MOVIMENTI POLITICI – Da una costola del Fronte Popolare nasce l’associazione nazionalista Bart (“unità”). I suoi aderenti si radunano intorno alla rivista omonima, la cui redazione è guidata dallo scrittore Zelimkhan Yandarbiev. Inizialmente partecipata per lo più da giornalisti e intellettuali quali Said Khasan Abumuslimov, Lema Usmanov e Musa Temishev, ben presto raccoglierà una vasta platea di giovani nazionalisti, e passerà dalle battaglie culturali alla lotta politica.
1 Luglio
PARTITO COMUNISTA – L’ex Ministro dell’Agricoltura Doku Zavgaev viene eletto Primo Segretario del Comitato Regionale del PCUS. E’ il primo ceceno a ricoprire il ruolo di massima guida politica dai tempi della deportazione. I ceceni vivono questo evento come l’inizio di un processo di emancipazione politica e culturale, da realizzarsi tramite il riconoscimento delle ingiustizie patite sotto il regime stalinista e la riscoperta della lingua e delle tradizioni nazionali. Anche gli ingusci, che condividono con i ceceni lo stesso spazio politico della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma (RSSA) Ceceno – Inguscia, salutano l’elezione di Zavgaev come un’opportunità per riottenere il Distretto di Prigorodny, un’area storicamente appartenente all’Inguscezia annessa nel 1944 alla vicina Ossezia del Nord e mai restituita.
10 – 15 Agosto
MANIFESTAZIONI POLITICHE – Manifestazioni spontanee non autorizzate si tengono a Magobek e ad Achkhoy – Martan. I contestatori chiedono la sostituzione di alcuni alti dirigenti distrettuali e direttori d’azienda, colpevoli di “rallentare la Perestrojka”
15 Agosto
MANIFESTAZIONI POLITICHE – Dopo molti mesi di mobilitazioni di carattere ambientalista e culturale l’Unione per il Sostegno alla Prestroika, ribattezzata Fronte Popolare della Cecenia – Inguscezia, inizia a spostare la contestazione su temi politici. Centinaia di manifestanti si radunano per protestare contro funzionari di partito e direttori di giornale accusati di sabotare la Perestrojka. A Grozny militanti del Fronte Popolare si radunano davanti alla Casa della Stampa, chiedendo le dimissioni del direttore del “Lavoratore di Grozny”, Bezugly, accusato di promuovere idee conservatrici.
4 Novembre
Il Congresso dei Deputati del Popolo dell’URSS, nuovo organismo legislativo dell’URSS varato da Mikhail Gorbachev per incentivare l’evoluzione democratica del sistema sovietico, promulga una dichiarazione Sul riconoscimento dell’illegalità di tutti gli atti delittuosi contro i popoli che hanno subito una deportazione forzata. Per la prima volta la deportazione dei Ceceni e degli Ingusci viene ufficialmente considerata un atto criminale. Il testo della legge, tra le altre cose, riporta: “Il Soviet Supremo dell’URSS condanna inequivocabilmente la pratica del reinsediamento forzato di intere nazioni come il più grave crimine contrario ai fondamenti del diritto internazionale, ed alla natura umanistica del sistema socialista. Il Soviet Supremo dell’Unione delle Repubblica Socialiste Sovietiche assicura che la violazione dei diritti umani e delle norme dell’umanità da parte dello Stato non accadranno mai più nel nostro paese.” La dichiarazione termina con il proposito di “[…] adottare le misure legislative necessarie all’incondizionato ripristino dei diritti di tutti i popoli vittima della repressione sovietica.”. Quest’ultimo paragrafo incoraggia gli ingusci a chiedere con maggior insistenza il ritorno del Distretto di Prigorodny, rivendicando il supporto del governo centrale nella loro rivendicazione e chiedendo a Zavgaev di farsi portatore di questa istanza presso il Congresso dei Deputati del Popolo dell’URSS.
la “Fiamma Eterna” ai caduti della Grande Guerra Patriottica, nel pieno centro di Grozny. Sullo sfondo l’Hotel Kavkaz.
Il sistema giuridico delle corti della sharia fu sempre inefficiente, anche se nel corso del 1998 parve raggiungere un maggior livello di funzionalità a seguito degli interventi diretti di Maskhadov e della sostituzione di gran parte dei funzionari incapaci o corrotti. Nel corso del 1998 la Procura Generale della Repubblica notò una diminuzione dei crimini contestati dai 3558 del 1997 ai 3083 di quell’anno, e una maggior capacità delle istituzioni di individuare e punire i crimini, secondo un tasso di “Individuazione del crimine” passato dal 41,8% del 1997 al 55,8% del 1998. Questi dati, tuttavia, fanno riferimento ai crimini comuni: per quanto riguarda la lotta ai crimini gravi, la tendenza risultò opposta, con un tasso di rilevamento del crimine passato dal 28% del 1997 al 20,1% del 1998 (cioè appena un crimine su 5). Frequente l’apertura di fascicoli ebbe scopo estorsivo, e numerosi furono i fascicoli giudicati a posteriori non regolari, e quindi archiviati.
Arbi Baraev, comandante del Battaglione Islamico per Scopu Speciali (IPON), nonchè uno dei comandanti di campo maggiormente coinvolti nel racket dei rapimenti nella Cecenia post bellica
In particolare il crimine più odioso e purtroppo endemico nella cecenia postbellica, il rapimento, non fu arginato che in minima parte. Tra il 1997 ed il 1999 furono certamente rapite 1217 persone (ed il dato è in difetto, facendo riferimento ai soli cittadini ceceni). A fronte di questo le autorità arrestarono appena 60 persone, comminando 4 condanne a morte e 7 ergastoli. La regione più problematica in assoluto in Cecenia era e rimase il distretto Avtorkhanovsky (ex Leninsky) di Grozny, nel quale nel solo 1998 vennero contati 736 crimini, il 25% di tutti quelli commessi in Cecenia. Nel 1999 la situazione era totalmente fuori controllo: all’inizio di Aprile di quell’anno lo stato era incapace di garantire la sicurezza dei cittadini, con 1203 ricercati per vari crimini a piede libero, tra i quali 173 criminali gradi e 82 omicidi.
REAZIONE POPOLARE
La scarsa competenza del personale, l’arbitrarietà delle decisioni del tribunale e lo stato di diffuso abuso di autorità da parte dei funzionari generò ben presto l’insoddisfazione da parte dei cittadini verso il sistema giudiziario. Maskhadov tentò di metterci una pezza, sostituendo gran parte dei funzionari di medio livello con il Decreto 375 del 16 Agosto 1997, e introducendo un criterio di certificazione a cura del “Consiglio degli Ulema” (una sorta di riunione plenaria dei principali esperti di diritto islamico in Cecenia) che garantisse una conoscenza minima da parte del giudice del tribunale per riconoscergli il diritto di emettere sentenze. La nomina dei Giudici della Corte Suprema della Sharia fu effettuata per decreto diretto da parte del Presidente della Repubblica.
All’inefficienza del sistema si affiancava un’altra perniciosa situazione: l’instaurazione del regime islamico stava avvantaggiando, più che i ceceni, la componente araba che aveva fiancheggiato i nazionalisti durante la Prima Guerra, rappresentata dal suo più noto esponente, Ibn Al Khattab. Se questi era il braccio armato della jihad islamica in Cecenia, dietro di lui (o sotto il suo ombrello) operavano molti altri personaggi, ufficialmente studiosi di diritto islamico o animatori di associazioni caritatevoli, i quali con il loro comportamento volutamente fanatico stavano minando le già fragili basi del neonato stato indipendente ceceno. La contrapposizione tra la società civile, orientata su posizioni nazionaliste moderate e non incline ad abbandonare i presupposti laici dello stato, ed i nazionalisti radicali, espressione dei comandanti di campo più riottosi e appoggiati dai fondamentalisti arabi produsse una spaccatura sempre più vistosa, la quale esplose alla fine di Giugno del 1998 in un vero e proprio conflitto armato nei dintorni della città di Gudermes. A seguito di quel grave fatto di sangue Maskhadov si risolse a dichiarare i jihadisti arabi ospiti non più graditi in Cecenia, tramite il Decreto 175 del 18 Luglio 1998 “Sull’espulsione di individui dalla Repubblica Cecena di Ichkeria”, accusandoli di partecipazione a gruppi armati illegali, propaganda antistatale, diffusione di ideologie mirare alla divisione della società su base religiosa. Il decreto prevedeva anche il licenziamento del wahabita Anvar Ahmad Yunus Bakr Shishani (Khamzat Shishani) dalla Camera Giudiziaria.
Facendo seguito alla volontà di sradicare l’influenza dei wahabiti sul nascente stato ceceno, Maskhadov promosse un giro di vite nel sistema giudiziario, licenziando ben 44 funzionari dei Tribunali della Sharia (circa il 30% del personale) facendo anche ricorso alla legge del 12 Novembre 1992 “Sullo Status dei Giudici nella Repubblica Cecena), la quale prevedeva che per svolgere l’attività di magistrato era necessario il possesso della cittadinanza. Contestualmente al lavoro di “ripulitura” dell’apparato giudiziario in senso stretto, Maskhadov tentò di aumentare la qualità della formazione professionale dei funzionari, stabilendo con il Decreto 128 “Sulla certificazione nelle forze dell’ordine nelle autorità giudiziarie della Repubblica per l’assunzione dei lavoratori” nel quale stabilì che la presenza di precedenti criminali fosse ostativa all’assunzione di nuovi funzionari, e che coloro i quali, già assunti, vantassero simili precedenti si considerassero diffidati e sotto il rischio di essere licenziati.” Il decreto stabiliva inoltre che i funzionari fossero in possesso “come minimo” di un titolo di istruzione secondaria, raccomandazione indicativa dello stato deplorevole nel quale versava l’organico della magistratura. Considerato il fatto che, secondo quanto riportato dai giornali di allora, il 90% delle controversie giudiziali riguardavano controversie associate al lavoro (una categoria che richiede particolare esperienza in ambito contrattuale) è facile intuire come l’amministrazione della giustizia risultasse deficitaria, e quanto poca fiducia avesse il ceceno comune nei riguardi delle corti della Sharia.
Esecuzione di una pena inflitta dalla Guardia della Sharia per le strade di Grozny.
Il giro di vite imposto da Maskhadov si vide anche nel fatto che i Tribunali della Sharia iniziarono a lavorare anche sulla classe dirigente della Repubblica, e non soltanto sui cittadini comuni, altra cosa molto in odio tra i ceceni: i leader politici ed i comandanti di campo, infatti, avevano acquisito una sorta di immunità giudiziale, controllando direttamente o indirettamente i tribunali nei loro territori. La campagna promossa da Maskhadov produsse il suo primo risultato nel processo a Salman Raduev, tenutosi contro il Comandante di Campo radicale tra le fine di Ottobre e l’inizio di Novembre 1998. Il verdetto, del 4 Novembre 1998 fu emesso riguardo l’attacco al centro televisivo di Grozny portato a termine pochi mesi prima dai militanti radueviti al seguito del suo vice, Colonnello Vakha Jafarov, e comminò una condanna a 4 anni di carcere (mai scontati). 6 Giorni dopo Maskhadov privò Raduev di tutti i titoli ed i riconoscimenti, ivi compreso il grado di Generale di Brigata. Come già detto, Raduev non scontò un solo giorno di carcere, venendo successivamente perdonato da Maskhadov dopo l’interessamento diretto di Basayev, il quale addusse alle precarie condizioni di salute del condannato per ottenere la sua scarcerazione.
Così come Maskhadov si stava applicando per salvare lo stato islamico dagli islamisti, gli islamisti tentarono di utilizzare proprio lo strumento giuridico per metterlo fuori dai giochi. Mentre si teneva infatti il processo a Raduev, Maskhadov stesso fu posto sotto accusa per usurpazione del potere e condotta immorale, proprio dal suo ex compagno d’armi Shamil Basayev, ormai in rotta di collisione con il Presidente. Di quel processo è purtroppo rimasto molto poco, tranne una registrazione di una ventina di minuti nella quale tuttavia si parla poco del processo, ma si ascoltano per lo più parole del Muftì Akhmat Kadyrov. In ogni caso il processo di risolse con l’assoluzione di Maskhadov ed una semplice ammonizione per via del fatto che sua moglie stesse portando avanti un progetto di carità sociale assimilabile al lavoro, quindi vietato dal Corano.
REAZIONE DELLE AUTORITA’ RELIGIOSE
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, la massima autorità religiosa del paese, il Muftì della Cecenia Akhmat Kadyrov, si dichiarò sempre contrario all’introduzione della Sharia, considerando che il paese non fosse in alcun modo pronto ad affrontare una simile rivoluzione, oltre al fatto che egli aveva in odio i wahabiti e vedeva le manovre di Yandarbiev e dei nazionalisti radicali soltanto come un cavallo di troia del fondamentalismo. Come riportato, del resto, dalla trascrizione del processo a Maskhadov, di cui ne riportiamo una parte.
Giudice: Voglio attirare l’attenzione di tutti i presenti su questo: Shamil [Basayev, ndr], voglio che tu esprima la tua accusa, in modo che più tardi non ci siano lamentele riguardo al fatto che non ti abbiamo ascoltato.
Basayev: Non lo riconosco come Muftì [Akhmat Kadyrov] dal momento che avrebbe dovuto assumere una posizione neutrale.
Kadyrov: Ascolta, Shamil, l’ho detto allora e lo ripeterò adesso: se non esprimo correttamente la mia opinione, potrà sembrare che io stia dando la preferenza ad una delle parti. Che tu lo voglia o no sono il tuo Muftì, sono il Muftì dei tuoi sostenitori, sono il Muftì del popolo e della repubblica, sono il Muftì di tutti i musulmani che lo riconoscono. Non mi schiererò in questo conflitto. Sarò più professionale possibile nello stabilire la giustizia. Sono venuto qui per amore della giustizia! Oggi non fa differenza se sono arrivato qui in veste di Muftì o di persona comune, perché qui ci sono i giudici, la decisione sarà presa da loro!
Basayev: No, non sei il mio Muftì, sei andato contro di me per molto tempo, dal primo incontro ti sei schierato dalla parte di Maskhadov! Dovevi rimanere neutrale, così saresti stato un Muftì.
Giudice: andiamo su richiesta
Basayev: Allora, secondo la dichiarazione, voglio invitare qui Zelimkhan Yandarbiev, testimone di uno spergiuro di Maskhadov, per dimostrare che Maskhadov era coinvolto in un crimine contro l’indipendenza e la sovranità, nell’usurpazione del potere e nelle conseguenze ad esso associate, nei crimini di divisione dei combattenti, di divisione del popolo. Voglio invitare Zelimkhan Yandarbiev
Kadyrov: non apprezzo le attività di questa corte della Sharia se le persone qui presenti non tengono conto del verdetto della corte. E’ facile accusarmi in modo infondato, è facile condannarmi alla decapitazione, ma se non aderiamo alla decisione del tribunale, non siamo musulmani. E ho motivo di dubitare che la decisione del tribunale verrà rispettata, indipendentemente dalla decisione che prendiamo oggi. E’ importante che trattiamo questa decisione con il dovuto rispetto. Abbiamo visto a cosa ha portato questo prima: la legge del più forte.
Yandarbiev: Secondo le mie informazioni si sono riuniti a Bakhi – Yurt: si sono riuniti Kadyrov, Khambiev, Sulim, figlio di Vakha, che ha prestato servizio in un reggimento di carri armati, Arsaev Aslanbek, Ibragim di Bachi . Yurt e Umar Ali…
Kadyrov: non credo alle tue informazioni e tu non sei un testimone di questa conversazione. Questa è una bugia, non ho visto Umar Ali da quando si è unito a te.
Giudice: aspetta, questo non è un contraddittorio
Yandarbiev: desidero che tu risponda
Kadyrov: questa non è una risposta alla tua domanda. Questa è solo una bugia.
Yandarbiev: in tal caso voglio chiamarlo (Umar – Ali) perché renda conto.
Kadyrov: eccellente, anch’io voglio chiamarlo a rendere conto. Umar Ali non si è nemmeno seduto a parlare con me da quando ti sei avvicinato a lui.
[…]
Kadyrov: nel nome di Allah il Misericordioso, non voglio discutere di relazioni personali in questa corte. Vorrei dire, a proposito di Zelimkhan (Yandarbiev) che è l’uomo che ha dato avvio alla discordia ed alla divisione in questa società. Risponderò e spiegherò come lo fa. Non appena la guerra finì, chiamò Baudi da Kisilyurt, dichiarando che era un grande esperto […] Ulus – Kert, anche quando non c’era un solo soldato per strada, eravamo con Aslan Maskhadov. Shamsudi Batukaev ci portò questo Baudi, ci disse “Sono qui per ordine del vostro Presidente, dobbiamo dichiarare subito lo Stato Islamico. Abbiamo parlato con il vostro presidente e siamo giunti ad un accordo. Ma c’è un problema: non abbiamo persone qualificate per farlo. Vi porterò buoni sceicchi e costruiremo uno Stato Islamico.” L’ho detto fin dall’inizio, e Zelimkhan è testimone: abbiamo troppi pochi Imam per organizzare i tribunali della Sharia, è ancora molto presto per noi per istituire i tribunali della Sharia. Ne abbiamo parlato molte volte. Ha affermato che il Wahabismo era sullo stesso percorso del Tariqat, altrimenti sarebbe stato una loro violazione. Baudi, Aslan Maskhadov e Batukaev sono testimoni di questa conversazione.
Yandarbiev: dove e con chi?
Kadyrov: Novye Atagi. Io, Shamsudi e Baudi, sono tutti testimoni, ho parlato dopo di te. Da allora, la società è stata divisa in due fronti da Zelimkhan Yandarbiev. Tutto ha avuto inizio con quello! E ciò che poi ha fatto alle elezioni è una storia a parte, lo avete visto tutti. Mi disse allora, cito: Akhmat, so che non vincerò le elezioni, ma se non ritirano la loro candidatura non lascerò loro un solo centimetro di questo paese! Lo giuro. Oggi è portatore di sciagura nella nostra società, qualsiasi parola che esce dalla sua bocca è una bugia!” Da ex presidente, mi ha parlato del popolo ceceno…fammi finire! Raccontaci come vivi, da dove vengono le tue proprietà, da dove vengono le macchine! Non ne discuteremo qui e ora. Ora qui stiamo esaminando il caso di Aslan Maskhadov, che è stato accusato da Shamil Basayev. Pertanto, dichiaro ancora una volta che Zelimkhan Yandarbiev è l’uomo che ha diviso la società in due campi, l’uomo che ha diffuso le idee del wahabismo. Il wahabismo non è la via, il wahabismo è la via per sterminare i musulmani! Tutti coloro che sono nemici dell’islam stanno su questa strada!
Yandarbiev: Voglio rispondere…
Kadyrov: Ora rispondi se quelli seduti là lo permettono! Dichiaro subito che non ero con Umar Alì e con il suo capo della sicurezza né a Bachi – Yurt né altrove. Questo non è un pettegolezzo, ma un fatto che posso giurare!
