benessere e dallo stato di ciascun individuo. A questo proposito […] per molto tempo ha prevalso l’opinione che i ceceni e gli ingusci furono espulsi, nel 1944, ragionevolmente.  […] Durante gli anni della guerra […] i popoli non furono espulsi perché avevano tradito la loro patria (questa è una menzogna grossolana!) ma perché Stalin e il suo entourage dovevano giustificare i loro errori di calcolo tattici militari e le decine di milioni di vittime di fronte al popolo sovietico. Per questo è stato creato il mito della “quinta colonna” dietro le linee […]. Il processo di riabilitazione effettiva dei popoli repressi non è stato ancora completato. Attualmente, il progetto della “Legge sui popoli oppressi” è ampiamente discusso. […]

Purtroppo, la maggior parte della documentazione prodotta dal Congresso durante i tre giorni di svolgimento è andata perduta, probabilmente per sempre. Negli anni successivi la Cecenia avrebbe attraversato momenti di grande difficoltà, due guerre catastrofiche avrebbero portato alla distruzione gran parte degli archivi di stato e molti degli archivi privati. Per questo motivo non è possibile ricostruire la scaletta degli interventi né pubblicare le mozioni ufficiali prodotte e discusse dal Comitato Esecutivo del Congresso. Quello che è certo, tuttavia, è che l’ultima giornata, quella del 25 Novembre fu concentrata intorno al dibattito sulla Dichiarazione di Sovranità. La scena fu dominata dall’intervento del Maggior Generale Dzhokhar Dudaev, uno dei più alti graduati ceceni nell’esercito sovietico. Non ci soffermeremo sulla sua figura ampiamente trattata dalla storiografia e da numerosi contributi presenti sia su questo blog sia sul libro che riassume tutto il materiale da noi pubblicato (Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, acquistabile QUI). Sia sufficiente, ad indicare la posizione di Dudaev riguardo l’idea di sovranità che aveva nei riguardi della Cecenia, la dichiarazione di chiusura del suo discorso: “Creeremo uno Stato indipendente ceceno, creeremo un esercito che sappia difenderlo, e che sappia difendere la nostra libertà!”

Dudaev era presente al Congresso in qualità di ospite, in virtù del suo alto grado nelle forze armate era considerato un “gioiello” col quale adornare il prestigio dell’assemblea. Ben pochi lo conoscevano allora, avendo egli vissuto la maggior parte della sua vita fuori dalla Cecenia, e provenendo da un piccolo Teip di montagna. Tuttavia la sua figura pulita e autorevole ed il suo discorso incendiario accesero i cuori di tanti tra i delegati e tra gli spettatori del Congresso. La gente iniziò a parlare di lui, ed a rivolgerglisi come ad un capopopolo. Alla fine della giornata il Comitato Esecutivo del Congresso Nazionale Ceceno votò e pubblicò la Dichiarazione di Sovranità, raccomandando il Soviet Supremo della RSSA Ceceno – Inguscia di trasformarla in legge dello stato. Purtroppo non ci è rimasta alcuna copia autentica di quel documento, e l’unica fonte alla quale possiamo attingere è una registrazione del leader del Partito Democratico Vaynakh (VDP) e membro del Comitato Esecutivo del Congresso Yusup Soslambekov. E’ possibile che il documento definitivo non si discostasse molto dalla versione di seguito riportata, che è una trascrizione del suo intervento al Congresso.

Il Congresso Nazionale del Popolo Ceceno:

  • Consapevole della responsabilità storica per il destino del popolo ceceno, allo scopo di creare le condizioni necessarie al suo sviluppo libero e globale;
  • Riconoscendo il diritto alla sicurezza ed allo sviluppo del gruppo etnico ceceno;
  • Rispettando il desiderio del popolo inguscio di ripristinare la propria regione autonoma entro i confini del 1934 e desiderando accelerare la risoluzione di questo problema;
  • Rispettando i diritti e gli interessi di tutti i rappresentanti degli altri popoli che vivono nella repubblica

Proclama solennemente la sovranità statale della Repubblica cecena, con la supremazia, indipendenza, pienezza ed indivisibilità della sua autorità statale all’interno dei confini esistenti della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Ceceno – Inguscia, ad eccezione del territorio dell’ex autonomia di ingudcezia, e dichiara la sua determinazione e costituire uno stato di diritto sociale.

  • La Repubblica Cecena è lo stato sovrano del popolo ceceno che vive nel territorio della Repubblica Cecena. La sovranità statale garanzia costituzionale di inviolabilità e rispetto del diritto del popolo ceceno all’autodeterminazione. Essa è una condizione naturale e necessaria per l’esistenza e lo sviluppo dello stato nazionale del popolo ceceno, una delle popolazioni più antiche del Caucaso e del mondo, con una storia secolare, cultura e tradizioni consolidate.
  • L’unica fonde del potere statale nella Repubblica Cecena è il popolo di questa repubblica, composto da tutti i cittadini della Repubblica Cecena.
  • La Repubblica Cecena come stato giuridico funziona sulla base del principio della separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
  • La supervisione sull’esatta attuazione delle leggi della Repubblica Cecena è esercitata dal Procuratore della Repubblica Cecena, nominato dal Consiglio Supremo della Repubblica Cecena
  • La garanzia della sovranità del popolo e dell’autentica democrazia della Repubblica Cecena come stato giuridico, progettato per riflettere le tradizioni democratiche del popolo, è il seguente sistema di organizzatore statale – legale della Repubblica Cecena:
  • Congresso popolare;
  • Consiglio Supremo della Repubblica Cecena, composto da due camere: la Camera del Consiglio degli Anziani e la Camera dei Deputati;
  • Il Presidente della Repubblica Cecena;
  • La Corte Costituzionale della Repubblica Cecena

La storia secolare del popolo ceceno conferma che, al fine di affermare l’umanesimo e la giustizia tra i popoli, questo popolo ha sempre cercato l’unità, al fine di realizzare una comunione tra i popoli. Pertanto, il popolo ceceno apprezza molto l’unione delle repubbliche nazionali ed è pronto per essere un soggetto sovrano ed equo del Trattato sull’Unione delle Repubbliche Sovrane.

Un accordo federale può essere firmato dalla Repubblica cecena solo se, dopo che la garanzia legislativa ha espresso che il danno morale, materiale e territoriale causato dal genocidio del popolo ceceno alla repubblica in piena conformità con la prassi internazionale sarà pienamente risarcito.

Affinché il Trattato dell’Unione sia firmato dalla Repubblica Cecena, per essere legalmente completo e non contraddire la volontà sovrana del popolo ceceno, questo atto deve essere preceduto dall’adozione di una costituzione (legge fondamentale) della Repubblica cecena come stato sovrano.

– la presente dichiarazione costituisce la base per lo sviluppo e l’adozione della Costituzione (legge fondamentale) della Repubblica Cecena.

Il Congresso si sciolse tra scrocianti applausi, subito dopo aver deliberato la nomina di un Comitato Esecutivo e di un suo Presidium che si occupassero di tenere i rapporti con la stampa e con le istituzioni, e che verificassero l’attuazione delle risoluzioni prese dall’assemblea dei delegati.

Il video dell’intervento di Dudaev alla prima sessione del Congresso Nazionale Ceceno

DOPO IL CONGRESSO

Appena due giorni dopo la pubblicazione della Dichiarazione di Sovranità Doku Zavgaev, che aveva interesse a depotenziare più possibile l’iniziativa popolare e ricondurla nei palazzi del potere, fece approvare dal Soviet Supremo una sua versione della Dichiarazione di Sovranità con la quale, di fatto, istituiva una repubblica indipendente. La cosa generò non poche perplessità sia a Grozny che a Mosca. Il governo centrale, chiedendo delucidazioni a Zavgaev, pretese di sapere se alla dichiarazione di sovranità avrebbe seguito una dichiarazione di indipendenza. Zavgaev rispose che questa non era in agenda, e che l’adesione della Cecenia alla Russia sarebbe stata negoziata tra pari. Anche a Grozny il provvedimento generò reazioni contrastanti. I moderati si allinearono al punto di vista di Zavgaev, interpretando il gesto come la premessa di una vantaggiosa ri – negoziazione dei rapporti tra centro e periferia. I radicali invece lo presero come l’avvio di un processo indipendentista che avrebbe dovuto quanto prima risolversi in una vera e propria secessione. Chiare ed inequivocabili, in questo senso, furono le parole di Yandarbiev pochi giorni dopo, durante un incontro tra i movimenti socio – politici:

Ringraziamo Zavgaev e le istituzioni della ASSR Ceceno – Inguscia per un passo così decisivo, da loro fatto nella lotta politica per l’indipendenza del popolo ceceno. […] per realizzarlo, è necessario consolidare tutte le forze politiche del popolo. […] non ci aspettavamo tale coraggio e determinazione da parte Sua. Lei ed i suoi deputati vi siete dimostrati molto migliori di quanto ci fosse da aspettarsi […] Se il Soviet Supremo continuerà a mostrarsi sostenitore della sovranità statale, se agirà nella direzione di concretizzare il contenuto della Dichiarazione, siamo pronti ad essere i suoi alleati più leali e disinteressati […]. Ma se tradirà segretamente o esplicitamente la Dichiarazione adottata, tradendo in tal modo gli interessi del popolo ceceno che ha riposto fiducia in esso, il VDP inizierà la più spietata delle lotte […].

