21/04/1996, La Morte di Dudaev – Estratto da “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”

il 21 Aprile 1996 Dhokhar Dudaev, primo Presidente della Repubblica Cecena di Ichkeria, fu assassinato dall’FSB. Nell’anniversario nel ventottesimo anniversario della sua morte, pubblichiamo un brano tratto dal secondo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” (Link)

Nell’aprile del 1996 i ceceni potevano dirsi vicini a raggiungere la vittoria: l’esercito federale era in piena crisi, ed Eltsin aveva un disperato bisogno di pace per vincere le elezioni presidenziali[1]. Le cancellerie europee, rimaste sul chi va là di fronte al “Piano di pace” presentato dal presidente russo, dopo aver inutilmente atteso l’avvio di negoziati tra le parti, erano tornate a tormentarlo con richieste pressanti di interrompere le azioni militari, lamentando la violazione della Convenzione di Ginevra e minacciando un ulteriore slittamento dell’accordo di partenariato tra Mosca e Bruxelles, che ormai languiva dalla primavera del 1994. La Commissione politica dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa aveva approvato un documento nel quale si diffidava la Russia a procedere alla immediata attuazione del piano di pace, o di qualsiasi altro piano specificando che qualsiasi soluzione negoziale avrebbe potuto avere successo soltanto se tutte le parti in conflitto, compreso Dudaev, vi partecipano. Il documento conteneva una condanna senza riserve delle violazioni dei diritti umani in Cecenia, commessi sia dalle truppe federali che dai combattenti ceceni. Riguardo al comportamento dei primi, la risoluzione riteneva inadeguato ed ingiustificato il massiccio ricorso alla forza da parte delle truppe di Mosca, e riconosceva che tali mezzi erano la prova tangibile del mancato rispetto da parte della Federazione Russa degli obblighi assunti col Consiglio d’Europa. Infine, proponeva la mediazione dell’OSCE in un negoziato che portasse alla ricomposizione del conflitto.  Il tempo giocava a favore di Dudaev, e presto o tardi i russi avrebbero dovuto scendere a patti con lui. Sempre che, ovviamente, non riuscissero ad ucciderlo prima.

Dzhokhar Dudaev

Fin dall’inizio delle ostilità l’FSK aveva investito ingenti risorse nel rintracciare il presidente ceceno. La prima azione per trovare ed arrestare Dudaev era stata messa in atto dal Procuratore Generale russo il 1° febbraio 1995 quando, all’indomani del fallito assalto a Grozny, la magistratura di Mosca aveva emesso un mandato d’arresto  a suo carico. Il suo caso includeva quattro capi d’accusa: tentativo di usurpare intenzionalmente il potere, sabotaggio delle attività del governo costituzionalmente eletto, incitamento pubblico ad azioni terroristiche e istigazione all’antagonismo nazionale sociale e religioso. L’FSK aveva promesso di prendere Dudaev nel giro di qualche giorno, ma non era riuscito neanche a capire dove potesse nascondersi. Alla fine di aprile era stata costituita una task force che individuasse Dudaev e lo prendesse, vivo o morto. Nel corso del 1995 i russi avevano tentato di eliminarlo quattro volte, ma il Generale non era mai caduto in trappola. L’aeronautica russa bombardava sistematicamente tutti i villaggi dove girava voce che si trovasse, senza mai riuscire a colpirlo. Il 21 aprile 1996, tuttavia, Dudaev commise un errore fatale. Il suo convoglio si trovava nei pressi del villaggio di Gekhi – Chu, diretto ad una vicina collina ben coperta dai boschi dove il Generale avrebbe dovuto intrattenere conversazioni telefoniche via satellite. Insieme a lui viaggiavano il suo assistente, Vakha Ibragimov, il Procuratore Militare Magomed Zhaniev ed il Rappresentante di Dudaev a Mosca, Chamid Kurbanov. Nel convoglio erano presenti anche sua moglie, Alla, ed un nutrito seguito di guardie. Mentre Dudaev stava parlando al telefono un aereo militare apparve dal cielo e lanciò un missile aria-terra che colpì con grande precisione l’auto sulla quale viaggiava. Da tre mesi i servizi segreti russi tentavano di triangolare la sua linea telefonica, utilizzando come riferimento un telefono dello stesso tipo che Salman Raduev aveva abbandonato a Pervomaiskoje. In altre quattro occasioni erano quasi riusciti ad individuare Dudaev, ma la repentina chiusura delle comunicazioni aveva impedito ai missili di intercettare in tempo il segnale, mancando il bersaglio. Il missile che fece centro quel fatidico 21 aprile era progettato per dirigersi verso una fonte radio, e non appena ne fu rilevata una (in quegli anni non erano molti i telefoni dotati di una simile tecnologia in Cecenia) puntò la sorgente. Per evitare questo genere di rischi Dudaev aveva stabilito che il suo assistente avrebbe dovuto cronometrare le conversazioni e, qualora queste superassero una certa durata avrebbe dovuto immediatamente chiuderle, anche contro il suo volere. Anche in questa occasione pare che Ibragimov avesse fatto scrupolosamente il suo dovere, interrompendo la conversazione dopo pochi minuti. Ma quel giorno erano previste due telefonate a distanza ravvicinata, il che permise ai servizi russi di non perdere il segnale. Inoltre il cavo dell’antenna si era rotto, costringendo Ibragimov a sistemarla direttamente sul tettino dell’auto. Per favorire l’individuazione del segnale, nelle settimane precedenti, le autorità federali avevano causato volontariamente una serie di blackout nella rete elettrica locale, spegnendo tutte le sorgenti radio e tracciando così la posizione del telefono. Il primo ad usare l’apparecchio fu Kurbanov, per leggere un comunicato. Subito dopo fu il turno di Dudaev, per una conversazione con il deputato russo Kostantin Borovoj. I due parlarono per tre o quattro minuti, poi la conversazione fu bruscamente interrotta dall’impatto del missile.

