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I NEWS intervista Francesco Benedetti

Alcuni giorni fa Francesco Benedetti ha incontrato a Firenze Inna Kurochkina di I NEWS. L’intervista che ne è uscita fuori riprende i discorsi affrontati in un’altra chiacchierata, svoltasi più o meno un anno fa, poco prima che la Russia invadesse l’Ucraina. Nel corso di questo anno molte cose sono cambiate, il lavoro di Francesco è andato avanti e con esso la sua consapevolezza di quanto sia importante per l’Occidente la storia della Cecenia.

Riproponiamo il video dell’intervista, allegandone la trascrizione in lingua italiana.

TRASCRIZIONE IN ITALIANO DELL’INTERVISTA

Prima di tutto vorrei congratularmi con te da parte di tutti i visitatori, gli abbonati che hanno già letto il tuo primo volume. Da oggi è possibile avere questo secondo volume. Com’è possibile averlo?

Prima di tutto grazie a te, e grazie a tutti coloro che hanno apprezzato il primo volume, e che mi hanno dato questa considerazione. Il libro in questo momento è disponibile in italiano, su Amazon, ma sarà presto disponibile in inglese, grazie alla collaborazione di Orts Akhmadov, figlio di Ilyas Akhmadov, che sta lavorando con me alla versione inglese, e presto sarà disponibile anche in lingua russa e cecena, come per il primo volume.

L’altra volta che ci siamo visti ed abbiamo parlato del tuo libro era il Dicembre del 2021 e forse ci aspettavamo la guerra, questa tragedia. Poi ci siamo incontrati a Bruxelles nel primo giorno della guerra, quando sia noi che tu incontrammo per la prima volta Akhmed Zakayev. Con il tuo aiuto partecipammo ad alcuni eventi di Radicali Italiani, queste ottime persone che organizzarono la visita di Akhmed Zakayev in Italia, quindi in qualche modo sei coinvolto nelle nostre attività ed in quelle di Ichkeria. Com’è cambiata la tua vita durante questo anno?

Sicuramente ho avuto esperienze più reali rispetto a questo tema. Ero un semplice studente della storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, ma la mia esperienza era puramente teorica, astratta, non concreta, materiale. Da quel giorno ho avuto modo di parlare con molte persone, e questo secondo libro è scritto anche grazie alle memorie di circa un centinaio di persone con le quali ho parlato. Così, la mia conoscenza di quella esperienza storica e dell’esperienza umana dei ceceni è cresciuta enormemente. Da Febbraio ad oggi ho dato volti, nomi ed vite ad un’esperienza che per me fino ad allora era stata soltanto teoretica.

Io e te stiamo lavorando alla storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, perché anch’io sto facendo un ciclo di cronache. Capisci l’espressione “nella tua pelle”? Come hai sentito sulla tua pelle come la guerra stesse arrivando in Cecenia?

Una delle domande che mi faccio studiando la storia della Cecenia, e in particolare studiando questo periodo è stata proprio “come mi sarei sentito se mi fossi trovato in quella situazione?” E mi faccio questa domanda quasi tutti i giorni, perché il mio studio si basa sulle memorie delle persone che intervisto, e le mie interviste si focalizzano proprio si questo aspetto di ogni evento storico: naturalmente chiedo informazioni, nomi, date eccetera, ma la prima domanda che ho fatto in quasi tutte le interviste è stata “come ti sentivi in quel momento?” “Come passasti il periodo tra il 26 Novembre e l’11 Dicembre (il lasso di tempo tra l’assalto a Grozny da parte dell’opposizione filorussa e l’invasione). Personalmente provo ogni giorno ad immaginarmi quali fossero i sentimenti delle persone che aspettavano la guerra, cosa pensavano: i loro figli, le loro famiglie, come mettere in salvo le loro famiglie, come mettere in salvo le loro cose, i loro soldi, le loro auto, le loro case. Un evento come questo può distruggere completamente la vita, cambia per sempre la vita della gente. Credo di essere una persona abbastanza empatica, e ti assicuro che scrivendo questo libro ho sofferto molto. Come ogni autore rileggo molto spesso il libro che ho letto, ed ogni volta ho la stessa sensazione da una parte di tragedia, dall’altra di ammirazione per quelle persone che sono sopravvissute alla guerra, in questo caso riuscendo a vincerla, contro i loro invasori.