Nei primi giorni di Dicembre il Comitato Esecutivo tornò a riunirsi per mettere in pratica le raccomandazioni del Congresso. Prima di tutto c’era da nominare un Presidente, che rappresentasse l’assemblea di fronte alle istituzioni e ne garantisse l’indipendenza e l’unità. Quel Maggior Generale così autorevole, appassionato e sicuro di sé sembrò l’uomo giusto per svolgere il ruolo di leader onorario che sia i moderati che i radicali avevano in mente. Nessuno, infatti, credeva che questo parvenu della politica avesse l’ambizione di conquistare un reale potere: tra l’altro Dudaev era ancora un ufficiale in servizio presso la base aereonautica di Tartu, e anche volendo non avrebbe potuto condizionare più di tanto la situazione in Cecenia. Così, tutti d’accordo, moderati e radicali nominarono Dudaev Presidente del Comitato Esecutivo. Umkhaev e Yandarbiev tennero per sé il ruolo molto più esecutivo di Vice  – Presidenti, arrogandosi l’incarico di portare avanti le attività del Comitato Esecutivo mentre Dudaev lo “presiedeva” da lontano. L’unità di intenti dei due, tuttavia, doveva presto iniziare a scricchiolare. Umkhaev era un membro del Soviet Supremo, quindi una istituzione di quello stato che Yandarbiev ed i radicali volevano rovesciare. Così, mentre il primo tornava ad occuparsi del governo del paese, il secondo chiamò a raccolta tutte le organizzazioni ostili a Zavgaev (ed indirettamente anche ad Umkhaev) e le raccolse nel Movimento Nazionale, una sorta di confederazione delle opposizioni della quale entrarono a far parte Il Partito Democratico Vaynakh, il Partito della Rinascita Islamica, il Movimento Verde, il partito Via Islamica e l’associazione Kavkaz. Il momento era propizio sia sul fronte interno, nel quale la crisi economica e la disoccupazione la facevano da padroni, sia sul fronte estero, monopolizzato dalla crisi del golfo persico che avrebbe portato di lì a poco alla Guerra del Golfo. Le simpatie dei nazionalisti ceceni andavano evidentemente a Saddam Hussein ed all’Iraq, visto come un baluardo della civiltà islamica contro l’imperialismo occidentale. A sostegno della causa irachena il Movimento Nazionale portò in piazza migliaia di ceceni, associando alle rivendicazioni internazionali sempre più pressanti richieste di dimissioni del Soviet Supremo. Dal punto di vista dei nazionalisti, infatti, con la Dichiarazione di Sovranità Zavgaev aveva di fatto trasformato la Repubblica Autonoma in uno stato indipendente, il quale avrebbe dovuto al più presto dotarsi di un parlamento e di un governo democraticamente eletto. L’accrescersi della tensione ed il rafforzarsi del consenso dei radicali tra la popolazione portarono ben presto ad uno scontro nel Comitato Esecutivo.

Manifestazione del Partito Democratico Vaynakh a sostegno di Saddam Hussein durante la Guerra del Golfo

I radicali volevano fare del Congresso una sorta di parlamento – ombra, e del Comitato Esecutivo un governo alternativo al Soviet. Questa posizione era inaccettabile per i moderati, i quali avevano sempre visto l’assemblea come una “leale opposizione” al Soviet e non come un fronte rivoluzionario. Umkhaev e Yandarbiev si contendevano il comando, ma nessuno dei due poteva prevalere sull’altro. L’ago della bilancia in questa faccenda sarebbe stato il “presidente onorario” Dudaev. Così i due Vicepresidenti si recarono a Tartu, cercando di convincerlo ognuno ad appoggiare la propria linea. Entrambi ritenevano che il Generale fosse un personaggio malleabile, ma presto dovettero rendersi conto di non aver capito di che pasta fosse fatto. Dudaev tergiversò per qualche settimana. Poi, alla fine di Marzo, sciolse le riserve e rientrò a Grozny, prendendosi la guida del Comitato Esecutivo. Così facendo sostenne la linea di Yandarbiev, che lo pregava di rientrare in patria e convocare una seconda sessione del Congresso nella quale dichiarare decaduto il Soviet Supremo, rispetto alla linea di Umkhaev, che invece voleva temporeggiare e guadagnare tempo per rafforzare la sua posizione, magari conquistandosi il mandato di negoziatore nella trattativa tra la Cecenia e lo stato centrale. L’appoggio che Dudaev dette a Yandarbiev, tuttavia, non fu incondizionato: egli pretese la guida del fronte radicale. Yandarbiev raggiunse il suo obiettivo, ma dovette accettare di fare un passo indietro.  Una volta che Dudaev si fu schierato dalla parte del Movimento Nazionale, per Umkhaev non ci fu più partita. Egli, al pari di molti suoi seguaci, era organico al Soviet Supremo, e gli eventi che si susseguivano, sia in Cecenia che in tutta l’Unione Sovietica, stavano minando la credibilità di questa istituzione.  Fu facile, quindi, per Yandarbiev presentarlo come una “quinta colonna” del regime di Zavgaev dentro il Congresso, e spingere lui ed i suoi uomini ai margini del Comitato Esecutivo. Nel frattempo la figura di Dudaev si gonfiava a vista d’occhio.  Il Generale fece la sua comparsa in numerosi incontri pubblici. Partecipò in veste di ospite al il Congresso Islamico della Cecenia – Inguscezia, alla fine di Gennaio. In quel frangente ebbe modo di presentarsi alle massime autorità religiose, e di guadagnare consensi presso il clero, tradizionalmente conservatore e precedentemente alleato con Zavgaev. Poi venne la volta del Congresso Mondiale dei Circassi, del Congresso Inguscio, del Congresso dei Popoli della Montagna. Un’accoglienza calorosa gli fu data in Georgia, dal presidente Gamsakhurdia. Questi fece appello ad un “Coordinamento Nazionale di liberazione dei popoli dei Caucaso, dal quale sviluppare un piano congiunto volto a consolidare nel Caucaso il movimento di liberazione dalla Russia imperiale”. Gli incontri durarono dal 25 al 28 aprile, durante i quali Dudaev intervenne al parlamento di Tbilisi, congratulandosi per l’indipendenza appena conquistata. Al suo ritorno fu sommerso dagli applausi. Forte della sua crescente popolarità, confidando nella sempre maggiore ostilità delle classi popolari verso Zavgaev ed il suo governo clientelare, il Generale decise di capitalizzare il risultato indicendo una seconda sessione del Congresso Nazionale Ceceno. Umkhaev tentò di bloccare l’iniziativa, opponendosi alla mozione di Dudaev, ma di fronte alla minaccia di quest’ultimo di dimettersi dalla carica di Presidente (e di provocare una scissione nel Congresso) il leader moderato fu costretto ad assecondare le sue richieste ed autorizzarne l’organizzazione.

Nel Maggio del 1991 la Russia era attraversata dalla prima campagna elettorale presidenziale della sua storia. Boris Eltsin, leader del movimento Russia Democratica, era il candidato favorito all’elezione. Critico verso la nomenklatura sovietica e favorevole ad un suo radicale rinnovamento, puntava sul consenso delle Repubbliche Autonome, tradizionalmente ostili al governo centrale, e la sua campagna elettorale era stata svolta in queste regioni all’insegna dello slogan “prendete tutta la sovranità che riuscite ad ingoiare”. Per Yandarbiev ed i radicali questa era un’occasione storica per provare a conquistare l’indipendenza, che difficilmente si sarebbe ripresentata. Dudaev, ormai a suo agio alla leadership del Congresso, era dello stesso avviso. Entrambi erano convinti che fosse necessario trasformare quanto prima il Congresso in una piattaforma di azione politica non parallela al Soviet, ma contro di esso. Yandarbiev ed i radicali si imposero nell’organizzazione della seconda sessione del Congresso. Essa avrebbe dovuto tenersi tra l’8 e il 9 Giugno 1991, 4 giorni prima che si svolgessero le elezioni presidenziali. La scelta non fu certamente casuale: a pochi giorni dalle elezioni nessun candidato, tantomeno Eltsin, si sarebbe sognato di rispondere ad un’azione politica del Congresso in senso indipendentista minacciando ritorsioni armate o chiedendo l’arresto dei suoi delegati. Inoltre, vista la schiacciante superiorità di Eltsin rispetto agli altri candidati, un’affermazione in senso sovranista sarebbe stata pienamente in linea con quanto affermato da Eltsin più di una volta, e certamente questi non avrebbe potuto rimangiarsi la parola senza perdere di credibilità. Cosa che, a quattro giorni dalle elezioni, sarebbe stato un incredibile autogol politico.

LA SECONDA SESSIONE  

8/9 Giugno 1991

Se il primo Congresso Nazionale Ceceno era stata una sorta di assemblea del popolo, ed era stato guidato dalla volontà di testimoniare l’identità nazionale in tutte le sue forme, il secondo avrebbe dovuto essere il raduno del Movimento Nazionale. Un evento squisitamente politico, anzi, rivoluzionario. Per questo motivo Yandarbiev decise che si sarebbe tenuto in una struttura dall’alto valore simbolico come il teatro drammatico della città, uno dei più begli edifici che allora Grozny potesse offrire. L’evento avrebbe dovuto incensare una volta per tutte Dudaev ed i suoi seguaci come le guide politiche della nazione, ragion per cui il Congresso avrebbe dovuto mostrare una platea granitica, fedelmente allineata alle posizioni dei suoi leaders. Per questo motivo vennero convocati per lo più delegati di provata fede nazionalista, e lo stesso Umkhaev si trovo privato del suo diritto di accedere all’assemblea e di intervenire. Sei quasi 900 delegati eletti alla prima sessione, soltanto 400 vennero riconfermati, mentre altri 200 furono accreditati senza aver ricevuto alcun mandato popolare. Di cosa si sarebbe discusso al congresso, che fu pomposamente ribattezzato Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (OCKhN) era facile immaginarlo: due settimane prima, il 25 Maggio, Dudaev aveva pubblicamente dichiarato che il Soviet Supremo aveva perduto ogni legittimità politica a seguito della Dichiarazione di Sovranità, e che nessun organo più del Congresso Nazionale avrebbe potuto ereditarne i poteri. L’8 Giugno la seconda sessione del Congresso ebbe inizio. Di fronte ad una platea in larga parte dudaevita, il Generale dichiarò pomposamente:

“Le entrate vitali di qualsiasi impero sono le colonie, una delle quali è la nostra Cecenia, che è stata sfruttata con crudeltà per un secolo e mezzo. La macchina imperiale, con l’aiuto dell’apparato della violenza, ha tolto alla nostra gente la religione, la lingua, l’educazione, la scienza, la cultura, le risorse naturali, il diritto alla libertà ed alla vita. Il popolo ceceno ha scelto la propria strada decidendo all’unanimità di costituire uno stato sovrano, affidando la responsabilità dell’attuazione delle decisioni del Congresso al Comitato Esecutivo.”