Yandarbiev: Aslan ha giurato sul Corano che avrebbe protetto la costituzione, ha giurato che c’era anche il Muftì!
Dal pubblico: raccontaci com’è andata, e se giurò che avrebbe difeso la costituzione!
Kadyrov: il mondo intero conosce questo giuramento, questo giuramento non è mai stato un segreto. Voglio rispondere a Shamil [Basayev] voglio rispondere alla sua dichiarazione secondo cui Zelimkhan (Yandarbiev) aveva proposto di tenere le elezioni in conformità con la Sharia, ma noi non lo avremmo permesso. Ci eravamo riuniti da Zelimkhan, c’erano anche altri candidati, non ricordo onestamente se Shamil ci fosse o meno. Altri erano sicuramente lì, c’erano anche esperti, insieme a Hussein Batukaev e Magomed di Zakan – Yurt. Con questi esperi abbiamo voluto provare in modo che scegliessero un candidato tra di loro. Poi Hussein Batukaev ha suggerito loro, cito: “Cinque capi militari, votate uno di loro e scegliete una persona dei vostri”. “Che tipo di ciarlataneria stai proponendo!” esclamò Zelimkhan Yandarbiev. L’altro ha detto che quella non era ciarlataneria, ed ha citato una storia dalla Vita del Profeta”
Yandarbiev: Non è vero!
Kadyrov: I candidate Akhmed Zakayev e Aslan Maskhadov, Hussein Batukayev e Magomed di Zakan Yurt sono tutti testimoni di questo. Eravamo nel suo ufficio.
Yandarbiev: Bugie, non ricordo questi incontri
Kadyrov: Questa non è una bugia! C’e stata una violazione lì da parte di Zelimkhan, non voleva tenere nessuna elezione. Ora voglio rispondere per il “giuramento”
Giudice: ci sono altri oltre a te che vogliono parlare…
Kadyrov: non ho ancora finito!
Giudice: Akhmat, sei solo un testimone
Kadyrov: sto rispondendo alle tue domande! Va bene…
Giudice: Ho dato la parola ad Akhmat dopo di te, Zelimkhan, ora risponde alla tua domanda in merito al caso, non interromperlo.
Kadurov: sto rispondendo a questa domanda. Aslan Maskhadov ha giurato di difendere e aderire alla costituzione, il mondo intero ne è testimone! Ma secondo la Sharia c’è una regola: una persona viene liberata da un giuramento se trova una soluzione più corretta. La Sharia gli concede questo diritto. La Costituzione è la Costituzione. Violare la Costituzione è una cosa, lui non ha violato il Corano, qui siete tutti degli studiosi e sapete che su questo giuramento incombe una soluzione migliore, e in questo caso ha il diritto di infrangere il giuramento! Persone come Zelimkhan Yandarbiev non sanno queste cose! Ama definirsi un esperto, non ha neanche una conoscenza di base!
Basayev: Ho una domanda per Aslan Maskhadov, quando stavamo tornando da Budennovsk, nel distretto di Novolasky, ti abbiamo dato un documento con le condizioni. Quando hai allegato questo documento? Ne hai discusso coi russi?
Maskhadov: abbiamo pensato che si, davvero questo fosse un documento utile per noi…
Kadyrov: C’era un progetto preparato, Zakayev allora aveva la testa rasata. Sono venuti a Benoy c’era Shamil, c’era Aslan, che Allah accetti la Gazavat, c’era Alavdi da Argun. Questo accordo è stato considerato punto per punto, sul retro c’era scritto un emendamento a penna di Dzhokhar (Dudaev). Hanno detto di firmare, questo accordo è stato firmato e se ne sono andati, io ne sono un testimone!
[…]
Kadyrov: la metà dei presenti qui dichiara che sono il loro Muftì, l’altra parte è contraria perché qui non sono un imputato, sono loro gli imputati! Ne risponderanno oggi! Shamil ha detto che non ero il suo Muftì, quindi le mie risposte non si applicavano a lui! Pertanto non risponderò a questa domanda, voglio rivolgerne una alla Corte della Sharia. Ti risponderanno, se vorrai rispondergli
LA PIENA LEGGE DELLA SHARIA
Come risultato di una serie di frizioni e allentamenti di tensione intercorsi in tutto il 1998, agli inizi del 1999 Maskhadov tentò di prendere il controllo dello Stato islamico che di fatto si stava venendo a costituire in Cecenia proclamandone la sua istituzione ufficiale e assumendone, in questo modo, il diretto controllo. Il 3 Febbraio 1999 Maskhadov emise il Decreto 39 del 3 Febbraio 1999 “Sull’introduzione della piena regola della Sharia” con il quale la Cecenia diventava ufficialmente una Repubblica Islamica e le istituzioni secolari venivano svuotate di qualsiasi potere a vantaggio di loro emuli confessionali. In particolare il Parlamento perse il diritto di iniziativa legislativa a vantaggio di un nuovo organo, la Shura Presidenziale (o Consiglio Islamico) che avrebbe costituito di fatto un’assemblea legislativa. L’8 Febbraio, con il Decreto 46 “Sulla Costituzione della Sharia” Maskhadov decretò la creazione di una commissione di Stato che preparasse il paese alla transizione al pieno sistema confessionale, redigendo una bozza di una nuova costituzione in affiancamento al Consiglio degli Ulema. Il documento finale sarebbe stato sottoposto ad un Congresso Nazionale del Popolo Ceceno ed eventualmente approvato.
Il gesto fu un autogol sostanziale: Maskhadov non incassò il parere dei radicali islamici, i quali continuarono a chiedere le sue dimissioni, e lo mise in rotta di collisione con i moderati, i quali lo avevano sempre sostenuto. I radicali pretesero che, una volta istituito lo Stato Islamico, Maskhadov procedesse alla dissoluzione delle strutture di potere secolari, ivi compresa la carica di Presidente della Repubblica, non prevista dallo Stato Islamico. Di fronte al parere negativo della Corte Suprema della Sharia, la quale confermò la posizione di Maskhadov alla presidenza, i radicali istituirono un loro “stato nello stato”, costituendo una loro Shura Islamica ed una loro Corte Suprema della Sharia. Il paese sprofondò così in una sorta di triarchia, con le istituzioni secolari ancora operative, quelle confessionali filo – presidenziali e quelle confessionali anti – presidenziali, aggiungendo caos al caos e impantanando il lavoro delle istituzioni.
Il provvedimento del 3 Febbraio, peraltro, era in contrasto con la Costituzione del 1992, ed inevitabilmente espose il Presidente all’impeachment per violazione dei dettami costituzionali. I suoi decreti vennero pertanto immediatamente aboliti, ma stante il caos istituzionale regnante nella Repubblica le decisioni di Maskhadov furono comunque portate avanti autonomamente dalla Presidenza, e la Commissione sulla riscrittura della Costituzione fu istituita ed iniziò ad operare senza il consenso del Parlamento. Akhmed Zakayev, Presidente della Commissione, iniziò a sviluppare un progetto costituzionale basato sulle carte fondamentali di Iran e Pakistan, con l’intendo di adeguarle alla situazione cecena. Anche Maskhadov, per parte sua, continuò a comportarsi come se i suoi decreti avessero avuto un effetto pratico: mentre il Parlamento continuava a riunirsi ignorandolo, e lo steso facevano i radicali nazionalisti con la loro Shura, Maskhadov si proclamò con Decreto 80 del 9 Marzo 1999 “Mekhkan – Da”, cioè “Padre della Nazione”, tentando di consolidare la sua riforma del sistema statale ichkeriano basato sì su di un fondamento confessionale, ma funzionante come una sua dittatura personale.
LO SCOPPIO DELLA GUERRA E LA DISSOLUZIONE DELLO STATO
Lo scoppio della Seconda Guerra Cecena, il sequestro, il saccheggio e la distruzione degli archivi statali conseguenti all’invasione militare hanno sottratto allo studio accademico sulla materia gran parte dei documenti originali, ragion per cui se già è difficile ricostruire la storia del sistema giudiziario ichkeriano tra il 1991 ed il 1999, è praticamente impossibile farlo per il periodo durante il quale le corti della Sharia operarono in stato di guerra e poi in clandestinità.
Shamil Basayev ed Aslan Maskhadov
CONCLUDENDO
Uno dei principali fallimenti nello “state – building” della Repubblica Cecena di Ichkeria fu rappresentato dall’incapacità del nuovo stato di garantire ai cittadini un sistema giudiziario equo e funzionante. Durante il primo periodo repubblicano la magistratura fu costantemente ostaggio delle lotte di potere tra il partito parlamentarista e quello presidenzialista, mentre durante il regime di Dudaev esso subì un costante deterioramento causato sia dallo stato di grave carenza di fondi, sia dall’utilizzo che il regime fece delle strutture giudiziarie, ridotte per lo più a strumenti di repressione politica. Durante la prima guerra cecena il sistema si dissolse, aprendo la strada ai tribunali della Sharia, visti come strumento “smart” per amministrare una sommaria giustizia nei territori sotto il controllo dei miliziani, e per tenere a freno i miliziani stessi. Al termine della prima guerra la dissoluzione delle strutture pubbliche e lo slancio islamista di molti comandanti di campo, abilmente intercettato da Yandarbiev e malamente contrastato da Maskhadov, portò alla trasformazione della magistratura in un sistema islamico di facciata, privo degli strumenti materiali ed intellettuali per funzionare in maniera decorosa, e che divenne ben presto uno strumento nelle mani dei piccoli potentati semi – indipendenti che andarono a crearsi nella Cecenia postbellica. Il risultato fu un accrescimento del clima di anarchia nel quale la ChRI si trovò a vivere fino alla Seconda Guerra Cecena. Con lo scoppio della Seconda Guerra il sistema giuridico andò in frantumi, e di nuovo fu istituita una “magistratura di guerra” che fu messa direttamente nelle mani dei comandanti di campo, i quali presumibilmente ne fecero un uso personalistico e finalizzato alla conservazione del proprio potere.
Com’era possibile, dunque, che la leadership dell’Ichkeria, posta alla guida dello Stato da una Costituzione secolare, legiferasse apparentemente in piena tranquillità secondo il diritto confessionale, aggirando i dettami della carta fondamentale per trasformare la Cecenia in uno stato islamico? Sia Dudaev che Maskhadov (ma in gioventù certamente anche Yandarbiev) erano formati alla scuola socialista, e non potevano certamente dirsi zelanti islamici. Eppure tutti e tre mossero concreti passi politici verso l’islamizzazione dello Stato. Come abbiamo visto il primo a muovere passi in questo senso fu Dudaev, con l’istituzione dei tribunali della Sharia in tempo di guerra. Lui probabilmente cercò soltanto di dare una parvenza di ordine alle milizie, utilizzando un meccanismo di giudizio più alla loro portata, e certamente più facile da gestire nella situazione contingente. Yandarbiev, invece, mosse passi molto decisi verso l’islamizzazione dello stato, agendo in costante disprezzo verso i dettami della Costituzione ed abolendo quasi ogni manifestazione secolare dello Stato. Maskhadov ondeggiò inizialmente tra l’una e l’altra soluzione, ma fu lui nel Febbraio del 1999 ad instaurare la Legge della Sharia per decreto presidenziale, compiendo un passo che né Dudaev, né Yandarbiev si erano arrischiati a fare. L’opinione corrente è che tutti e tre (Dudaev prudentemente, Maskhadov con incertezza, Yandarbiev con maggior convinzione) “flirtarono” con gli islamisti perché questi, seppur minoritari, erano la massa militante più facile da mobilitare e più fedele alla causa della guerra.
L’introduzione dei tribunali della Sharia e la progressiva abolizione dei tribunali secolari ha avuto effetti distruttivi non soltanto sul già agonizzante potere giudiziario, ma anche sulla stessa società civile. Se già la legge della Sharia poteva infatti dirsi non all’altezza di un sistema sociale moderno, il fatto che questa fosse demandata a corti improvvisate, basata su un sistema legislativo artigianale e spesso inadatto al luogo e al tempo nel quale avrebbe dovuto essere applicato, ed il semi – analfabetismo dei giudici nominati portarono il paese al caos giuridico, trasformando la Cecenia in una sorta di anarchia islamica.
Alla Dudaeva accompagnò suo marito per tutta la durata della guerra fino a quando, il 21 Aprile 1996, i federali individuarono il suo segnale di chiamata e riuscirono ad ucciderlo con un bombardamento missilistico sulla posizione dalla quale stava avendo una conversazione telefonica. In questa seconda serie di citazioni riportiamo le memorie di Alla riguardo al periodo della guerra.
LA GUERRA
La guerra era inevitabile e Dzhokhar lo capiva meglio di chiunque altro. Parlando alla gente. Fu molto serio e concentrato: “Si, una guerra è imminente. Si, sarà molto difficile per noi, ma la nostra generazione la porterà a termine. Per secoli, ogni cinquant’anni la Russia ha distrutto il nostro popolo. Raccogliamo le nostre forze. Si, loro combatterono, ma non vinsero mai. Noi vinceremo! Anche se dovesse rimanere vivo soltanto il trenta percento di noi”. Vecchi uomini, guidati da Ilyas Arsanukaev vennero all’ufficio di Dzhokhar. Ilyas iniziò la conversazione: “Dzhokhar, non sei dispiaciuto per gli altri, non ti dispiace per te stesso…”. Dzhokhar, che non si è mai seduto di fronte e persone anziane, sentendo queste parole, si sedette ed ascoltò in silenzio il discorso di Ilyas. Poi, come al solito, come sempre quando era eccitato, strinse i pugni e disse con voce insolita per lui, calma, ma molto ferma: “Ilyas, non sono una persona così felice di morire in questa guerra. La nostra conversazione è finita.” Era una persona appassionata, una persona entusiasta per la quale un’idea è più importante della sua vita, delle vite dei suoi cari e di quelle di coloro che gli stanno intorno.”
I fratelli Abu e Iles Arsanukaev, militanti della prima ora del Comitato Esecutivo e molto vicini a Dzhokhar Dudaev
Non volendo invadere direttamente la Cecenia, il governo federale russo tentò in un primo momento di mettere su un esercito di fiancheggiatori ceceni che rovesciasse Dudaev senza troppo clamore. L’opposizione antidudaevita, concentrata nel Nord del paese, fu armata ed affiancata da militari a contratto: dopo alcuni mesi di schermaglie questa forza, appoggiata dall’aereonautica federale e da un imponente dispiegamento corazzato, tentò di prendere Grozny il 26 Novembre 1994. Quella battaglia, terminata con la completa vittoria dei dudaeviti, costrinse i russi ad intervenire direttamente per “ripristinare l’ordine costituzionale”, dando il via alla Prima Guerra Cecena.
“Dalle 7 del mattino del 26 Novembre hanno iniziato a bombardare il centro di Grozny, il Palazzo Presidenziale e le strade adiacenti. Gli attacchi missilistici e i bombardamenti sono continuati per un’ora. Quindi i carri armati sono entrati in città da tre lati. Gli aereoplani ruggivano e ululavano, perforando i piani superiori degli edifici residenziali con raffiche di mitragliatrice. La prima colonna corazzata, accompagnata dalla fanteria, si è divisa ed è entrata in città attraverso l’autostrada di Petropavlovskoye ed il Microdistretto; la seconda colonna – attraverso la trentaseiesima sezione. I Gantamiroviti attraverso Chernorechye.
Il primo attacco fu fermato dai combattenti di Ilyas Arsanukaev. Diversi carri armati fecero irruzione nel centro, dove furono accolti dalla Guardia Presidenziale. Le colonne dei carri furono divise in gruppi dalle unità di Shamil Basayev e Ruslan Gelayev ed iniziò il loro bombardamento. I carri armati bruciavano come fuochi nelle strade. Appollaiati sui tetti delle case, i cecchini russi sparavano sui coraggiosi volontari.
Resti dei carri da battaglia in dotazione agli antidudaeviti carbonizzati davanti al Palazzo Presidenziale
[…] I veicoli corazzati erano in fiamme in tutta la città e i cadaveri carbonizzati dei soldati russi erano sparpagliati ovunque. Delle unità d’élite delle divisioni Kantemirovskaya e Taman sopravvissero soltanto pochi veicoli corazzati. La città odorava di bruciato. Giornalisti stranieri e media russi filmavano e mostrarono al mondo intero i volti dei primi prigionieri [russi, ndr.] catturati dopo la battaglia dei carri. Insieme ai banditi ceceni, agli “oppositori”, ce n’erano più di 100. Ma il comandante Pavel Grachev, insieme alla leadership politica e militare della Russia, abbandonò i soldati russi, dichiarando pubblicamente di non sapere nulla della partecipazione dell’esercito federale alla “azione anti – Dudaev”. La bugia era palese e ovvia e suscitò indignazione pubblica nella stessa Russia.
Il presidente Dzhokhar Dudaev disse: “Stiamo conducendo una guerra non con l’opposizione, ma con la Russia. La prova di ciò sono i settanta militari russi che abbiamo arrestato”. Quando i giornalisti gli hanno chiesto quale sarebbe stata la sorte dei prigionieri di guerra, egli rispose: “In questo caso, stiamo parlando di delinquenti. Poiché la Russia non riconosce queste persone come personale militare, dovremo giudicarle secondo le leggi del tempo di guerra, cioè come criminali. Solo se Mosca dichiara che sono soldai russi che eseguono un ordine, e ammette apertamente il fatto che si tratta di un intervento militare negli affari della Cecenia sovrana, essi, come prigionieri di guerra, saranno trasferiti in Russia di comune accordo. […] Se il Ministro della Difesa non sa dove sono i suoi militari come può guidare le forze armate del paese, come può conoscere la situazione operativa? Tali dichiarazioni da parte sua sono stupide e ingenue.”
L’ASSEDIO
Dopo la bruciante sconfitta delle milizie antidudaevite del 26 Novembre 1994, la Russia si decise ad intervenire direttamente, inviando un grosso contingente corazzato alla presa di Grozny. La città patì immense distruzioni, ma l’avanzata dei federali per le sue strade fu sanguinosa e per nulla facile. Alla Dudaeva racconta qui le sue impressioni:
“Un enorme armata di carri armati russi bruciò nel centro di Grozny in un inferno. L’Esercito di Grachev cadde nella trappola dei dudaeviti. Come stormi di corvi neri, aerei ed elicotteri russi sorvolavano la città, lanciando missili e bombe. Cannonate di artiglieria a lunga gittata e lanciarazzi Grad rombavano incessantemente. In Piazza della Libertà e in Piazza Sheikh Mansur le guardie presidenziali e le milizie, normali lavoratori di ieri: insegnanti, medici, muratori, combatterono e morirono in uno scontro terribile. Impararono le lezioni della guerra, sacrificando la loro cosa più preziosa: la loro vita. […] Lo spettacolo era così terribile che era difficile credere a i propri occhi. Era l’inferno sulla terra. Storditi dalla sorpresa, i federali confusi bombardavano le loro stesse unità chiedendo l’aiuto dell’aviazione!”