Commemorazione della morte di Dudaev sul luogo del suo omicidio, 1997

Dopo l’esplosione Alla Dudaeva, sbalzata in avanti dallo spostamento d’aria, corse al relitto fumante dell’auto, coperto di terra. Kurbanov e Zhaniev erano rimasti uccisi sul colpo mentre Ibragimov, che al momento dell’esplosione era in ginocchio davanti all’automobile, era stato sbalzato dall’esplosione ed era gravemente ferito. Dudaev giaceva poco lontano dalla macchina, coperto di terra e ferito superficialmente dalle schegge. Quando Alla prese la sua testa tra le mani, scoprì che dietro la nuca aveva una profonda ferita, che lo aveva ucciso sul colpo. Trasportato nel vicino villaggio, il suo corpo venne lavato e vestito di bianco. Alla avrebbe voluto seppellirlo in un cimitero, ma il mattino seguente l’aviazione federale bombardò tutti i cimiteri nei pressi del luogo dell’attacco, devastandoli. Così, per mantenere l’integrità del suo corpo, venne deciso di seppellirlo in un luogo nascosto, dove nessuno potesse trovarlo[2].  Una cerimonia pubblica fu comunque tenuta nel villaggio di Salazhi, alla presenza della maggior parte dei capi militari dell’esercito. Le esequie politiche del presidente furono tenute da Yandarbiev, il quale assunse ad interim i poteri di capo dello stato in qualità di Vicepresidente[3]. Parlando ai giornalisti, il braccio destro di Dudaev dichiarò: La morte del primo presidente ceceno non ha piegato il popolo, che è pronto a proseguire la sua battaglia per la libertà[4].