Vorrei comprendere come inquadri la natura del popolo ceceno. Io sono nata in Georgia, sono ucraina. Vorrei lavorare per il popolo georgiano, o per quello ceceno, ma tutto il mio cuore ora appartiene al popolo ceceno, non so perché. Come potresti descrivere il tuo sentimento verso il popolo ceceno? Perché se ti sei innamorato per questo popolo, lo hai fatto perché hai in te una passione.

Capisco quello che pensi perché, se ci penso, è veramente strano ciò che mi è capitato. Vivo in Toscana, e non ho alcun collegamento familiare, economico o di qualsiasi altro genere con la Cecenia. Eppure fin da quando ero bambino, la prima volta in cui ho ascoltato il nome “Cecenia” è successo qualcosa. Non so cosa precisamente, un’affinità elettiva che è cresciuta dentro di me, e non so precisamente perché.

Ciò che amo del popolo ceceno, riguardo a questa storia, è la sua capacità di mostrare la felicità nella tragedia. In loro ho visto persone che non vogliono essere considerate vittime, ma persone che riescono a trovare la bellezza della vita in ogni cosa. Loro hanno mostrato al mondo come si ride di fronte alla morte, e come si conserva l’umanità anche in una situazione che, se mi immagino di essere al loro posto, strapperebbe via l’umanità anche da me. Se una guerra distruggesse la mia vita forse diventerei pazzo. Ho parlato con molte persone che hanno combattuto una guerra e non sono impazzite, ma anzi hanno conservato la loro gentilezza, il loro essere persone buone. Non so se sarei in grado di conservare in me queste qualità, combattendo una guerra. Penso che questo tratto caratteriale dei ceceni sia bellissimo: il fatto che siano riusciti a conservare felicità e voglia di vivere nonostante abbiano dovuto affrontare esperienze così amare.

Conoscendo questo tratto caratteriale speciale di questo popolo, pensiamo a quanto la Russia si sia impegnata a distruggerli. E’ una storia biblica per me. Tu che ne pensi?

Quando un bullo prova a picchiare una vittima, e questa gli sorride, il bullo diventerà ancora più rabbioso, ma alla fine sarà sconfitto dalla resilienza della sua vittima. In questo senso ho amato la lotta dei ceceni, i quali hanno mostrato ai russi che il loro spirito non si sarebbe mai spezzato.

In quest’ultimo anno ci siamo resi conto che gli ucraini non avevano capito cosa fosse stata la guerra in Cecenia, perché esattamente come i russi non se ne erano preoccupati. Adesso hanno capito, ed il parlamento ucraino ha riconosciuto l’indipendenza, lo stato di occupazione ed il genocidio del popolo ceceno. Cosa deve succedere perché anche i liberali russi capiscano questa tragedia? Nella loro visione della vita non c’è nessuna guerra cecena e nessuna tragedia cecena, e ovviamente non c’è nessuna Ichkeria. Cosa ne pensi?

Penso che i liberali russi siano anche loro parte dell’impero russo. Forse vogliono un “impero liberale”? Forse è un non – senso. Non credo che in questo senso ci sia tanta differenza tra i partiti radicali e quelli moderati, o liberali. Tutti vogliono la stessa cosa: rafforzare l’impero, in una forma o nell’altra. Forse i liberali russi, non vogliono combattere la guerra in Ucraina, ma non vogliono neanche perdere l’integrità del loro impero. Non vedo niente di strano in questo. Sono più abituato a studiare ed a leggere le notizie di un altro impero, quello americano, ed i liberali dell’impero americano non sono meno arrabbiati ed aggressivi rispetto ai nazionalisti. I cittadini di un impero crescono pensando che l’unico modo per preservare il paese sia tenero unito e schiacciare ogni voce dissonante.

Sono stata molto sorpresa dal tuo “hobby”. Mostrerò dei pezzi di uno dei video della tua band, che si chiama “Inner Code”. Parlami di questa canzone che parla dell’impero. Sono così sorpresa perché sei di Firenze, noi non riusciamo a mettere in relazione il concetto di “impero” con la città di Roma,  che è così bella.

Roma in questa canzone è l’archetipo dell’impero. Quando pensiamo all’impero romano pensiamo all’impero per definizione. Lo stesso impero russo si ispira all’impero romano. La parola “Zar” è la traduzione del latino “Caesar”, il Kaiser dell’impero tedesco è la traduzione germanica di “Caesar”, e così via. “Brucerà Roma” parla della caduta di Roma, ma per estensione parla della caduta di tutti gli imperi. Per quanto grande e forte, ogni impero prima o poi cadrà. Quando ascolto questa canzone trovo un collegamento con la storia di cui stiamo parlando, essendo una storia che può funzionare con qualsiasi impero, anche per quello russo. Consiglio comunque di ascoltare la canzone a volume basso!