Carro armato dell’esercito regolare ceceno si dirige verso una postazione di combattimenti nei pressi del Palazzo Presidenziale
[…] Il Palazzo Presidenziale in Piazza della Libertà è diventato un simbolo delle battaglia dell’Ichkeria. Venne bombardato con tutti i tipi di armi, ma i falchi russi non riuscirono a distruggerlo. Una bomba di profondità di molte tonnellate, che perforò tutti e 9 i piani ed i soffitti di cemento, uccise contemporaneamente 40 persone nel seminterrato: prigionieri e feriti, insieme alle infermiere. Un’altra bomba esattamente uguale si incastrò, senza esplodere, in uno dei solai. I difensori del palazzo ed i giornalisti si recarono stupiti a vedere le sue enormi dimensioni.
Si decise di spostare la sede del Presidente in un luogo più sicuro. Dzhokhar rifiutò a lungo, ma i suoi seguaci insisterono sulla loro decisione: “Non puoi rischiare la causa della libertà. Cosa succederà alla Repubblica se moriremo tutti insieme?” Si trasferì solo dopo un lungo lavoro di persuasione. Amici e compagni fedeli rimasero al Palazzo: Aslan Maskhadov, Zelimkhan Yandarbiev, la Guardia Presidenziale e le milizie.
CRIMINI DEI “LIBERATORI”
Ardente sostenitrice degli ideali propugnati da suo marito, Alla Dudaeva fu sempre molto critica verso il comportamento delle truppe di occupazione russe:
“Il villaggio di Assinovskaya si era arreso dopo una consultazione preliminare dei residenti, senza combattere. Questo è un esempio di cosa accadde a coloro che si arresero. I soldati entrarono in ogni casa, cercarono e presero quello che volevano, quello che piaceva loro. […] Una ragazza di sedici anni fu portata via in un mezzo blindato, una vicina russa, uscita fuori per proteggerla urlando come stesse difendendo sé stessa, fu uccisa con una raffica di fucile automatico. La ragazza non è mai tornata. Due bambini di undici e nove anni, che avevano violato il coprifuoco per recuperare una mucca slegata, non tornarono a casa. Quando al mattino seguente la madre in lacrime implorò i soldati russi di raccontarle cosa fosse successo, ricevette come risposta: saltarono in aria su una mina. Ma nessuno aveva sentito l’esplosione nel villaggio. Furono ritrovato morti, e che aspetto [terribile] avevano! Un anziano, che stava esortando i compaesani a non far entrare nessun militare nel villaggio, è stato spogliato e linciato in un cerchio dai militari russi. Lo stesso fecero con sette adolescenti di quindici o sedici anni.
Cadaveri di civili ceceni uccisi nella strage di Shamaski
[…] Non molto tempo fa, nello stesso villaggio sono stati uccisi 27 civili che […] erano tornati alle loro case. Per gli occupanti tutti sono uguali. La paura ha occhi grandi: inizieranno improvvisamente una “guerra partigiana” nel villaggio?
[…] Chi ha visto gli enormi fossati di Grozny riempiti coi corpi delle persone uccise durante i bombardamenti? Se ne trovano durante lo smantellamento di edifici distrutti, vicino alle case, nel fiume o sepolti nelle fosse comuni. Diciottomila persone, di diverse nazionalità, credevano di non vere nulla da temere dall’esercito russo e quindi non se ne andarono in tempo […].
MANIFESTAZIONI DUDAEVITE A GROZNY
Con il passare dei mesi la durezza della vita sotto il regime di occupazione ed i continui successi della guerriglia dudaevita dettero il la ad una serie di manifestazioni di protesta, durante le quali gli intervenuti facevano sfoggio di ritratti del presidente e di bandiere della Repubblica Cecena di Ichkeria. Alla Dudaeva descrive l’atmosfera di quegli eventi.
“La Russia stava subendo un collasso, sia militare che morale, che politico. Annunciò l’intenzione di risolvere il problema delle relazioni russo – cecene con mezzi politici. Beato chi ci crede…
Incontro aperto a Grozny. Decine di migliaia di persone – Anziani, donne e bambini – Rimangono nella neve con qualsiasi tempo. Vicino al Palazzo Presidenziale, bombardato e carbonizzato, sui resti della cui facciata sono appesi un ritratto del Presidente Dzhokhar Dudaev e la bandiera verde ribelle della Repubblica Cecena di Ichkeria, c’è un campo di tende. E’ stato chiamato “Duki – Yurt”, dal nome di infanzia di Dzhokhar [“Duki”, appunto, ndr] […]. Arrivano autobus da tutta la repubblica. Nelle fredde notti invernali la gente si riscalda davanti al fuoco con tè e con quello che a volte riesce a passare attraverso la fitta sicurezza del Ministero dell’Interno, il quale sta assediando una manifestazione di disobbedienza senza fine. Sulla neve sciolta, in ginocchio, una donna anziana e magra tiene con entrambe le mani il ritratto del Presidente Dudaev, stretta al petto infossato.
Separatisti ceceni manifestano tra le rovine del Palazzo Presidenziale, 4 Febbraio 1995
[…] L’8/9/10 Febbraio le truppe di occupazione, vestite con uniformi della polizia cecena, della polizia antisommossa e delle forze speciali, sparano su una manifestazione permanente in piazza Svoboda. Per ordine di Doku Zavgaev diverse tonnellate di dinamite vengono deposte di notte nelle fondamenta del Palazzo Presidenziale, orgoglioso simbolo della libertà di Ichkeria, e lo fanno saltare in aria. Queste scene furono trasmesse alla televisione russa per molto tempo. Questo è ciò che attende tutte le nazioni che si ribellano! Dopo due potenti esplosioni l’edificio monolitico si alza in aria, poi scende lentamente in una grande e densa nuvola di polvere. Bene, l’edificio può essere distrutto, ma lo spirito di libertà non può essere sconfitto!
GROZNY, MARZO 1996
Il primo segnale che la situazione militare stesse cambiando a favore dei separatisti fu il successo del Raid su Grozny organizzato da Dudaev nel Marzo 1996, poco più di un mese prima di morire: le forze separatiste riuscirono a penetrare nella capitale, metterla a soqquadro ed abbandonarla senza che i federali riuscissero a fermarle. In questo ultimo brano, Alla Dudaeva ne descrive gli eventi salienti.
Il 6 Marzo ha avuto luogo un’improvvisa cattura senza precedenti nella storia di Grozny, la città più fortificata al mondo, secondo gli esperti militari. Si basava su tattiche militari completamente nuove. Il nostro piccolo esercito non aveva aerei, carri armati, installazioni Grad, artiglieria pesante e leggera (allora non avevamo altro che fucili mitragliatori e un ardente, inesauribile desiderio di riscattare l’ingiustizia più crudele). Era possibile solo con la forza dello spirito […] Johar doveva trovare una via d’uscita, e la trovò!
Avendo precedentemente occupato tutti i passaggi e le “fessure” nella difesa di Grozny, i nostri militanti entrarono in città alle 5 del mattino e presero posizione. All’ora stabilita, iniziarono a prendere d’assalto i posti di blocco, gli uffici del comandante e le altre strutture militari. Le esplosioni scuotevano la terra. I residenti di Grozny di unirono agli attaccanti, portando via le armi ai soldati russi, sequestrando camion dei pompieri, li hanno riempiti di benzina ed hanno lanciato la benzina dai manicotti contro i veicoli blindati per incendiarli. Il torrente infuocato generò un ruggente muro di fuoco, dal quale saltarono fuori i soldati. I veicoli corazzati esplodevano, i proiettili esplosivi volavano in tutte le direzioni.
[…] L’assalto alla città continuò per tre giorni. Alla fine le munizioni terminarono, e lo scontro a fuoco ebbe termine. […] La cattura dimostrativa della capitale fu completata in tre giorni. Questa operazione mostrò al mondo intero la forza dell’esercito ceceno, ed il fatto che le nostre scorte erano state significativamente rifornite.
Vista di Grozny dal tetto dell’edificio sede dell’FSB in città, Agosto 1996
Tra i numerosi libri di memorie pubblicate dai protagonisti della storia recente cecena, una in particolare è da menzionare per l’intensità dei racconti che contiene. Si tratta delle memorie di Alla Dudaeva (al secolo Alevtina Fedorovna Dudaeva) moglie del primo Presidente della ChRI Dzhokhar Dudaev. Alla accompagnò il marito per quasi tutto il corso della sua vita: di origini russe (era figlia di un alto ufficiale dell’Armata Rossa) dopo averlo sposato nel 1969 lo seguì nella sua parabola politica come leader della Repubblica Cecena di Ichkeria, gli stette accanto in ogni momento, fino alla sua morte. Nel periodo interbellico collaborò con il Ministero della Cultura, senza tuttavia occupare alcun ruolo politicamente rilevante, ed allo scoppio della Seconda Guerra Cecena scelse la via dell’esilio, trasferendosi in Azerbaijan, poi in Turchia, infine in Svezia, dove risiede tutt’ora. Non avendo mai rinnegato le posizioni politiche del marito, collabora con il cosiddetto “Governo Idigov”, ricoprendo la carica formale di “Presidente del Presidium del Governo della Repubblica Cecena”. All’attività politica affianca quella professionale: come scrittrice professionista ha lavorato alla pubblicazione di numerosi libri, mentre come pittrice tiene mostre dei suoi dipinti in molti paesi del mondo.
Il suo libro “Million First” (tradotto in francese col titolo: “Le loup tchécthène: ma vie avec Djokhar Dudaev” racconta la vita dell’amato marito, la storia della loro famiglia ed il corso avventuroso e terribile degli ultimi anni di vita di Dudaev visto dalla prospettiva di una moglie devota e innamorata. Sicuramente potrà mostrargli uno specchio della sua tenacia. In questo articolo riportiamo alcuni passi.
La copertina del libro di memorie di Alla Dudaeva, “Million First”
Il primo tema di interesse storico è il punto di vista di Alla sugli eventi che portarono alla salita al potere del marito:
Nell’Ottobre 1990, su invito del comitato organizzatore, Dzhokhar arrivò a Grozny, facendo un viaggio di lavoro di diversi giorni, e partecipò al primo congresso nazionale del popolo ceceno, dove fu formato un comitato esecutivo. La dichiarazione sulla proclamazione dell’indipendenza della Repubblica Cecena di “Nochchiycho” fu adottata, la sua adozione provocò un generale giubilo di esclamazioni di “Allah Akhbar!” In chiusura ha risuonato il discorso infuocato di Dzhokhar Dudaev, che poche persone conoscevano prima, ma dopo il congresso l’intera repubblica ha iniziato a parlare di lui.
“Il suo discorso brillante, la risolutezza e l’intensità, la franchezza e la durezza delle affermazioni – un fuoco interiore, che era impossibile non sentire – tutto questo ha creato un’immagine attraente di una persona in grado di affrontare il caos del tempo dei guai. Era un mucchio di energia accumulata proprio per un momento del genere; una molla, momentaneamente compressa, ma pronta a drizzarsi al momento giusto, rilasciando l’energia cinetica accumulata per adempiere al nobile compito cui era destinato (Musa Geshaev).”
Quando è iniziato il confronto tra il popolo e il governo, Dzhokhar è arrivato con una delegazione del Comitato Nazionale ceceno da Doku Zavgaev, e gli ha suggerito: “Doku, sei un ceceno, con quale sfarzo è stata celebrata la tua elezione a Segretario del Comitato Regionale della Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Ceceno – Inguscia, quanto eravamo felici io e tutto il popolo. Non restiamo nemici, guidiamo il movimento nazionale per l’indipendenza e tu sarai il Capo dello Stato. Ti do la mia parola che l’intero popolo ceceno ti sosterrà […]” Al che Doku disse “Ho bisogno di pensare, risponderò tra tre giorni” e non ripose. La gente quindi emise il verdetto: l’era del governo Zavgaev era finita.”
LA RIVOLUZIONE CECENA
Il culmine della cosiddetta “Rivoluzione Cecena”, cioè del sommovimento popolare che portò al rovesciamento dell’ordine costituzionale ed alla proclamazione di indipendenza, si ebbe il 27 Ottobre 1991 allorchè, al termine di una tornata elettorale organizzata dai separatisti, Dzhokhar Dudaev fu eletto Presidente della Repubblica Cecena indipendente. Alla Dudaeva descrive così quei momenti:
“La notte del risveglio dello Stato divenne magica. Fuochi d’artificio in piazza, balli e canti, preghiere degli anziani: tutto era mischiato in un inno generale di ringraziamento, un inno di gioia e speranza per una vita libera e dignitosa, per un futuro luminoso per figli e nipoti. Nessuno porterà mai più via ai ceceni la loro patria benedetta! Libertà o morte!
La piazza era agitata come un mare umano traboccante di fiati, pensieri e conversazioni. Sotto i raggi dei riflettori scintillanti, apparve la figura piccola e snella del Presidente in abito nero, che era poggiata con grazia su di esso. Dzhokhar salì sul podio, si raddrizzò, iniziò a parlare con entusiasmo: non si udì nulla, qualcuno aveva tirato il microfono. […] Gli appassionati iniziarono cercare febbrilmente e dopo venti minuti salirono su di un auto su di un microfono altoparlante. Il discorso infuocato di Dzhokhar risuonò nella piazza. Centinaia, migliaia di occhi, illuminati dalla speranza, videro davanti a loro quanto sarebbe stata meravigliosa la libera terra cecena. “Il percorso è arduo, ma dobbiamo percorrerlo, non importa quanto difficile potrà essere. Andiamo! Io credo in voi, credo nella mia gente!”
[…] Poi sono iniziate le domande. Un vecchio con una lunga barba bianca, seduto in prima fila, ha chiesto: “Dzhokhar, cosa faremo se la Russia non ci riconosce, se l’America non ci riconosce?” Dzhokhar si appoggiò allo schienale e lo fissò. Il suo viso pallido brillava alla luce dei riflettori, i suoi occhi brillavano: “E cosa possiamo ottenere dal loro riconoscimento? Per migliaia di anni i nostri antenati hanno vissuto sulle montagne senza il loro riconoscimento! Persone libera su una terra libera! Tutt’intorno ci sono montagne, foreste e fiumi nativi! Hanno vissuto senza il loro riconoscimento, e noi ugualmente vivremo! Lascia che ci ringrazino se noi li riconosciamo!” E iniziò a ridere. La sua risata contagiosa si riversò nella piazza e la gente gli fece un eco felice. Perché, in effetti, avrebbero dovuto avere paura nella loro terra natia? Non avevano tolto nulla a nessuno.” Si sentì un’altra voce incerta: “Dzhokhar, e se moriamo tutti di fame?” “Ah ah ah!” Si rallegrò finalmente Dzhohar. “Su questa terra fertile, nessuno è mai morto di fame! Sono venuti da noi dalla Russia durante la carestia nella regione del Volga, i servi della gleba sono fuggiti da noi dai proprietari terrieri e ce n’era abbastanza per tutti! Se moriremo sarà solo per orgoglio!”
Articolo del giornale ceceno “Lavoratore di Grozny” sulla famiglia Dudaev
DZHOKHAR IL PRESIDENTE
Un altro momento che i memorialisti del separatismo ricordano concordemente con grande emozione fu l’investitura ufficiale di Dudaev alla carica di Presidente. Eccone il racconto di Alla Dudaeva:
“A Novembre l’inaugurazione del primo presidente è avvenuta nell’edificio del teatro drammatico ceceno. Avevamo paura delle provocazioni russe, ma l’edificio era comunque sovraffollato. Erano giunti molti giornalisti e ospiti stranieri. Dzhokhar era sul palco con indosso l’uniforme grigia cerimoniale da Generale, con un berretto blu in testa, sotto lo stendardo di stato della Repubblica Cecena. Il Corano sul quale doveva giurare, era tenuto dal Presidente del Mekhk – Khel (Consiglio degli Anziani). I viali Lenin e Pobeda, le strade e le piazze adiacenti erano gremite di gente. Alle 12 E’ iniziata l’inaugurazione. Quando finì e Dzhokhar se ne andò, l’aria fu sconvolta da raffiche di migliaia di fucili automatici e di mitragliatrici. Fu il saluto militare di tutto coloro che avevano preso parte al respingimento dell’introduzione dello stato di emergenza sul suolo ceceno, che suonò come una conferma del punteggio politico e militare: 1 a 0 in nostro favore! Il guanto è stato lanciato, si è svolto il primo duello e abbiamo vinto!
Dzhokhar ha tenuto un appassionato discorso sulla piazza davanti alla gente, come sempre è stato accolto con un applauso assordante e con le grida di “Allahu Akbar!”. Centinaia di migliaia di teste, come girasoli al sole, si voltarono verso di lui, i loro occhi lampeggiarono di fede e speranza. D’ora in poi egli fu la loro bandiera della libertà. Nel suo cuore il popolo ceceno era sempre l’unico e il più grande amore, nato in preda alla compassione e all’umiliazione, in esilio in Kazakhistan. Infinitamente tormentato dall’amore per il suo popolo, soffriva come un uccello che si era allontanato dallo stormo nella lontana Siberia, e ora era infiammato di orgoglio indomabile per tutti i ceceni, che si erano schierati unanimi come uno solo per difendere la libertà!
La prima prova politica per Dudaev fu il tentativo attuato dall’opposizione anti – dudaevita di prendere il potere, messo in atto nella notte tra il 30 ed il 31 Marzo, alla vigilia della firma del nuovo Trattato Federativo tra i soggetti federali e il governo centrale di Mosca. I dudaeviti, con il supporto del Parlamento (allora fedele alla linea presidenziale) riuscirono a sgominare i ribelli ed a riprendere il controllo di Grozny, costringendo i leader della fronda alla fuga dalla Capitale.
“Una colonna di autobus con i “golpisti” arrivò dalla regione di Nadterechny e cercò di impadronirsi della sede della Televisione. Mosca, che aveva messo a punto questo tentativo, aveva già trasmesso la falsa notizia sulla prese del potere a Grozny da parte della “opposizione” e della prossima firma da parte di Doku Zavgaev del Trattato Federativo a nome della Repubblica Cecena.
Le guardia hanno rapidamente liberato l’edificio della Radio, i deputati del parlamento Isa Arsemikov, Y. Khantiev, Y. Soslambekov sono andati in televisione con una delegazione. Anche gli anziati che eseguivano lo zhikr si recarono lì. Risuonarono degli spari, cadde per primo un anziano, insanguinato, poi due giovani La gente indignata spazzò via gli “aspiranti golpisti” che erano apparsi in televisione, alcuni saltarono dalle finestre, altri corsero al fiume, gettando via le armi.