Morendo, Dzhokhar Dudaev lasciava un’eredità politica controversa. I suoi nemici lo avevano descritto come un dittatore attaccato al potere e responsabile delle peggiori atrocità. Dudaev fu più volte accusato di contrabbandare armi e petrolio, di alimentare attività finanziarie illegali. In molti paesi dell’Europa Orientale, come l’Estonia, fu invece considerato un eroe, al punto che gli furono dedicate strade, piazze e targhe. Nei paesi che avevano fatto parte dell’Unione Sovietica, e che avevano subito particolarmente la pervasiva presenza russa, il suo sacrificio fu pianto da molti: soprattutto in Ucraina, la notizia della sua morte fu accompagnata da manifestazioni di lutto pubblico. Perfino in Russia ci fu chi lo pianse: il 24 Aprile, tre giorni dopo la sua morte, fu fatto circolare un necrologio firmato dal Consiglio di Coordinamento del partito dell’Unione Democratica, nel quale si leggeva: Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze al governo della Repubblica cecena di Ichkeria e al popolo ceceno in occasione della tragica morte del presidente di Ichkeria, Dzhokhar Musaevich Dudayev. Il suo nome rimarrà per sempre nella storia tra i nomi dei grandi combattenti per la liberazione nazionale dei popoli. Ricordiamo il suo dignitoso rifiuto di prendere parte alle repressioni contro il popolo estone nel 1991. Non abbiamo dubbi che la giusta lotta di liberazione nazionale del popolo ceceno non si estinguerà finché almeno un invasore calpesterà la terra di Ichkeria. Gloria all’eroe della resistenza cecena!

Per parte sua, Eltsin, che in quei giorni si trovava a Khabarovsk ed era in partenza per una visita a Pechino, commentò: Con o senza Dudaev, faremo comunque finire tutto in Cecenia con la Pace. Gli abbiamo proposto più volte di metterci al tavolo negoziale, ma lui ha voluto la guerra. Ebbene, la guerra non ci sarà più. Se l’uomo è morto, pazienza. […][5].

 Chi fu, dunque, l’uomo che tenne in pugno il destino del popolo ceceno, che lo guidò all’indipendenza e poi lo trascinò nella catastrofe? Valery Tyshkov nel suo “Chechnya: Life in a War – Torn society” scrive: “Per comprendere l’emergere dei leader nel periodo post – sovietico è necessario affrontare le seguenti domande: come è nata una nuova generazione di “leader nazionali” dalla liberalizzazione? In che modo la popolazione post – sovietica li percepiva, e perché le masse seguivano tali leader? Su questa domanda ci concentreremo più da vicino, poiché l’impatto del ruolo di leader di Dudaev nel determinare gli eventi in Cecenia non può essere sopravvalutato. Un’idea comunemente sentita nel discorso accademico e pubblico della Russia è che quando le civiltà sono in conflitto, nel corso naturale delle cose, i gruppi etnici o i popoli, di cui sono composte, assumono leader che esprimono la loro volontà collettiva di realizzare un obiettivo storicamente predestinato. In altre parole, se Dudaev non fosse salito al potere, lo avrebbe fatto qualcun altro e tutto sarebbe andato in modo simile. Come ha osservato l’ex compagno di servizio di Dudaev, A.N. Osipenko, “Non fu lui a scegliere l’idea nazionale, fu quell’idea a scegliere lui”. […] Raramente è ammesso che un leader crei, o almeno influenzi in modo significativo il cosiddetto “movimento rivoluzionario” da solo. In realtà, il quadro è molto più complicato.” Dudaev si contese la leadership della Cecenia con personaggi che per molti versi erano più avvezzi di lui alla lotta per il potere. Politici come Zavgaev e Khasbulatov, personaggi pubblici come Hadjiev, sapevano come gestire il consenso, come divincolarsi tra le pieghe della volubile opinione pubblica, possedevano ottimi agganci ed avevano accesso a grandi capitali. Eppure fu lui, e non gli altri, a dirigere il gioco fin dalla sua discesa nell’arena. Se non avesse accettato l’invito a prendere le redini del fronte nazionalista, quest’ultimo non sarebbe stato in grado di percorrere lo stesso sentiero, e probabilmente la Repubblica Cecena di Ichkeria non sarebbe mai esistita. Dudaev seppe fare politica e seppe costruire un solido consenso intorno alla sua figura, seppe polarizzare le passioni di un popolo in cerca di riscatto e libertà sovrapponendo a queste due parole il suo volto[6]. A differenza di tutti gli altri, Dudaev seppe far sognare le masse. Se Zavgaev cercò di comprarsele col clientelismo, e Khasbulatov cercò di conquistarle con l’assennatezza dei suoi discorsi, Dudaev seppe far loro immaginare un futuro. E poco importa se nel pratico si dimostrasse una persona poco adatta all’amministrazione dello stato: era un leader visionario che proiettava tutto intorno a sé un’aura di eroismo, una padronanza di sé, la consapevolezza di essere il condottiero del suo popolo[7]. E questo, alla fine, era quello che la maggior parte dei ceceni si aspettava da lui. Alla sua morte egli fu oggetto di una vera e propria venerazione collettiva, e la notizia della sua dipartita fu presa da molti come falsa, tanto che il plenipotenziario di negoziati del governo, Yarikhanov, dovette fare una dichiarazione pubblica per confermarne il decesso[8], e lo stesso dovettero fare Maskhadov e Basayev, apparendo pubblicamente sul “canale presidenziale”[9]. Ciononostante molti ceceni continuarono a rifiutarsi di credere che Dudaev fosse davvero morto, incoraggiati dalle parole del genero Salman Raduev (il quale giurò sul Corano che fosse ancora vivo) nonché di altri personaggi che facevano parte della sua cerchia ristretta[10], ma anche dallo stesso scetticismo di alcuni alti ufficiali russi[11]. Inizialmente, infatti, le autorità militari russe in Cecenia negarono di aver portato a termine un’azione volta ad uccidere il presidente ceceno, anche se i giornali riportarono svariate “fughe di notizie” dal quartier generale, secondo le quali l’eliminazione di Dudaev fosse uno degli obiettivi primari dell’intelligence del Cremlino[12].

