We are pleased to announce that the English version of the book is now available on Amazon. “Freedom or Death – History of the Chechen Republic of Ichkeria!” is available in both print and e-book format.
For this second edition we have decided, given the length of the work, to organize its publication in five volumes: today we present the first, “From Revolution to War (1991 – 1994)”.
The volume consist in 400 pages, and contains a complete reviewof the events that occurred in Chechnya from the birth of the Chechen National Congress to the First Chechen War.
Questo documentario di propaganda è uno dei pochi documenti sulla vita di Khattab del quale esista una traduzione in inglese. Si tratta di un lungometraggio nel quale sono disponibili molte scene riguardanti la sua storia personale, militare e terroristica durante il suo “periodo ceceno”.
La seconda parte del video è disponibile al seguente indirizzo:
l-Suwaylim: “Memories of Amir Khattab: The Experience of the Arab Ansar in Cecenia, Afghanistan e Tagikistan”. Dai più conosciuto come Emir Al Khattab, è stato il più celebre “Comandante di Campo” della guerriglia cecena, mettendo in atto alcune delle più audaci azioni di guerra contro l’esercito russo, e rendendosi parimenti responsabile di alcuni tra i più odiosi atti terroristici che abbiano macchiato il suolo del Caucaso. Fervente islamista, fu tra i promotori della “svolta fondamentalista” della resistenza cecena, preparando centinaia di giovani combattenti al “martirio” e costituendo l’organizzazione alla base dell’autoproclamato “Emirato Islamico”. In questa sede pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista. Chiariamo subito che il nostro intento non è quello di glorificare una figura di Al Khattab, di giustificarne le azioni o di supportare il radicalismo islamico (come specificato nella sezione “Mission” di questo blog). Nel nostro trattare l’argomento della Repubblica Cecena di Ichkeria non possiamo ignorare la voce di questa parte della “resistenza” che fu così fondamentale per l’evoluzione confessionale della ChRI. Per questo, e per nessun altro motivo, riportiamo alcuni stralci del libro di Ibn Al Khattab. In appendice il racconto della sua morte nelle parole di uno dei suoi più leali Mijahideen, Abu Al – Walid.
LA SECONDA JIHAD
Le operazioni militari sono di nuovo iniziate in Cecenia, ed abbiamo iniziato per prepararci a difendere la regione settentrionale di Shelkovsky, le colline a Nord di Grozny ed il Distretto di Urus – Martan. Su questi fronti si trovavano i nostri fratelli Ramzan Tsakaev, Ramzan Akhmadov e Yakub Al -Hamidi. Sul fronte occidentale c’era il nostro fratello Abu Al Walid, che si trovava ad Argun insieme ad altri gruppi, a Grozny c’erano i fratelli Abu Zarr “Herat” e “Bagram” Ismail, che Allah abbia pietà di lui. E nostro fratelloa Abu Jafaar a Serzhen Yurt. Le operazioni iniziarono. […]
[Dopo l’assedio di Grozny, ndr] Molte sono state le difficoltà a Shatoi, una delle regioni più importanti della Cecenia dal punto di vista militare. Questa è una zona montuosa e una volta che hai preso il controllo delle strade e delle alture, è finita. Ma faceva molto freddo, e nevicava. I Muhajideen erano esausti e malati ed era difficile radunare le persone e prepararsi. Abbiamo tenuto uno shura [consiglio, ndr] al quale hanno partecipato Gelayev, Shamil [Basayev] Arbi [Baraev] e Ramzan [Akhmadov]. Abbiamo detto loro di prendere il controllo delle montagne prima che i russi vi atterrassero. Loro risposero: “Abbiamo bisogno di una settimana per riposare”. Così i russi atterrarono. Il primo gruppo sbarcò in un’area circoscritta e gradualmente iniziò ad occupare il territorio circostante. Dopo che presero le alture divenne difficile rimanere in quella zona. […]
Da sinistra a destra: Abu Al – Walid, Shamil Basayev, Ibn Al – Khattab e Ramzan Akhmadov
L’ASSEDIO DI GROZNY
L’uscita daGrozny fu molto difficile, poiché il numero dei Mujahideen era di oltre 3000 persone e l’errore più grande in questo case fu che tutti igruppi iniziarono a partire contemporaneamente. Così facendo fecero capire ai russi che stavano lasciando la città, e questi iniziarono a minare l’area. La sortita fu guidata da Shamil [Basayev] e Arbi [Baraev], i quali posizionarono gruppi di sicurezza nelle zone di raccolta dei MIjahideen. Tuttavia tali gruppi attirarono l’attenzione dei russi i quali, dopo essersi conto di cosa stava succedendo, li minarono ed iniziarono ad aspettare. Quando i Mujahideen iniziarono ad andarsene, molti furono fatti saltare in aria dalle mine, tra i quali Shamil, il suo vice Khunkharpasha, così come il comandante in capo di Grozny Aslambek [Ismailov, ndr.] il quale fu ucciso da un colpo di mortaio. […] Fu preso chiaro che il terreno era disseminato di mine a pressione. I feriti furono raccolti e, nonostante le ferite, continuarono a camminare.