In una manifestazione di molte migliaia l’1 e il 2 Aprile in Piazza Svoboda, il popolo inviò un appello al Presidente e al Parlamento, chiedendo un’indagine sui crimini commessi contro il popolo ceceno dalle forze reazionaria, agenti dell’Impero russo e l’adozione di misure di emergenza per frenare il crimine dilagante. “Chiediamo la certificazione di tutti i funzionari, dove la nomina o e elezioni sono state preventivamente concordate con gli organi del partito, soprattutto negli organi giudiziari e investigativi”. L’appello esprimeva sostegno al Presidente e al Parlamento. E Manana [la moglie di Gamsakhurdia, ndr.], guardandomi con tristezza, ha detto che in Georgia “E’ iniziato allo stesso modo”.
Dzhokhar Dudaev vota alle elezioni popolari del 27 Ottobre 1991, dalle quali uscì eletto primo Presidente della Repubblica Cecena indipendente.
LE VISIONI DEL PRESIDENTE
Uno degli aspetti più interessanti del libro di Alla Dudaeva è l’umanizzazione del Presidente Dudaev. In quanto sua moglie, Alla condivise certamente con il leader della Rivoluzione Cecena sogni e speranze, che trasudano copiosamente dalle pagine del suo “Million First”. In questo paragrafo ella parla delle visioni di suo marito per una Cecenia libera, forte e proiettata nel futuro, sotto l’insegna della cooperazione e della modernità:
“[Dudaev, ndr.] sognava di costruire una nuova capitale ecologica della Repubblica Cecena, lontana dalle raffinerie di petrolio. Era stata trovata una bellissima zona pianeggiante vicino alle montagne, era stata controllata dai sismologi. Gli architetti hanno preparato un progetto per il futuro centro amministrativo e politico e anche Dzhokhar ha preso parte alla sua preparazione. La città sarebbe stata divisa in nove settori, che si sarebbero irradiati in tutte le direzioni come i raggi delle strade da una piazza rotonda, al centro della quale si ergeva un’alta torre rotonda con un orologio in cima ed un globo rotante. Il tempo dell’orologio avrebbe dovuto contare le ore, i minuti ed i secondi all’indietro, fino agli antenati dimenticati, cancellando tutti gli orrori della deportazione, quattrocento anni di guerra con la Russia. Avrebbe dovuto avvicinare i ceceni alla linea storica – il tempo in cui vivevano in pace ed armonia con il mondo intero. […] Ogni settore doveva essere costruito da un paese con il quale sarebbe stato concluso un accordo…si è ipotizzato che in uno stile nazionale proprio i paesi avrebbero costruito hotel, ristoranti, edifici pubblici e negozi. Inoltre, il contratto di costruzione sarebbe stato firmato con tre aziende leader mondiali. Questa meravigliosa città sarebbe diventata la capitale della Cecenia, una città di tutte le nazionalità, veramente, non una città utopica del Sole e della Pace! E’ possibile…
Dzhokhar ha anche prestato particolare attenzione alla creazione dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Cecena, lavorando con enorme sforzo a questo progetto insieme a Ramzan Goytemirov (l’ex leader del Partito dei Verdi, uno dei primi a rispondere all’appello di Eltsin durante il Comitato d’Emergenza) e Isa Arsamikov.
Venne aperto un collegio militare. Dzhokhar prestò molta attenzione ai convitti ed alle scuole professionali. Vennero ristrutturati i vecchi ospedali, furono costruiti poliambulatori pediatrici, un grande edificio fu destinato ad un centro odontoiatrico.
Davanti al nuovo Gabinetto dei Ministri, Dzhokhar stabilì il compito di adottare un bilancio senza deficit, creando un sistema di tassazione e bilancio totalmente nuovo. Dzhokhar stava per trasferira l’industria della raffinazione del petrolio ad una nuova tecnologia. Grazie ai suoi sforzi è nato un progetto per lo sviluppo della produzione petrolifera in Sudan dei nostri specialisti, ma purtroppo è rimasto incompiuto. E’ stata sviluppata una nuova metodologia di insegnamento nelle scuole secondarie. La storia del popolo ceceno doveva essere riscritta di nuovo, secondo la verità storica. La scrittura cirillica non corrispondeva ad alcuni dei suoni gutturali della lingua cecena. Dopo un lungo dibattito scientifico, si è deciso di tradurre la lingua in latino. Il nuovo manuale di alfabeto latino fu preparato da Zulay Khamidova, consigliere del Presidente. Questo manuale non era solo un bel libro.
E’ stato aperto un liceo presidenziale per i ragazzi particolarmente dotati dall’età di sette anni. Una bella divisa grigia, aiguillettes dorate che cadevano dalle spalle, un passo di marcia rendeva irresistibili i piccoli studenti del liceo. Sembravano particolarmente belli in parata. Si è tenuto un concorso di selezione. I genitori hanno sbattuto le porte, chiedendo di far accettare i loro figli, ma il liceo non poteva semplicemente accogliere tutti quelli che lo volevano.
Grandi riparazioni furono fatte all’Hotel Kavkaz, situato in Viale Avtorkhanov, di fronte al Palazzo Presidenziale, dove di solito soggiornavano i nostri ospiti e giornalisti. Un complesso commemorativo per le vittime del genocidio del 1944 fu costruito in Via Pervomayskaya. Questo complesso fu concepito da Dzhokhar in Siberia, quando gli hanno raccontato di come le autorità sovietiche avessero costruito le pareti delle stalle e dei porcili, o avessero pavimentato le strade con le lapidi cecene. Le pietre bianche scolpite, decorate con fantasiose scritte arabe, sono le uniche cose che ai ceceni sono rimaste dei loro antenati. Quasi tutte le torri ancestrali erano state fatte saltare in aria durante il genocidio i cavalli purosangue erano stati sterminati, le armi artigianali, le brocche di rame erano state saccheggiate.
Se Troshev fu protagonista della Prima Guerra Cecena, lo fu ancora di più durante la Seconda. Comandante delle forze federali durante la controffensiva per respingere l’incursione di Basayev e Khattab in Daghestan, fu tra i principali comandanti delle forze impiegate nella seconda invasione della Cecenia. I passi che seguono raccontano della seconda presa di Grozny, delle principali battaglie combattute dall’esercito contro i militanti e dell’atteggiamento della resistenza cecena durante la fase della guerriglia partigiana che seguì.
LA SECONDA PRESA DI GROZNY
“Il territorio della città era diviso in tre linee difensive. La prima era organizzata lungo l’autostrada del distretto di Staropromislovsky, la seconda lungo Lenin Street (principalmente negli scantinati degli edifici a più piani); la terza lungo Saykhanov Street, a sud ovest della stazione ferroviaria. Gli edifici, posti in posizioni tatticamente vantaggiose, furono trasformati in contrafforti per una difesa circolare. Al fine di ridurre la probabilità di sconfitta dei distaccamenti militanti da parte del fuoco dell’artiglieria e degli attacchi aerei delle truppe federali, i punti di forza erano collegati da passaggi sotterranei. Usandoli, i militanti avevano la possibilità di uscire di nascosto dai bombardamenti, lasciare le loro posizioni e poi tornare dopo la fine dell’attacco di artiglieria o aereo.
La principale unità tattica dei banditi durante le battaglie urbane, come in passato, era un gruppo manovrabile di 5 – 6 persone. Esso includeva sempre un cecchino. Gli altri lo coprivano, mentre sparava con lanciagranate e mitragliatrici. Per garantire libertà di manovra del cecchino nei grattaceli i passaggi erano situati, di regola, su piani sfalzati.
Eppure, secondo me, i capi dei militanti stavolta difficilmente immaginavano di poter tenere a lungo la città. Rendendosi conto dell’inutilità di uno scontro armato a lungo termine con le truppe federali, Maskhadov ha dato ai comandanti di campo il compito di mantenere la città sotto il loro controllo fino al 27 Gennaio, giorno di apertura dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE), sperando che le pressioni dell’occidente avrebbero costretto Mosca a smettere di condurre l’operazione antiterrorismo.”
Una pagina del New York Times mostra un confronto tra la zona di Piazza Minutka prima dell’inizio della battaglia e dopo la conquista della citta. Sono evidenti le diffuse devastazioni, che hanno prodotto il crollo della maggior parte degli edifici.
Come si evince dalla ricostruzione di Troshev, il comando separatista aveva intenzione non già di difendere Grozny fino all’ultimo uomo, quanto di sfruttare la congiuntura dell’appuntamento diplomatico del PACE per interrompere i combattimenti da una posizione di equilibrio, mentre cioè le due forze in campo si confrontavano sul centro di gravità del conflitto (la capitale, appunto). Maskhadov era evidentemente cosciente che il “miracolo” compiuto dai separatisti durante la Prima Guerra non si sarebbe verificato una seconda volta: questo a causa di molteplici fattori, che il lettore potrà approfondire nel libro “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, acquistabile QUI”.
CACCIA AI LUPI
Dopo la presa di Grozny, nel Gennaio del 2000, le forze federali si posero il problema di come neutralizzare la massa critica dei difensori della città, ancora asserragliata nei sobborghi meridionali, senza dover ricorrere alla distruzione sistematica dei quartieri residenziali. Certamente tra il 30 Gennaio ed il 1 Febbraio 2000 la maggior parte dei difensori tentò una sortita dalla capitale, finendo quasi annientata dall’artiglieria e dai campi minati. A posteriori i federali rivendicarono la paternità della vittoria, raccontando di aver pianificato e portato a termine una gigantesca imboscata dal nome in codice “Caccia ai lupi”. I separatisti negano che l’azione sia stata organizzata, adducendo il disastro al loro mancato coordinamento ed alla fortuita presenza di alcune grandi unità federali sul loro percorso. In questa sede riportiamo la versione fatta circolare dai comandi federali:
“Per attirare i militanti fuori dalla città assediata è stato sviluppato un piano originale presso la sede dell’UGV. Lo abbiamo chiamato “Il pozzo dei lupi”. Nell’ambito di questo piano è stata lanciata una campagna di disinformazione: con l’aiuto di un falso scambio radio, i banditi si sono convinti che ci fossero delle lacune nell’anello di accerchiamento, attraverso le quali avrebbero potuto passare. Alla congiuntura tra i reggimenti l’attività di combattimento è stata ridotta al minimo. Anche i servizi segreti sotto copertura hanno iniziato a lavorare, “spingendo” i comandanti sul campo ad uscire dall’anello. Parallelamente a queste misure in più direzioni, stavamo preparando una sorta di “corridoio” per il nemico.
I banditi abboccarono. Nella notte tra il 29 e il 30 Gennaio i resti dei distaccamenti pronti al combattimento hanno cercato di scondare a Staraya Sunzha, alla congiuntura tra il 15° ed il 276° reggimento fucilieri motorizzati. Oltre 600 militanti si sono precipitati sulla breccia. Lasciarono che animali e prigionieri li precedessero. Molti banditi morirono nei campi minati, molti furono gravemente feriti, compresi noti comandanti di campo. Basayev fu uno di loro… Quella notte i militanti hanno patito circa 300 perdite solo tra i morti. La maggior parte dei sopravvissuti si è arresa. Solo pochi riuscirono a fuggire dalla città.”
Sopravvissuti alla sortita del 29 Gennaio si ritirano verso Alkhan – Kala, Febbraio 2000
Distrutta la guarnigione a difesa di Grozny, i federali iniziarono a martellare le posizioni precedentemente consolidate dai separatisti nelle loro roccaforti di montagna. L’esercito russo tentò di raggrupparli tutti nella Gola dell’Argun, posizione ottimamente difendibile ma difficile da evacuare se accerchiata. Mentre le unità di terra avanzavano chiudendo la gola da nord, est ed ovest, i paracadutisti occuparono la strada Itum – Khale / Shatili, principale canale di rifornimento della resistenza ed unica via di fuga praticabile dai veicoli. A questo punto il grosso dell’esercito separatista si trovò ammassato in una stretta lingua di terra, dalla quale avrebbe potuto uscire soltanto abbandonando tutto il suo materiale pesante ed affrontando lunghe marce sotto il costante tiro dell’aereonautica. Vistisi braccati, gli uomini di Maskhadov si divisero in tre gruppi di manovra e tentarono una sortita in più direzioni: quello di Maskhadov, più piccolo e maneggevole, si defilò in modo da mettere in salvo il Quartier Generale, mentre gli altri due, al comando di Ruslan Gelayev e Ibn Al Khattab, tentarono di sfondare rispettivamente ad Ovest, verso Komsomolskoye (odierna Saadi – Khotar) e ad est, verso Vedeno. La sortita di Khattab ebbe successo: il contingente di circa 1500 uomini al suo seguito riuscì a superare le posizioni russe su di una collina boscosa, la cosiddetta “Altezza 776”. La battaglia fu feroce, e le perdite da entrambe le parti molto alte, ma Khattab ed i suoi riuscirono a “filtrare” oltre le unità federali e a disperdersi nei distretti di Vedeno e Nozhai – Yurt, dove li aspettava Shirvani Basayev con un contingente di circa 800 militanti ed una rete ben organizzata di basi dove ricostituire i ranghi.
Truppe federali entrano ad Argun
KOMSOMOLSKOYE
La sortita di Gelayev, invece, non riuscì: dopo una lunga ed estenuante marcia tra i torrenti ed i sentieri di montagna, il suo reparto riuscì effettivamente a superare le posizioni dei federali, ma all’altezza di Komsomolskoye (villaggio natale dello stesso Gelayev) si trovò inchiodato dal tiro dei reparti di Mosca prontamente affluiti a bloccare lo sversamento dei separatisti.
“Su cosa contava Gelayev? Come si è scoperto, il suo obiettivo finale era quello di unire diversi gruppi di banditi a Komsomolskoye e conquistare il centro regionale di Urus – Martan. Credeva che sarebbe stato in grado di scuotere tutti i ceceni che simpatizzavano con lui contro le forze federali e poi dettare le sue condizioni al comando del Gruppo Unito. Tutto questo, comunque, divenne noto successivamente. Nel frattempo, subito dopo aver ricevuto informazioni sulla sortita e la cattura del villaggio, è stato dato l’ordine di bloccare Komsomolskoye da parte delle forze del Ministero della Difesa e delle truppe interne. Già il 5 Marzo, cioè il giorno successivo, il villaggio era sotto assedio.
[…] Il 7 Marzo è iniziata l’operazione. Fu subito chiaro che la maggior parte degli abitanti di Komsomolskoye aveva lasciato il villaggio. E che solo quelli che si erano uniti a Gelayev vi erano rimasti. […] Era chiaro che Gelayev e la sua banda, intrappolati in un doppio anello di blocco, non intendevano deporre le armi.
[…] I combattimenti a Komsomolskoye sono, forse, paragonabili per ferocia solo alle battaglie per Grozny[ […]. Il villaggio si è rivelato essere ben fortificato dal punto di vista ingegneristico Molte erano le fortificazioni attrezzate secondo tutte le regole della scienza militare. Le cantine erano state trasformate in fortini e potevano resistere al colpo diretto di un carro armato. Inoltre la maggior parte degli scantinati era collegata da trincee di comunicazione bloccate da porte d’acciaio. In effetti, quasi ogni casa fu trasformata in una fortezza, progettata per un lungo assedio. La battaglia fu combattuta in ogni edificio.
Dopo un paio di giorni, è diventato ovvio che non ci sarebbe stata una vittoria rapida. Più intensificavamo i nostri sforzi, più feroce diventava la resistenza. I banditi hanno subito enormi perdite, ma i sopravvissuti hanno combattuto con la disperazione dei condannati. Ed erano condannati. I ripetuti tentativi dei banditi di sfondare l’anello di blocco sono stati repressi da noi in modo deciso e duro. […] I militanti subirono perdite significative, ebbero molti feriti, tuttavia, sotto il pericolo della prigionia, continuarono e resistere ostinatamente, al punto che anche i feriti rimasero in posizione.
I banditi resistevano principalmente grazie alla droga. Le siringhe erano sparse in tutte le case, in ogni seminterrato, intervallate da cartucce esaurite. In preda alla frenesia della droga, i banditi non conoscevano né paura né dolore. Ci sono stati momenti in cui, stupefatti dalla dose, sono corsi fuori dal nascondiglio, sono andati di corsa all’attacco ed hanno sparato indiscriminatamente fino a quando non si sono presi un proiettile in fronte.
Bombardamenti sul villaggio di Komsomolskoye (Marzo 2000)
[…] Nonostante tutto il 14 Marzo, cioè una settimana dopo l’inizio, si è conclusa la parte militare dell’operazione. Tutti i tentativi dei Gelayeviti di sortire da Komsomolskoye nelle direzioni sud – est e sud – ovest furono repressi dalle azioni delle forze federali. […] Il controllo dei distaccamenti militanti è stato completamente interrotto, sono rimasti solo piccoli gruppi sparsi, che sono stati distrutti dal fuoco dei carri armati, dei lanciafiamme e delle armi leggere. E il giorno successivo unità del Ministero della Difesa, truppe interne e del Ministero degli Affari Interni e del Ministero della Giustizia hanno iniziato una completa “Pulizia” del villaggio. Era necessario letteralmente sradicare i resti dei gruppi delle bande da scantinati e rifugi.
[…] Nella notte tra il 19 e il 20 Marzo i resti dei gruppi di banditi fecero un disperato tentativo di sfondare in direzione nord. Camminarono lungo il letto del torrente, gonfi di droga, chiaramente visibili alla luce della luna. Era la marcia dei condannati. Ovviamente non andarono molto lontano. Rimasero intrappolati nel fuoco incrociato delle nostre unità.
[…] Il giorno dopo il fallimento dell’azione, i militanti disperati hanno iniziato a gettare le armi. Sono state contate 88 persone in totale. Sporchi, laceri, quasi tutti indossavano abiti civili mimetici. Alcuni avevano passaporti sovietici. […]. Sfortunatamente Gelayev è riuscito a fuggire da Komsomolskoye. Ha tradito tutti: la sua gente, trascinandola qui a morte certa, e i suoi connazionali (a seguito di un’avventura di banditi, il villaggio è stato quasi completamente distrutto). Non è difficile immaginare quali sentimenti hanno provato gli abitanti del posto quando sono tornati ai ruderi.
[…] L’operazione speciale a Komsomolskoye, che si concluse con una completa sconfitta dei banditi, divenne, infatti, l’ultima grande battaglia della Seconda Guerra Cecena, coronando degnamente la fase militare attiva dell’operazione antiterroristica.”
GUERRA PARTIGIANA
Dopo le battaglie dell’Altezza 776 e di Komsomolskoye i resti dell’esercito separatista si divisero in piccole bande, avviando una logorante guerriglia partigiana, la quale si sarebbe trascinata con intensità decrescente per molti anni (una piccola unità di guerriglieri, ormai appartenenti allo Stato Islamico, è stata distrutta giusto nel Febbraio del 2021). Troshev ne descrive i tratti principali in questo passo:
“I distaccamenti militanti non sono riusciti a sfondare nella pianura. Si trovavano ancora nei distretti di Nozhai – Yurt, di Vedeno e di Shatoi. Ma, nonostante la sconfitta delle principali forze separatiste nelle zone montuose, la dirigenza delle formazioni armate illegali ha tentato di ripristinare un sistema di controllo unificato per i distaccamenti separati. I gruppi di combattimento di Shamile Basayev e di Khattab rimasero i più pronti alla battaglia, nascondendosi in basi precedentemente preparate, in depositi e in caverne.