[…]

Fondamentalmente, tutto ciò di cui stiamo parlando gira intorno alla parola “Libertà”. Tu sei una persona libera sotto tutti i punti di vista, come vedo. Vedi la libertà di Ichkeria sotto attacco? Pensi che le forze imperiali, l’Fsb, vogliano cancellare questo obiettivo di libertà? Noi percepiamo questi attacchi, per esempio quelli che stanno venendo portati contro Akhmed Zakayev, una persona che è un simbolo della libertà di Ichkeria. Percepisci questi attacchi dall’Italia?

Immagino che questo comportamento sia coerente con la situazione. Ho una percezione indiretta di questo, perché sfortunatamente i giornali italiani non raccontano molto ciò che succede in Cecenia o nella diaspora cecena. Tuttavia avendo alcuni contatti con i membri della diaspora cecena per via dei miei studi, immagino che queste persone stiano parlando di progetti  presenti e futuri per raggiungere l’indipendenza e la libertà della Cecenia e che talvolta lo facciano discutendo animatamente, o arrabbiandosi. Parlo da italiano, non penso di avere il diritto di dire ai ceceni ciò che devono fare. Solo, vedendo da fuori ciò che succede nella diaspora cecena, noto che ci sono delle “questioni irrisolte” ed è possibile che l’Fsb, o chiunque non voglia una Cecenia indipendente possa enfatizzare queste divisioni del fronte indipendentista per indebolirlo. Spero che le persone non cadano in questa trappola. Non so se l’indipendenza della Cecenia è lontana o vicina, ma è importante che ad ogni passo ci si trovi nella migliore condizione per raccogliere insieme tutte le forze per conquistare la libertà.

Negli ultimi mesi, anche grazie a te ed ai Radicali Italiani (penso all’incontro a Roma tra Zakayev e Benedetto della Vedova, al discorso al parlamento italiano, al riconoscimento di Ichkeria da parte del parlamento ucraino, all’appena terminato intervento di Zakayev al parlamento europeo ecc..) abbiamo visto un’evoluzione nella proposta del governo di Ichkeria. A Bruxelles Zakayev ha presentato un progetto di ricostituzione della Repubblica della Montagna, costituita nel 1918 e dissolta dai Bolscevichi, e che a suo tempo Zviad Gamsakhurdia e Dzhokhar Dudaev volevano ricostituire negli anni ’90.  Adesso Zakayev sta portando avanti quest’idea, questo progetto, ed il Ministro degli Affari Esteri, Inal Sharip è andato a Washington DC e lo sta presentando là. Da storico, pensi che questo progetto della Repubblica della Montagna sia più sicuro, più realizzabile rispetto alla Cecenia indipendente? Pensi che da sola la Cecenia riuscirebbe a sopravvivere ai suoi vicini così “mostruosi”?

Penso che creare una confederazione sia molto difficile, ma se questa è guidata da un centro forte, può moltiplicare la forza di ogni suo singolo membro. Se la confederazione è una semplice somma di soggetti non credo che durerà a lungo. Un esempio può essere quello dell’Unione Europea: una somma di paesi, ma la sua forza non è equivalente alla somma delle forze che la compongono. Perché ogni paese difende i suoi interessi, e questo è un problema perché uno stato costruito in questo modo non può resistere a forze di paesi come Stati Uniti, Russia, Cina. Il problema della nostra confederazione  è che non abbiamo un centro, una nazione che tiene unite tutte le altre. E ogni volta che una delle nazioni europee prende la supremazia le altre la combattono. Così la nostra confederazione europea è politicamente debole. Se i ceceni vogliono guidare una confederazione non devono farlo come lo hanno fatto gli europei. Se saranno abbastanza credibili da attrarre le altre nazioni in una confederazione della quale loro siano il centro, non come un centro imperiale, ma come il luogo di coloro che credono più di tutti gli altri a questo progetto,  e che per questo sono pronti a sacrificarsi più degli altri per tenere tutti insieme, allora credo che questo sia un progetto politico che può durare. Come, per esempio, gli Stati Uniti, i quali sono una confederazione che, dopo alcuni grossi problemi, è diventata la più potente nazione della terra. Una confederazione, quindi, può durare, ma ti serve un centro che abbia la credibilità e la forza per tenere insieme tutti gli altri, non con la forza ma dando l’esempio. Penso che i ceceni abbiano mostrato più di una volta al mondo grandi esempi.