Lecha Umkhaev, che a stento era riuscito a farsi riammettere all’assemblea con un pugno di seguaci, riuscì a prendere la parola solo per constatare che la platea cui si rivolgeva non aveva alcuna intenzione di seguirlo. Dopo aver accusato il Congresso di aver tradito la sua missione politica, presentò una dichiarazione firmata nella quale, con amarezza, testimoniava il fallimento del suo progetto:

“[…] Il congresso designò come obiettivo principale la ricerca di modi per consolidare ulteriormente e costruire uno stato sovrano ceceno […] Per garantire un costante monitoraggio delle decisioni prese dal Congresso è stato eletto il Comitato Esecutivo, cui sono state affidate le funzioni di ricerca delle modalità di attuazione delle decisioni del Congresso attraverso le autorità legislative ed esecutive. Fin dai primi giorni del suo lavoro il Comitato Esecutivo […] si è diviso in due distinte posizioni riguardo la politica volta a raggiungere questo obiettivo. La prima posizione era caratterizzata da una tendenza chiaramente volta alla creazione di strutture di potere parallele, ed un tentativo di imporre le proprie convinzioni, dichiarandole come le uniche corrette e rappresentative della volontà del popolo […] Il Comitato Esecutivo del Congresso, che è stato definito come il più alto organo legislativo ed esecutivo, si è recentemente opposto al Soviet Supremo ed al governo. Vi sono situazioni nelle quali le ambizioni politiche di alcuni rappresentanti dei movimenti sociopolitici, in primo luogo il VDP (Partito Democratico Vaynakh) dividono il Movimento Nazionale per il Ripristino dello Stato Ceceno e annullano gli sforzi per risolvere realisticamente e legalmente questo problema. Allo stesso tempo, la base sociale del movimento si sta significativamente restringendo. Il Comitato Esecutivo stesso sta venendo spostato oltre la forma costituzionalmente ammissibile, richiedendo lo scioglimento del Soviet Supremo ed il trasferimento allo stesso Comitato Esecutivo delle funzioni di governo. […] Ora non c’è dubbio che ci stiamo spingendo sulla strada di un colpo di stato, e non abbiamo il diritto di osservare tutto questo in silenzio. […] Questo incontro non può essere chiamato “Secondo Congresso” perché la rielezione dei delegati non ha avuto luogo e, soprattutto, l’agenda del Congresso non è stata resa pubblica. […] Noi membri del Comitato Esecutivo, rappresentanti del Comitato Organizzatore che ha partecipato alla preparazione del Congresso ed alla convocazione dei suoi delegati, esprimiamo il nostro forte disaccordo con il tentativo di usare il podio del Congresso per dividere il nostro popolo e dividere le sue azioni volte a raggiungere l’obiettivo primario: la costruzione di una Repubblica cecena sovrana come parte di una rinnovata Unione  […].

Dudaev parla alla seconda sessione del Congresso Nazionale Ceceno, ribattezzato Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (OKChN). Sul palco, a sinistra proprio sotto la bandiera del Congresso siede Hussein Akhmadov, “anima pura” del nazionalismo radicale che diventerà Presidente del Parlamento e, di lì a poco, entrerà in rotta di collisione con Dudaev.

Il documento fu firmato da Umkhaev e dai suoi sostenitori, tra i quali troviamo alcuni personaggi che avrebbero scritto la storia immediatamente successiva della Cecenia: Yusup Elmurzaev, delegato di Urus – Martan che avrebbe combattuto per tutta la vita i dudaeviti, Osmaev, esponente della vecchia guardia del PCUS, Magomed Gushakaev, che sarebbe diventato Vice – Presidente del Parlamento indipendentista nel Novembre 1991 oltre ad altri (G. Elmurzaev ed  S. Khunkerkhanov), anch’essi deputati al Soviet Supremo. Oltre a loro, esponenti sia del Soviet che del Congresso, firmarono i delegati congressuali Yunusov, Ibrahimov, Akhmadov, Satikhanov, Dzhanaraliev, Arsunkayev, Guzhayev, Bakaev, Gamaev Daduev ed un certo A. Khadyrov (non il “famoso” Kadyrov, ma un omonimo esponente del Soviet Supremo). La leadership del Comitato Esecutivo passò a Soslambekov ed Akhmadov, entrambi leali alla linea radicale. La sera dell’8 Giugno, alla fine del primo giorno di Congresso, Dudaev salì sul podio e tenne un lungo discorso, del quale pubblichiamo i passi più importanti:

Sostituendo la parola “colonia” con “autonomia”, con una completa distorsione del concetto stesso in cui la statualità sembra una beffa , la macchina imperiale che utilizza l’apparato della violenza – l’esercito, il KGB, il Ministero degli affari interni, la procura – il CPSU ha tolto dal nostro popolo la religione, la lingua, l’istruzione, la scienza, la cultura, le risorse naturali e materiali, l’ideologia, i media, l’arte, il lavoro, il diritto alla libertà e alla vita. […]Il metodo principale è la lotta contro la fede islamica, in quanto l’arma più potente in grado di unire i popoli, per resistere e affermare contro qualsiasi forza, qualsiasi fede, qualsiasi ideologia. […].

Il Comitato Esecutivo prende atto responsabilmente e porta all’attenzione dei delegati il fatto che il Soviet Supremo della Repubblica Cecena non solo non ha fatto un solo passo verso l’istituzione della sovranità, ma ha anche cinicamente sottoposto la volontà del popolo alla contrattazione politica tra il paese e la Russia […]. Inoltre il Soviet Supremo ha fatto ogni sforzo per erodere e cancellare il diritto all’indipendenza che aveva dichiarato, in modo da […] ricevere dai suoi padroni un cenno di approvazione […]. I principali sforzi del Soviet Supremo erano volti a paralizzare le attività del Comitato Esecutivo. […].

In conformità con la legge riconosciuta dal diritto internazionale, il Soviet Supremo dell’ex autonomia (come colona) hanno perduto i loro diritti al potere legislativo in Cecenia dal 28 Novembre 1990 […]. In una simile situazione il potere legislativo deve essere amministrato dal Comitato Esecutivo del Congresso che, senza avere il controllo dello Stato  non può ancora amministrare i poteri esecutivo e giudiziario. […].

La domanda oggi è una: vogliamo essere liberi o accettare volontariamente il nostro destino di servi? Oggi dobbiamo finalmente fare la nostra scelta. Se qualcuno oggi mi dice che la coscienza delle masse non è matura e che è necessario più tempo, questa è pura ipocrisia. […].

Il giorno seguente il Comitato Esecutivo chiuse la seconda sessione del Congresso in un bagno di folla, di fronte al quale vennero lette le deliberazioni finali:

Risoluzione dell’OKChN del 08/06/1991

Dopo aver ascoltato il rapporto del Comitato Esecutivo del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno ed aver discusso il resoconto del suo rappresentante, il Congresso osserva:

  • Un forte aggravamento della situazione politica;
  • Una rivitalizzazione delle forze democratiche;
  • Riuniti gli sforzi dei partiti e dei movimenti, il loro riconoscimento della legittimità del Congresso, del suo programma e delle attività del Comitato Esecutivo dell’OKChN;
  • L’isolamento dell’élite dominante dai bisogni e dalle aspirazioni della popolazione, l’aumento dei problemi socioeconomici che non possono essere risolti;
  • L’aumento della reazione e delle azioni illecite del KGB, del Ministero degli Affari Interni, della Procura rispetto alla popolazione;

Le ragioni principali dell’aggravarsi della situazione nella Repubblica sono:

  • L’attuale status di colonia della Repubblica;
  • Il mantenimento del potere esclusivo nello stato e nel partito di Doku Zavgaev con il sostegno del suo entourage, dei giochi di potere, degli intrighi del sistema tentacolare, con la completa impotenza dei delegati del Soviet, i quali non hanno avuto la possibilità di esprimere un voto di fiducia per estenderne il mandato a seguito del passaggio della Repubblica alla sovranità;
  • La codardia e l’incapacità politica del vecchio apparato di gestire un sistema aggiornato, la paura di perdere i privilegi materiali ed il potere da parte dell’élite dominate nella transizione verso forme democratiche di governo;
  • L’opposizione alle decisioni del Congresso riguardo la creazione delle basi per il passaggio a condizioni democratiche dello stato, con l’unico obiettivo di mantenere al potere Doku Zavgaev.

Vista la situazione attuale e la volontà irremovibile del popolo ceceno verso la sua indipendenza statale, il Congresso decide:

1 – Il Congresso è riconosciuto come autorità;

2 – Al fine di attuare le decisioni del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno e la sua volontà di creare uno stato sovrano indipendente, la struttura statale – territoriale della Cecenia all’interno dei suoi confini storici è chiamata Repubblica Cecena (Nokhchi – cho). La questione del sistema statale sarà decisa al prossimo Congresso Nazionale del Popolo Ceceno.

3 – Si approva la bandiera della Repubblica cecena.

4 – Sono annullate tutte le risoluzioni e le leggi del Soviet Supremo dell’Ex RSSA Ceceno – Inguscia, nel suo status di colonia, dal 28 Novembre 1990 in tutto il territorio della Repubblica Cecena.

5 – Tenendo conto dell’esperienza storica, delle caratteristiche nazionali, della religione, il Congresso Nazionale riconosce il Mekh – Khel (Consiglio degli Anziani) come il più alto organismo statale della Repubblica Cecena.

6 – Data la difficile situazione dei lavoratori impoveriti a causa dell’inflazione, del forte aumento dei prezzi e delle misure adottate dall’ex repubblica autonoma, in attesa che si formi un organo legislativo democratico nella Repubblica Cecena, il Congresso Nazionale invita le autorità locali a prendere misure per fornire un sostegno sovvenzionato alla popolazione, adeguando il salario medio al costo della vita a spese del bilancio statale.

7 – Accetta come base il messaggio del commissario militare sulla procedura di servizio da parte dei cittadini della Repubblica Cecena.

8 – Approva le attività di politica estera ed il lavoro svolto dal Comitato Esecutivo durante l’interruzione del Congresso.

9 – Respinge la decisione del precedente Soviet Supremo della precedente repubblica autonoma di firmare un accordo con l’URSS e RSFSR in quanto mina le basi della sovranità della Repubblica Cecena e non ha autorità sul territorio della Repubblica Cecena. La questione della conclusione di accordi con l’URSS e la RSFSR può essere presa in considerazione solo dopo l’attuazione delle decisioni del Congresso del popolo ceceno e questo diritto appartiene esclusivamente al popolo ceceno, da esprimersi in un referendum organizzato dal Comitato Esecutivo.

10 – Respinge la decisione del Presidium del Soviet Supremo dell’ex repubblica autonoma sulla partecipazione dei cittadini della Repubblica Cecena alle Elezioni presidenziali della RSFSR. La riconosce come illegale e contraria alle dichiarazioni del Congresso, e dichiara che questa non ha vigore nel territorio della Repubblica Cecena. Richiama i deputati che sono membri del Presidium dell’ex repubblica autonoma, i quali hanno adottato risoluzioni che portano a minare le basi della sovranità della Repubblica Cecena.

11 – Esprime un avvertimento a Doku Zavgaev, al Ministro degli Affari Interni Alsultanov, al Presidente del KGB Kochubey, al Procuratore della Repubblica Pushkin, i quali organizzano e conducono consapevolmente azioni illegali ed atti di natura chiaramente provocatoria. La responsabilità di tali azioni spetta a Zavgaev.

12 Respinge il decreto del Soviet Supremo dell’ex repubblica autonoma sull’annuncio del 26 aprile – giorno dell’adozione della legge dell’RSFSR sulla riabilitazione dei popoli oppressi – riguardo l’istituzione di una “giornata della giustizia” fino alla completa riabilitazione di tutto il territorio della Repubblica.