L’elusione dei posti di blocco è diventata più frequente. A causa dell’incoerenza e della mancanza delle competenze necessarie, finimmo in un’imboscata e subimmo la perdita di un distaccamento (40 persone) dell’Omon di Perm. La colonna marciava senza ricognizione del percorso e organizzazione dell’interazione con le suddivisioni delle truppe interne e dell’artiglieria. L’operazione fu condotta attraverso canali di comunicazione aperti. Queste omissioni portarono al disastro. E tali esempi, sfortunatamente, non sono stati isolati. All’inizio dell’estate del 2000, dopo la sconfitta della banda di Gelayev a Komsomolskoye, le truppe federali non furono più impegnate in ostilità su larga scala. Gli estremisti iniziarono ad usare metodi di guerriglia: bombardamenti “da dietro l’angolo”, sabotaggi, esplosioni, imboscate […].
Cratere lasciato dall’esplosione di un ordigno a ridosso della base federale di Argun, Luglio 2000
FINANZIAMENTO E SUPPORTO INTERNAZIONALE DURANTE LA SECONDA GUERRA CECENA
Così come durante la Prima Guerra, anche nella Seconda il fronte separatista godette dell’appoggio politico ed economico della diaspora cecena all’estero, assommandovi i non scarsi finanziamenti in arrivo dalle associazioni islamiche radicali di tutto il mondo (interessate più al fronte jihadista in seno alla resistenza, che al nazionalismo ceceno in sé). Troshev descrive citando le sue fonti il fronte di supporto internazionale ai militanti, concentrandosi sull’ala islamista radicale, finanziatrice per lo più delle bande di Khattab e dei suoi successori. Le cifre citate non sono verificate da alcuna fonte da noi reperibile.
“I separatisti che si oppongono alle autorità federali della Russia sul territorio della Repubblica Cecena […] non hanno mai sperimentato una carenza di mercenari, armi e denaro. Come hanno ricevuto e continuano a ricevere assistenza materiale e finanziaria? Fino a poco tempo fa, tale assistenza era fornita da alcune organizzazioni musulmane (situate principalmente negli Stati Uniti), organizzazioni umanitarie non governative dei paesi arabi del Medio Oriente, servizi speciali di alcuni stati e, naturalmente, la diaspora cecena – sia estera che russa. Ad esempio, molte organizzazioni musulmane sono state create ed operano negli Stati Uniti. La fazione più potente tra loro è il cosiddetto “Supreme Islamic Council of America”. Sotto il suo cappello vi sono organizzazioni militanti radicali come il Circolo Islamico del Nord America, la Comunità Islamica del Nord America e molte altre. Unisce quindici milioni di musulmani che vivono negli Stati Uniti. Secondo le informazioni disponibili, è stata questa organizzazione il canale principale per il trasferimento delle finanze dagli Stati Uniti alla Cecenia, ed ha organizzato regolarmente discorsi filo – ceceni nei media. Una volta, il Consiglio Supremo Islamico d’America ha preso la decisione senza precedenti di fornire assistenza finanziaria alla Cecenia. Ogni musulmano americano fu obbligato a consegnare almeno 100 dollari alla “cassa nera” dei militanti. Così, i leader combattenti ceceni ricevettero almeno 150 milioni di dollari.
Un altro ente di beneficienza non governativo, l’American Muslim Aid (AMA) è stato registrato presso il Dipartimento di Stato Americano. Il suo compito principale è “fornire assistenza ai fratelli musulmani di tutto il mondo”. L’AMA ha fornito assistenza alle comunità islamiche del Caucaso settentrionale, ha condotto un’attiva campagna per screditare le azioni delle autorità russe in Cecenia. All’inizio del 2000, i rappresentanti dell’AMA, su invito di A. Maskhadov, hanno visitato la Cecenia. La Islamic Charitable Foundation, che ha sede anche negli Stati Uniti, ha organizzato regolarmente discorsi sui media a sostegno dei separatisti in Cecenia ed ha condotto un’ampia campagna di propaganda nelle scienze politiche e nei centri di ricerca negli Stati Uniti, ed ha chiesto audizioni al Congresso. Allo stesso tempo , ha coinvolto attivamente il personale dell’amministrazione degli Stati Uniti come consulenti ed esperti.
[…] Le forze dell’ordine russe hanno registrato più di 130 grandi fondazioni, società ed organizzazioni non governative che supportano direttamente o indirettamente i terroristi ceceni provenienti da paesi lontani e della CSI, oltre ad un centinaio di azienda e una dozzina di gruppi bancari.
AKHMAT KADYROV
Una volta distrutti i principali distaccamenti separatisti, il governo federale installò un’autorità locale che si occupasse di consolidare il controllo sul territorio, fornire assistenza alla popolazione civile e reintegrare gradualmente i militanti più indecisi. Il governo ceceno filo – russo doveva guadagnare alla sua causa quanti più ceceni possibile, ragion per cui il Presidente Putin decise di avvalersi del supporto di una delle principali figure religiose del paese, nel frattempo passato dalla causa separatista a quella unionista: il Muftì della Cecenia, Akhmat Kadyrov. La sua figura, politicamente controversa ma anche molto popolare, oggi è mitizzata dal governo in carica (guidato dal figlio di Akhmat Kadyrov, Ramzan) che gli ha dedicato strade, scuole, moschee e addirittura un reggimento di polizia antiterrorismo d’élite. Troshev ne parla approfonditamente nelle sue memorie:
“La gente gli credeva quasi incondizionatamente. […] Ricordo il nostro primo incontro vicino a Gudermes, quando le truppe del mio gruppo orientale circondarono la città. Durante le trattative si comportò con moderazione. Ci chiese di fare tutto il possibile per non distruggere Gudermes. Promise di aiutare a scacciare i banditi. Le sue parola non si discostavano dalle sue azioni. Akhmat – Khadzhi non mi ha mai ingannato, non mi ha permesso di dubitare delle sue intenzioni. E le intenzioni erano queste: fare tutto il possibile perché la pace e l’ordine regnassero nella repubblica, anche con l’aiuto del governo federale.
Ho parlato con Kadyrov per ore. Ci siamo incontrati spesso. Mi piaceva la sua sincerità, la sua onestà. Non a nascosto il fatto di aver combattuto nella prima guerra contro i “federali”, non ha nascosto il suo precedente idealismo, non ha cercato di nascondere informazioni a lui sfavorevoli. Ho visto che Kadyrov stava lottando per la verità (nel senso ampio del termine). Ho visto che c’era un’enorme massa di persone dietro di lui: ceceni di diversi strati della società. Ho visto che era un vero leader, sia spirituale che politico. Ho visto che era nostro alleato.”
Gennady Troshev (a destra) con Akhmat Kadyrov (a sinistra). Dietro di loro il figlio di Akhmat, Ramzan, oggi Presidente della Repubblica Cecena.
IL REFERENDUM DEL 2003
Uno dei punti di svolta nella cosiddetta “cecenizzazione” del secondo conflitto russo – ceceno fu il referendum costituzionale del 2003, con il quale la popolazione approvò una nuova Carta Fondamentale, nella quale la Cecenia tornava ad essere un soggetto federale. Troshev salutò l’evento come l’inizio di una nuova era nella storia delle relazioni russo – cecene, o quantomeno la fine politica dell’esperienza separatista.
“Per la prima volta nella loro storia, gli stessi ceceni determinarono volontariamente il loro destino. Nessuno aveva chiesto loro niente del genere, prima. Ne’ venti né trent’anni fa, quando il partito pubblicava circolari e concetti come “l’ingresso volontario” né centocinquant’anni fa, quando il Caucaso fu sottomesso, né all’inizio degli anni ’90, quando Dudaev proclamò “l’Ichkeria indipendente”. I risultati del referendum hanno sbalordito molti. Molti, ma non gli stessi ceceni. Gli abitanti della repubblica fecero la loro scelta a favore della pace, non della guerra.
[…] Nel libro “La mia guerra”, in uno dei capitoli dal titolo “Alleati inaspettati”, ho parlato di come le truppe del gruppo orientale hanno liberato Gudermes, Argun, Shali dai banditi…ceceni. Ricordo ancora con gratitudine i fratelli Yamadayev, Dzhabrail e Khalid, Supyab Taramov e altri. Sono stati tra i prmi a distruggere i banditi spalla a spalla con “federali”.
L’AMBIGUITA’ DELLA GEORGIA
L’unico confine internazionale della Cecenia è quello meridionale. Lungo quel confine dalla Cecenia si passa in Georgia, una repubblica che fin dai primi anni ’90 si è confrontata con la Russia, tentando di tenere il Cremlino lontano dai suoi affari, mentre Mosca tentava di tutelare le minoranze filo – russe in Abkhazia e Ossezia del Sud. Il passaggio dalla Cecenia alla Georgia è difficilmente praticabile, e soltanto tra il 1997 ed il 1999 il governo separatista tentò di aprire una strada carrabile che dalla cittadina montana di Itum – Khale giungesse al piccolo villaggio georgiano di Shatili, aprendosi così una “via d’uscita dall’assedio”. Durante i due conflitti russo – ceceni la Georgia funse sia da via di comunicazione per uomini, merci e risorse finanziarie, sia da base di retroguardia per i reparti separatisti in fuga, o desiderosi di ricomporre i ranghi prima di tornare in battaglia. Troshev parla diffusamente dell’ambiguo atteggiamento tenuto dal governo di Tbilisi nei confronti dei separatisti ceceni, e delle basi su territorio georgiano nelle quali i militanti poterono ricostituire le loro forze durante la Seconda Guerra. In particolare Troshev parla della Gola di Pankisi, una stretta valle abitata da una popolazione di etnia Vaynakh, molto vicina geograficamente e culturalmente alla Cecenia. In questa valle si raccolsero a più riprese centinaia di miliziani, tanto che per un certo periodo di tempo la valle fu considerata una sorta di “terra franca” del terrorismo internazionale.
“Nel Settembre 2002 il Presidente russo V.V. Putin ha presentato serie accuse contro la leadership georgiana. Ha rimproverato le autorità del paese vicino per connivenza con le bande di terroristi internazionali ed ha avvertito Eduard Shevardnadze e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che la Federazione Russa si sarebbe riservata il diritto di autodifesa in caso di minaccia alla sua sicurezza da banditi ceceni e stranieri dislocati su territorio georgiano, a Pankisi…
[…] Ci sono prove documentali che un certo numero di comandanti di campo ceceno hanno utilizzato la gola di Pankisi come base per la convalescenza, la ricreazione e la riorganizzazione dei militanti, nonché per il trasferimento di armi e munizioni in Cecenia. Ad esempio, è stato recentemente pubblicato l’appello di Shamil Basayev ai membri delle formazioni armate illegali cecene situate in Georgia, il quale contiene istruzioni per condurre attività sovversive contro la Russia, compiti per addestrare militanti e fornire loro armi.
La gola di Pankisi. Oltre quell’alta catena di montagne c’è la Cecenia
[…] Nei primi mesi dopo l’attacco al Daghestan, la collaborazione dei leader georgiani con i comandanti di campo è stata appena nascosta. A Tbilisi iniziarono ad essere pubblicati tre giornali, finanziati in tutto o in parte con il denaro dei militanti, apparve un centro di informazione ceceno e, soprattutto, fu creato il cosiddetto “ufficio di rappresentanza” dei separatisti ceceni, che un tempo contava fino a un centinaio di dipendenti, cioè incomparabilmente più grande dell’ambasciata russa. Nonostante le proteste di Mosca, le strutture ufficiali della Georgia, per non parlare dei media privati, l’anno definita niente di più che un “ufficio di rappresentanza della Cecenia” o “un ufficio di rappresentanza della Repubblica di Ichkeria”. Lo stesso rappresentante, Khizir Aldamov, è diventato una vera star dello schermo televisivo, ha ottenuto il favore della leadership georgiana ed ha incontrato direttamente ministri e capi dipartimento.
Uno degli argomenti sostenuti con maggior vigore dal governo russo per giustificare la seconda invasione della Repubblica Cecena di Ichkeria era quello relativo al caos imperante negli anni successivi alla fine della Prima Guerra. Gennady Troshev nelle sue memorie circostanzia, citando le sue fonti, il contesto di illegalità diffusa e di connivenza di alcune autorità statali in crimini odiosi come la presa di ostaggi a scopo di riscatto, il traffico di droga ed il furto di petrolio. In questo paragrafo del suo racconto si parla del cosiddetto “Mercato degli schiavi”:
“Gli attacchi armati di banditi alle nostre truppe, anche fuori dalla repubblica, sono diventati regolari. Ma se già questo era un problema, il rapimento e la tratta di persone hanno assunto proporzioni senza precedenti. Senza troppe esagerazioni, possiamo dire che questa industria ha assunto proporzioni di primo piano nell’economia della repubblica. In pianura e sulle montagne, la maggior parte delle famiglie cecene aveva i propri schiavi – la propria forza lavoro gratuita.
Alle soglie del terzo millennio, nel pieno centro di Grozny, nell’area della cosiddetta piazza dei “Tre Bogatiri” per diversi anni, fino all’autunno del 1999, ha funzionato a dovere il più grande mercato di schiavi del Caucaso Settentrionale, dove uno schiavo poteva essere acquistato per tutti i gusti ad un prezzo ragionevole. E la contrattazione qui era abbastanza appropriata. Anche i bambini del posto sapevano che il prodotto più redditizio era un “non ceceno”. […] .
In cima alla scala venivano valutati gli stranieri, giornalisti famosi e politici: per loro si potevano ottenere grandi somme, fino a diversi milioni di dollari. Questi prigionieri erano tenuti in condizioni relativamente normali. Questo tuttavia non riguardava il comportamento della banda di Arbi Barayev, dove si torturavano tutti i prigionieri, anche quelli “super redditizi”. I rapitori più semplici preferivano “lavorare” con specialisti civili, E poiché c’era tensione con loro in Cecenia, gli ostaggi dovevano essere catturati nelle repubbliche vicine Inguscezia, Daghestan, Ossezia del Nord, Cabardino – Balcaria. Per questi non erano necessari i dollari, potevi concordare uno scambio di materiali da costruzione, veicoli, cibo… […].
La moneta più scarsa nel mercato degli schiavi era pagata per un soldato russo. A cause di varie circostanze questo prodotto, dopo Khasavyurt, non era protetto né dal governo federale né dal tesoro. E’ vero, alcune regioni a volte hanno cercato di tirare fuori dalla prigionia i loro connazionali. Ad esempio, l’amministrazione del Territorio di Krasnodar ha pagato cinquantamila dollari per i guardiamarina Soltukov e Moskalev, e per il rilascio di Berezhny e Vatutin i residenti di Krasnodar hanno dato 40 tonnellate di farina. Ma questi fatti sono piuttosto l’eccezione alla regola.
Centinaia di ufficiali e soldati russi, per diversi anni, hanno piegato le spalle ai padroni ceceni. Nei distretti di Vedeno e di Itum – Khale coltivavano tè di montagna; piantagioni di papaveri venivano coltivate vicino al villaggio di Alleroy, bestiame veniva pascolato nel distretto di Nozhay – Yurt e molti altri costruirono una strada per Shatili. Venivano tenuti in condizioni terribili: lavori pesanti dall’alba al tramonto, freddo, fame, percosse… non tutti resisterono a queste prove. Come ha osservato uno dei mercanti di schiavi locali: “I catturati rimarranno in prigione per molto tempo…se, naturalmente, rimarranno vivi.” Queste parole sono state confermate dalle statistiche: in dieci mesi, solo un militare che ha preso parte alle ostilità è stato rilasciato dalla prigionia cecena, mentre gli accordi di Khasavyurt prevedevano l’estradizione di tutti i prigionieri.
Giovani coscritti russi sotto minaccia armata di militanti separatisti
A onore del vero le affermazioni di Troshev, e in particolare quelle relative al fenomeno della cattività dei soldati russi prigionieri, non trovano riscontro nelle statistiche. Se ci fu ricorso a manodopera forzata tra i prigionieri di guerra non restituiti alla Russia, questo fu meno massiccio di quanto riferito dal Generale anche se, certamente, il fenomeno del rapimento per riscatto riguardo molte centinaia di persone, se non migliaia.
ANARCHIA E PULIZIA ETNICA NELLA CECENIA DEL DOPOGUERRA
I due tratti distintivi dell’Ichkeria postbellica furono certamente lo stato di diffusa anarchia che regnava nel paese ed il revanscismo anti – russo, a causa del quale decine di migliaia di cittadini di origine slava furono costretti ad abbandonare la città o ad accettare continue vessazioni. Ecco come Troshev descrive la situazione della Cecenia all’indomani della fine della Prima Guerra:
“Tre anni di “indipendenza” hanno portato la repubblica al disastro: le masse popolari sono stati private del diritto ad una vita dignitosa. L’approvvigionamento della popolazione è praticamente cessato, le scuole sono state chiuse, anche se gli insegnanti sono rimasti nei villaggi. Gli insegnanti non ricevettero alcuno stipendio dopo il 1995. Gli ospedali e le cliniche mancavano delle attrezzature e dei medicinali necessari, e in molti casi non c’era nulla per fornire anche il primo soccorso. Le pensioni venivano emesse in maniera estremamente irregolare. Ad esempio, l’ultima volta che i pensionati ricevettero denaro fu nel Luglio – Agosto 1997 per un importo di 300 – 350 rubli. La già difficile situazione della popolazione era aggravata dalla mancanza di elettricità e gas, che in precedenza venivano forniti dal Daghestan e dal Territorio di Stavropol. La maggior parte delle fabbriche erano inattive. E le merci che vi venivano prodotte, ad esempio, nelle zone di pianura, venivano semplicemente “espropriati” dalle autorità di Grozny.
Il bersaglio principale dei separatisti, storditi dalla permissività, erano gli “stranieri”: trecentocinquantamila russi, abbandonando ciò che avevano acquisito per anni, lasciarono la Cecenia. Chi rimase bevve a pieno il calice amaro. Quante volte abbiamo letto e sentito di massacri di “non ceceni”?
Negli ultimi anni i banditi ceceni hanno sequestrato più di centomila appartamenti e case appartenenti a russi, daghestani e persone di altre nazionalità. Quasi cinquantamila tra i loro vicini furono ridotti in schiavitù dai ceceni. E quanti “schiavi” hanno piegato le spalle alla costruzione di una strada di alta montagna attraverso la cresta principale del Caucaso fino alla Georgia, vagavano nelle raffinerie di petrolio artigianali, nelle piantagioni di papavero e canapa.
Anche in questo caso i numeri citati da Troshev fanno fatica a trovare conferma. La misura di centomila appartamenti e di cinquantamila schiavi è certamente simbolica, e non trova conferma nelle statistiche ufficiali. Certamente il “furto di appartamenti” conseguente alla distruzione dell’archivio di stato durante la guerra fu un problema endemico, e la minoranza russa ne patì i principali effetti.