Dare un giudizio di merito su Dzhokhar Dudaev non è facile, e forse non è neanche così utile. Chi lo vide come un capo fu ispirato dalla sua figura, e nel suo nome combatté e morì. Chi lo vide come un tiranno fece di tutto per abbatterlo. Sicuramente fu un leader capace di mobilitare il popolo ceceno come nessun altro aveva mai fatto dai tempi dell’Imam Shamil. Fu un uomo coraggioso, che abbandonò la prospettiva di una lunga e rispettata vecchiaia da illustre graduato dell’esercito per combattere la sua battaglia ideale. Fu anche un abile stratega sul campo di battaglia: sfidò la Russia con un esercito di volontari e riuscì ad umiliare il prestigio di uno degli eserciti più potenti del pianeta. Per contro fu un pessimo amministratore, ed un miope negoziatore politico. La sua riluttanza a scendere a qualsiasi compromesso, se pure rese la sua figura affascinante e romantica, condusse il paese alla distruzione. La sua scelta di gettare la sua patria nel carnaio della guerra totale provocò al suo popolo immani lutti e sofferenze, il suo supporto indiretto alle azioni terroristiche lo portò a sdoganare una tattica militare odiosa, che alienò ai ceceni la simpatia del mondo occidentale.

La morte di Dudaev lasciò un vuoto incolmabile. Per quanto questi avesse da tempo organizzato la successione del potere in caso di sua dipartita, non c’era nessuno in grado di ereditare il peso politico della sua persona. Soltanto grazie a lui le numerose e composite anime dell’indipendentismo ceceno erano rimaste unite sotto la bandiera della ChRI evitando, per il momento, l’esplodere di una guerra tra bande. Il numero 2 del regime, Zelimkhan Yandarbiev, era pronto a farsi carico delle sue responsabilità, ma il suo compito non era facile. L’indipendentismo aveva sempre avuto un solo eroe, e adesso questo eroe era morto. La Repubblica Cecena di Ichkeria non aveva più il suo punto di riferimento e rischiava di spaccarsi in una galassia di piccoli potentati in guerra per la successione al potere. A complicare le cose giunse l’annuncio, falso, da parte del governo Zavgaev che lo stesso Yandarbiev era stato ucciso. Ci vollero alcuni giorni prima che fosse chiaro che a cadere non era stato il Vice – Presidente, ma un suo nipote, e nel frattempo i media specularono su chi avrebbe dovuto raccogliere il suo testimone, ipotizzando addirittura una guerra civile tra le forze indipendentiste[13]. Quando l’equivoco fu ufficialmente chiarito, Yandarbiev si mise all’opera, prima di tutto per ottenere la lealtà dei principali comandanti sul campo. Maskhadov, Basayev, Gelayev, Alikhadziev, Atgeriev, tutti i principali leader della resistenza riconobbero il suo primato politico, in attesa che la fine della guerra portasse ad una ridefinizione dei rapporti di potere[14]. D’altra parte la nomina di un capo era fondamentale: la morte di Dudaev, per quanto tragica, rimuoveva il principale ostacolo all’apertura di un canale diplomatico con le autorità russe. Non che fossero in molti a credere ad una soluzione negoziale della