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GLI AMBASCIATORI DI ICHKERIA – TERZA PARTE

ASLAN MASKHADOV

LA RICERCA DISPERATA DELLA PACE

Aslan Maskhadov ereditò dal suo predecessore Yandarbiev un paese al collasso, eppure ancora ubriacato dalla vittoria militare conseguita l’anno precedente. Il nuovo Presidente dovette così destreggiarsi tra la necessità di ricostruire rapporti decenti con la Russia, unico possibile partner nella ricostruzione del Paese, e il revanscismo dei comandanti di campo, i quali premevano perché i rapporti tra Grozny e Mosca non si ricucissero troppo. I margini di manovra erano così stretti da essere quasi impraticabili: Mosca infatti non era interessata a riconoscere ufficialmente l’indipendenza della Cecenia, ed al Cremlino vi era una corrente interventista che premeva affinché la Cecenia fosse isolata e sprofondasse nell’anarchia, giustificando così un secondo intervento militare che lavasse il prestigio della Russia. I governi occidentali, per parte loro, non sembravano interessati a rivalutare la loro opinione riguardo la cosiddetta “questione cecena”, preferendo continuare a considerarla un “affare interno” alla Federazione Russa. In patria, infine, l’ala nazionalista radicale, rappresentata da Shamil Basayev, Salman Raduev, Ruslan Gelayev e perfino dall’ex Presidente Yandarbiev osservava con disappunto gli ammiccamenti di Maskhadov verso la Russia, temendo che il nuovo leader “tradisse” la Rivoluzione Cecena.

I primi mesi del governo Maskhadov furono quindi impiegati per lo più nella costituzione di una piattaforma negoziale con la Russia che permettesse al Presidente ceceno di guadagnare tempo, mentre il Paese iniziava la ricostruzione, nella speranza di ammorbidire le posizioni dei nazionalisti radicali e di allacciare rapporti diplomatici con il Cremlino. Atto fondamentale di questo processo fu il Trattato di Mosca del 12 Maggio 1997.

RUSSIA. May 12, 1997. Meeting of Boris Yeltsin and Aslan Maskhadov. Russian President Boris Yeltsin (R) and the President of the Chechen Republic of Ichkeria Aslan Maskhadov after signing of the Russia-Chechen Peace Treaty. Alexander Sentsov, Alexander Chumichev/TASS –осси€. 12 ма€ 1997 г. ¬стреча Ѕ. ≈льцина и ј. ћасхадова. ѕрезидент –оссии Ѕорис ≈льцин (справа) и глава „ечни јслан ћасхадов после подписани€ в  ремле договора о мире и принципах взаимоотношений между –оссийской ‘едерацией и „еченской –еспубликой »чкерией. —енцов јлександр, „умичев јлександр/‘отохроника “ј——

IL TRATTATO DI MOSCA

Il 12 maggio la delegazione cecena, composta da Maskhadov, Ugudov e Zakayev raggiunse Mosca, dove procedette alla firma solenne del Trattato di Pace tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria. Fu un evento epocale: per la prima volta in quattrocento anni di guerre e tensioni il governo di Mosca e quello di Grozny si promettevano ufficialmente la pace. Vennero firmati due documenti: il primo si intitolava “Trattato di Pace e Principi di Relazione tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”, il secondo si chiamava “Accordo tra il governo della Federazione Russa e il governo della Repubblica Cecena di Ichkeria sulla cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa e la preparazione delle condizioni per la conclusione di un trattato su vasta scala tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”. I due documenti, dagli altisonanti titoli, avrebbero dovuto essere la base giuridica sulla quale si sarebbero costruiti i rapporti tra Russia e Cecenia. Il trattato iniziava con un epico preambolo riguardo la reciproca volontà di “[…] Porre fine al confronto secolare, cercando di stabilire relazioni forti, uguali e reciprocamente vantaggiose […]”. Un iniziò di tutto rispetto, dal quale ci si aspetterebbe un lungo ed articolato documento. E invece niente di questo. Il testo si costituiva di cinque articoli, e soltanto tre contenevano qualcosa di politicamente rilevante. In essi Russia e Cecenia si impegnavano:

A rinunciare in modo permanente all’uso ed alla minaccia dell’uso della forza come forma di risoluzione di eventuali controversie;

A Costruire le loro relazioni conformemente ai principi ed alle norme generalmente riconosciuti dal diritto internazionale, e ad interagire in aree definite da accordi specifici;

A considerare il Trattato come base per la conclusione di qualsiasi altra negoziazione.