La scritta “Benvenuti all’inferno” campeggia su un muro in rovina nel centro di Grozny
LA DROGA IN ICHKERIA
L’ultima frase del precedente intervento introduce un altro dei gravi problemi che afflissero il paese all’indomani della pace del 1996: il traffico ed il consumo di droga.
“Uno dei motivi per le rapine in Cecenia era e rimane la droga” ha testimoniato il giordano Khalid Al – Hayad, che è stato tra i combattenti ceceni per diversi mesi, nella banda dello stesso Gelayev. In precedenza al pari delle armi, le droghe venivano vendute nel centro di Grozny. Dopo che i russi hanno preso la città, la droga è diventata molto difficile da reperire ed i prezzi sono saliti alle stelle. I militanti, anche sotto il fuoco dell’aviazione federale e dell’artiglieria, erano pronti a portare al mercato sacchi di merci saccheggiate tutto il giorno, in modo che la sera, avendo venduto le loro cose, potessero procurarsi una siringa con una piccola dose e rilassarsi. Non si può dire che tutti i militanti fossero tossicodipendenti, ma ce n’erano abbastanza. Si iniettavano, fumavano cannabis, usavano qualsiasi cosa per ottenere uno sballo.
[…] La distrutta economia cecena, la disoccupazione ed altre questioni di natura sociale e domestica non potevano non influenzare la psiche di molti, anche di pacifici cittadini ceceni. Inoltre, è ben lungi dall’essere un segreto che nella “Ichkeria libera” la produzione di droga fosse essenzialmente un’attività legale. Un tempo gli stessi Basayev e Khattab ottennero un notevole successo in questo campo. Le piantagioni di papavero e canapa appartenevano a loro e si trovavano a Kurchaloy, nei distretti di Gudermes, Nozhai – Yurt e Vedeno. E il fratello di Shamil Basayev, Shirvani, acquistò proprio per questo motivo l’edificio della scuola numero 40 in Turgenev Street, trasformandolo in un impianto di produzione di droga. Esso venne recintato con filo spinato elettrificato. Tuttavia l’attrezzatura qui era tedesca, e professori e fermacologi indiani fungevano da consulenti […] durante il girono, a fabbrica miracolosa “intitolata ai fratelli Basayev” produceva tre chilogrammi di eroina pura. Sul mercato nero, un grammo di questa droga costa duecento dollari. I signori della droga Basayev aprirono quindi i loro “uffici” a San Pietroburgo, Volgograd, Krasnodar, Ufa, Kaluga. E il denaro scorreva verso di loro come un fiume. Le fabbriche “Ichkeria” per la produzione di oppio e la lavorazione dell’eroina erano situate anche nel sanatorio degli ingegneri energetici nel distretto di Vedeno, nel campo dei pionieri “Zorka” vicino a Shali e in altri luoghi.”
Shirvani Basayev, fratello minore di Shamil Basayev. Secondo Troshev, era uno dei signori della droga in Cecenia
Anche in questo caso le affermazioni di Troshev vanno prese con le dovute cautele. Sicuramente il consumo di eroina divenne endemico nella Cecenia del dopoguerra: molti militanti ne abusarono durante il conflitto, dove la terribile sostanza serviva a curare il dolore fisico delle ferite ed a placare lo stress della battaglia. Molti comandanti di campo ne divennero produttori e distributori, e la piaga della tossicodipendenza falcidiò lo stesso esercito separatista durante la Seconda Guerra.
Il 1° Luglio 1989 Doku Zavgaev, già Ministro dell’Agricoltura, fu eletto Primo Segretario del Partito. Fu il primo ceceno dai tempi della deportazione del 1944 a ricoprire una carica di vertice nella RSSA Ceceno – Inguscia, e non era certo un caso che fosse proprio un Ministro dell’Agricoltura: questo dato, forse più di ogni altro, dimostra come il sistema di “apartheid socioeconomica” applicato nel Paese fosse rodato. L’elezione di Zavgaev fu vista dai ceceni come l’opportunità per accorciare la distanza con la minoranza russa, cui fino ad allora erano state riservate le migliori opportunità lavorative e politiche. Il nuovo leader ceceno cercò di ammansire i più esagitati, senza tuttavia cedere al nazionalismo: del resto egli era ben cosciente che la componente russa della repubblica costituiva la stragrande maggioranza della popolazione culturalmente e professionalmente qualificata, e sapeva che se questa fosse di colpo venuta a mancare la Repubblica si sarebbe trovata in pessime acque.
D’altra parte Zavgaev era anche assai desideroso di aumentare e mantenere il suo potere personale, cosicché si mise a puntellare la sua posizione con una profusione di nomine clientelari e familiari, sfruttando poi le alleanze conseguite con questa politica per farsi eleggere Presidente del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio. In questo modo egli assommò su di sé la suprema carica politica e la suprema carica amministrativa della Repubblica: essendo ancora in vigore il sistema del partito unico, ciò significava acquisire un potere quasi illimitato. Questa escalation fu sancita in maniera ancora più netta quando, a seguito degli eventi innescati dal Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (ne abbiamo scritto profusamente QUI) Zavgaev si risolse a deliberare la Dichiarazione di Sovranità, con la quale fu sancita la predominanza delle leggi varate in Cecenia su quelle dell’URSS.
Questa repentina assunzione di potere garantì a Zavgaev una libertà di manovra senza precedenti, ma d’altro canto lo privò dell’appoggio che il regime sovietico poteva fornirgli qualora i nazionalisti radicali avessero preso il controllo della piazza. Ciò fu chiaro nell’Agosto del 1991, quando a seguito del cosiddetto “Putsch di Agosto” i secessionisti al seguito del Generale Dudaev presero il controllo delle istituzioni e lo estromisero dal governo in quella che fu chiamata “Rivoluzione Cecena” (Agosto – Novembre 1991). Zavgaev abbandonò il Paese sotto minaccia di morte, lasciandolo nelle mani di Dudaev.
Doku Zavgaev. Ex Ministro dell’Agricoltura, venne eletto alla guida del PCUS locale nel 1989 . Nel Marzo 1990 fu eletto anche Presidente del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio, assommando su di sè le massime cariche politiche del partito e dello Stato.
I
L GOVERNO RIVOLUZIONARIO
Il composito fronte politico che acquisì il controllo delle istituzioni cecene nel Novembre 1991 era tutt’altro che concorde sull’idea di cosa si dovesse fare per costruire la “nuova Cecenia”. Tra i rivoluzionari c’erano i moderati, per lo più di estrazione intellettuale e borghese, che volevano negoziare con la Russia un nuovo trattato federativo in cambio di laute concessioni economiche e politiche, c’erano i secessionisti laici, sostenitori di una trasformazione del paese in una democrazia parlamentare di stampo occidentale, ed i secessionisti radicali, fautori di un sistema politico fortemente incentrato sulla tradizione islamica del Paese. Anche sotto il profilo economico il rassemblement rivoluzionario era diviso tra i sostenitori della liberalizzazione, rappresentanti dal capo del “gabinetto degli imprenditori” Yaragi Mamodaev ed i fautori del “socialismo islamico”, contrari alla privatizzazione delle terre e disposti ad accettare l’introduzione della proprietà privata soltanto a condizione che la direzione dell’economia rimanesse subordinata all’autorità statale. Questi ultimi erano i seguaci di Zelimkhan Yandarbiev, leader del Partito Democratico Vaynakh (il principale movimento nazionalista radicale) ed intimo confidente del nuovo Presidente della Repubblica, Dzhokhar Dudaev.
Concentriamoci su questi ultimi, giacché fu la fazione dei radicali a vincere la battaglia per il potere. Il Partito Democratico Vaynakh era nato dallo sforzo di alcuni intellettuali (tra i quali lo stesso Yandarbiev) ma si rivolgeva prima di tutto alle masse popolari rurali, e in particolar modo proprio a quelle “eccedenze” delle quali abbiamo parlato nell’articolo precedente. Si trattava di persone che vivevano ai margini del sistema, e per questo se ne sentivano escluse. Il sentimento più forte in loro era il nazionalismo revanscista, tipico delle masse colonizzate desiderose di riappropriarsi del potere politico e invidiose del benessere delle élite al quale non partecipavano. Dal loro punto di vista lo stato ceceno doveva tornare nelle loro mani, così come tutti i mezzi di produzione dell’economia. Lo Stato avrebbe dovuto garantire casa e lavoro ai ceceni, se necessario sacrificando le componenti “estranee” all’etnia Vaynakh, ed avrebbe dovuto salvaguardare le ricchezze del Paese dalla privatizzazione selvaggia che stava aggredendo tutte le repubbliche dell’impero sovietico.
Una volta preso il potere, Dudaev iniziò a dar forma al nuovo stato partendo dalle posizioni dei radicali: a differenza di quanto stava accadendo in Russia, dove la proprietà pubblica stava venendo parcellizzata e privatizzata in maniera veloce e brutale, il governo rivoluzionario si rifiutò di svendere il patrimonio pubblico, opponendo un secco rifiuto alle proposte avanzate da Mamodaev e dal suo “Gabinetto degli imprenditori”. Una particolare rigidità riguardo questo tema fu dimostrata nel caso della privatizzazione delle aziende agricole di stato, detentrici dei più vasti e produttivi appezzamenti di terreno, nonché della maggior parte dei sistemi meccanizzati. Dudaev si oppose dal primo all’ultimo giorno alla vendita delle fattorie collettive, senza tuttavia avere le risorse per mantenerle: come abbiamo visto, infatti, l’agricoltura cecena era fortemente sovvenzionata dal governo sovietico, e gravata da una mole di debiti gigantesca. L’ostinatezza con la quale il governo separatista si mise di traverso a qualsiasi privatizzazione lasciò queste aziende esposte all’insolvenza ed al fallimento nel giro di pochi mesi dalla proclamazione dell’indipendenza. Le proprietà pubbliche, abbandonate a sé stesse, finirono saccheggiate, o furono occupate abusivamente e lavorate come fossero proprietà private.
La situazione, nel complesso, era piuttosto tragica: nel novembre del 1991 il 40% dei ceceni in età da lavoro non possedeva un’occupazione stabile, e le cosiddette “eccedenze rurali” riuscivano a sopravvivere soltanto tramite i lavori stagionali all’estero la cui richiesta, come abbiamo detto, era quasi sparita. Questa massa di “disoccupati militanti” non aveva letteralmente di che sopravvivere, ed alla dichiarazione di indipendenza si dette al saccheggio delle proprietà statali. Non si trattò di un processo organizzato: fu piuttosto un “effetto collaterale”, nel quale l’euforia della ribellione si confuse con una corsa alla “privatizzazione fai da te” dei beni e dei macchinari agricoli delle fattorie collettive. Dalle aziende di stato sparirono animali, prodotti agricoli, trattori, utensili e macchine di ogni tipo, che riapparirono nei campi delle famiglie private. Molte aziende rimasero senza braccianti e senza patrimonio, andando in malora, mentre la mancanza di agronomi qualificati produsse danni enormi alla produzione agricola. Il giornalista Timur Muzaev, uno dei più attenti osservatori della situazione sociopolitica cecena in quegli anni, riportò nel suo periodico “monitoraggio politico” del paese la progressiva spoliazione delle proprietà pubbliche. Giusto per citarne un esempio, nei distretti settentrionali del paese:
“La dissoluzione delle ex strutture economiche ha portato al sequestro del bestiame delle fattorie collettive. […] Le informazioni ricevute su ciò che sta accadendo nel vicino distretto di Naursk possono, a nostro avviso, chiarire il quadro generale: delle 153.000 pecore che erano nelle fattorie statali nel 1990, solo 49.000 sono rimaste entro la fine dell’ultimo inverno [1992 – 1993] il numero di suini è diminuito di 8 volte e quello del bestiame di 3 volte. […] La popolazione […] si è rivelata impreparata a prendersi cura delle mandrie. Il raccolto è stato coltivato su centinaia di ettari nell’estate del 1992, ma i bovini randagi lo hanno quasi completamente distrutto, calpestando riso e mais pronti per la raccolta. Tutto il lavoro investito dalle persone è stato distrutto sul nascere. […] Vi è un rapido saccheggio del parco agricolo delle aziende collettive. Di conseguenza, anche dove arrivano le forniture di benzina, il lavoro sul campo non viene eseguito, perché le attrezzature vengono saccheggiate, ed i sequestratori chiedono un riscatto alle amministrazioni locali per restituirle. Le fattorie collettive “Chervlennaya”, “Kavkaz” e Vinogradny” sono rimaste senza macchine agricole. Secondo alcuni esperti, in Cecenia nel 1992 non è stato seminato grano. […] Le difficoltà economiche sono aggravate dal crimine dilagante da un lato, dal caos istituzionale delle autorità locali dall’altro.”
Per effetto di questo meccanismo di “esproprio proletario”, il sistema agricolo Ceceno si avviò su un “doppio binario” assolutamente peculiare: da una parte c’erano le aziende collettive, formalmente detentrici della maggior parte delle terre, che tuttavia erano improduttive a causa della mancanza di fondi e venivano spogliate di tutte le loro proprietà dai privati cittadini affamati e senza lavoro. Dall’altra c’era la piccola e piccolissima impresa agricola, quasi sempre sommersa, molto spesso dedita ad un’economia familiare di sussistenza e priva delle risorse per mandare avanti un vero e proprio business, che deteneva la stragrande maggioranza della ricchezza reale del settore agricolo pur non avendone i diritti ed il riconoscimento statale. Si trattava, in sostanza, di un meccanismo totalmente abusivo il quale, senza controlli, spogliava il legittimo sistema di produzione pubblico, trasformandolo in un guscio vuoto. Giusto per citare qualche numero, dieci anni dopo gli eventi della Rivoluzione Cecena nel paese erano formalmente attive 722 imprese agricole registrate, detentrici del 75,5% dei terreni agricoli le quali tuttavia amministravano appena il 14% del bestiame presente nella repubblica, mentre le 436 cooperative contadine (anch’esse società di origine socialista) ne contavano appena il 2,40%. L’83,5% del bestiame era distribuito tra la popolazione rurale, che ne faceva per lo più un uso familiare.
Si può dire che la privatizzazione dell’agricoltura cecena fu fatta dai contadini nonostante lo Stato, e non grazie ad esso, e fu fatta per regressione, non cioè affidando la terra ad investitori intenzionati a sfruttarla per profitto, ma lasciando che i contadini se ne appropriassero come se fosse un open field, un “campo aperto” di medievale memoria. Il Ministro dell’Economia di allora, Taymaz Abubakarov ricorda nel suo libro di memorie “Il Regime di Dzokhar Dudaev” che già nel 1992, attraverso il sequestro spontaneo delle terre, circa centomila ettari di campi arabili erano scomparsi dalla disponibilità delle aziende pubbliche, e di come queste fossero oggetto di un vivace mercato fondiario illegale.
Isa Akyadov, futuro Commissario alle Dogane della Repubblica Cecena di Ichkeria, posa sui resti della statua di Lenin, abbattuta dai rivoluzionari nell’autunno del 1991.
GLI EFFETTI ECONOMICI
Gli effetti economici di questo progressivo deterioramento del sistema agricolo furono evidenti fin dal 1992: a metà dell’anno la produzione di carne era diminuita dell’82,5%, quella degli insaccati dell’81,2%, e quella dei prodotti lattiero – caseari del 75,1%. Il meccanismo economico si era di fatto inceppato, e la situazione aggravava ulteriormente la già critica situazione dei prezzi di mercato, che dal gennaio 1992 erano stati lasciati liberi di fluttuare, raggiungendo talvolta incrementi dell’800%. Per cercare di calmierare i prezzi Dudaev aveva introdotto una serie di garanzie statali sull’acquisto dei beni alimentari di base, come il pane: lo Stato avrebbe garantito l’acquisto del pane al costo fisso e simbolico di 1 rublo al chilo, come meglio spiegato nel libro “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” (Acquistabile QUI). Ne riportiamo un breve passo:
Una conseguenza del sentimento socialista di Dudaev era l’interventismo economico a favore delle fasce deboli. Il primo intervento in politica economica di Dudaev fu la creazione di Comitato dei Prezzi che sovrintendesse alla calmierazione delle tariffe. “Il prezzo non può essere spontaneo, dovrebbe essere adeguato alla possibilità della gente” ripeteva. Per questo motivo Dudaev decretò che il pane venisse venduto alla cifra simbolica di 1 rublo al chilo. Lo Stato si sarebbe fatto carico della spesa. Nel giro di 12 mesi il bilancio pubblico non avrebbe potuto più sopportare un simile meccanismo assistenziale, che fra l’altro generava una fortissima speculazione (i ceceni prendevano il pane ad un rublo al chilo ed andavano a rivenderlo all’estero, o al mercato nero, a prezzi maggiorati).
Il tentativo di Dudaev di bloccare la regressione dell’economia cecena verso un sistema di autosostentamento medievale cozzava contro la cronica insolvenza del bilancio statale, il quale poteva fare affidamento su poche, magre entrate, sufficienti a mala pena al pagamento degli stipendi dell’esoso e pervasivo comparto statale di epoca sovietica. Nel giro di pochi mesi i negozi pubblici deputati alla distribuzione di generi alimentari rimasero vuoti, con i prodotti che raramente riuscivano a resistere sugli scaffali per più di qualche ora dall’apertura. La popolazione, in assenza di sicurezza, si dedicò alla coltivazione degli orti ed all’allevamento di piccole quantità di animali da cortile, per avere di che sfamarsi.
Per cercare di frenare l’anarchia del comparto agricolo, che come abbiamo visto stava producendo nefasti effetti sulla produttività e sui prezzi, Dudaev intervenne alla fine del 1992 con una sorta di “esproprio generale” delle proprietà pubbliche e cooperative, e con la loro irregimentazione in un “supeministero” dell’Agricoltura responsabile della gestione delle aziende collettive, degli impianti di produzione di materiali e macchinari, e persino delle banche, per le quali fu istituito l’obbligo di accorpare i flussi di cassa a quello della neonata Banca Nazionale Cecena. Tutti i proventi delle attività pubbliche non necessari al funzionamento delle aziende avrebbero dovuto essere versati sul fondo governativo ivi istituito, dal quale il governo avrebbe poi diretto la distribuzione delle risorse al fine di razionalizzare le spese e riprendere il controllo della produzione nazionale.
Il vantaggio gestionale acquisito da questa radicale presa di posizione, la quale per certi versi superava lo stesso meccanismo socialista reintroducendo una sorta di “economia pianificata di guerra” venne tuttavia presto dilapidato dalla politica dudaevita di supporto alle fasce deboli della popolazione, con l’intestardito ricorso alla calmierazione dei prezzi del pane, il quale divorava una significativa parte del budget repubblicano ed avvantaggiava l’acquisto per speculazione sul mercato nero. In sostanza, il sistema del sovvenzionamento sovietico al settore agricolo fu sostituito da un sovvenzionamento indiretto da parte dello stato secessionista, il quale continuò ad acquistare prodotti agricoli dalle aziende pubbliche a costo di mercato ed a distribuirlo alla popolazione a prezzi di gran lunga inferiori, accumulando ulteriore debito e mantenendo le casse dello Stato in un continuo stato di insolvenza.