Nel 1997 Russia e Cecenia firmarono un trattato di pace che poi fu tradito. Cosa pensi del desiderio da parte della comunità mondiale di convincere l’Ucraina a firmare un trattato simile con la Russia?

Guardando alla storia si capisce perfettamente che il reale valore dei documenti dipende dal fatto che questi riflettano o meno la situazione reale. Nel 1997 la Russia firmò un trattato di pace, ma mentre lo firmava stava preparando la seconda invasione. Secondo me se adesso accettasse un compromesso con la Russia, questo compromesso in nessun caso potrebbe sistemare alcuna situazione, perché non credo che i russi sarebbero soddisfatti, e neanche gli ucraini lo sarebbero. Credo che adesso un compromesso sarebbe soltanto un modo per spostare in avanti la guerra di tre o quattro anni. Credo che questo sia un momento nel quale è necessario risolvere un problema che è nato proprio in Cecenia. In una bellissima recensione di Adriano Sofri, un italiano che conosce bene la Cecenia, e che ha scritto un bellissimo articolo su questo libro, lui dice che quello che è successo in Ucraina è un remake di quello che è successo in Cecenia e in Georgia, e che l’Ucraina è la fine di una linea che inizia in Cecenia. E’ il momento di interrompere questa linea una volta per tutte, altrimenti dovremo aggiungere un altro punto a questa linea, tra quattro o cinque anni. Come europeo rifletto sul fatto che questa linea non si dirige lontano dall’Europa, ma dalla Cecenia verso l’Europa. Il punto successivo sarà ancora più vicino a casa nostra, non più lontano. Credo che l’Europa dovrebbe pensare a questo. Se non interrompono questo processo adesso, lo affronteranno di nuovo ancora più vicino a casa.

31/12/1994 – 03/01/1995: Il fiasco di Capodanno

Quello che segue è un estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte!” Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria. Lo pubblichiamo nell’anniversario della Battaglia per Grozny,

Nella notte tra il 30 ed il 31 dicembre 1994 l’artiglieria federale iniziò un bombardamento a tappeto su Grozny. Migliaia di colpi d’artiglieria sventrarono i quartieri residenziali della periferia settentrionale. Il mattino seguente l’aeronautica continuò l’opera scaricando sulla città una pioggia di bombe e razzi. Per far sì che il bombardamento fosse continuo erano stati assegnati due equipaggi ad ogni velivolo, cosicché i cacciabombardieri federali potevano effettuare le loro missioni senza sosta[1]. Ciononostante, a causa del maltempo l’attività dei bombardieri non sortì grandi effetti sulle difese cecene, mentre generò il panico tra la popolazione e produsse grandi distruzioni nei quartieri centrali della città, abitati massicciamente da russi[2]. Dopo 24 ore di bombardamenti le truppe di terra iniziarono ad avanzare. Il grosso dell’operazione era, come abbiamo visto, assegnato ai Gruppi d’Assalto Nord e Nord-ovest le cui punte di lancia erano costituite dall’81° Reggimento Motorizzato e dalla 131a Brigata Motorizzata. Le due unità iniziarono ad avanzare verso il centro cittadino alle prime luci dell’alba del 31 dicembre. Il piano prevedeva che la 131a avanzasse in profondità fino alla stazione ferroviaria, dove avrebbe costituito una testa di ponte per le unità del Gruppo d’Assalto Ovest, mentre l’81° avrebbe aperto la strada verso il Palazzo Presidenziale.