Di per sé le tre affermazioni possono essere considerate solide basi, ma a ben guardare si prestano a molteplici interpretazioni, come tutti gli altri “documenti”, “dichiarazioni” e “protocolli” firmati fino ad allora. In particolare Maskhadov considerò il Trattato come il riconoscimento di fatto dell’indipendenza cecena, dichiarando che la sua sottoscrizione apriva “Una nuova era politica per la Russia, il Caucaso e l’intero mondo musulmano”. Uno dei funzionari della politica estera cecena, delegato in Danimarca per conto della Repubblica Cecena di Ichkeria, Usman Ferzauli, quando venne inviato da Maskhadov a firmare le Convenzioni di Ginevra, dichiarò: “[…] La Russia, firmando nel maggio 1997 il Trattato di Pace con la Repubblica Cecena di Ichkeria di fatto ha riconosciuto la Repubblica. Abbiamo il diritto di considerarci un soggetto di diritto internazionale. […].”.

TRATTATO DI MOSCA (12/02/1997) – Scarica il Pdf

Anche alcuni ricercatori internazionali, come Francis A. Boyle, professore presso il College Law dell’Università dell’Illinois, produssero ricerche giuridiche sul Trattato. Nella discussione di Boyle si legge: “L’elemento più importante del trattato è il suo titolo: “Trattato sulla pace e i principi delle interrelazioni tra la Federazione russa e l’Ichkeria della Repubblica cecena”. Secondo i principi di base del diritto internazionale, un “trattato” è concluso tra due stati nazionali indipendenti. In altre parole, il CRI viene trattato dalla Federazione Russa come se fosse uno stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali. […] Allo stesso modo, l’uso del linguaggio “Trattato sui … principi di interrelazione” indica che la Russia sta trattando la CRI come uno stato nazionale indipendente anziché come un’unità componente della Federazione Russa. Normalmente, “i principi delle interrelazioni” tra uno stato federale come la Federazione Russa e un’unità componente sono determinati dalla Costituzione dello stato federale. Questo documento non dice nulla della Costituzione della Federazione Russa.  […]Certamente l’elemento più importante del titolo del Trattato è l’uso del termine “Repubblica Cecena di Ichkeria”. Questo è il nome preciso che il popolo ceceno e il governo ceceno hanno deciso di dare al loro stato nazionale indipendente. In altre parole, ancora una volta, la Federazione Russa ha fornito ai Ceceni il riconoscimento di fatto (anche se non ancora di diritto) come stato nazionale indipendente alle loro condizioni. […] L’articolo 1 del trattato è sostanzialmente in linea con il requisito dell’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite secondo cui gli Stati membri “si astengono dalle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza …” Allo stesso modo, la Carta delle Nazioni Unite Articolo 2, paragrafo 3, impone agli Stati membri di “risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici ….” Quindi, con questo Trattato, la Federazione Russa ha formalmente riconosciuto il suo obbligo di trattare la CRI in conformità con questi due requisiti fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. […] Il secondo articolo dell’accordo è estremamente importante: “Costruire le nostre relazioni corrispondenti ai principi e alle norme generalmente accettati del diritto internazionale …” Secondo la mia opinione professionale, l’unico modo in cui l’articolo 2 del presente trattato può essere correttamente letto alla luce di tutto ciò che è stato detto in precedenza nel suo testo è che la Federazione russa sta trattando l’IRC come se fosse di fatto (anche se non ancora de jure) stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali, con una propria personalità giuridica internazionale. Solo gli stati nazionali indipendenti sono soggetti ai “principi e norme generalmente accettati del diritto internazionale”.  […].” Il governo Russo negò questa interpretazione, considerando l’assenza di qualsiasi affermazione chiara in merito.

Salman Raduev (al centro) uno dei principali esponenti dell’ala nazionalista radicale, fu sempre contrario alla firma di un trattato di pace con la Federazione Russa, dichiarando la sua volontà di proseguire la guerra fino alla completa “liberazione” del Caucaso dal controllo russo.