guerra: i militari russi temevano che un’altra tregua avrebbe nuovamente avvantaggiato i ceceni, permettendo loro di ricompattarsi e di lanciare una nuova ondata di attacchi. I comandanti sul campo ceceni, dal canto loro, non si aspettavano niente, considerato com’era andata fino ad allora. Il capo del governo filorusso, Zavgaev, non aveva alcuna intenzione di parteciparvi, essendo intenzionato a capitalizzare il massimo risultato politico derivante dalla morte del suo avversario. In concomitanza con la morte del generale rispolverò addirittura il Congresso del Popolo Ceceno, indicendone un’assemblea straordinaria. L’evento vide la partecipazione di 400 delegati, reclutati tra i rappresentanti delle comunità favorevoli ad un accordo con la Russia. Davanti a loro, Zavgaev chiese ed ottenne il mandato per l’organizzazione di nuove elezioni parlamentari, tramite le quali consolidare la propria posizione e disfarsi, almeno in parte, dell’ingombrante supporto derivante dalla nomina d’imperio ottenuta da Mosca nell’autunno dell’anno precedente. In quell’occasione, una voce si levò contro il “Capo della Repubblica”: quella dell’ex sindaco di Grozny (ora Vice Primo Ministro) Bislan Gantamirov. Intervenuto all’assemblea, si dichiarò insoddisfatto del lavoro di Zavgaev, sostenne che la sua figura non avrebbe facilitato il processo di pace e si dissociò dalla sua politica collaborazionista. Come vedremo, questa posizione gli sarebbe costata cara.


[1] A metà Aprile il governo russo sembrava intenzionato a riprendere i colloqui con Dudaev. Secondo quanto riferito da Kommersant il 18 Aprile 1996, Eltsin aveva dato mandato al Ministro per le Nazionalità, Mikhailov ed al Consigliere Presidenziale Emil Pain di riattivare i contatti, negoziando il ritiro delle forze federali e la normalizzazione della Cecenia. All’iniziativa, ancora informale, aveva fatto eco la dichiarazione pubblica del Ministro della Giustizia russo, Valentin Kovaljov, il quale aveva ventilato il ritiro delle accuse formali a Dudaev a seconda dell’esito dei colloqui, segno evidente che la leadership del Cremlino era disponibile ad accomodarsi pur di presentare all’opinione pubblica un piano di pace credibile. Per parte sua Dudaev aveva chiesto l’intervento quali mediatori del Presidente della Turchia, o del Re di Giordania, dando a intendere di essere disposto a raggiungere un accordo di massima con Mosca.

[2] Pochissimi sanno ancora oggi dove si trovi la sua tomba. Certamente ne fu a conoscenza il Vicepresidente, Zelimkhan Yandarbiev, che dopo la sua morte assunse la carica di Presidente ad interim. In un’intervista rilasciata a Peter Grokhmalski nel Luglio del 1996 disse: Il mondo intero vede il comportamento degli aggressori russi. Niente è sacro per loro. Non vogliamo che profanino i resti di Dudaev. Un ceceno che si fa beffe del corpo del suo nemico, che tortura un prigioniero, cade in disgrazia. Per i russi, questo è motivo di orgoglio. Pertanto, oltre a me, solo poche persone conoscono il luogo di sepoltura di Dudaev.