L’avanzata della 131a incontrò una resistenza piuttosto accanita. Quando l’unità raggiunse Viale Majakovsky, una sorta di anello stradale che circonda tutto il settore occidentale della città, il plotone di ricognizione in testa alla colonna venne investito da un violento fuoco incrociato. Il primo carro T – 72 della colonna saltò in aria, ed i veicoli che lo seguivano rimasero danneggiati. Nel corso della marcia la colonna si era allungata, e quando i superstiti del plotone di ricognizione fecero marcia indietro si scontrarono contro il resto del convoglio che avanzava in direzione opposta. All’altezza dell’ingorgo c’era una scuola elementare, dalla quale un gruppo d’assalto ceceno aprì il fuoco contro i russi in confusione. Soltanto l’intervento dell’artiglieria semovente ed un bombardamento aereo che riuscì a centrare in pieno la scuola permisero all’unità di riprendere l’avanzata. All’altezza della Casa della Stampa, a poca distanza dal complesso industriale Krasnij Molot (“Martello Rosso”) i russi incontrarono l’accanita resistenza di alcuni reparti a difesa del centro urbano[3]. L’81°, per parte sua, si trovò a combattere per aprirsi la strada fin dal primo ponte sul Sunzha a nord della città (il Ponte Zukhov). Con i mezzi blindati incolonnati e impossibilitati a manovrare, il reggimento subì numerosi attacchi a colpi di lanciagranate, a seguito dei quali riportò la perdita di cinque veicoli corazzati. Nel frattempo, le unità che seguivano l’81° raggiunsero l’avanguardia, aumentando l’ingorgo e rendendo ancor più difficile il dispiegamento sull’asse di marcia. La situazione fu ulteriormente complicata dal fatto che il piano d’attacco non era sufficientemente dettagliato da individuare più vie d’accesso al quartiere governativo, così le unità avanzanti procedettero incolonnate seguendo uno schema caotico e disorganizzato. All’ingorgo si aggiunsero progressivamente elementi di altre unità, reparti sciolti e veicoli che, a causa di guasti lungo il tragitto, avevano dovuto fermarsi e adesso stavano recuperando terreno, cercando di riunirsi ai loro comandi. In breve, i reparti si confusero tra loro, perdendo la capacità di coordinarsi. Per ridurre la congestione della colonna l’81° venne diluito attraverso vie secondarie, delle quali i capireparto non possedevano mappe aggiornate.  Giunti a pochi isolati dal Palazzo Presidenziale, i russi si trovarono nel bel mezzo di un’imboscata. I reparti a difesa dell’anello difensivo interno si attivarono improvvisamente, sommergendo i russi sotto una pioggia di proiettili.  Basayev aveva atteso che l’81° Reggimento si fosse ben addentrato nel dedalo di strade che convergevano sul Palazzo Presidenziale, e una volta che le colonne federali si furono allungate sufficientemente fece attaccare i carri in testa ed in coda, paralizzando i tronconi centrali e scagliandogli contro i gruppi d’assalto armati di lanciagranate. Quei pochi reparti che riuscirono a manovrare si trovarono isolati e privi del supporto della fanteria, che era rimasta bloccata dal tiro dei cecchini. Impossibilitati a rispondere al fuoco proveniente dai piani alti degli edifici, i veicoli superstiti tentarono di chiudersi in un perimetro di difesa, ma finirono sotto una pioggia di RPG e vennero completamente distrutti. Le retrovie del Gruppo da Battaglia Nord, che arrivavano alla spicciolata, si trovarono davanti un brulicare di soldati terrorizzati che cercavano rifugio dietro alle carcasse incendiate dei loro veicoli. Il gruppo venne investito in pieno dalla controffensiva cecena. Alcuni reparti riuscirono a barricarsi nel quartiere ospedaliero, a qualche centinaio di metri a nord del Palazzo Presidenziale, ma per molti altri non ci fu scampo: privi della copertura aerea e del supporto dei mezzi corazzati, dovettero uscire allo scoperto e tentare la fuga, diventando facili bersagli per i cecchini. Entro sera i russi avevano già perduto una settantina di mezzi, e centinaia tra morti e feriti.

Anche la 131a Brigata, che fino alle 13:00 era avanzata senza incontrare forti resistenze, venne investita da un improvviso e violento contrattacco non appena raggiunse il suo obiettivo[4]. Alle 15:00 in punto la Stazione Ferroviaria divenne il bersaglio del tiro di centinaia di armi da fuoco e lanciagranate. Nel giro di 60 minuti i federali persero tredici carri armati e numerosi mezzi blindati. Il comandante della Brigata, Ivan Savin, guidò il ripiegamento delle unità all’interno della stazione, venendo ferito ad entrambe le gambe. Una volta dentro, Savin ordinò ai suoi uomini di trincerarsi, e chiamò in soccorso la riserva della brigata, che ancora non era entrata a Grozny e stazionava nei sobborghi a nord della città, agli ordini del Colonnello Andrievski. Nel frattempo la difesa cecena si attivava in tutti i settori nei quali erano penetrati i nemici. A metà del pomeriggio il caos si era impadronito dalla città, ormai trasformata in campo di battaglia[5].