Rispetto a questo, negli anni successivi sarebbe sorto un lungo dibattito. In una sua trattazione del tema, il ricercatore russo Andrei Babitski scrisse: “L’essenza di questo documento è semplice. È solo un documento sulla cessazione delle operazioni militari. […] Non menziona la capitolazione da parte di nessuna delle parti, non proclama nessuno vincitore e non formula principi chiari per governare le relazioni tra Russia e Cecenia. La risposta a queste domande è stata rinviata. La cosa più importante era terminare la guerra.”. Silvia Serravo, ricercatrice esperta in questioni caucasiche, specificò in un’intervista: “Il documento contiene la possibilità di interpretazioni diverse. […] L’indipendenza della Cecenia non è stata riconosciuta. Tuttavia, il documento ha reso possibile, almeno per la parte cecena, interpretarlo come il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza cecena. […] Il trattato può certamente essere considerato un risultato. […] Tuttavia si può sempre speculare sulla misura in cui le parti erano sincere quando fu firmato questo documento e se la conclusione del Trattato si basava su alcuni motivi fraudolenti.”

L’ALLEGATO AL TRATTATO

Il secondo documento, collaterale al primo, conteneva un’altra generica serie di intese difficilmente realizzabili. In esso si definiva l’attuazione dei contenuti degli Accordi di Khasavyurt in fatto di ripristino dei servizi vitali per la popolazione civile, il regolare pagamento delle pensioni e degli stupendi pubblici da parte della Federazione Russa,  il pagamento di un risarcimento alle vittime dei combattimenti, la “piena attuazione del programma di ripristino del complesso socioeconomico” del paese, il rilascio di ostaggi e prigionieri, e lo scioglimento della Commissione Governativa congiunta riguardo alla gestione del periodo interbellico, contemporaneamente all’entrata in vigore del Governo uscito dalle Elezioni del Gennaio precedente. Se il primo documento, come abbiamo visto, poteva lasciar pensare che la Russia volesse trattare la Cecenia come uno Stato indipendente de facto, anche se ancora non de jure, il secondo assomigliava molto ad un accordo interfederale tra una repubblica autonoma bisognosa di aiuto ed un governo centrale che intendeva corrisponderglielo. Particolarmente evidente era l’impegno, da parte di Mosca, di erogare gli stipendi pubblici dell’amministrazione cecena. Questo passo è fondamentale, Perchè accettandolo Maskhadov riconobbe implicitamente l’autorità di Mosca di mantenere la struttura amministrativa della Cecenia esattamente come faceva ai tempi dell’Unione Sovietica.

Aslan Maskhadov (allora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito) e Alexander Lebed (rappresentante della parte russa ai negoziati per la tregua) firmano gli Accordi di Khasavyurt, con i quali la ChRI e la Federazione Russa concordarono un cessate -il -fuoco a tempo indeterminato. Secondo alcuni storici sarebbe proprio questo il documento con il quale la Federazione Russa riconobbe (implicitamente) l’indipendenza della Cecenia.

Non un solo accenno era previsto riguardo al riconoscimento, anche formale, all’indipendenza del paese, ed il trattato aveva in calce non già la firma di Eltsin e di Maskhadov (in qualità di presidenti) ma quelle di Chernomyrdin e Maskhadov in qualità di Primi Ministri. Ed i primi ministri, né nella Costituzione russa, né in quella cecena, avevano autorità di negoziare trattati internazionali. Il Trattato di Pace firmato da Maskhadov fu un documento utile ad accreditare lui presso l’opinione pubblica ma fallì nel rappresentare uno strumento diplomatico utile a risolvere alcunché. Certamente pose ufficialmente fine alla guerra e ad ogni ingerenza del governo federale sulla politica interna del paese, ma niente oltre a questo. Il Trattato si limitò a stabilire gli strumenti tramite i quali i due stati avrebbero comunicato tra loro. Dette ampia libertà di interpretazione sia al governo ceceno, che vide in quelle poche righe un implicito riconoscimento da parte di Mosca, che al governo russo, che ci riconobbe esclusivamente l’impegno assunto a riportare su binari politici il conflitto. Sul momento comunque sia Maskhadov che Eltsin poterono dirsi soddisfatti: il primo tornava in patria con un trattato di pace tra le mani, qualcosa che i Ceceni non avevano mai visto in tutta la loro storia. Il secondo tirava un sospiro di sollievo e metteva un temporaneo tampone a quella emorragia di consensi che era stata la Prima Guerra Cecena. Rientrato a Grozny, Maskhadov incassò l’entusiastico consenso delle forze moderate, che al termina della sua relazione al Parlamento lo salutarono con uno scrociante applauso.