[3] In realtà, secondo quanto riporta Ilyas Akhmadov in The Chechen Struggle, al momento della morte di Dudaev non esisteva, o non era più reperibile, un decreto legittimo che attestasse la nomina di Yandarbiev alla carica di Vicepresidente. Secondo quanto raccontato dall’autore, quindi, venne redatto un provvedimento predatato per  legittimare il passaggio dei poteri.

[4] La Repubblica, edizione del 25/04/1996.

[5] La Repubblica, edizione del 25/04/1996.

[6] Un contadino di Vedeno di 18 anni, intervistato sul suo rapporto con la figura di Dudaev, raccontò: “Quando Dudaev salì al potere ero studente di una scuola islamica. Il nostro insegnante ci disse che Dudaev era stato mandato dal cielo, che il suo vero nome era Dzhovkhar (“Perle” in ceceno) e che il suo avvento era stato predetto dall’antica tradizione. In quel momento si svolgevano molti raduni e tutti urlavano “Allah Akhbar”. Poi abbiamo iniziato a scandire “Dzhovkhar! Dzhovkhar!”. Anche il nostro insegnante, che era il Mullah della nostra scuola, venne alle manifestazioni. Quando gli ho chiesto chi fossero i nostri nemici, ha risposto “gli infedeli”. Ha anche detto che in un sogno aveva visto Dudaev scendere dal cielo su delle ali. Disse: “Con un leader del genere siamo invincibili!”. Tutto ciò di cui la gente parlava sempre più spesso era la guerra. E anch’io volevo andare in guerra.” Una ragazza cecena, ricordando il giorno della sua nomina a Presidente, riferì: WRicordo il giorno dell’investitura di Dudaev. […] Ha prestato giuramento al teatro e poi è andato al palazzo del governo in mezzo alla gente, una folla enorme. E’ stato straordinario, ho sentito che stava succedendo qualcosa di importante. Non posso dire di essermi votata a Dudaev proprio in quel momento, ma da allora qualcosa è cambiato in me. Era così bello nella sua splendida divisa da generale! Ho detto agli amici: “Andiamo a vederlo, non ci perdoneremo mai di non averlo fatto se ce lo perdiamo!”

[7] Sempre citando Tyshkov: Dudaev era il tipico carismatico “non sistemico” il cui potere risiedeva nella concezione di progetti irrealizzabili […] nell’ignorare soluzioni ai problemi pratici. Come scrive M.A. Sivertsev “Il leader carismatico che cerca una risposta alle sfide di un tempo di transizione e instabile deve affrontarlo in un orizzonte visionario: deve ripristinare i legami di lunga durata con le basi idealizzate della vita. Questa capacità (il suo carisma) di ripristinare l’esperienza sacrale conferisce al leader la legittimazione delle sue azioni. Il suo malfunzionamento e le sue insignificanti carenze nella sfera formalizzata – razionale sono perdonati e persino considerati come un’ulteriore prova di forza carismatica […].” Rivolgendosi ai miti della lotta e della vittoria, all’animosità e alla vendetta, il leader carismatico modella le percezioni dei suoi seguaci e da quel successo la sua immagine eroica personale acquisisce la necessaria stabilità. Quindi, costruisce una sottocultura chiusa che sviluppa la propria lingua, il proprio codice e le proprie pratiche, con connessioni minime verso il mondo esterno.

[8] Secondo quanto riferito da Kommersant, il 23 Aprile Yarikhanov dichiarò alla ITAR – TASS: Dudaev è stato ucciso, non c’è dubbio. Insieme a Dudaev, sono state uccise diverse persone della sua cerchia ristretta, incluso il suo assistente Vakha Ibragimov, così come il Procuratore Militare Magomed Zhaniev. In realtà Ibragimov non era morto, ma giaceva in condizioni critiche in un letto d’ospedale. Si sarebbe ripreso nel giro di qualche mese, tornando a partecipare alla vita politica della Repubblica una volta finita la guerra, tra le file dei nazionalisti radicali.

[9] Il canale televisivo presidenziale era una trasmissione prodotta da una rete di emittenti artigianali gestite dai sostenitori dell’indipendenza. Trasmetteva principalmente dai centri a Sud di Grozny, ed era in grado di rendersi visibile nella capitale ed in buona parte del Sud del paese.