Per tutta la notte i reparti superstiti dell’81° Reggimento e della 131a Brigata rimasero isolati, asserragliati nei loro ricoveri di fortuna. Il Ministro Grachev venne richiamato precipitosamente mentre stava festeggiando il suo quarantasettesimo compleanno. Giunto alla base di Mozdok, si rese conto del pasticcio che aveva combinato: non soltanto i suoi gruppi d’assalto non avevano effettuato il blitz, ma erano addirittura finiti in trappola. Alle 6:00 del 1° gennaio la retroguardia della 131a Brigata tentò un’incursione per liberare i compagni assediati. Una colonna di una quarantina di veicoli tentò di raggiungere la stazione, ma l’intenso fuoco ceceno impose ai russi di muoversi ai margini del centro abitato, lungo Via Majakovskij, nel tentativo di intercettare i binari e procedere parallelamente a questi, tenendo almeno un fianco al coperto. Non appena giunta nei pressi della linea ferroviaria, tuttavia, la colonna fu bloccata dall’esplosione dei veicoli di testa. Il Colonnello Adrievski fece appena in tempo ad invertire la rotta, prima che anche la coda della colonna finisse distrutta. Decise così di tornare indietro e percorrere una delle strade secondarie che correvano parallelamente ai binari, sperando di riuscire a superare il fuoco che i ceceni gli stavano vomitando addosso dai tetti dei palazzi e dagli scantinati. Giunto con i resti della sua unità all’incrocio antistante il piazzale della stazione, il reparto cadde in una seconda imboscata, durante la quale una granata colpì il veicolo del Colonnello Andrievski, uccidendolo. Privi di un comandante, i suoi uomini si trovarono immobilizzati mentre i ceceni facevano saltare il carro in testa e quello in coda, e procedevano poi a distruggere tutte le unità intrappolate all’interno. La fanteria, rimasta senza protezione, fu sterminata. Soltanto due carri, i cui equipaggi erano riusciti a divincolarsi tra le carcasse degli altri veicoli, riuscirono ad uscire dall’imboscata sfrecciando a tutta velocità verso la stazione ferroviaria, dove i carristi si barricarono insieme ai commilitoni che avrebbero dovuto soccorrere. Un altro carro, che era riuscito a guadagnare un’uscita sul lato opposto, finì contro gli argini del Sunzha e si inabissò.

Il piano di recupero era fallito in tragedia, ed il comando russo ordinò un secondo tentativo. Un distaccamento della 19a Divisione Motorizzata, avanguardia del Gruppo d’Assalto Ovest, tentò di raggiungere la stazione nella tarda mattinata, ma non riuscì a prendere contatto né con la prima colonna di soccorso, ormai distrutta, né con i resti della 131a. Finalmente alle 13:00 del 1 gennaio il comandate della Brigata Ivan Savin ottenne il permesso di tentare una sortita, mentre un terzo gruppo di soccorso, composto da reparti della 106a e della 76a Divisione Paracadutisti (il resto del Gruppo d’Assalto Ovest) avrebbe tentato di rompere l’accerchiamento. L’azione, già difficilissima di per sé a causa dei più di 60 feriti che Savin avrebbe dovuto trasportare mentre tentava la fuga, fu resa più difficoltosa dal fatto che al pari di tutti gli altri ufficiali, Savin non possedeva mappe dettagliate del quartiere circostante la stazione. Nel giro di un’oretta i fuggiaschi si persero, sbagliarono direzione ed invece che muoversi verso il Gruppo Ovest si lanciarono a tutta velocità verso Nord, ritrovandosi di fronte al Palazzo Presidenziale e venendo accolti da una pioggia di proiettili. Morirono praticamente tutti gli ufficiali, Savin compreso, mentre 76 coscritti finirono nelle mani dei ceceni[6]. La 131a Brigata venne completamente distrutta: dopo 24 ore di combattimenti aveva perduto 20 carri armati su 26, 112 veicoli su 120, 6 cannoni semoventi e praticamente tutto il personale combattente. Fu un disastro senza precedenti, aggravato dal fatto che, mentre i Gruppi di Battaglia Nord e Nord-ovest erano almeno riusciti a penetrare in città, i gruppi Est ed Ovest non erano nemmeno riusciti ad entrare nel centro abitato.