13 Decide di organizzare e gestire un servizio di addestramento militare alternativo, e interagisce con le forze subordinate ai ministeri ed ai dipartimenti militari per proteggere gli interessi della sovranità della Repubblica Cecena, e costituisce un comitato di difesa sotto il Comitato Esecutivo.

14 Censura ed avverte la delegazione preposta alla firma del Trattato dell’Unione e del Trattato Federativo, in quanto tali atti avrebbero gravi conseguenze per il popolo ceceno.

15 Sviluppa e approva le condizioni per le quali sia possibile un accordo con l’URSS o un accordo interstatale con la RSFSR.

16 In accordo con la volontà del popolo ceceno, espressa nelle decisioni del Congresso Nazionale, respinge tutti gli atti repressivi del governo dell’Unione contro Abdurakhman Avtorkhanov, e li dichiara illegali. Dichiara di riconoscere Avtorkhanov cittadino onorario della Repubblica Cecena. Rinomina il Viale della Rivoluzione (a Grozny) con il nome di Abdurakhman Avtorkhanov.

17 Rinomina la Piazza Lenin di Grozny col nome di Sheikh Mansur.

18 Da fiducia al Comitato Esecutivo e gli garantisce il diritto di concludere accordi interstatali.

19 Al fine di garantire la sicurezza della Repubblica Cecena, la prossima leva per le forze armate dell’URSS, a partire dall’autunno 1991, dovrà essere dislocata esclusivamente nella Repubblica Cecena, ad eccezione delle persone che desiderano volontariamente prestare servizio al di fuori della Repubblica, esprimendo il loro desiderio per iscritto e presentandolo al Comitato Esecutivo. Il diritto di stipulare accordi di difesa comune con l’URSS ed il passaggio di servizio da parte dei cittadini della repubblica è riconosciuto al Comitato Esecutivo.

20 Chiede le dimissioni immediate del Presidente del KGB e del Procuratore della Repubblica, i quali non hanno adempiuto alla volontà del popolo ceceno, espressa dalla decisione del Congresso Nazionale. Le nuove nomine a queste posizioni possono essere prese solo previo accordo con il Comitato Esecutivo.

21 Approva la nomina di Dzhokhar Dudaev come Presidente del Comitato Esecutivo e di Yusup Soslambekov come primo vicepresidente. Concorda sulle proposte di Dudaev riguardo la struttura del Comitato Esecutivo e la sostituzione dei suoi componenti, conformemente al regolamento elaborato dal Comitato Esecutivo, dal suo Presidium e approvato dal suo rappresentante.

22 Considera il lavoro del Congresso con la conservazione dell’autorità delegata. Il diritto di riprendere i lavori è riconosciuto al Comitato Esecutivo.

23 Accetta: 1) la risoluzione sulla struttura e sugli organi del Comitato Esecutivo del Congresso 2) il Discorso alle Nazioni Unite ed all’ONN (Organizzazione dei popoli non rappresentati) 3) Il Discorso alla comunità mondiale, ai parlamenti ed ai popoli del mondo 4) l’Appello ai popoli del Caucaso.

Le decisioni del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno entrano in vigore in tutta la Repubblica Cecena (Nokhchi – cho) dal 9 Giugno 1991

Il Presidente del Comitato Esecutivo del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno, Generale D. Dudaev.

Il dado era tratto. Con la delibera del 9 Giugno 1991 il Congresso Nazionale del Popolo Ceceno dichiarò l’indipendenza della Cecenia. Sul momento nessuno ci fece troppo caso: dopotutto l’OKChN non era una istituzione riconosciuta né in Cecenia né all’estero. Zavgaev, dal Soviet Supremo, ignorò semplicemente la dichiarazione, bollandola come la stravaganza di un gruppo di esaltati. A Mosca la notizia giunse in sordina, giacché le elezioni presidenziali avevano, com’era prevedibile, monopolizzato la piazza, e nessuno si preoccupava seriamente né della Cecenia, né del suo Congresso Nazionale. Eppure quella dichiarazione avrebbe avuto conseguenze determinanti per il futuro della piccola repubblica caucasica, per quello della Russia e, per certi versi, per quello del mondo intero.

Le elezioni presidenziali russe videro una travolgente vittoria di Eltsin. La sua elezione impresse un’accelerazione esponenziale al processo di disgregazione dell’URSS, ed intimorì la vecchia guardia del partito che, temendo di sparire, organizzò un colpo di stato per estromettere Gorbachev e bloccare le riforme. Mentre il colpo di stato era in preparazione, in Cecenia il Comitato Esecutivo tentava di scavalcare il Soviet Supremo di Zavgaev ed ottenere una qualche forma di legittimità internazionale. Il 5 Agosto Congresso inviò un suo incaricato all’Aja, presso l’Organizzazione dei Popoli non Rappresentati dove questi registrò la dichiarazione di indipendenza sottoscritta il 9 Giugno. L’8 Agosto il Comitato Esecutivo emise un appello indirizzato al Segretario Generale dell’ONU, al Segretario dell’Organizzazione dei Popoli Non Rappresentati ed in generale ai governi di tutto il mondo, del quale pubblichiamo alcuni stralci:

Il popolo ceceno, in un congresso nazionale tenutosi tra il 23 e il 25 Novembre del 1990, basato sul principio internazionale stabilito nella Costituzione dell’URSS, della RSFSR, della Cecenia – Inguscezia e del diritto internazionale, il quale afferma che la fonte principale dell’autorità statale è il popolo autorizzato ad esercitare questo potere attraverso le strutture statali elette direttamente, esprimendo attraverso i delegati del Congresso la volontà di tutto il popolo e il desiderio di un cambiamento radicale nello stato della repubblica autonoma esistenze, tenendo di conto e sostenendo il desiderio del popolo inguscio di costituire un proprio stato nazionale, proclamò la Dichiarazione di Sovranità statale della Repubblica cecena di Nokhchi – cho, ed ha invitato il Soviet Supremo della Repubblica Autonoma della Cecenia – Inguscezia ad adottare la Dichiarazione. […]

In considerazione del fatto che il Soviet Supremo della Repubblica non solo ha preso la decisione di ignorare la volontà popolare, ma ha anche utilizzato tutti i mezzi per affermare il suo potere ed ha adottato strumenti legislativi e delibere non riconosciutegli dal suo potere in rappresentanza di una repubblica sovrana, il Comitato Esecutivo ha deciso di convocare per l’8 Giugno di quest’anno i suoi deputati per proseguire il lavoro del Congresso come costituente. […] L’intera autorità nel territorio della Repubblica è stata trasferita al Comitato Esecutivo, eletto dal Congresso, fino alla formazione di un nuovo organo legislativo in conformità con le norme giuridiche universalmente riconosciute.

La dichiarazione di indipendenza del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno sarebbe probabilmente rimasta una sterile dichiarazione di intenti se, pochi giorni dopo la pubblicazione di questo appello, l’Unione Sovietica non fosse stata scossa da un colpo di stato che avrebbe messo in subbuglio tutta la sua fragile impalcatura politica. Tra il 19 ed il 21 Agosto un “Comitato di Emergenza” promosso dalla frangia più conservatrice del PCUS mise in atto il “Putsch di Agosto”, un tentativo di interrompere la Perestrojka arrestando Gorbachev e mobilitando l’esercito. Il colpo di stato fallì, ma mentre Zavgaev ed il Soviet Supremo cercavano di capire da quale parte schierarsi, il Comitato Esecutivo mise in piedi una poderosa manifestazione popolare ed iniziò ad armare giovani volontari, inquadrandoli in una “Guardia Nazionale”. Non ci soffermeremo, per motivi di tempo, sulla cronaca di quegli eventi, descritta con dovizia di particolari nel libro Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria (acquistabile QUI).

LA TERZA SESSIONE

1/2 Settembre 1991

Durante il Putsch di agosto il Comitato Esecutivo del Congresso divenne il centro operativo dell’opposizione al colpo di stato. Fu il Comitato Esecutivo a decretare la costituzione della Guardia Nazionale e ad affidarne la direzione a Iles Arsanukaev, Ibragim Suleimanov e Bislan Gantamirov. Zavgaev tornò nel paese il 21 Agosto, e fece prontamente condannare dal Soviet Supremo il colpo di stato. Ma ormai era tardi per cambiare il corso degli eventi. Il 22 Agosto il Comitato Esecutivo chiese lo scioglimento del Soviet Supremo, mentre la Guardia Nazionale occupava la TV di Stato, la Radio, il Sovmin (Edificio del Consiglio dei Ministri) e molti altri edifici pubblici. Entro il 30 Agosto Grozny era piena di barricate, e bande di miliziani armati si aggiravano per la città. In questa atmosfera si tenne la terza sessione del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno, tra l’1 e il 2 Settembre 1991.  Gli elementi moderati erano già stati da tempo espulsi dall’assemblea, cosicché questa operò come se fosse un vero e proprio parlamento indipendentista, ed il Comitato Esecutivo come fosse un governo. Il Congresso sancì la decadenza di tutti gli organi politici della RSSA Ceceno Inguscia, ed incaricò Hussein Akhmadov, Vicepresidente del Comitato Esecutivo, di costituire una commissione legislativa che si occupasse di redigere i primi atti legislativi della nuova repubblica. Al termine dei lavori l’OCKhN emise una delibera nella quale considerava decaduto il Soviet Supremo, colpevole di non essersi dissolto ma anzi di aver continuato a perseguire una politica di conservazione del potere in spregio al principio della volontà popolare.  In risposta alle dichiarazioni del Comitato Esecutivo del Congresso il Soviet Supremo dichiarò lo Stato di Emergenza nella città di Grozny, ma la città era ormai pienamente nelle mani della Guardia Nazionale e le forze armate non furono autorizzate ad uscire dalle caserme, così lo stato di emergenza naufragò in breve tempo. Anche il resto del paese, nel frattempo era insorto a favore del Comitato Esecutivo, e la mancata reazione dell’esercito convinse i suoi esponenti ad agire in modo più diretto. Il 6 Settembre la Guardia Nazionale, guidata da Soslambekov, assaltò il Soviet Supremo e costrinse tutti, compreso Zavgaev a firmare le proprie dimissioni. Subito dopo l’ormai deposto leader della Cecenia – Inguscezia fuggì da Grozny, riparando nel nord del paese e da lì a Mosca. La parabola politica di Zavgaev iniziava a declinare.