Col tempo, data la scarsità di risorse economiche (e in certi momenti addirittura di cartamoneta) il governo iniziò ad utilizzare la stessa produzione agricola come moneta alternativa al pagamento di stipendi e pensioni, ritirando direttamente dalle aziende pubbliche il prodotto agricolo e distribuendolo ai beneficiari come contropartita per il salario che non era in grado di corrispondere. Mentre Dudaev e Abubakarov tentavano di mantenere il controllo della produzione agricola, i direttori delle aziende agricole portavano avanti un vivace mercato sommerso, sfruttando il diritto concesso loro dal governo di vendere parte della produzione per il pagamento degli stipendi prendendosi sovente la libertà di vendere quote ben superiori, intascando i proventi e facendoli sparire. Gli stessi generi alimentari di base, calmierati per legge, venivano regolarmente contrabbandati in Russia sfruttando la scarsa capacità del governo di controllare i confini. Sherip Asuev, corrispondente della ITAR – TASS e autore del libro “Così è stato”(una raccolta di bollettini giornalistici che ripercorre giorno per giorno gli anni 1992 – 1994 scaricabile QUI ) scriveva nel 1992:
Il congelamento artificiale dei prezzi sta già creando molti problemi nella repubblica. Da qui i prodotti da forno vengono trasportati in sacchi e la benzina con le autocisterne. Si presume che il controllo doganale ai confini della repubblica sarà rafforzato.”
E ancora
“La legge sulla responsabilità amministrativa per alcuni tipi di reati presuppone una punizione rigorosa per il tentativo di esportare illegalmente beni di consumo, prodotti industriali, attrezzature e macchinari dalla repubblica. E’ inoltre vietata l’esportazione di tutti i tipi di alimenti. Multe salate, o arresti da uno a tre mesi, minacciano i lavoratori che hanno cercato di nascondere beni e prodotti o di venderli in modi illeciti. A molte persone, a quanto pare, piaceranno queste misure, ma è improbabile che garantiscano abbondanza sugli scaffali. Nel commercio statale ora a Grozny e nelle zone rurali della Repubblica è possibile acquistare solo pane e verdura in scatola. E nei mercati i prezzi aumentano letteralmente di ora in ora. Un pacchetto di sigarette sovietiche costa 20 rubli. Puoi comprare patate, carote, cavoli solo per un pezzo d’oro al chilogrammo. Il Consiglio degli Anziani della Repubblica ha vietato di aumentare il prezzo della carne oltre i 25 rubli. Naturalmente nessuno la venderà ad un prezzo del genere e la carne è praticamente scomparsa dai mercati.[…]”.
Una donna cerca di vendere qualche salsiccia in un mercato di Grozny, praticamente vuoto.
IL SISTEMA COLLASSA
Le misure di contenimento adottate dal governo Dudaev tra il 1992 e il 1993 non produssero risultati tangibili, un po’ per via della crisi economica che attanagliava l’intera zona – rublo, un po’ a causa della scarsa capacità di controllo del governo centrale, nel frattempo finito ostaggio delle bande militari che lo sostenevano. Esasperato, Dudaev giunse nel Dicembre del 1993 a vietare a qualsiasi struttura commerciale ed agli stessi cittadini di cuocere il pane senza una specifica licenza statale, ed a vietare completamente la vendita dei prodotti da forno da parte di qualsiasi impresa o cittadino privato che non fossero autorizzati dal governo. Le pene per la violazione di tale obbligo furono elevate al sequestro di tutte le materie prime e dei mezzi di produzione, e alla condanna penale fino a due anni. In ordine ad evitare una “fuga del pane” a scopi speculativi, venne proibita la vendita dei prodotti da forno a coloro che non fossero cittadini della Repubblica.
Nel frattempo la produzione agricola continuava a calare a ritmi vertiginosi, man mano che le attrezzature si deterioravano o venivano deliberatamente saccheggiate, per essere rivendute fuori dalla Cecenia. Il ricercatore S.A. Lipina, nel suo “Repubblica Cecena: potenziale economico e sviluppo strategico” scriveva nel 1998:
Rispetto al 1991, il parco macchine è diminuito di quattro volte. La fornitura di trattori al settore agricolo è diminuita di 3,3 volte, le mietitrici di cereali 4 volte, i camion 4,2 volte, una situazione simile si registra con le altre macchine agricole. Sfortunatamente non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente. L’attrezzatura tecnica dei lavoratori agricoli è estremamente carente, il lavoro agricolo viene svolto in violazione dei protocolli di qualità, il che a sua volta porta naturalmente a perdite significative durante la raccolta.
L’esiguità delle risorse a disposizione dei lavoratori agricoli impediva un utilizzo costante di fertilizzanti e prodotti fitosanitari, riducendo ulteriormente la già scarsa produttività dei terreni. Così, al netto della crisi economica che attanagliava tutto lo spazio post sovietico, le perdite di produttività del settore agricolo ceceno raggiunsero tra il 1993 e il 1994 numeri spaventosi. Mettendo a confronto lo stato della produzione agricola in Russia tra il 1991 ed il 1994 (rispetto al periodo 1986 – 1990) con il medesimo dato ceceno, notiamo che mentre l’agricoltura russa era ancora in grado di produrre circa il 90% di quanto prodotto nel periodo pre – collasso politico, l’agricoltura cecena riusciva a mala pena a raggiungere la metà del prodotto (53%) in un momento in cui la produzione agricola era pressochè l’unica attività, dopo il petrolio, in grado di tenere in piedi l’economia del paese.
Miliziano separatista trasporta filoni di pane sequestrato
Lo stato di prostrazione economica si acuì ulteriormente nel corso del 1994, quando il fronte antigovernativo passò dall’opposizione politica alla lotta armata, innescando una vera e propria guerra civile. Questa esplose nell’estate del 1994, protraendosi a fasi alterne fino al Dicembre dello stesso anno quando, dopo che l’opposizione armata fu sconfitta sul campo dalle forze lealiste, la Federazione Russa invase il paese dando avvio alla Prima Guerra Cecena.
Convinto di aver archiviato, almeno per il momento, le problematiche interne, il governo ceceno riattivò i contatti con la Russia e programmò una serie di visite internazionali volte ad aprire canali di riconoscimento estero. L’opinione pubblica occidentale aveva simpatizzato per i separatisti durante la guerra, anche se nessun governo aveva mai fatto passi concreti per supportare la Repubblica Cecena di Ichkeria. Le rivendicazioni dei governi dei paesi sviluppati si erano limitate alle violazioni dei diritti umani compiuti dall’esercito federale ed a generiche richieste di interrompere lo stato di guerra. Bill Clinton, allora Presidente degli Stati Uniti, aveva più volte fatto appello ad Eltsin affinché intavolasse negoziati con i separatisti per porre fine ai combattimenti, ma non aveva mai preso seriamente in considerazione la questione politica alla base del conflitto, né aveva mai minacciato sanzioni in cambio del riconoscimento di una Cecenia indipendente. Maskhadov pensò che, ora che la Repubblica Cecena di Ichkeria godeva dell’autogoverno, l’atteggiamento dei governi occidentali avrebbe potuto essere diverso.
Aslan Makhadov posa nell’ufficio presidenziale
A fine luglio Maskhadov si incontrò a Nazran con il nuovo Primo Ministro della Federazione Russa Kirienko. L’incontro non produsse nulla di determinante, ma Kirienko ribadì l’impegno della Russia a partecipare alla ricostruzione del paese. Il primo effetto di questo incontro fu la riapertura di una rotta internazionale dall’aeroporto di Grozny, gestito dalla compagnia privata Ross – Avia. Kirienko promise di trasferire i fondi necessari al completo ripristino dell’aeroporto, pesantemente bombardato durante la guerra. Durante il nuovo round di negoziati Kurin rispose alle critiche rivolte a Mosca dal governo ceceno, secondo le quali i conferimenti promessi sarebbero arrivati in ritardo ed a singhiozzi, impedendone un impiego coerente da parte del governo ceceno. Kurin ripose che non c’era alcun programma credibile di ricostruzione, e che per questo lo stanziamento dei fondi era difficile se non impossibile. Aggiunse anche che la Federazione Russa aveva conferito 800 milioni di rubli al bilancio ceceno tra denaro e rifornimenti di elettricità e gas. 235 milioni di questi erano stati corrisposti in pensioni, 41,3 per il ripristino delle strade. Mosca aveva finanziato la ricostruzione del teatro drammatico e del cementificio di Chiri – Yurt, assegnato 80 abitazioni prefabbricate per i residenti delle aree montane, acquistato attrezzature per il Ministero della Sanità e dell’Istruzione, pagato il trattamento di 1600 malati ceceni nelle cliniche russe, ed il ricovero di 340 bambini. Citò inoltre un decreto del 1° dicembre firmato dal Premier Primakov per lo stanziamento di corposi fondi per il ripristino delle strutture industriali e produttive del paese, la fornitura di macchine agricole e di materiali da costruzione, e la disponibilità di costituire una zona economica “speciale” in Cecenia per attrarvi investimenti. Inoltre confermò l’impegno della Russia a stanziare due miliardi di rubli per l’anno 1999 nel programma di ricostruzione della Cecenia.
GLI IRRIDUCIBILI “REMANO CONTRO”
Dal canto suo, la Cecenia mancava di una politica e di un atteggiamento coerente verso la Russia. Maskhadov ed i suoi plenipotenziari dichiaravano di voler collaborare con Mosca, ma molti esponenti del suo governo si sperticavano in violente dichiarazioni antirusse. Il Direttore del Servizio di Sicurezza Nazionale Khultygov, fratello del defunto predecessore, in una conferenza stampa a Grozny dichiarò che le autorità russe stavano preparando un’esplosione nucleare sotterranea nella ex base militare di Bamut per provocare un terremoto nel paese. Affermazioni del genere, oltre ad essere assurde, alimentavano la polemica tra le due parti, inficiando il buon esito dei negoziati. Alle dichiarazioni incendiarie dei politici ceceni si aggiungeva la Procura della Repubblica, la quale insisteva nel voler citare la Russia per i crimini di guerra durante il conflitto, inondando il Tribunale Internazionale dell’Aja di richieste di apertura di processi contro generali, colonnelli e soldati semplici dell’esercito federale in un momento nel quale, forse, sarebbe stato il caso di fermarli.
Aslan Maskhadov si avvia a presiedere la prima riunione del Gabinetto dei Ministri
Nel frattempo Maskhadov viaggiava all’estero, tentando di conquistarsi il favore di qualche Ministro degli Esteri. Un primo accordo venne raggiunto con gli Emirati Arabi. Riguardava l’apertura di una rotta aerea con un volo charter di linea, in ordine a favorire i pellegrinaggi dei fedeli ceceni nei luoghi santi dell’Islam. Ai primi di Agosto Maskhadov iniziò un giro di visite negli Stati Uniti, in occasione della Seconda Conferenza Internazionale dell’Unità Musulmana, alla quale parteciparono le autorità religiose di 25 paesi islamici. La visita fu un successo, e Maskhadov venne accolto con tutti gli onori, venendo addirittura nominato presidente onorario dell’organizzazione. Il 9 agosto, al termine della conferenza, funzionari della Banca Islamica Mondiale firmarono con Maskhadov un accordo di partenariato per aprire una succursale in Cecenia. A latere della Conferenza il presidente ceceno incontrò alcuni funzionari dell’amministrazione Clinton. Il 7 agosto tenne una conferenza stampa a Washington, dichiarandosi pronto a coinvolgere gli Stati Uniti in un negoziato trilaterale con la Russia. Le visite ripresero in ottobre, con la visita di Maskhadov in Polonia per partecipare alla Conferenza Internazionale sui Diritti Umani. La conferenza, le cui cronache furono trasmesse in tutto il mondo, fu un grande risultato politico per Maskhadov, che incassò il voto quasi unanime di una risoluzione nella quale si concordava sula necessità di riconoscere la piena indipendenza della Repubblica Cecena di Ichkeria. In quell’occasione Maskhadov incontrò il Primo Ministro polacco ed alcuni leader politici e sindacali. A seguito tenne una conferenza stampa nella quale si disse fiducioso di poter costruire la pace con la Russia a partire dal Trattato del maggio 1997.
Maskhadov in posa al termine del Congresso dell’Unità Islamica a Washington, Stati Uniti
Sulla via del ritorno si fermò a Baku per congratularsi con il presidente Aliyev, appena eletto alla carica. Contemporaneamente una delegazione dalla Malesia, dove Maskhadov aveva aperto un ufficio di rappresentanza guidato da suo figlio Anzor, visitò la Cecenia, venendo accolta con tutti gli onori nell’edificio del teatro appena restaurato. Infine il Presidente si recò in Inghilterra. A Londra la delegazione cecena organizzò un ricevimento al quale parteciparono decine di parlamentari della Camera dei Lord e della Camera dei Comuni. Fu un discreto successo, anche se di carattere informale. In particolare fu importante la presenza dell’ex Primo Ministro Margaret Thatcher, che accettò di cenare con Maskhadov. Il suo interesse tuttavia era focalizzato per lo più sulla questione dei rapimenti. In quei mesi si era verificato il rapimento dei quattro tecnici della Granger Telecom di cui abbiamo già parlato, e durante la cena l’argomento tenne banco praticamente sempre. Vatchagaev, che era presente all’incontro, riporta: “Non importa quale argomento introducesse Maskhadov, lei [La Thatcher, ndr] concludeva dicendo: “Deve ammettere, Signor Presidente, che i cittadini della Gran Bretagna devono essere trovati”. […]Salutandosi, si voltò verso Maskhadov con un sorriso e disse: “Il vostro paese è davvero piccolo, sono sicuro che potete trovarli, Signor Presidente.”
Maskhadov posa a fianco dell’ex Primo Ministro britannico Margaret Thatcher. A destra Khozh .Akhmed Nukhaev, ex Viceprresidente del Gabinetto dei Ministri, all’epoca Consigliere Presidenziale e promotore di un progetto transnazionale volto alla costituzione di un mercato di libero scambio caucasico.
Aslan Maskhadov tiene una conferenza stampa a Londra, 13/03/1998
LE MISSIONI PARLAMENTARI
Anche il Parlamento di seconda convocazione, costituito a seguito delle elezioni del Gennaio – Febbraio 1997, portò avanti una politica estera attiva, volta a presentare la Repubblica Cecena di Ichkeria come uno Stato funzionante e desideroso di aprire canali diplomatici ufficiali con il mondo occidentale. I principali artefici di questa azione furono il Presidente del Parlamento, l’ex comandante di campo Ruslan Alikhadzhiev, ed il Presidente della Commissione parlamentare Affari Esteri, ex Presidente del Parlamento di prima convocazione, Akhyad Idigov. Delegazioni parlamentari visitarono i paesi baltici, dove si intrattennero con alcune tra le massime autorità dei governi locali, raggiunsero la Polonia, l’Ucraina e la Germania. Da quì Alikhadzhiev giunse ad incontrare le autorità della Regione Autonoma italiana del Trentino Alto Adige, intrattenendo colloqui con l’allora governatore Luis Durnwalder.
Da sinistra a destra: il Presidente della Lituania Seimas Vytautas Landsbergis, il Deputato dell’APCE Ernst Muleman, il Deputato del Parlamento della CRI Akhyad Idigov e rla appresentante della CRI in Lituania Aminat Saieva, 20.08.1999La delegazione parlamentare cecena posa con alcuni alti funzionari della Regione Autonoma del Trentino Alto Adige. Il secondo da sinistra è l’allora governatore della regione, Durnwalder. Ruslan Alikhadziev è il quarto da sinistra.Delegazione parlamentare della CRI guidata da Akhyad Idigov (vestito in abito nero, a sinistra nella foto) presso il Ministero della Difesa della Lettonia, marzo 1998. A fianco di Idigov siede l’ex Colonnello dell’Esercito di Ichkeria, Deputato e membro della Commissioni affari esteri, Hussein Iskhanov
Aslan Maskhadov ereditò dal suo predecessore Yandarbiev un paese al collasso, eppure ancora ubriacato dalla vittoria militare conseguita l’anno precedente. Il nuovo Presidente dovette così destreggiarsi tra la necessità di ricostruire rapporti decenti con la Russia, unico possibile partner nella ricostruzione del Paese, e il revanscismo dei comandanti di campo, i quali premevano perché i rapporti tra Grozny e Mosca non si ricucissero troppo. I margini di manovra erano così stretti da essere quasi impraticabili: Mosca infatti non era interessata a riconoscere ufficialmente l’indipendenza della Cecenia, ed al Cremlino vi era una corrente interventista che premeva affinché la Cecenia fosse isolata e sprofondasse nell’anarchia, giustificando così un secondo intervento militare che lavasse il prestigio della Russia. I governi occidentali, per parte loro, non sembravano interessati a rivalutare la loro opinione riguardo la cosiddetta “questione cecena”, preferendo continuare a considerarla un “affare interno” alla Federazione Russa. In patria, infine, l’ala nazionalista radicale, rappresentata da Shamil Basayev, Salman Raduev, Ruslan Gelayev e perfino dall’ex Presidente Yandarbiev osservava con disappunto gli ammiccamenti di Maskhadov verso la Russia, temendo che il nuovo leader “tradisse” la Rivoluzione Cecena.
I primi mesi del governo Maskhadov furono quindi impiegati per lo più nella costituzione di una piattaforma negoziale con la Russia che permettesse al Presidente ceceno di guadagnare tempo, mentre il Paese iniziava la ricostruzione, nella speranza di ammorbidire le posizioni dei nazionalisti radicali e di allacciare rapporti diplomatici con il Cremlino. Atto fondamentale di questo processo fu il Trattato di Mosca del 12 Maggio 1997.