Il Gruppo di Battaglia Est, composto da elementi della 194a Divisione Paracadutisti e dal 129° Reggimento Motorizzato, da un distaccamento di paracadutisti dei corpi speciali e da un battaglione di carri armati aveva raggiunto con successo la base di Khankala, e respinto la controffensiva cecena. Ma alla vigilia dell’attacco il comandante della 194a si rifiutò di partecipare, dichiarando che il piano non era stato adeguatamente preparato e che sarebbe finito in una carneficina. Così al momento dell’offensiva si mosse solo il 129°, appoggiato da una colonna di carri armati.  Anche questo contingente raggiunse con poche difficoltà il centro cittadino, ma all’altezza del ponte ferroviario sul Sunzha si trovò investito dal contrattacco degli uomini di Basayev. I russi persero buona parte dei loro veicoli tentando di trovare una strada alternativa e, non conoscendo il terreno di battaglia, passarono da un’imboscata all’altra senza riuscire a sganciarsi. Attestatisi in uno spiazzo, i superstiti organizzarono un perimetro difensivo, ma furono bombardati per errore dalla stessa aviazione federale, che mise fuori combattimento altri cinque veicoli ed aprì la strada al contrattacco degli indipendentisti. I russi si ritirarono alla rinfusa verso la base di Khankala, che raggiunsero soltanto alle 2 di notte del 1° gennaio, con i reparti ormai ridotti a brandelli. Nell’infruttuoso attacco erano caduti 150 uomini e la maggior parte dei veicoli era andata persa. Infine il Gruppo di Battaglia Ovest si mise in marcia in ritardo, riuscendo a raggiungere il quartiere residenziale con meno della metà degli effettivi e quando ormai gli altri tre gruppi erano stati bloccati e costretti a ritirarsi o ad asserragliarsi in posizioni di fortuna. Il Gruppo non riuscì a reggere il fuoco ceceno, e si dispose in posizione difensiva presso il Parco Lenin, tra il Palazzo Presidenziale e l’Ospedale dov’erano asserragliati i resti dell’81°. Nel giro di qualche ora fu chiaro che i reparti del Gruppo Ovest non avrebbero potuto muovere in nessuna direzione senza subire alte perdite.

L’unico Gruppo di Battaglia che riuscì a manovrare con compostezza fu il Nord – Est. Il suo comandante, il Tenente Generale Rochlin, fu l’unico che mantenne un ordine soddisfacente, avanzando senza fretta e preoccupandosi di mantenere sempre un contatto con le retrovie, senza ingolfare la testa della colonna e predisponendo coperture laterali per le sue unità. Fu grazie a lui se i reparti sbandati del Gruppo Nord, barricati nell’ospedale, riuscirono ad evitare la tremenda fine della 131a Brigata. Rochlin dispiegò i suoi reparti ad arco, assumendo corrette posizioni difensive e riuscendo a respingere l’attacco dei ceceni fino a tarda notte, costituendo una posizione d’appoggio dentro la città dalla quale poter fornire assistenza sia ai resti dell’81° arroccati nell’ospedale, sia agli altri reparti in ripiegamento che necessitavano di copertura. Fu solo grazie a lui se il fiasco dell’assalto di Capodanno non si tramutò in una completa disfatta. La resistenza degli uomini di Rochlin fu tuttavia facilitata dalla scelta, presumibilmente compiuta dallo stesso Generale, di barricare i suoi uomini nella struttura sanitaria, in quel momento piena di civili feriti e di personale medico, usandoli di fatto come scudi umani contro un possibile attacco ceceno. Si trattò di un crimine di guerra, nonché del primo di una serie di “sequestri ospedalieri” che avrebbero insanguinato la storia del conflitto ceceno[7]. Al “Blitz” parteciparono 6.000 uomini dell’esercito federale, appoggiati da 350 mezzi corazzati.  Alla fine della giornata risultavano persi dai 534 (fonti russe) ai 1000 (fonti cecene) soldati e 200 veicoli, 20 dei quali erano stati recuperati dai difensori. Nelle mani dei ceceni rimanevano anche 81 prigionieri. Era stata la più sanguinosa battaglia urbana dalla Seconda Guerra Mondiale, e per i russi era stata una disfatta.


[1] Riguardo a questo, va specificato che l’idea di assegnare due equipaggi allo stesso velivolo, avanzata dal Comandante delle Forze Aeree federali, Colonnello Generale Piotr Deneikin, sbatté spesso contro la carenza di equipaggi in grado di garantire il servizio. Ciò produsse spesso incidenti anche mortali, con la perdita di uomini e velivoli, cosicché alle prime sortite con doppio equipaggio seguirono presto sortite classiche, con un solo equipaggio affidato al singolo velivolo da bombardamento.

[2] Nonostante l’enorme esodo di profughi da Grozny il centro cittadino era ancora pieno di civili, per la maggior parte russi etnici che non erano riusciti a sfollare in tempo, o che non avevano trovato appoggi nei villaggi di campagna. I bombardamenti federali, concentrati principalmente sul centro cittadino, finirono quindi per colpire prima di tutto gli abitanti di origine russa.