Shamil chiese 20/30 volontari per attraversare il campo minato e liberare il sentiero. Tutti tacevano e nessuno si offrì volontario. Allora disse: “Andrò io”. Dopo essere saltato su una mina richiamò la gente all’ordine. Gli andò dietro uno dei parenti di Dzhokhar Dudaev, di nome Lechi [Lechi Dudaev, sindaco di Grozny allo scoppio della Seconda Guerra, ndr.] il quale fu ucciso da una mina, dopodiché fu la volta di Khunkarpasha. Costoro spianarono la strada ai Mujahideen i quali, lasciando Grozny, entrarono nel villaggio di Ermolovka. I russi bombardarono il villaggio con l’artiglieria. Poi entrarono in un altro villaggio, poi in un terzo, e così via fino a raggiungere le montagne. Ricevemmo la notizia che c’erano morti e feriti tra gli emiri e ci fu richiesto di inviare trattori e camion per aiutarli. Lo spirito del Mujahideen tornò alto quando seppero che Khattab stava inviando loro 40 camion e trattori, con provviste e cibo. Molti di loro, felicissimi per la notizia, dissero che avrebbero continuato a camminare finchè non ci avessero trovati. […] Quando ho visto Shamil ferito sono scoppiato in lacrime, ma lui al contrario era di buon umore e, ridendo, ha detto: “I russi mi hanno fatto un regalo! Ora, se dovrò attraversare un campo minato, sarà molto più facile per me!” […].
LA GOLA DI ARGUN
Dopo che i russi presero il controllo delle zone montuose, incontrai ifratelli e dissi loro: “Se non usciamo da questa cona i russi inizieranno a restringere l’accerchiamento, e la situazione non farà che peggiorare”. I nemici di alla cominciavano a dire “La finiremo con loro entro una settimana, e mostreremo i corpi dei mercenari”, facendo l’elenco dei vari comandanti. […] Descrivevano la situazione come se avessero già finito con noi.
Uscimmo da Shatoi con grande difficoltà. […] Uscimmo di notte, scalammo un’alta montagna per poi scendere in una profonda gola. […] Pensavo che nella colonna ci sarebbero state dalle 500 alle 700 persone, ma si scoprì presto che c’erano ben 1250 Mujahideen con noi. Fu molto difficile organizzare i gruppi. Nominammo un Emiro pe ogni gruppo, ma non li conoscevamo bene tutti. […] Quando iniziò la sortita notai che la colonna era come un alveare: conversazioni, urla, ecc. Iniziai a mettere ordine nei gruppi, comunicando con gli emiri. Dissi loro: “Non accendete fuochi. I russi sono ovunque, se scoprono la nostra posizione bruceranno la terra qui.” Alcuni sentirono il mio ordine, altri no. Ma faceva molto freddo, era impossibile dormire la notte e durante il giorno non potevamo, perché dovevamo andare avanti. Rimanemmo affamati, infreddoliti e fradici per 4/5 giorni senza sosta. Non potevamo toglierci le scarpe ed i nostri piedi erano bianchi perché il sangue aveva smesso di scorrere dentro di essi. Faceva un freddo insopportabile e un giovane cominciò ad accendere un fuoco. […].