RUSSIA. May 12, 1997. Meeting of Boris Yeltsin and Aslan Maskhadov. Russian President Boris Yeltsin (R) and the President of the Chechen Republic of Ichkeria Aslan Maskhadov after signing of the Russia-Chechen Peace Treaty. Alexander Sentsov, Alexander Chumichev/TASS
–осси€. 12 ма€ 1997 г. ¬стреча Ѕ. ≈льцина и ј. ћасхадова. ѕрезидент –оссии Ѕорис ≈льцин (справа) и глава „ечни јслан ћасхадов после подписани€ в ремле договора о мире и принципах взаимоотношений между –оссийской ‘едерацией и „еченской –еспубликой »чкерией. —енцов јлександр, „умичев јлександр/‘отохроника “ј——
IL TRATTATO DI MOSCA
Il 12 maggio la delegazione cecena, composta da Maskhadov, Ugudov e Zakayev raggiunse Mosca, dove procedette alla firma solenne del Trattato di Pace tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria. Fu un evento epocale: per la prima volta in quattrocento anni di guerre e tensioni il governo di Mosca e quello di Grozny si promettevano ufficialmente la pace. Vennero firmati due documenti: il primo si intitolava “Trattato di Pace e Principi di Relazione tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”, il secondo si chiamava “Accordo tra il governo della Federazione Russa e il governo della Repubblica Cecena di Ichkeria sulla cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa e la preparazione delle condizioni per la conclusione di un trattato su vasta scala tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”. I due documenti, dagli altisonanti titoli, avrebbero dovuto essere la base giuridica sulla quale si sarebbero costruiti i rapporti tra Russia e Cecenia. Il trattato iniziava con un epico preambolo riguardo la reciproca volontà di “[…] Porre fine al confronto secolare, cercando di stabilire relazioni forti, uguali e reciprocamente vantaggiose […]”. Un iniziò di tutto rispetto, dal quale ci si aspetterebbe un lungo ed articolato documento. E invece niente di questo. Il testo si costituiva di cinque articoli, e soltanto tre contenevano qualcosa di politicamente rilevante. In essi Russia e Cecenia si impegnavano:
A rinunciare in modo permanente all’uso ed alla minaccia dell’uso della forza come forma di risoluzione di eventuali controversie;
A Costruire le loro relazioni conformemente ai principi ed alle norme generalmente riconosciuti dal diritto internazionale, e ad interagire in aree definite da accordi specifici;
A considerare il Trattato come base per la conclusione di qualsiasi altra negoziazione.
Di per sé le tre affermazioni possono essere considerate solide basi, ma a ben guardare si prestano a molteplici interpretazioni, come tutti gli altri “documenti”, “dichiarazioni” e “protocolli” firmati fino ad allora. In particolare Maskhadov considerò il Trattato come il riconoscimento di fatto dell’indipendenza cecena, dichiarando che la sua sottoscrizione apriva “Una nuova era politica per la Russia, il Caucaso e l’intero mondo musulmano”. Uno dei funzionari della politica estera cecena, delegato in Danimarca per conto della Repubblica Cecena di Ichkeria, Usman Ferzauli, quando venne inviato da Maskhadov a firmare le Convenzioni di Ginevra, dichiarò: “[…] La Russia, firmando nel maggio 1997 il Trattato di Pace con la Repubblica Cecena di Ichkeria di fatto ha riconosciuto la Repubblica. Abbiamo il diritto di considerarci un soggetto di diritto internazionale. […].”.
Anche alcuni ricercatori internazionali, come Francis A. Boyle, professore presso il College Law dell’Università dell’Illinois, produssero ricerche giuridiche sul Trattato. Nella discussione di Boyle si legge: “L’elemento più importante del trattato è il suo titolo: “Trattato sulla pace e i principi delle interrelazioni tra la Federazione russa e l’Ichkeria della Repubblica cecena”. Secondo i principi di base del diritto internazionale, un “trattato” è concluso tra due stati nazionali indipendenti. In altre parole, il CRI viene trattato dalla Federazione Russa come se fosse uno stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali. […] Allo stesso modo, l’uso del linguaggio “Trattato sui … principi di interrelazione” indica che la Russia sta trattando la CRI come uno stato nazionale indipendente anziché come un’unità componente della Federazione Russa. Normalmente, “i principi delle interrelazioni” tra uno stato federale come la Federazione Russa e un’unità componente sono determinati dalla Costituzione dello stato federale. Questo documento non dice nulla della Costituzione della Federazione Russa. […]Certamente l’elemento più importante del titolo del Trattato è l’uso del termine “Repubblica Cecena di Ichkeria”. Questo è il nome preciso che il popolo ceceno e il governo ceceno hanno deciso di dare al loro stato nazionale indipendente. In altre parole, ancora una volta, la Federazione Russa ha fornito ai Ceceni il riconoscimento di fatto (anche se non ancora di diritto) come stato nazionale indipendente alle loro condizioni. […] L’articolo 1 del trattato è sostanzialmente in linea con il requisito dell’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite secondo cui gli Stati membri “si astengono dalle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza …” Allo stesso modo, la Carta delle Nazioni Unite Articolo 2, paragrafo 3, impone agli Stati membri di “risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici ….” Quindi, con questo Trattato, la Federazione Russa ha formalmente riconosciuto il suo obbligo di trattare la CRI in conformità con questi due requisiti fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. […] Il secondo articolo dell’accordo è estremamente importante: “Costruire le nostre relazioni corrispondenti ai principi e alle norme generalmente accettati del diritto internazionale …” Secondo la mia opinione professionale, l’unico modo in cui l’articolo 2 del presente trattato può essere correttamente letto alla luce di tutto ciò che è stato detto in precedenza nel suo testo è che la Federazione russa sta trattando l’IRC come se fosse di fatto (anche se non ancora de jure) stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali, con una propria personalità giuridica internazionale. Solo gli stati nazionali indipendenti sono soggetti ai “principi e norme generalmente accettati del diritto internazionale”. […].” Il governo Russo negò questa interpretazione, considerando l’assenza di qualsiasi affermazione chiara in merito.
Salman Raduev (al centro) uno dei principali esponenti dell’ala nazionalista radicale, fu sempre contrario alla firma di un trattato di pace con la Federazione Russa, dichiarando la sua volontà di proseguire la guerra fino alla completa “liberazione” del Caucaso dal controllo russo.
Rispetto a questo, negli anni successivi sarebbe sorto un lungo dibattito. In una sua trattazione del tema, il ricercatore russo Andrei Babitski scrisse: “L’essenza di questo documento è semplice. È solo un documento sulla cessazione delle operazioni militari. […] Non menziona la capitolazione da parte di nessuna delle parti, non proclama nessuno vincitore e non formula principi chiari per governare le relazioni tra Russia e Cecenia. La risposta a queste domande è stata rinviata. La cosa più importante era terminare la guerra.”. Silvia Serravo, ricercatrice esperta in questioni caucasiche, specificò in un’intervista: “Il documento contiene la possibilità di interpretazioni diverse. […] L’indipendenza della Cecenia non è stata riconosciuta. Tuttavia, il documento ha reso possibile, almeno per la parte cecena, interpretarlo come il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza cecena. […] Il trattato può certamente essere considerato un risultato. […] Tuttavia si può sempre speculare sulla misura in cui le parti erano sincere quando fu firmato questo documento e se la conclusione del Trattato si basava su alcuni motivi fraudolenti.”
L’ALLEGATO AL TRATTATO
Il secondo documento, collaterale al primo, conteneva un’altra generica serie di intese difficilmente realizzabili. In esso si definiva l’attuazione dei contenuti degli Accordi di Khasavyurt in fatto di ripristino dei servizi vitali per la popolazione civile, il regolare pagamento delle pensioni e degli stupendi pubblici da parte della Federazione Russa, il pagamento di un risarcimento alle vittime dei combattimenti, la “piena attuazione del programma di ripristino del complesso socioeconomico” del paese, il rilascio di ostaggi e prigionieri, e lo scioglimento della Commissione Governativa congiunta riguardo alla gestione del periodo interbellico, contemporaneamente all’entrata in vigore del Governo uscito dalle Elezioni del Gennaio precedente. Se il primo documento, come abbiamo visto, poteva lasciar pensare che la Russia volesse trattare la Cecenia come uno Stato indipendente de facto, anche se ancora non de jure, il secondo assomigliava molto ad un accordo interfederale tra una repubblica autonoma bisognosa di aiuto ed un governo centrale che intendeva corrisponderglielo. Particolarmente evidente era l’impegno, da parte di Mosca, di erogare gli stipendi pubblici dell’amministrazione cecena. Questo passo è fondamentale, Perchè accettandolo Maskhadov riconobbe implicitamente l’autorità di Mosca di mantenere la struttura amministrativa della Cecenia esattamente come faceva ai tempi dell’Unione Sovietica.
Aslan Maskhadov (allora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito) e Alexander Lebed (rappresentante della parte russa ai negoziati per la tregua) firmano gli Accordi di Khasavyurt, con i quali la ChRI e la Federazione Russa concordarono un cessate -il -fuoco a tempo indeterminato. Secondo alcuni storici sarebbe proprio questo il documento con il quale la Federazione Russa riconobbe (implicitamente) l’indipendenza della Cecenia.
Non un solo accenno era previsto riguardo al riconoscimento, anche formale, all’indipendenza del paese, ed il trattato aveva in calce non già la firma di Eltsin e di Maskhadov (in qualità di presidenti) ma quelle di Chernomyrdin e Maskhadov in qualità di Primi Ministri. Ed i primi ministri, né nella Costituzione russa, né in quella cecena, avevano autorità di negoziare trattati internazionali. Il Trattato di Pace firmato da Maskhadov fu un documento utile ad accreditare lui presso l’opinione pubblica ma fallì nel rappresentare uno strumento diplomatico utile a risolvere alcunché. Certamente pose ufficialmente fine alla guerra e ad ogni ingerenza del governo federale sulla politica interna del paese, ma niente oltre a questo. Il Trattato si limitò a stabilire gli strumenti tramite i quali i due stati avrebbero comunicato tra loro. Dette ampia libertà di interpretazione sia al governo ceceno, che vide in quelle poche righe un implicito riconoscimento da parte di Mosca, che al governo russo, che ci riconobbe esclusivamente l’impegno assunto a riportare su binari politici il conflitto. Sul momento comunque sia Maskhadov che Eltsin poterono dirsi soddisfatti: il primo tornava in patria con un trattato di pace tra le mani, qualcosa che i Ceceni non avevano mai visto in tutta la loro storia. Il secondo tirava un sospiro di sollievo e metteva un temporaneo tampone a quella emorragia di consensi che era stata la Prima Guerra Cecena. Rientrato a Grozny, Maskhadov incassò l’entusiastico consenso delle forze moderate, che al termina della sua relazione al Parlamento lo salutarono con uno scrociante applauso.
Proseguiamo la nostra rassegna sulla politica estera della Repubblica Cecena di Ichkeria (QUI LA PRIMA PARTE). Come abbiamo visto, tra il 1991 ed il 1992 il principale attore nella politica estera repubblicana fu il Presidente Dudaev. Egli intese fin da subito il suo ruolo come centrale nell’azione di difesa dell’indipendenza cecena. Questo atteggiamento “protagonista” si tradusse in azioni politiche spesso al di là dei suoi limiti “di protocollo istituzionale” alienandogli il favore sia del primo Ministro degli Esteri della Repubblica, Shamil Beno (il quale si dimise, in polemica con il Presidente, nel Settembre 1992) sia del Parlamento, il quale intendeva portare avanti una politica meno provocatoria nei confronti di Mosca e più orientata ai “piccoli passi”, evitando di alzare la tensione tramite sterili visite ufficiali che non avrebbero certamente portato al riconoscimento della ChRI, ma che invece avrebbero messo in imbarazzo Mosca, allontanando la prospettiva di una secessione “negoziata” con la Russia.
OGNUNO PER SE’, DUDAEV PER TUTTI
Mentre Dudaev svolgeva il suo “gran tour” nei paesi mediorientali ed occidentali, una delegazione parlamentare guidata dal Vicepresidente dell’Assemblea, Magomed Gushakayev, intesseva fitti rapporti con i paesi baltici, ed in particolare con la Lituania. Qui il Presidente del Consiglio Supremo, Vyautas Landsbergis, si era dimostrato molto sensibile alle istanze dei ceceni, ed accolse con entusiasmo una rappresentanza del parlamento nell’Ottobre 1992. I deputati di Grozny parlarono all’assemblea parlamentare lituana, auspicando ad un riconoscimento ufficiale da parte di questa. In quell’occasione Gushakayev garantì che la stragrande maggioranza dei ceceni era favorevole all’indipendenza, e che le discussioni politiche non vertevano sul “cosa” fare, ma sul “come” farlo:
“[…] non c’è, e non esiste, una sola organizzazione socio – politica [in Cecenia, ndr.] che non sostenga l’indipendenza della Cecenia. La discrepanza è solo nella tattica per raggiungere questo obiettivo. L’esperienza lituana nel raggiungimento dell’indipendenza statale è molto importante per noi. E’ stato per questo che siamo venuti a Vilnius. La Lituania è stata e rimane un faro per la Cecenia sulla via dell’indipendenza dello Stato.”
Le tre principali autorità del Parlamento di Prima Convocazione della ChRI. Da sinistra a destra: Bektimar Mezhidov, Hussein Akhmadov, Magomed Gushakayev
IL TOUR DIPLOMATICO DEL 1993
L’atteggiamento moderato e prudente del Parlamento cozzava con quello ardimentoso e radicale di Dudaev, il quale, non appena rientrato dal suo giro di visite diplomatiche, ne organizzò subito un altro per i primi mesi del 1993. Il 29 Gennaio egli volò in Lettonia, proprio dove si erano recati i parlamentari pochi mesi prima. Accolto dal solito Landsbergis, Dudaev tenne un colloquio con il Presidente della piccola repubblica baltica, Seimas Cheslovas Yurshenas. I due parlarono di come impostare un rapporto di partnership economica e culturale, di come realizzare un programma di scambio universitario e di come sostenere vicendevolmente le rispettive economie utilizzando la Lituania come “porta per l’occidente” della Cecenia, e la Cecenia come “petroliera” della Lituania. L’incontro rimase, tuttavia, soltanto un’esperienza informale, e la Lituania non procedette a riconoscere ufficialmente la secessione cecena.
Dopo un altro giro di visite “locali” in Azerbaijan ed Armenia, teso a consolidare i rapporti tra il suo governo (ormai sul punto di diventare un vero e proprio regime dittatoriale) e gli stati più vicini, Dudave partì per la Francia, dove svolse una visita a metà tra l’ufficiale ed il privato tra il 13 ed il 16 Giugno 1993. Secondo Eduard Khachukaev, all’epoca Capo del Dipartimento per il Commercio Estero (il quale accompagnò il Presidente in quasi tutti i suoi viaggi) L’invito era giunto da rappresentanti del Ministero della Difesa francese, i quali si occuparono di organizzare l’arrivo del presidente ceceno all’aereoporto di Beauvais e di organizzare un incontro volto a concludere un contratto di consulenza militare relativamente alla difesa terrestre della repubblica. Secondo quanto riferito da Khachukaev i funzionari francesi, sapendo che Dudaev era un pilota, lo invitarono alla basa aerea di Orange e gli presentarono il loro nuovo caccia Mirage 2000, permettendogli addirittura di guidarne uno. Non si sa molto altro di questo viaggio, na certamente le prospettive auspicate da Dudaev riguardo una collaborazione militare tra Francia e Cecenia non si concretizzarono mai.
AMBASCIATORI NON AUTORIZZATI
L’approccio disinvolto e pragmatico di Dudaev alla politica estera si concretizzava anche nel frequente ricorso a “testimonial internazionali” alla causa cecena. Impegnato nella costante ricerca di un riconoscimento politico per il suo paese, e disposto a qualsiasi cosa pur di farsi conoscere dall’opinione pubblica mondiale, il presidente non si risparmiò il ricorso alla nomina di “ambasciatori” non riconosciuti dai paesi nei quali avrebbero dovuto operare. Fu il caso ad esempio di Berkan Yashar, nominato Viceministro degli Esteri nel 1992 e poi “Ambasciatore in Turchia” (nonostante la Turchia non avesse riconosciuto la Cecenia). Berkan era un personaggio torbido, quasi sicuramente un agente reclutato dalla CIA, e a quanto pare curò più di un affare sporco per conto di Dudaev (secondo quanto dichiarò molti anni dopo, giunse perfino ad incontrare il terrorista internazionale Osama Bin Laden in un appartamento a Grozny – ma di questo parleremo in un articolo ad hoc dedicato alle “covert operations” della ChRI – ). Nello stesso modo l’americano David Christian, giunto in visita a Grozny nel 1993, fu nominato “Ambasciatore negli Stati Uniti” pur non avendò né la cittadinanza cecena, né il riconoscimento in tale ruolo da parte delle autorità statunitensi.
Dzhokhar Dudaev discute con David Christian durante la sua visita a Grozny nel 1993
Certamente la pratica di nominare “rappresentanti della repubblica” e “consoli onorari” di origine straniera ovunque ci fosse qualcuno disposto a fregiarsi di questo titolo divenne una delle principali attività diplomatiche dei presidenti della “ChRI”, pratica in vigore ancora oggi presso il governo separatista in esilio. Ad oggi abbiamo raccolto un elenco di 77 “rappresentanti” nominati tra il 1991 ed il 2020 in numerosi paesi, così come presso alcune importanti organizzazioni internazionali.
DIPLOMAZIA DI GUERRA
Lo scoppio della Prima Guerra Cecena impedì alla ChRI di portare avanti una politica estera ufficiale. Costretti ad operare in clandestinità, i secessionisti (e Dudaev in particolare) cercarono di sfruttare i canali aperti tra il 1992 ed il 1994 per garantire il costante approvvigionamento di risorse economiche, volontari ed armamenti necessari a sostenere la resistenza armata. Non ci soffermeremo su questo punto in questa sede: l’argomento richiede una trattazione molto lunga e dettagliata, e rimandiamo la questione ad articoli successivi. Chi volesse approfondire il tema della politica estera della ChRI durante la Prima Guerra Cecena può trovare informazioni utili nel libro “Libertà o morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”, acquistabile QUI.
L’ERA YANDARBIEV
Il 21 Aprile 1996, pochi mesi prima che la guerra avesse fine con la vittoria tattica dei separatisti e gli accordi di Khasavyurt, il Presidente Dudaev morì ucciso da un missile teleguidato russo. Gli successe il suo amico, ideologo e vicepresidente, Zelimkhan Yandarbiev. A differenza di Dudaev, Yandarbiev era ben disposto all’idea di aprire contatti concreti con i movimenti islamici radicali, dei quali apprezzava la dedizione, lo spirito combattivo e non ultimo le importanti disponibilità economiche necessarie, secondo lui, a consolidare le conquiste della Rivoluzione Cecena ed a far ripartire la sgangherata economia del Paese. Tali contatti, tuttavia, avrebbero certamente alienato alla Cecenia le simpatie del mondo occidentale, e gettato sul movimento separatista il turpe alone del fondamentalismo. Per questo motivo contatti ufficiali tra la ChRI ed i movimenti jihadisti non furono mai portati avanti, neanche sotto la presidenza Yandarbiev, fino allo scoppio della Seconda Guerra Cecena.
Zelimkhan Yandarbiev discute con Boris Eltsin durante i negoziati del 1996 a Mosca
In campo internazionale l’impegno del nuovo presidente fu monopolizzato dalla gestione dei negoziati con la Federazione Russa, con la quale era necessario giungere ad un’intesa per la smilitarizzazione del Paese e la sua ricostruzione post – bellica. Fu Yandarbiev a portare avanti i negoziati che portarono al ritiro delle truppe federali entro il 31/12/1996, supportato in questo dall’autorevole Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Aslan Maskhadov, destinato a succedergli nel Febbraio 1997 alla Presidenza della Repubblica.