Yusup Soslambekov e Dzhokhar Dudaev discutono durante una sessione del Congresso. I due rimarranno alleati fino ai primi mesi del 1992, quando Soslambekov, eletto deputato al Parlamento, costituirà la corrente di opposizione “Bako” (“Diritto”) ostile al governo di Dudaev. Gli attriti tra i due esacerberanno la crisi istituzionale tra Parlamento e Presidente e porteranno al colpo di stato del 4 Giugno 1993 operato da Dudaev ai danni delle strutture democratiche della Repubblica.

L’azione violenta della Guardia Nazionale poteva ben definirsi colpo di stato, ed alcuni movimenti che erano rimasti a traino dei radicali, come il Movimento Verde di Ramzan Goytemirov lasciarono il Comitato per protesta, andando ad aggiungersi ai moderati che avevano abbandonato il Comitato nel Giugno precedente. Dalla loro unione sarebbe nato il raggruppamento politico Movimento per le Riforme Democratiche. A seguito dell’assalto al Soviet, su intercessione del presidente del Soviet Supremo dell’URSS, il ceceno Ruslan  Khasbulatov, il Comitato Esecutivo acconsentì alla costituzione di un Soviet Provvisorio che traghettasse il paese alle elezioni, previste per il 17 Novembre. Dopo lunghe trattative si decise di costituire un organo composto da 13 esponenti, composti da 9 deputati del vecchio Soviet Supremo, e da 4 esponenti del Comitato Esecutivo, sotto la presidenza di Hussein Akhmadov. Il Comitato Esecutivo autorizzò la nascita di questo organismo con la seguente delibera:

Comitato esecutivo del Congresso nazionale del popolo ceceno

17 settembre 1991

La crisi politica nata nella repubblica in relazione alla perdita del diritto al potere legislativo da parte del Consiglio supremo dell’ex Repubblica socialista ceceno-sovietica e intensificata a seguito del sostegno da parte del Consiglio supremo del Comitato di emergenza statale ha portato a una situazione critica nella repubblica. Nonostante il fatto che la manifestazione di manifestazione illimitata abbia spinto i suoi partecipanti e la popolazione a disperare con la transizione dei singoli partecipanti, comprese le donne, a uno sciopero della fame a secco, l’ex Consiglio supremo, che è un tradimento degli interessi delle persone, il riconoscimento e l’aiuto del Comitato di emergenza statale, una dichiarazione provocatoria di uno stato di emergenza, richiede introducendo il governo presidenziale, un tentativo di sopprimere fisicamente il proprio popolo, screditò completamente se stesso. Permissività e impunità,

Al fine di garantire la stabilità politica, sopprimere le attività provocatorie da parte delle ex forze armate, le normali attività funzionali delle strutture esecutive e delle strutture di contrasto e attuare le decisioni della finestra, il comitato esecutivo dell’OKCHN decide che:

1. La decisione del Consiglio supremo dell’ex Repubblica socialista ceceno-sovietica sull’auto-scioglimento e le dimissioni dalle funzioni legislative dovrebbe essere accettata come un fatto giuridico, a conferma della decisione dell’OKCHN.

2. Approvare il Consiglio provvisorio composto da: Presidente H. Akhmadov, membri: Sh. Gadayev, Yu. Gazaloev, I. Kodzoev, L. Usmanov, Cherny Yu., Bogach V., Bakhmadov B., Zurabov M., Islamov O. , Khamzaev A., Dikazhev M., Khazuev H.

Con la concessione del diritto di adottare atti legislativi temporanei in conformità con le decisioni della terza fase dell’OKCHN del 1 settembre 1991, senza concedere il diritto di legiferare e potere legislativo. In caso di crisi di fiducia o incapacità del Soviet Provvisorio, il Comitato Esecutivo si riserva il diritto di adottare atti legislativi.

3. Tenendo conto della complessità della situazione causata dalla crisi politica, nonché del riconoscimento da parte della maggioranza della popolazione del programma e delle attività della Comitato Eseuctivo,l’ OKCHN si assume la responsabilità di organizzare l’interazione con le forze dell’ordine e altre autorità esecutive al fine di garantire sicurezza, proteggere i diritti e le libertà della popolazione prima che la repubblica trasferisca a potere presidenziale.

4. Prima dell’adozione di atti legislativi temporanei in conformità con la decisione del OKCHN del 1 settembre 1991, la Repubblica deve essere guidata dalle leggi della RSFSR che non violano la sovranità della Repubblica cecena-Ingusca.

5. Dev’essere riconosciuto il diritto alla libera espressione del popolo Inguscio rispetto al al proprio sistema statale.

6. In base alle decisioni del Congresso Nazionale del popolo ceceno, per inazione ufficiale e mancata adozione di misure contro i complici del Comitato di emergenza statale, la mancata adozione di misure preventive contro le attività provocatorie delle persone dell’ex Consiglio Supremo, che hanno portato a una situazione critica, si intima al Procuratore CIR di Pushkin di dimettersi. Si propone a Elsa Sheripova di accettare l’esercizio temporaneo delle funzioni ufficiali del procuratore CHIR.

7. Conformemente al decreto del presidente della RSFSR e alla decisione della Comitato Esecutivo dell’OKCHN per un periodo speciale, i responsabili della complicità nel comitato di emergenza statale, i funzionari dell’ex Consiglio supremo che conducono attività provocatorie e sovversive dovrebbero essere ritenuti responsabili.

8. A causa del livello estremamente basso di supporto medico per la popolazione, elevata mortalità dei bambini, la bassa aspettativa di vita, a seguito delle conseguenze del genocidio e del regime coloniale, ci si rivolge alla Società Internazionale della Croce Rossa ed alla Mezzaluna Rossa per l’assistenza umanitaria.

9. Contattare il Segretario generale delle Nazioni Unite, il governo di Ucraina, Estonia, Lettonia, Lituania, Moldavia, Georgia, Armenia, Azerbaigian per inviare i loro rappresentanti perchè osservino e valutino con competenza la situazione politica e monitorino la campagna elettorale.

10.  Di sostituire, in tutto il territorio del CIR, le bandiere della RSSA Ceceno – Inguscia con quelle nazionali.

11. Inviare una delegazione a San Pietroburgo per negoziare il trasferimento dei resti di Sheikh-Mansur nella sua storica patria.

12. Dichiarare il 6 settembre Giorno dell’Indipendenza, giorno della deposizione del regime totalitario e del passaggio allo stato di diritto democratico. I nastri simbolici di coloro che hanno accettato la ghazavat, con iscrizioni registrate e fotografie personali, dovrebbero essere trasferiti al museo nazionale. Inviare alla segreteria delle Nazioni Unite un certificato per alzare la bandiera della repubblica ogni anno il 6 settembre.

13. A nome del popolo, il Comitato Esecutivo OKCHN fa appello a tutte le nazioni e ai parlamenti del mondo per impedire alle forze imperiali di interferire e continuare il genocidio contro il popolo ceceno.

14. Al fine di stabilizzare rapidamente la situazione politica e superare la crisi politica, procedere a:

Dichiarazione di Indipendenza il 12 ottobre. Elezioni del Presidente della Repubblica il 19 ottobre 1991. Elezioni del Parlamento della Repubblica il 27 ottobre 1991.

15. Nomina della Commissione elettorale centrale composta dal Presidente Akbulatov Z., Segretario Kerimov S. I membri della commissione saranno eletti in aggiunta.

16. L’effetto della presente risoluzione entra in vigore il giorno dell’adozione.

Comitato esecutivo OKCHN

Gli esponenti dll’OKChN consideravano il Soviet Supremo Provvisorio come una mera espressione del Congresso, e dichiararono che questo avrebbe continuato ad operare fintanto che l’assemblea gli avesse confermato fiducia. Nella sua risoluzione il Comitato Esecutivo chiariva al di fuori di ogni dubbio che il Soviet Provvisorio avrebbe avuto come unico scopo quello di traghettare il paese all’indipendenza. In questo senso il decreto stabiliva anche i termini temporali entro i quali tale “guado politico” avrebbe dovuto aver luogo.  In questa situazione, con il governo depotenziato e di fatto ostaggio dell’OKChN e la Guardia Nazionale mobilitata ed operante in tutto il paese si svolsero i preparativi per le elezioni del Presidente e del Parlamento. I moderati insorsero costituendo un movimento trasversale chiamato Tavola Rotonda. I suoi militanti scesero in piazza chiedendo al Comitato Esecutivo di abbandonare gli edifici occupati dalla Guardia Nazionale (TV e Radio in primis) e di sciogliere i gruppi armati illegali, compresa la Guardia Nazionale. Il 25 settembre i deputati dell’ex Soviet Supremo presso il Soviet Supremo Provvisorio denunciarono pubblicamente la politica dittatoriale del Comitato Esecutivo, il quale considerava il Soviet Provvisorio come una appendice del proprio potere. Uno di essi, il deputato Bakhmadov, si dimise per protesta. Nei giorni seguenti i miliziani di Dudaev impedirono più volte ai membri del Soviet Provvisorio non allineati con i nazionalisti di presenziare alle sedute dell’assemblea. In questo modo dei 13 deputati che lo componevano, soltanto 4 riuscirono a presentarsi alle riunioni. Si trattava ovviamente dei 3 delegati del Comitato Esecutivo e di Hussein Akhmadov, Vicepresidente dell’OKChN. In queste condizioni non sussistevano i numeri per poter garantire la legittimità delle decisioni del Soviet Provvisorio. Ma Akhmadov non parve curarsene, ed alla prima occasione fece votare a quei suoi pochi sodali una legge che riconosceva la piena autorità del Congresso come organo legislativo. Nella stessa seduta, poi, sancì la secessione dell’Inguscezia, cui fu riconosciuto il diritto di costituire una repubblica autonoma federata con la Russia. I deputati esclusi denunciarono l’azione, definendola illegittima e la mattina del 5 ottobre votarono una mozione che abrogava gli atti varati nella precedente riunione. In risposta il Comitato Esecutivo ordinò lo scioglimento del Soviet Provvisorio, e la Guardia Nazionale assaltò la Camera dei Sindacati, dove si era da poco conclusa la riunione. I sette deputati riuscirono comunque a fuggire, mentre i miliziani armati, occupato l’edificio, si dirigevano verso la sede del KGB e la catturava quasi senza combattere, sequestrando una immensa quantità di armi e munizioni.