Ibn Al – Khattab nella foresta
I fratelli iniziarono ad ammalarsi, sopraggiunse la diarrea, la loro pelledivenne pallida per il freddo e la fame e le loro labbra si screpolarono. Iniziammo a cercare una via d’uscita ma i russi erano su ogni collina, con le loro migliori forze le “forze speciali”. Annunciarono di essere pronti a schiacciare i criminali terroristi. Erano molto ben preparati a questo. Avevano vestiti, tende, stufe, come se fossero in un albergo a cinque stelle. Avevano tutto, mentre noi giravamo di foresta in foresta. Radunai i combattenti nella gola e dissi loro di appiccare un fuoco. Nelle vicinanze c’era un villaggio in rovina abbandonato dagli abitanti. Alcuni Miujahideen vi entrarono e iniziarono a mangiare ciò che c’era rimasto: polli, mucche, senza lasciare nulla indietro. I russi bruciavano villaggi e uccidevano persone ogni giorno, saccheggiavano villaggi, penetrandovi a notte fonda. Li inseguimmo, e prendemmo solo ciò di cui avevamo bisogno, dicendo: “Inshallah, poi restituiremo tutto”. […].
LA SORTITA
Abbiamo iniziato ad uscire dalla gola. Sono passati 18 giorni e solo Allah sa in quale stato ci trovassimo. […] Allah ha ordinato di attaccare i russi al mattino. Li abbiamo attaccati da 15 metri e i russi avevano paura di sporgere la testa. I Mujahideen uccisero più di cinquanta infedeli. Distruggemmo due gruppi d’assalto, mentre il governo russo annunciava che i leader dei Mujahideen erano stati uccisi. Siamo andati avanti. […] Dopo aver ucciso tutti i russi in questa battaglia, questi iniziarono a bombardarci intensamente ed a spararci contro con l’artiglieria, e molti fratelli furono uccisi. Ci dividemmo in grandi gruppi. […] Il bombardamento era sempre più intenso, cercai di incontrare Shamil, ma non riuscii a farlo, la maggior parte degli emiri erano feriti o esausti. Ci siamo resi conto che la situazione era fuori controllo e che gli uomini, che pure continuavano a muoversi, lo stavano facendo di propria iniziativa, a caso.
[Dopo aver individuato un sentiero libero dai russi e dalle mine] Hoinformato subito mio fratello Shamil [Basayev] e subito ci siamo incamminati su quel sentiero. […] Continuammo a camminare fino a mezzanotte lungo la stessa strada che avevamo preso prima. La strada era piena di Mijahideen. […] Per Allah, donne e bambini hanno pianto quando hanno visto lo stato dei Mujahideen. Molti non potevano camminare e venivano trasportati. Ricordo come i fratelli portavano lo sceicco Abu Umar sulle spalle. Altri erano molto malati. Avevano le gambe rotte, molti di loro avevano perduto le scarpe, essendo rimasti bloccati nel fango, e camminavano a piedi nudi sul ghiaccio. I loro piedi erano così gonfi che non erano in grado di indossare scarpe nuove.
Khattab a cavallo
APPENDICE – LA MORTE DI KHATTAB
Le memorie di Ibn Al – Khattab non raccontano soltanto gli eventi da lui vissuti, ma contengono anche una serie di “consigli” e indicazioni sia di natura religiosa che militare, che in questa sede evitiamo di trascrivere (nella sezione BIBLIOGRAFIA è comunque presente il link al documento completo in lingua russa).