09/11/1991 – LA PRIMA “IMPRESA” DI BASAYEV: IL DIROTTAMENTO DI ANKARA

Shamil Basayev è noto in tutto il mondo per aver pianificato o fiancheggiato la realizzazione di drammatici sequestri, come quello dell’ospedale di Budennovsk nel 1995 o quello della scuola di Beslan nel 2004. Tuttavia la lunga lista di operazioni terroristiche da questi ordite o messe in atto ebbe origine molti anni prima dei suoi più tristemente noti colpi di mano, e precisamente il 9 Novembre 1991.

La cosiddetta “Rivoluzione Cecena” era appena scoppiata, il 27 Ottobre si erano svolte le elezioni popolari ed il Generale Dzhokhar Dudaev era stato eletto Presidente della Repubblica indipendente. Eltsin era intenzionato a porre fine quanto prima a questa situazione, ed il 7 Novembre aveva decretato lo Stato di Emergenza, mobilitando le unità del Ministero dell’Interno e predisponendo un piano per soffocare l’insurrezione dei ceceni. Mentre la popolazione si radunava in massa nelle piazze di Grozny e Dudaev arringava le folle, esortando i suoi concittadini ad armarsi per difendere l’indipendenza, un piccolo drappello di volontari costituì il primo nucleo combattente della repubblica, la Guardia Nazionale. Tra questi c’era Shamil Basayev, appena rientrato da Mosca (dove aveva preso parte alla difesa della Casa Bianca) e pronto ad entrare in azione.

(di sopra le foto di Basayev, Chachayev e Satuyev (quest’ultima successiva agli eventi)

Mentre i ceceni si mobilitavano, a Mosca la “questione cecena” sollevava un gran polverone politico, perché a fronte della volontà di Eltsin di intervenire subito e porre fine alla secessione, numerosi esponenti del governo e lo stesso Presidente Gorbachev si schieravano contro un’azione di forza dell’esercito. La situazione era estremamente tesa, il rischio di una guerra era sempre più concreto, ed in questa circostanza i secessionisti tentarono di giocarsi tutte le carte a loro disposizione: Dudaev cercava di saldare il fronte interno mobilitando le piazze, il Presidente del neoeletto Parlamento, Hussein Akhmadov, tentava di trovare sponde tra i politici russi. Basayev decise di giocare un ruolo meno politico e più congeniale al suo carattere. Fu in questo contesto che egli decise di mettere a segno il sequestro di un aereo civile.

SEQUESTRO MEDIATICO

L’idea non era né originale né inedita: tra il 1990 ed il Novembre 1991 in Russia erano stati tentati ben 45 dirottamenti, alcuni dei quali riusciti. Il primo sequestro a sfondo politico si era svolto il 18 Aprile 1990, quando un cittadino russo aveva preso il controllo di un aereo civile Tu – 134 in volo da Mosca a Leningrado, sequestrando 76 passeggeri e l’equipaggio e costringendo il pilota ad atterrare a Vilnius, dove intendeva “attirare l’attenzione della comunità mondiale sugli eventi politici in Lituania”. Il 7 Giugno successivo si era avuto il primo dirottamento ad opera di ceceni: un passeggero a bordo di un Tu – 154 dell’Aeroflot (la compagnia di bandiera sovietica) aveva minacciato di farsi esplodere se il jet non avesse abbandonato la rotta per Mosca e non si fosse diretto in Turchia. Giunto a destinazione era stato eliminato dalle forze speciali. Nei mesi seguenti molti cittadini dell’Unione Sovietica avevano portato a termine con successo parecchi dirottamenti a scopo politico, dirigendo gli aerei verso i paesi scandinavi con l’obiettivo di ottenere asilo contro il regime totalitario dell’URSS. Il fenomeno aveva assunto tali proporzioni che un giornalista svedese, commentando gli eventi, era giunto a scrivere: “Gli aerei sovietici, sotto la minaccia di dirottatori iniziano a riversarsi come grandine dal cielo negli aereoporti dei paesi vicini […]”. Man mano che l’impero sovietico collassava era sempre più chiaro che il dirottamento di aerei civili come strumento di pressione politica era diventato non soltanto piuttosto facile, ma anche efficace.