Il giorno seguente il Comitato Esecutivo sospese ufficialmente il Soviet Provvisorio “per attività provocatoria e sovversiva” ed assunse le funzioni di “comitato rivoluzionario per il periodo di transizione con pieni poteri”. Indisse poi elezioni parlamentari e presidenziali per il 27 Ottobre successivo. Il 7 Ottobre membri del vecchio e del nuovo soviet si riunirono in un hotel nel centro della città a proclamarono la ricostituzione del Soviet Provvisorio, attingendo anche ai vecchi deputati del disciolto soviet. Alla sua presidenza fu posto Bakhmadov, il delegato che si era dimesso per protesta pochi giorni prima. Nella sua prima dichiarazione il Soviet invitò i cittadini a boicottare le elezioni presidenziali annunciate dal Comitato Esecutivo ed emise un appello alla RSFSR affinchè riconoscesse la sua autorità sul paese. Per tutta risposta il Comitato Esecutivo inviò la Guardia Nazionale a sequestrare tutti gli edifici governativi non ancora occupati. Il Soviet Supremo Provvisorio venne nuovamente disperso, ed i suoi membri si dettero alla macchia. Il 9 Ottobre da Mosca giunse il primo richiamo, nel quale si chiedeva lo scioglimento delle unità paramilitari del Comitato Esecutivo. In risposta a questo Dudaev proclamò la mobilitazione di tutti i maschi tra i 15 ed i 55 anni, richiamando tutto il personale dell’esercito sovietico di nazionalità cecena. Poi il Comitato Esecutivo chiamò in piazza i suoi sostenitori. La manifestazione fu imponente, anche se adombrata da un altro presidio allestito dalla Tavola Rotonda, la quale chiedeva la fine della Rivoluzione e l’inizio di negoziati politici. In quella sede i moderati costituirono il Movimento per la Conservazione della Cecenia – Inguscezia. Nonostante il caos e la militarizzazione della città il Comitato Esecutivo portò avanti la campagna elettorale ed emise un lungo decreto nel quale diffidava la Russia “dall’interferire negli affari di uno stato indipendente” considerando tali atti “tali da essere considerati al pari di un’invasione armata”.  E vista l’eventualità che potesse verificarsi uno scontro con l’esercito federale, il Comitato Esecutivo confermò l’ordine di mobilitazione emanato da Dudaev, ordinò il ritiro di tutto il personale militare ceceno dall’esercito sovietico e l’annullamento della Leva prevista per l’autunno di quell’anno, dirottando i coscritti dall’Armata Rossa alla Guardia Nazionale. Il decreto terminava con un appello a tutti i popoli del Caucaso:

Riconoscendo la responsabilità storica del destino dei popoli del Caucaso, tenendo conto degli interessi comuni, il Comitato Esecutivo del Congresso Nazionale del popolo ceceno invita tutti i popoli del Caucaso a difendere il proprio onore, libertà e indipendenza. È arrivata l’ora della lotta decisiva!

Per tutto il mese di Ottobre lo scontro tra i rivoluzionari del Congresso ed i conservatori del Soviet Provvisorio andò avanti in un crescendo di tensione, che per necessità di sintesi evitiamo di affrontare. Questo scontro portò alle elezioni presidenziali e parlamentari del 27 Ottobre, all’elezione di Dudaev alla carica di presidente ed a quella di un Parlamento in massima parte composto da membri del Congresso, e presieduto da Hussein Akhmadov. L’opposizione democratica, di fatto esclusa dalle elezioni, armò una milizia chiamata Unione per la Protezione dei Cittadini e si raccolse nel Movimento per la Conservazione della Cecenia – Inguscezia. L’8 Novembre, esasperato dalla situazione il Presidente russo Eltsin decretò lo stato di emergenza, ordinando all’esercito di intervenire e stroncare la rivoluzione. Ma l’opposizione del Presidente dell’URSS Gorbachev (dal quale l’esercito dipendeva) e di numerosi alti funzionari fece si che il tentativo di Eltsin naufragasse. La prospettiva di un’invasione militare russa compattò l’opinione pubblica cecena intorno alle figure di Dudaev e del Parlamento appena eletto, emarginando l’opposizione moderata, che perse buona parte del suo consenso. Le forze di polizia inviate da Eltsin, prive dell’armamento pesante a causa del rifiuto di Gorbachev di far intervenire l’esercito, furono assediate all’Aereoporto di Khankala e nei sobborghi della capitale e costrette a fuoriuscire da Grozny in autobus scortati dai miliziani armati. Anche la Confederazione dei Popoli della Montagna, organizzazione pancaucasica da poco costituitasi ma molto attiva e popolare, sostenne le tesi dei dudaeviti e proclamò una grande mobilitazione dall’estero per sostenere l’indipendenza della Cecenia. Alla fine anche i movimenti moderati finirono per sostenere la mobilitazione contro una possibile aggressione russa, e lo stato di emergenza naufragò.

LA QUARTA SESSIONE

17 Maggio 1992

Tra la fine del 1991 e la primavera del 1992 le forze che avevano portato a termine la Rivoluzione Cecena organizzarono il nuovo stato indipendente. Presidente e Parlamento si insediarono nei loro uffici, l’assemblea costituente produsse una Costituzione repubblicana di ispirazione occidentale e lo stato ricominciò a funzionare in modo più o meno normale, pur afflitto dalla disastrosa situazione economica e dal blocco commerciale imposto da Mosca come rappresaglia per la dichiarazione di indipendenza. Il 31 Marzo l’opposizione tentò un colpo di stato occupando per breve tempo l’edificio della TV nazionale. Il colpo di stato naufragò presto, ma dette ai nazionalisti ulteriori argomenti per demonizzare i già marginalizzati esponenti della vecchia nomenklatura sovietica e dei partiti moderati (anche questi eventi, importantissimi per la storia della Cecenia, non possono essere trattati qui per motivi di sintesi, ma sono ampiamente raccontati nel libro Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, acquistabile QUI). Come spesso accade nelle giovani repubbliche, nacquero presto attriti e conflitti tra il potere legislativo, rappresentato dal Parlamento, e quello esecutivo, rappresentato dal Presidente. La figura del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno, che fino alla Rivoluzione Cecena era stato il fulcro dell’azione politica nazionalista, perse gradualmente di importanza, essendo stato superato dalla nascita di vere e proprie istituzioni politiche. Ciononostante il suo ruolo di guida fondativa e l’autorevolezza che rappresentava per i nazionalisti fecero sì che tutti i protagonisti della Cecenia indipendente vi fecero ricorso, convocandolo a sostegno delle proprie tesi. Come abbiamo visto, tuttavia, fin dalla sua seconda convocazione le autorità avevano abbandonato il principio dell’elezione diretta dei delegati in favore di una convocazione “per nomina”, trasformandolo in una sorta di Congresso di Partito.

La quarta sessione, indetta per il 17 Maggio 1992, non fece eccezione. Essa fu dominata dalla figura di Dudaev, il quale tenne un lungo discorso riepilogativo sugli eventi che avevano portato all’indipendenza del paese. Si soffermò sul tentato colpo di stato dell’opposizione, che definì un atto non soltanto illegale ma addirittura “anti – umano”. Importante fu la presenza di Zviad Gamsakhurdia, presidente deposto della Georgia in quel momento in esilio a Grozny, il cui intervento suscitò reazioni contrastanti. I dudaeviti più fedeli videro nelle parole di apprezzamento di Gamsakhurdia l’inizio del processo di riconoscimento politico della Repubblica. Altri, invece, notarono che questi si era ben guardato dal riconoscere la Cecenia quando era al potere, e che le sue parole così lusinghiere, ora che questi era in esilio in Cecenia, tradivano un certo opportunismo. Questo in particolare fu amaramente fatto notare da Akhmadov, presidente del Parlamento. Come dicevamo, le frizioni tra Presidente e Parlamento avevano già raggiunto un livello importante, e questo stato di cose si rilevò anche al Congresso. Soslambekov parlò pubblicamente del fatto che la Presidenza della Repubblica non stava seguendo le indicazioni del Parlamento, e che questo avrebbe potuto portare ad una crisi istituzionale. Durante i lavori dell’assemblea una corrente leale a Soslambekov propose di nominare questi Vicepresidente della Repubblica, in modo da poter frenare le ambizioni autoritarie del Generale.  Il tentativo venne bruscamente bloccato dal moderatore Said Hassan Abumuslimov, il quale troncò la discussione dichiarando che il Congresso non aveva il potere di nominare cariche dello stato. Anche le parole di Akhmadov ovviamente, per quanto dirette contro Gamsakhurdia, impattavano personalmente su Dudaev, dal momento che era stato lui il primo ad offrire asilo all’ex presidente georgiano ed a sbandierarlo come “ospite illustre” pensando così di rinforzare il consenso nei suoi confronti.

Yandarbiev e Dudaev insieme al Congresso. L’alleanza tra i due durò fino alla fine. Dopo il colpo di Stato del 1993 Yandarbiev fu nominato Vicepresidente della Repubblica, ed in quella veste assunse la carica di Presidente ad interim il 21 Aprile 1996, quando Dudaev fu ucciso dai servizi speciali russi. Yandarbiev non rinnegò mai la sua fedeltà a Dudaev, ed in suo onore fece rinominare Grozny “Dzhokhar – Ghala”.

Al Congresso parteciparono anche esponenti dell’opposizione. Lecha Umkhaev, in qualità di delegato fu presente all’assemblea dopo qualche capitombolo. Secondo le sue memorie egli scoprì pochi giorni prima del congresso che la sua delega era stata revocata dal Comitato Esecutivo, assieme a quella di molti altri delegati allineati su posizioni moderate o comunque critiche verso Dudaev. Anche Salambek Khadziev, uomo – immagine dell’opposizione moderata prese la parola. Secondo quanto riferito da Umkhaev più che di un congresso si trattò di un raduno politico, caratterizzato da slogan e manifestazioni nazionaliste, privo di un programma condiviso. Nelle sue memorie Umkhaev racconta:

“vorrei descrivere l’atmosfera del congresso. Era deprimente. Sul congresso regnò lo spirito di lealtà al partito, come al tempo dei forum del PCUS. […] E’ stato sorprendentemente imbarazzante il tentativo di presentare gli organizzatori del Congresso come gli unici guardiani della nazione e dei suoi interessi. […].”

In un’intervista di poco successiva spiegò la sua situazione in riferimento al tentato colpo di stato del 31 Marzo, a seguito del quale tutta l’opposizione al governo era stata bollata col termine di “nemica del popolo”: 

“Sono uno dei promotori della creazione del movimento Daimokh, che ha immediatamente dichiarato il suo fondamentale disaccordo con i metodi ed i principi che il nuovo governo sta sostenendo per risolvere i nostri problemi interni ed esterni. Esprimiamo il nostro disaccordo con metodi politici e costituzionali. La nostra organizzazione è ufficialmente registrata. L’atteggiamento negativo nei confronti dell’opposizione viene alimentato proprio perché le persone che sono salite al potere parlano molto di democrazia, ma non vogliono vederla nella realtà. […] Le basi della democrazia sono la libertà di parola e di pubblicità. E il nostro movimento, nonostante le ripetute richieste, non viene ospitato da tempo nelle trasmissioni televisive. Come si adatta questo ai principi della democrazia? […] In qualsiasi paese che si consideri civile l’opposizione è una delle forze trainanti nello sviluppo della società lungo il percorso della democrazia. […].”