[10] Interrogato sull’argomento, il segretario personale di Dudaev, Sapuddin Khasanov, dichiarò che Dudaev stava lavorando normalmente e che le voci sul suo assassinio erano totalmente infondate.

[11] Secondo quanto riporta Kommersant del 25/04/1996 il Presidente del Comitato per la Sicurezza della Duma, Viktor Iluychin, affermò di essere disposto a credere alla morte di Dudaev soltanto dopo che il suo presunto cadavere fosse stato riesumato, mentre lo stesso comandante in capo delle forze federali in Cecenia, Tikhomirov, dichiarò che le truppe di Mosca non avevano assolutamente niente a che fare con la morte di Dudaev, contraddicendo la versione ufficiale, secondo la quale il presidente ceceno sarebbe caduto vittima di un attacco missilistico. D’altra parte altri alti ufficiali dell’esercito confermavano la presenza di cacciabombardieri a Sud di Urus – Martan, intenti ad attaccare bersagli in ricerca libera come rappresaglia per i recenti attacchi ceceni alle colonne russe.

[12] Secondo quanto riportato da La Repubblica del 25/04/1996: «l’azione punitiva» è stata finalmente rivendicata da un rappresentante altolocato del ministero dell’Interno.Ci siamo vendicati per l’agguato ad una colonna di automezzi russi che ha provocato la morte di decine di soldati e ufficiali” ha detto, e “abbiamo distrutto a colpi dì missili sette sedi segrete di Dudaev di cui sapevamo l’ubicazione”. Una di quelle sedi si trovava a Ghekhi-Chu dove è stato centrato il bersaglio principale. Fonti dei servizi segreti a Groznij sono state ancora più esplicite: “Si è trattato di un quinto tentativo, stavolta riuscito, nei giro degli ultimi 2-3 mesi”.

[13] Sul Kommersant del 30/04/1996 appare un lungo articolo che specula sull’ipotesi di uno “scisma” tra Maskhadov e Basayev. In quel frangente la versione del quotidiano russo fu prontamente smentita dai protagonisti, ma il confronto tra i due si sarebbe consumato davvero, pochi anni più tardi, portando la Repubblica ad un passo dall’autodistruzione. Molto probabilmente in quel momento, nel pieno del conflitto, più che di “scisma” si poteva parlare di “concorrenza”. Riportando le parole usate da Ilyas Akhmadov in una delle nostre conversazioni: Sfiducia” è una parola troppo forte per descrivere la loro relazione in quel momento. C’era sicuramente una certa concorrenza tra loro però. Non era pubblicamente riconosciuto, solo coloro che erano nei circoli privati di Basayev e Maskhadov erano a conoscenza. Alla fine, i due hanno lavorato insieme meravigliosamente. Ci sono stati anche alcuni disaccordi sugli incaricati di Maskhadov . Maskhadov è venuto nella regione natale di Shamil e stava nominando delle persone. Ma durante la guerra c’era una legge non scritta secondo cui un comandante, quando si trovava nella sua regione d’origine, era il principale responsabile. […].Ma come ho detto, a parte poche persone, la competizione tra Shamil e Maskhadov era quasi invisibile agli occhi del pubblico. […] A quel tempo, la tensione tra Shamil e Maskhadov non era grande. Era divertente, a volte quando Shamil voleva dire qualcosa a Maskhadov me lo diceva e viceversa. […] È possibile che nel tempo la competizione abbia portato a disaccordi molto più pubblici durante le elezioni. Ma durante la guerra, sebbene avessero alcuni disaccordi, erano più personali e non divennero un problema pubblico.

[14] Tale decisione fu assunta dal consesso dei comandanti militari in una riunione straordinaria del Comitato per la Difesa dello Stato (GKO) tenutasi a Roshni – Chu subito dopo la morte del presidente ceceno, durante la quale venne avanzata anche l’ipotesi di nominare Maskhadov al posto di Yandarbiev, considerato il contesto bellico nel quale la successione avrebbe dovuto svolgersi. Maskhadov tuttavia rifiutò, invitando i convenuti a rispettare quanto previsto dalla Costituzione.

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