Il velivolo dell’aeroflot sequestrato da Basayev, Satuyev e Chachayev ad Ankara

Abbiamo detto che l’idea di mettere a segno un sequestro eclatante fu di Basayev. In realtà egli non fu che uno dei tre componenti del commando che lo portarono a termine: il regista dell’operazione fu Said – Ali Satuyev, ex pilota civile e ardente sostenitore dell’indipendenza cecena. Ai due si unì Lom Alì Chachayev, un altro giovane ribelle che avrebbe accompagnato Basayev a Budennovsk nel 1995 e sarebbe morto durante le Prima Guerra Cecena. Il 9 Novembre, mentre Dudaev prestava giuramento come Presidente della Repubblica e proclamava la mobilitazione generale, i tre uomini salirono su un Tu – 154 in partenza da Mineralnye Vody e diretto ad Ekaterinburg. I precedenti sequestri avevano visto i terroristi sistemarsi con calma e compostezza nei posti assegnati e poi comunicare con il comandante dell’aereo tramite “pizzini” lasciati alle hostess, in modo che nel velivolo non si scatenasse il panico e che la maggior parte dei civili non si rendesse neanche conto di essere stata sequestrata. Basayev, Satuyev e Chachayev decisero invece di dare un taglio drammatico alla loro azione: penetrarono nel velivolo armi in pugno e costrinsero l’equipaggio a decollare direttamente verso Ankara, cercando di generare quanto più clamore possibile. D’altra parte l’obiettivo era quello di farsi notare.

UN DRAMMATICO SUCCESSO

Uvolta giunti ad Ankara Basayev pretese un salvacondotto per Grozny e la possibilità di tenere una conferenza stampa internazionale, in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi. Durante la conferenza stampa affermò di aver dirottato l’aereo in segno di protesta contro lo Stato di Emergenza in Cecenia – Inguscezia introdotto da Eltsin, e di voler “attirare l’attenzione della comunità mondiale sulle azioni imperialiste della Russia” contro la sua piccola patria. Dopo la conferenza stampa i dirottatori risalirono sull’aereo e fecero rotta verso Grozny insieme agli ostaggi. I giornali di tutto il mondo parlarono ampiamente del sequestro, e per la prima volta la Cecenia giunse sulle prime pagine dei principali quoditiani. Il mondo occidentale conobbe per la prima volta quel piccolo angolo di pianeta, quella periferia dell’impero sovietico del quale quasi tutti ignoravano l’esistenza.

(di seguito uno slideshow con le pagine dei giornali occidentali riportanti la notizia del sequestro e presentando gli eventi in corso in Cecenia)

Una volta al sicuro Basayev fece evacuare gli ostaggi su di un altro aereo di linea, diretto (per davvero) ad Ekaterinburg. I ceceni gli tributarono i favori di un eroe. Nel frattempo a Mosca il decreto di Eltsin sull’introduzione dello Stato di Emergenza era saltato: Gorbachev si era rifiutato di autorizzare l’intervento dell’esercito, molti esponenti dello stesso governo si erano opposti all’intervento, ed il mondo iniziava a guardare con apprensione verso il nuovo Presidente della Russia, sperando di non trovare un nuovo Stalin. Eltsin non poteva permettersi un bagno di sangue, e dovette temporaneamente congelare la questione cecena, tornando ad occuparsi dello smantellamento dell’URSS, ormai inevitabile.

Il gesto di Basayev, per quanto pericoloso e moralmente infame, aveva attirato l’attenzione della stampa mondiale sul “problema ceceno” ed aveva certamente contribuito ad ammorbidire la posizione di Eltsin (peraltro già in difficoltà per molte altre ragioni delle quali non parleremo in questo articolo), il quale accondiscese a ritirare lo Stato di Emergenza. Al ritorno dalla sua “Impresa” Basayev fu accolto da un bagno di folla, ed iniziò a salire l’olimpo del separatismo ceceno. Ma soprattutto imparò che per coinvolgere il mondo nella battaglia per l’indipendenza era necessario mettere a segno colpi eclatanti. Incruenti, se possibile, ma senza preoccuparsi troppo riguardo la sorte dei civili. Il sequestro di Mineralnye Vody fu il primo di una lunga serie di attentati terroristici che sarebbero culminati con le infami stragi di Beslan e del Teatro Dubrovka, rendendo Basayev un vero e proprio “principe del terrore”.