Il tema principale, comunque, fu quale futuro dare al Congresso. La Costituzione non lo aveva incluso tra le istituzioni della Repubblica, quindi le sue delibere non avevano alcun peso legale. Neanche Dudaev, o Yandarbiev, o Akhmadov si erano espressi in favore di un’integrazione dell’OKChN nella struttura dello Stato. D’altra parte quasi tutti i leader della Rivoluzione Cecena, che avevano guidato o fatto parte del Congresso, erano stati eletti o nominati in cariche ufficiali della Repubblica, ed il Congresso si era conseguentemente svuotato dei suoi più autorevoli moderatori. Nel Febbraio del 1992 la guida del Comitato Esecutivo era passata a due “quadri medi” della rivoluzione, privi del carisma e del peso sufficienti ad esercitare il ruolo di riferimento popolare che fino ad allora aveva reso il Congresso l’organizzazione centrale dell’indipendenza cecena: si trattava di Ilyas Satuev e Chingiz Zubairaev. Le loro delibere ed iniziative venivano sistematicamente ignorate dalle istituzioni e dal governo. Questo atteggiamento, simile per certi versi a quello che aveva tenuto Zavgaev ai suoi tempi, frustrava le ambizioni del Comitato Esecutivo, il quale propose al Parlamento di valutare l’idea nella sua delibera finale. In questa si leggeva:

  • 7) Proporre al Parlamento ed al Presidente della Repubblica Cecena di sviluppare insieme al Comitato Esecutivo del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno i procedimenti necessari al riconoscimento del Congresso nella struttura politica dello stato ceceno.

L’iniziativa proposta dal Comitato Esecutivo non fu recepita né dal Parlamento, né dal Presidente. Nel frattempo il conflitto tra queste due istituzioni, sempre più acceso e totale, portò la Repubblica alla paralisi legislativa, con il Presidente che opponeva il veto alle iniziative del Parlamento e questo che annullava i decreti del Presidente. Il Comitato Esecutivo, inizialmente posizionato su una linea di compromesso rispetto ai due, si spostò progressivamente dalla parte del partito Parlamentare, tanto che il 2 Giugno 1992 emise una delibera nella quale c’era scritto:

Presidio del Comitato esecutivo del Congresso nazionale del popolo ceceno

La difficile situazione criminale, il costante declino degli standard di vita, il deterioramento della situazione economica della popolazione destano serie preoccupazioni per il comitato esecutivo dell’OKCHN. […] Allo stesso tempo, il ramo esecutivo ignora le decisioni del Congresso, le Risoluzioni del Parlamento, l’opinione del Comitato Esecutivo e dell’opinione pubblica. […]Il Comitato Esecutivo dichiara il suo atteggiamento estremamente critico nei confronti della politica del personale del Presidente, invita il Presidente a seguire rigorosamente la Costituzione della Repubblica cecena e elaborare modi per interagire con il Comitato esecutivo.[…].”

LA DITTATURA

Ormai ridotto ad un mero organismo consultivo, ignorato da Dudaev ed estromesso da qualsiasi processo decisionale, il Comitato Esecutivo del Congresso perse quasi totalmente di importanza. Per tutto il resto del 1992, mentre il conflitto tra il Presidente ed il Parlamento si esacerbava, esso sostenne le tesi dei parlamentaristi intimando il capo dello stato a rispettare la Costituzione, e continuò a chiedere di essere riconosciuto come istituzione della Repubblica. Quando, nel Febbraio del 1993, il Generale propose una modifica della Costituzione che gli garantisse piena autorità sul potere esecutivo, il Comitato si espresse in maniera fortemente contraria, invitando “tutte le forze sane della nazione ad unirsi contro la dittatura”. Durante la crisi istituzionale che attraversò il paese tra il Febbraio ed il Giugno del 1993 molti dei suoi esponenti si schierarono apertamente dalla parte del Parlamento, e quando, il 4 Giugno 1993, Dudaev dissolse il Parlamento con la Guardia Nazionale, anche il Comitato Esecutivo del Congresso cessò praticamente di esistere. Nessuna attività viene rilevata tra quella data ed il Giugno dell’anno successivo. Durante questi dodici mesi Dudaev governò la Repubblica Cecena, ribattezzata il 19 Gennaio 1994 Repubblica Cecena di Ichkeria, tramite decreti presidenziali, trasformando la repubblica democratica in una dittatura personale. Yandarbiev fu nominato Vicepresidente. I residui delle istituzioni democratiche spazzate via dai dudaeviti si unirono all’opposizione moderata ed ai resti della nomenklatura sovietica che avevano tentato di soffocare la Rivoluzione Cecena nell’autunno del 1991, e così fecero molti degli esponenti dell’ormai dissolto Congresso.

Tra il 2 ed il 4 Giugno del 1994 questo amalgama di oppositori, riunito in un Consiglio Provvisorio, decise di costituire una propria assemblea di base, e rispolverò il Congresso Nazionale Ceceno. Seguendo le linee guida dettate dal Comitato Organizzativo di Umkhaev, gli anti – dudaeviti convocarono una loro versione del Congresso nel capoluogo del distretto dell’Alto Terek, cuore della rivolta contro il regime. Vi parteciparono, a detta degli organizzatori, più di duemila delegati, per lo più provenienti dai distretti settentrionali, da sempre ostili a Dudaev. L’assemblea revocò la fiducia a Dudaev, riconobbe il Consiglio Provvisorio come unica autorità legittima nel paese, e lo incaricò di costituire un “Governo di Salvezza Nazionale”. Seguendo le indicazioni dell’assemblea, il Consiglio Provvisorio emise un “Decreto sull’Autorità” nel quale proclamò Dudaev rimosso dalla Presidenza ed assunse i pieni poteri nella Repubblica, e chiese il riconoscimento ufficiale da parte del governo federale, proclamando la ferma volontà di firmare un Trattato Federativo con la Russia e deporre i dudaeviti. Dudaev, dal canto suo, chiamò all’appello i suoi seguaci in un altro Congresso Nazionale: al suo “anticongresso” parteciparono altrettanti delegati, stavolta provenienti principalmente dai distretti meridionali del paese. In risposta alle proposte del “Congresso del Nord”, il “Congresso del Sud” chiese a Dudaev di proclamare la mobilitazione generale contro i “nemici della Patria” e di perseguirli per “alto tradimento”. Anche Dudaev raccolse l’invito dei suoi seguaci, introdusse la Legge Marziale e proclamò la mobilitazione generale. Nei mesi seguenti il conflitto tra le due fazioni si fece acceso, e nel Settembre del 1994 il paese piombò nella guerra civile. Di questa situazione si approfittò il governo russo, che sostenne direttamente con denaro ed armi le milizie del Consiglio Provvisorio, cercando di fare in modo che Dudaev venisse destituito da una fazione interna alla Cecenia, evitando così un intervento diretto dell’esercito federale. I combattimenti furono accaniti, e provocarono centinaia di morti, ma il regime di Dudaev non cadde, ed anzi, il 26 Novembre 1994 le forze lealiste riuscirono a sbaragliare l’esercito del Consiglio Provvisorio in una tremenda battaglia urbana per le strade di Grozny. La sconfitta degli antidudaeviti non lasciò altra scelta ad Eltsin se non quella di intervenire direttamente, ordinando l’invasione del paese e scatenando la Prima Guerra Cecena.

Il video mostra Grozny tra il 1993 e il 1994. E’ una panoramica su luoghi e persone che di lì a poco sarebbero stati travolti dalla catastrofe della guerra.

LA QUINTA SESSIONE

7 Febbraio 1995

Dal dicembre del 1994 le forze federali penetrarono nel Paese, dando avvio a quella che sarebbe passata alla storia come la Prima Guerra Cecena. Le autorità civili della repubblica si dissolsero, e tutti gli uomini in grado di portare le armi furono mobilitati nell’esercito. Tra la fine di Dicembre ed i primi di Marzo l’esercito russo assediò e conquistò Grozny, facendo largo uso di artiglieria e bombardamenti aerei. I reparti ceceni, al comando del Capo di Stato Maggiore Aslan Maskhadov si ritirarono sulle montagne. E fu proprio tra le montagne, e precisamente nel villaggio di Chiri – Yurt, che il Congresso Nazionale del Popolo Ceceno tornò a riunirsi. Un folto gruppo di parlamentari, funzionari dello stato, membri del Consiglio degli Anziani e rappresentanti delle forze armate si riunì in un grande cementificio a poca distanza dal centro cittadino. L’incontro, al quale il Presidente Dudaev non partecipò per evidenti motivi di sicurezza, fu diretto da Yandarbiev (nel frattempo nominato Vicepresidente) e da Akhyad Idigov, Presidente del Parlamento “epurato” nel 1993. Intervennero il leader del Consiglio degli Anziani, Adizov, il Vice Muftì della Cecenia, Akhmat Kadyrov e lo stesso Maskhadov. Gli oratori si alternarono aggiornando gli intervenuti sulla situazione militare del paese, sull’andamento dei negoziati con la Russia e sule azioni politiche da intraprendere. A metà congresso gli astanti dovettero trasferirsi dalla sala conferenze del Cementificio all’officina meccanica, per evitare che le forze federali li individuassero e li arrestassero.

Video integrale del Congresso del 7 Febbraio 1995

LA SESTA SESSIONE

20 Settembre 1995

L’invasione russa della Cecenia fu un gigantesco fiasco per l’esercito federale. Iniziata ai primi di Dicembre del 1994, non produsse risultati apprezzabili fino al Marzo del 1995, quando i russi riuscirono a catturare Grozny dopo averla praticamente rasa al suolo. Dudaev ed i suoi uomini si ritirarono sulle montagne, dove tennero impegnate le truppe di Mosca fino a Giugno. Tra il 14 ed il 19 Giugno un’azione terroristica di vasta portata, organizzata da uno dei più agguerriti combattenti dudaeviti, Shamil Basayev, costrinse il governo russo a negoziare una tregua, che permise ai secessionisti di riorganizzarsi. Mentre la tregua era in corso, Dudaev decise di riesumare il Congresso nella forma che la situazione corrente poteva permettere. Alcune centinaia di “delegati” provenienti dai quattro angoli della Cecenia vennero raccolti in un edificio industriale nel villaggio di Roshni – Chu, alla periferia di Urus – Martan. Di quell’evento abbiamo appena qualche video, e la sintesi della delibera finale del Congresso. Sappiamo che questo fu tenuto da Akhyad Idigov, fedelissimo di Dudaev e presidente del Parlamento che aveva operato, con meri poteri consultivi, sotto la dittatura di Dudaev. Gli oratori principali furono, ovviamente, i due campioni del nazionalismo radicale ceceno: Dudaev e Yandarbiev.