Nel Marzo 2002 Khattab fu raggiunto da una lettera avvelenata, spirando nel giro di poche ore. Il resoconto del suo omicidio è reso da uno dei suoi più fedeli segueci, Abu Al Walid Al – Hamidi (conosciuto ai più semplicemente come Abu Al Walid):
“I nemici di Allah stavano pianificando questa vile operazione da un anno, e loro stessi lo hanno ammesso. Sono convinto che sia così, perché uno degli accusati dell’omicidio di Khattab lavorava con lui da un anno, e molti fratelli avevano avvertito l’Emiro che questi lavorava per i servizi speciali. […] Khattab si comportava con molta attenzione, li incontrava raramente e lontano dalle basi. Sembravano necessari per il trasporto di materiali poiché, nonostante la presenza di persone più affidabili che portavano la posta all’estero, questi due erano i più veloci e coraggiosi. La situazione rimase così per diversi mesi, fecero un buon lavoro e conoscevano tutte le rotte che usavamo per spedire cose all’estero. […] Questi due portavano denaro, lettere, apparecchi radio dai paesi vicini e quando venne il momento, prepararono del veleno e lo misero in una delle lettere dei fratelli arabi. […] Portarono queste lettere con alcune cose e, consegnandole alle guardie di Khattab, dissero che tra queste cose c’erano lettere molto importanti, che avrebbero dovuto essere consegnate a Khattab il prima possibile. Naturalmente questi fratelli, rischiando la propria vita, furono immediatamente mandati a consegnare le lettere, e caddero in un’imboscata, dove uno di loro fu ucciso. Gettando tutte le loro cose, presero solo una borsa con le lettere pensando che ci fosse qualcosa di molto importante dentro, non immaginando che là dentro ci fosse il destino del loro comandante e amato amico. Sono arrivati da Khattab, e come al solito egli iniziò a sfogliare le lettere, così fu il primo a prendere la lettera scritta in arabo. […].
Il cadavere di Khattab subito dopo l’avvelenamento
Dopo alcuni minuti si sentì stordito, la sua vista si offuscò. Dal momento che stava digiunando pensò che ciò fosse causato dal digiuno, così si sdraiò per un po’. Dopo qualche minuto tornò a leggere la lettera, ma non riusciva a leggerne il testo e così, sentendosi molto stanco, andò a letto e dormì fino all’alba. Dopo la preghiera, cominciò a sentire la mancanza d’aria e una nebbia negli occhi. Disse a coloro che erano con lui di raccogliere rapidamente le cose nel caso avessero dovuto andarsene rapidamente. […] Quando arrivò il momento di pregare non riuscì a condurre la preghiera. Dopo di chè il dolore si intensificò […]. Poi tacque e svenne. […] Quando il dottore arrivò, dopo un lungo e pericoloso viaggio, ed ebbe esaminato Khattab versando sudore, si rese conto che si trattava di sintomi da avvelenamento. Chiese ai fratelli cosa avesse mangiato, loro risposero che mangiavano tutti dallo stesso piatto, e che bevevano dallo stesso recipiente, e che non mangiava né beveva separatamente da molto tempo. Ma si ricordarono della lettera. Il medico, dopo averla esaminata, confermò che era avvelenata e disse a tutti coloro che l’avevano avuta tra le mani di lavarsi accuratamente. […] La mattina dopo lo seppellirono in un luogo sicuro e giurarono di non dire a nessuno della sua morte e del suo luogo di sepoltura finchè non lo avessi saputo.
Shamil Basayev è noto in tutto il mondo per aver pianificato o fiancheggiato la realizzazione di drammatici sequestri, come quello dell’ospedale di Budennovsk nel 1995 o quello della scuola di Beslan nel 2004. Tuttavia la lunga lista di operazioni terroristiche da questi ordite o messe in atto ebbe origine molti anni prima dei suoi più tristemente noti colpi di mano, e precisamente il 9 Novembre 1991.