[3] Ilyas Akhmadov, presente in quella posizione, mi ha raccontato con queste parole quanto successe alla Casa della Stampa: Tutto era sotto il tiro dell’artiglieria pesante. […] C’era un comandante, non ricordo il suo nome, ma ha chiesto se qualcuno volesse farsi avanti per aiutare il nostro cecchino a trovare il cecchino russo che stava colpendo la nostra posizione. Mi sono offerto volontario e sono salito al nono piano con un Kalashnikov preso in prestito per proteggere il nostro cecchino. Proprio quando siamo arrivati in cima ricordo che il terreno sotto i miei piedi tremava violentemente. L’artiglieria stava colpendo il pavimento sotto di noi. […] L’edificio era per lo più vuoto, ma ogni tanto un ceceno correva al secondo o al terzo piano e sparava ai veicoli russi. […]. Inoltre, l’edificio era al centro di molti combattimenti e offriva una vista vantaggiosa in tre direzioni. Questo è probabilmente il motivo per cui i russi hanno lavorato così furiosamente per distruggerlo.

[4] Poco prima che le truppe federali finissero sotto il tiro dei lanciagranate ceceni, fu registrata una conversazione destinata a diventare tristemente famosa negli anni a seguire.La sua trascrizione è l’incipit di questo capitolo.

[5] Emblematiche sono le parole di Ilyas Akhmadov, che rievocando quei momenti descrisse così la situazione: Intorno alle 16, i cinque combattenti con cui ero salito sul camion e il civile che ci accompagnava si avviarono verso il Palazzo Presidenziale a circa 1,5 miglia di distanza. Ma, con l’inferno intorno a noi, era una distanza molto lunga. Era difficile capire dove fossero russi e ceceni. Puoi immaginare com’è quando metti 100 cani affamati in una gabbia, era la stessa cosa. […] Era un circo pazzo. I carri armati correvano in ogni direzione, disorientati. […] In ogni strada, i ceceni sfrecciavano con i lanciagranate e quando sentivano i carri armati gli correvano incontro per distruggerli. Ho visto una volta due gruppi ceceni litigare a pugni su chi aveva eliminato un carro armato e chi meritava il bottino all’interno. Era difficile capire chi avesse distrutto questo o quel carro armato perché c’erano ragazzi che sparavano su di loro da molti piani diversi, da diversi edifici e direzioni.

[6] I federali riuscirono a recuperare i corpi dei caduti soltanto il 23 Gennaio successivo. I loro pietosi resti, divorati dai cani randagi, furono rinvenuti ormai ridotti a scheletri. Il corpo di Savin, colpito a morte, giaceva accanto a quello di un medico, freddato da un cecchino mentre gli prestava soccorso.

[7] Questa circostanza è importante da ricordare allorché parleremo dei più celebri sequestri di Budennovsk e di Kizlyar. Contrariamente a quanto conosciuto ai più, il primo sequestro di civili in un ospedale fu, quindi, portato a termine dalle forze federali. Citando il libro Tribunale Internazionale per la Cecenia di Stanislav Dmitrevsky, Bogdan Gvraeli e Oksana Chelysheva:  Così, durante l’assalto di Capodanno, in fuga dai membri delle formazioni armate cecene che difendevano la città, ufficiali e soldati dell’81° reggimento delle guardie hanno fatto irruzione nel territorio dell’ospedale di emergenza repubblicano e hanno preso in ostaggio i medici e i pazienti che si trovavano lì. Il comando ceceno ha avviato negoziati con loro, promettendo un corridoio sicuro in cambio del rilascio di civili. In quel frangente, secondo quanto riportato nella stessa opera, gli uomini di Rochlin si resero responsabili di un altro crimine di guerra: Il 3 gennaio 1995, subito dopo il primo assalto senza successo, un gruppo di residenti di Grozny fu catturato personalmente sotto la guida del generale Lev Rokhlin. Diverse persone sono state uccise, altre sono state caricate su veicoli e portate a Mozdok, dove sono state tenute in ostaggio in vagoni ferroviari. Alcuni di loro furono successivamente scambiati con soldati russi catturati in battaglia.

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Yesterday we celebrated the entry into our library of a new version of the first volume of the series – the Chechen language version. At this point there are 4 languages in which it is possible to read “Freedom or Death!” and with the publication of the second volume in Italian (which will be followed by the English, Russian and Chechen versions within a few months) we thought it would be useful to offer a general overview of our book offering. This is why we have just put online a small site dedicated solely to the book,

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