Al termine dell’incontro il Comitato Esecutivo del Congresso produsse una serie di risoluzioni:

  • Invitarono le forze armate della repubblica separatista a fermare il disarmo stabilito negli accordi di tregua di Giugno fino al completo ritiro delle forze russe dalla Cecenia;
  • Processare i leader del Consiglio Provvisorio, colpevoli di aver fatto scoppiare la guerra civile, davanti alla Corte della Sharia (a tale riguardo rimandiamo agli approfondimenti sulla deriva confessionale della repubblica nel libro “Libertà o Morte: Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”, acquistabile QUI)
  • Prorogare il mandato del Presidente della Repubblica e del Parlamento della Repubblica fino alla fine della guerra;
  • Tenere elezioni per il rinnovo delle due istituzioni soltanto al completamento del ritiro dell’esercito federale.
Primo di tre video riassuntivi del Congresso di Settembre 1995

LA SETTIMA SESSIONE

27 Ottobre 1996

L’occupazione russa della Cecenia ebbe termine a seguito di un’audace operazione delle bande armate cecene organizzata e diretta dal comandante in capo dell’esercito, Aslan Maskhadov. Tra il 6 ed il 20 Agosto i separatisti riconquistarono la capitale, misero sotto assedio settemila soldati russi e costrinsero Eltsin a firmare un armistizio. La Cecenia riconquistò l’indipendenza, ma ad un costo insostenibile: il paese era quasi completamente distrutto, bande armate imperversavano in tutto il paese, il 90% della popolazione era disoccupato. Sul fronte politico la situazione era ancora più complicata. Qualche mese prima che i separatisti conquistassero Grozny, infatti, i servizi di sicurezza federali erano riusciti a trovare Dudaev e ad ucciderlo, lanciandogli contro un missile radioguidato. La morte di Dudaev aveva lasciato la Repubblica priva dell’unico vero capo che questa avesse mai avuto, ed alla fine della guerra questo vuoto iniziò a farsi sentire. Il Vicepresidente Yandarbiev, succeduto a Dudaev per prassi costituzionale, ordinò che si tenesse una nuova sessione del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno, per sancire la rinascita della repubblica indipendente dalle ceneri della guerra, e ricostituire l’unità di popolo che venti mesi di guerra avevano duramente messo alla prova. L’evento si svolse il 27 Ottobre 1996 ad Urus – Martan, e fu diretto, al pari del precedente, dal Presidente dell’ultimo parlamento prebellico, quello “epurato” da Dudaev nel 1993.  Per la prima volta nella sua storia, l’OKChN era orfano del suo leader carismatico. I relatori principali furono il Presidente Yandarbiev ed il Capo di Stato Maggiore, Aslan Maskhadov, nel frattempo nominato dal primo Capo del Gabinetto. Anche di questo congresso, che sarebbe anche stato l’ultimo, ci è rimasto molto poco. Sappiamo da fonti giornalistiche che si concluse con alcune deliberazioni:

  • Organizzazione delle elezioni presidenziali e parlamentari per il 27 Gennaio 1997, previo completo ritiro dell’esercito federale dalla Cecenia;
  • Richiesta al governo russo di estradizione dei “criminali politici” e di un risarcimento economico completo per i danni provocati dall’invasione;
  • Diffida alla Russia dall’intraprendere azioni di sabotaggio del processo di indipendenza nazionale in corso, sia direttamente sia indirettamente;
  • Invito al governo della Repubblica a sviluppare un programma per reintegrare i militari dell’esercito rimasti senza risorse per sopravvivere, procedere alla costituzione di un piccolo esercito professionale, perseguire una politica di coinvolgimento della popolazione di lingua russa nello Stato e nella vita politica;
  • Dichiarare la guerra al crimine un problema di interesse nazionale.

Nella risoluzione del Congresso erano presi in esame tutti i principali punti critici che avrebbero rappresentato dei veri e propri flagelli per la repubblica uscita dalla guerra, e che la avrebbero portata entro tre anni ad essere definitivamente abbattuta. Il paese era economicamente tornato al medioevo, ed era privo di risorse per poter ricominciare a crescere. La stragrande maggioranza della popolazione era disoccupata, centinaia di migliaia erano gli sfollati, decine di migliaia i feriti e i mutilati. E altrettanti erano gli uomini in armi, organizzati in bande armate (definite pomposamente “brigate”) e restii a gettare le armi, non avendo nient’altro da fare. In questa situazione il crimine proliferava, e ben presto si sarebbe fatto largo il fondamentalismo islamico, vera piaga della Cecenia postbellica.

Un militante separatisti sventola una bandiera della Repubblica Cecena di Icheria da un palazzo distrutto, mentre sotto di lui la popolazione di Grozny festeggia la fine della guerra.

L’OTTAVA SESSIONE

30 Settembre 1997

Il 27 Gennaio 1997 Aslan Maskhadov fu eletto Presidente della Repubblica ottenendo due terzi dei voti, ma fin dai primi mesi di governo dovette cercare di tenersi in sella negoziando con l’ala radicale, rappresentata da Shamil Basayev. Se prima della guerra i radicali erano i secessionisti ed i moderati erano i federalisti, dopo la guerra il terreno era diviso tra nazionalisti laici e nazionalisti islamici. L’opposizione a Maskhadov, di tendenze nazionaliste laiche, era animata da un radicale islamismo, al quale era approdato lo stesso Yandarbiev.

12 Maggio 1997. Aslan Maskhadov e Boris Eltsin firmano il Trattato di Pace Russo – Ceceno. Alexander Sentsov, Alexander Chumichev/TASS

Questa corrente non era maggioritaria (anzi, era decisamente minoritaria) ma i suoi seguaci erano ben armati, e gli eserciti personali dei capi politici radicali, sommati insieme, erano più forti della Guardia Nazionale leale al governo. L’opinione pubblica sosteneva Maskhadov, ma Maskhadov temeva che il paese ripiombasse nella guerra civile e, volendola evitare ad ogni costo, scese spesso a compromessi con i fondamentalisti, finendo per impantanare la Repubblica con l’introduzione della legislazione islamica e, all’inizio del 1999, con la proclamazione dello Stato Islamico.  Nel tentativo di mantenere Maskhadov sulla linea dello stato laico e di allontanare la perniciosa influenza degli islamisti, il Vice di Maskhadov, Turpal Atgeriev, ed il partito di governo, Stato Islamico Ceceno (un nome un po’ insolito per un partito moderato, ma il contesto è ben diverso a quello cui siamo abituati) organizzarono una nuova sessione del Congresso. Di questo evento, purtroppo, quasi nulla è rimasto. Si sa per certo che L’assemblea dichiarò pieno sostegno al presidente e richiese lo scioglimento di tutti i gruppi armati illegali, lo scioglimento dei partiti radicali e l’espulsione degli estremisti islamici non di origine cecena (ce ne erano parecchi, ed alcuni anche molto famosi). L’impegno profuso tuttavia non fu sufficiente ad allontanare Maskhadov dai radicali, cui egli affidò addirittura il governo, nel Gennaio del 1998.

Una Guardia della Sharia infligge punizioni corporali ad alcuni cittadini resisi responsabili del peccato di ubriachezza. Scene come queste divennero quotidiane in tutto il paese dalla fine della Prima Guerra Cecena alla seconda invasione russa del 1999

L’ULTIMA SESSIONE

2 Ottobre 1999

Nel 1999 la situazione era praticamente fuori controllo. Il paese era una sorta di anarchia armata nella quale imperversavano criminali e fondamentalisti, e lo stato sembrava incapace di esercitare la benchè minima autorità. Maskhadov tentò di riportare un po’ di ordine nel paese proclamando lo Stato Islamico. Il risultato fu l’opposto: i fondamentalisti si sentirono sempre più protetti, e nell’estate del 1999 passarono all’azione, invadendo il vicino Daghestan per esportarvi la rivoluzione islamica. Mosca non aspettava altro per vendicare lo smacco subito nel 1996, e per la fine del 1999 Cecenia e Russia furono nuovamente in guerra. Maskhadov, che aveva lavorato per tre anni cercando in tutti i modi di evitare una guerra civile o una nuova invasione russa, tentò di salvare la pace in extremis, ma la sua connivenza forzata con personaggi e movimenti  di chiara matrice islamista e terrorista aveva ormai marchiato indelebilmente la sua figura, e nessun governo occidentale fu disposto a difenderlo. Nel tentativo di dare un ultimo segnale di buona volontà alla Russia ed al mondo intero, Maskhadov organizzò l’ottava (e ultima) sessione del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno. Il 2 ottobre esso si aprì a Grozny in un’atmosfera apocalittica, mentre i cacciabombardieri federali già compivano raid in tutta la Cecenia. I delegati fecero appello “a porre fine alle ostilità e risolvere tutte le questioni controverse con mezzi politici al tavolo dei negoziati”, e garantirono che la ChRI sarebbe stata disponibile a concludere un accordo interstatale di cooperazione nella lotta al terrorismo, previo il dispiegamento dei caschi blu dell’ONU sul confine russo – ceceno. L’iniziativa non produsse i risultati sperati, e l’invasione russa proseguì fino alla completa conquista del territorio ceceno. Maskhadov ed i suoi seguaci continuarono a combattere fino alla Morte di Maskhadov, nel 2005. Yandarbiev fu ucciso nel 2004 a Doha, negli Emirati Arabi, cosicché il successore designato, Abdul Halim Sadulayev, prese il posto del defunto presidente. La guerriglia, ormai monopolizzata dalle bande islamiche, proseguì fino all’Ottobre 2007, quando il Presidente Dokku Umarov, succeduto a Sadulayev nel 2006, proclamò la trasformazione della Repubblica Cecena di Ichkeria nell’Emirato Islamico del Caucaso Settentrionale, ponendo fine di fatto alla sua esistenza.

Aslan Maskhadov registra un video di propaganda da un rifugio nei boschi della Cecenia meridionale. Alla sua destra siede Abdul Kalim Sadulayev, suo vice e successore dal Marzo del 2005.

Il Congresso Nazionale del Popolo Ceceno non fu mai più convocato. I resti degli organi politici della ChRI, per lo più esiliati in Europa Occidentale e negli Stati Uniti, non furono mai capaci di costituire un fronte unitario e di mettere in piedi un governo in esilio, e a tutt’oggi, pur rivendicando alcuni una continuità con l’esperienza della ChRI, non sembrano manifestarsi le condizioni per le quali questo possa avvenire.

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