La cosiddetta “Rivoluzione Cecena” era appena scoppiata, il 27 Ottobre si erano svolte le elezioni popolari ed il Generale Dzhokhar Dudaev era stato eletto Presidente della Repubblica indipendente. Eltsin era intenzionato a porre fine quanto prima a questa situazione, ed il 7 Novembre aveva decretato lo Stato di Emergenza, mobilitando le unità del Ministero dell’Interno e predisponendo un piano per soffocare l’insurrezione dei ceceni. Mentre la popolazione si radunava in massa nelle piazze di Grozny e Dudaev arringava le folle, esortando i suoi concittadini ad armarsi per difendere l’indipendenza, un piccolo drappello di volontari costituì il primo nucleo combattente della repubblica, la Guardia Nazionale. Tra questi c’era Shamil Basayev, appena rientrato da Mosca (dove aveva preso parte alla difesa della Casa Bianca) e pronto ad entrare in azione.
(di sopra le foto di Basayev, Chachayev e Satuyev (quest’ultima successiva agli eventi)
Mentre i ceceni si mobilitavano, a Mosca la “questione cecena” sollevava un gran polverone politico, perché a fronte della volontà di Eltsin di intervenire subito e porre fine alla secessione, numerosi esponenti del governo e lo stesso Presidente Gorbachev si schieravano contro un’azione di forza dell’esercito. La situazione era estremamente tesa, il rischio di una guerra era sempre più concreto, ed in questa circostanza i secessionisti tentarono di giocarsi tutte le carte a loro disposizione: Dudaev cercava di saldare il fronte interno mobilitando le piazze, il Presidente del neoeletto Parlamento, Hussein Akhmadov, tentava di trovare sponde tra i politici russi. Basayev decise di giocare un ruolo meno politico e più congeniale al suo carattere. Fu in questo contesto che egli decise di mettere a segno il sequestro di un aereo civile.
SEQUESTRO MEDIATICO
L’idea non era né originale né inedita: tra il 1990 ed il Novembre 1991 in Russia erano stati tentati ben 45 dirottamenti, alcuni dei quali riusciti. Il primo sequestro a sfondo politico si era svolto il 18 Aprile 1990, quando un cittadino russo aveva preso il controllo di un aereo civile Tu – 134 in volo da Mosca a Leningrado, sequestrando 76 passeggeri e l’equipaggio e costringendo il pilota ad atterrare a Vilnius, dove intendeva “attirare l’attenzione della comunità mondiale sugli eventi politici in Lituania”. Il 7 Giugno successivo si era avuto il primo dirottamento ad opera di ceceni: un passeggero a bordo di un Tu – 154 dell’Aeroflot (la compagnia di bandiera sovietica) aveva minacciato di farsi esplodere se il jet non avesse abbandonato la rotta per Mosca e non si fosse diretto in Turchia. Giunto a destinazione era stato eliminato dalle forze speciali. Nei mesi seguenti molti cittadini dell’Unione Sovietica avevano portato a termine con successo parecchi dirottamenti a scopo politico, dirigendo gli aerei verso i paesi scandinavi con l’obiettivo di ottenere asilo contro il regime totalitario dell’URSS. Il fenomeno aveva assunto tali proporzioni che un giornalista svedese, commentando gli eventi, era giunto a scrivere: “Gli aerei sovietici, sotto la minaccia di dirottatori iniziano a riversarsi come grandine dal cielo negli aereoporti dei paesi vicini […]”. Man mano che l’impero sovietico collassava era sempre più chiaro che il dirottamento di aerei civili come strumento di pressione politica era diventato non soltanto piuttosto facile, ma anche efficace.
Il velivolo dell’aeroflot sequestrato da Basayev, Satuyev e Chachayev ad Ankara
Abbiamo detto che l’idea di mettere a segno un sequestro eclatante fu di Basayev. In realtà egli non fu che uno dei tre componenti del commando che lo portarono a termine: il regista dell’operazione fu Said – Ali Satuyev, ex pilota civile e ardente sostenitore dell’indipendenza cecena. Ai due si unì Lom Alì Chachayev, un altro giovane ribelle che avrebbe accompagnato Basayev a Budennovsk nel 1995 e sarebbe morto durante le Prima Guerra Cecena. Il 9 Novembre, mentre Dudaev prestava giuramento come Presidente della Repubblica e proclamava la mobilitazione generale, i tre uomini salirono su un Tu – 154 in partenza da Mineralnye Vody e diretto ad Ekaterinburg. I precedenti sequestri avevano visto i terroristi sistemarsi con calma e compostezza nei posti assegnati e poi comunicare con il comandante dell’aereo tramite “pizzini” lasciati alle hostess, in modo che nel velivolo non si scatenasse il panico e che la maggior parte dei civili non si rendesse neanche conto di essere stata sequestrata. Basayev, Satuyev e Chachayev decisero invece di dare un taglio drammatico alla loro azione: penetrarono nel velivolo armi in pugno e costrinsero l’equipaggio a decollare direttamente verso Ankara, cercando di generare quanto più clamore possibile. D’altra parte l’obiettivo era quello di farsi notare.
UN DRAMMATICO SUCCESSO
Uvolta giunti ad Ankara Basayev pretese un salvacondotto per Grozny e la possibilità di tenere una conferenza stampa internazionale, in cambio del rilascio di tutti gli ostaggi. Durante la conferenza stampa affermò di aver dirottato l’aereo in segno di protesta contro lo Stato di Emergenza in Cecenia – Inguscezia introdotto da Eltsin, e di voler “attirare l’attenzione della comunità mondiale sulle azioni imperialiste della Russia” contro la sua piccola patria. Dopo la conferenza stampa i dirottatori risalirono sull’aereo e fecero rotta verso Grozny insieme agli ostaggi. I giornali di tutto il mondo parlarono ampiamente del sequestro, e per la prima volta la Cecenia giunse sulle prime pagine dei principali quoditiani. Il mondo occidentale conobbe per la prima volta quel piccolo angolo di pianeta, quella periferia dell’impero sovietico del quale quasi tutti ignoravano l’esistenza.
(di seguito uno slideshow con le pagine dei giornali occidentali riportanti la notizia del sequestro e presentando gli eventi in corso in Cecenia)
Una volta al sicuro Basayev fece evacuare gli ostaggi su di un altro aereo di linea, diretto (per davvero) ad Ekaterinburg. I ceceni gli tributarono i favori di un eroe. Nel frattempo a Mosca il decreto di Eltsin sull’introduzione dello Stato di Emergenza era saltato: Gorbachev si era rifiutato di autorizzare l’intervento dell’esercito, molti esponenti dello stesso governo si erano opposti all’intervento, ed il mondo iniziava a guardare con apprensione verso il nuovo Presidente della Russia, sperando di non trovare un nuovo Stalin. Eltsin non poteva permettersi un bagno di sangue, e dovette temporaneamente congelare la questione cecena, tornando ad occuparsi dello smantellamento dell’URSS, ormai inevitabile.
Il gesto di Basayev, per quanto pericoloso e moralmente infame, aveva attirato l’attenzione della stampa mondiale sul “problema ceceno” ed aveva certamente contribuito ad ammorbidire la posizione di Eltsin (peraltro già in difficoltà per molte altre ragioni delle quali non parleremo in questo articolo), il quale accondiscese a ritirare lo Stato di Emergenza. Al ritorno dalla sua “Impresa” Basayev fu accolto da un bagno di folla, ed iniziò a salire l’olimpo del separatismo ceceno. Ma soprattutto imparò che per coinvolgere il mondo nella battaglia per l’indipendenza era necessario mettere a segno colpi eclatanti. Incruenti, se possibile, ma senza preoccuparsi troppo riguardo la sorte dei civili. Il sequestro di Mineralnye Vody fu il primo di una lunga serie di attentati terroristici che sarebbero culminati con le infami stragi di Beslan e del Teatro Dubrovka, rendendo Basayev un vero e proprio “principe del terrore”.