Archivi tag: Shatoi

IBN AL – KHATTAB: MEMORIE DI UN TERRORISTA (PARTE 3)

l-Suwaylim: “Memories of Amir Khattab: The Experience of the Arab Ansar in Cecenia, Afghanistan e Tagikistan”. Dai più conosciuto come Emir Al Khattab, è stato il più celebre “Comandante di Campo” della guerriglia cecena, mettendo in atto alcune delle più audaci azioni di guerra contro l’esercito russo, e rendendosi parimenti responsabile di alcuni tra i più odiosi atti terroristici che abbiano macchiato il suolo del Caucaso. Fervente islamista, fu tra i promotori della “svolta fondamentalista” della resistenza cecena, preparando centinaia di giovani combattenti al “martirio” e costituendo l’organizzazione alla base dell’autoproclamato “Emirato Islamico”. In questa sede pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista. Chiariamo subito che il nostro intento non è quello di glorificare una figura di Al Khattab, di giustificarne le azioni o di supportare il radicalismo islamico (come specificato nella sezione “Mission” di questo blog). Nel nostro trattare l’argomento della Repubblica Cecena di Ichkeria non possiamo ignorare la voce di questa parte della “resistenza” che fu così fondamentale per l’evoluzione confessionale della ChRI. Per questo, e per nessun altro motivo, riportiamo alcuni stralci del libro di Ibn Al Khattab. In appendice il racconto della sua morte nelle parole di uno dei suoi più leali Mijahideen, Abu Al – Walid.

LA SECONDA JIHAD

Le operazioni militari sono di nuovo iniziate in Cecenia, ed abbiamo iniziato per prepararci a difendere la regione settentrionale di Shelkovsky, le colline a Nord di Grozny ed il Distretto di Urus – Martan. Su questi fronti si trovavano i nostri fratelli Ramzan Tsakaev, Ramzan Akhmadov e Yakub Al -Hamidi. Sul fronte occidentale c’era il nostro fratello Abu Al Walid, che si trovava ad Argun insieme ad altri gruppi, a Grozny c’erano i fratelli Abu Zarr “Herat” e “Bagram” Ismail, che Allah abbia pietà di lui. E nostro fratelloa Abu Jafaar a Serzhen Yurt. Le operazioni iniziarono. […]

[Dopo l’assedio di Grozny, ndr] Molte sono state le difficoltà a Shatoi, una delle regioni più importanti della Cecenia dal punto di vista militare. Questa è una zona montuosa e una volta che hai preso il controllo delle strade e delle alture, è finita. Ma faceva molto freddo, e nevicava. I Muhajideen erano esausti e malati ed era difficile radunare le persone e prepararsi. Abbiamo tenuto uno shura [consiglio, ndr] al quale hanno partecipato Gelayev, Shamil [Basayev] Arbi [Baraev] e Ramzan [Akhmadov]. Abbiamo detto loro di prendere il controllo delle montagne prima che i russi vi atterrassero. Loro risposero: “Abbiamo bisogno di una settimana per riposare”. Così i russi atterrarono. Il primo gruppo sbarcò in un’area circoscritta e gradualmente iniziò ad occupare il territorio circostante. Dopo che presero le alture divenne difficile rimanere in quella zona. […]

Da sinistra a destra: Abu Al – Walid, Shamil Basayev, Ibn Al – Khattab e Ramzan Akhmadov

L’ASSEDIO DI GROZNY

Luscita da Grozny fu molto difficile, poiché il numero dei Mujahideen era di oltre 3000 persone e l’errore più grande in questo case fu che tutti i gruppi iniziarono a partire contemporaneamente. Così facendo fecero capire ai russi che stavano lasciando la città, e questi iniziarono a minare l’area. La sortita fu guidata da Shamil [Basayev] e Arbi [Baraev], i quali posizionarono gruppi di sicurezza nelle zone di raccolta dei MIjahideen. Tuttavia tali gruppi attirarono l’attenzione dei russi i quali, dopo essersi conto di cosa stava succedendo, li minarono ed iniziarono ad aspettare. Quando i Mujahideen iniziarono ad andarsene, molti furono fatti saltare in aria dalle mine, tra i quali Shamil, il suo vice Khunkharpasha, così come il comandante in capo di Grozny Aslambek [Ismailov, ndr.] il quale fu ucciso da un colpo di mortaio. […] Fu preso chiaro che il terreno era disseminato di mine a pressione. I feriti furono raccolti e, nonostante le ferite, continuarono a camminare.

Shamil chiese 20/30 volontari per attraversare il campo minato e liberare il sentiero. Tutti tacevano e nessuno si offrì volontario. Allora disse: “Andrò io”. Dopo essere saltato su una mina richiamò la gente all’ordine. Gli andò dietro uno dei parenti di Dzhokhar Dudaev, di nome Lechi [Lechi Dudaev, sindaco di Grozny allo scoppio della Seconda Guerra, ndr.] il quale fu ucciso da una mina, dopodiché fu la volta di Khunkarpasha. Costoro spianarono la strada ai Mujahideen i quali, lasciando Grozny, entrarono nel villaggio di Ermolovka. I russi bombardarono il villaggio con l’artiglieria. Poi entrarono in un altro villaggio, poi in un terzo, e così via fino a raggiungere le montagne. Ricevemmo la notizia che c’erano morti e feriti tra gli emiri e ci fu richiesto di inviare trattori e camion per aiutarli. Lo spirito del Mujahideen tornò alto quando seppero che Khattab stava inviando loro 40 camion e trattori, con provviste e cibo. Molti di loro, felicissimi per la notizia, dissero che avrebbero continuato a camminare finchè non ci avessero trovati. […] Quando ho visto Shamil ferito sono scoppiato in lacrime, ma lui al contrario era di buon umore e, ridendo, ha detto: “I russi mi hanno fatto un regalo! Ora, se dovrò attraversare un campo minato, sarà molto più facile per me!” […].

LA GOLA DI ARGUN

Dopo che i russi presero il controllo delle zone montuose, incontrai i fratelli e dissi loro: “Se non usciamo da questa cona i russi inizieranno a restringere l’accerchiamento, e la situazione non farà che peggiorare”. I nemici di alla cominciavano a dire “La finiremo con loro entro una settimana, e mostreremo i corpi dei mercenari”, facendo l’elenco dei vari comandanti. […] Descrivevano la situazione come se avessero già finito con noi.

Uscimmo da Shatoi con grande difficoltà. […] Uscimmo di notte, scalammo un’alta montagna per poi scendere in una profonda gola. […] Pensavo che nella colonna ci sarebbero state dalle 500 alle 700 persone, ma si scoprì presto che c’erano ben 1250 Mujahideen con noi. Fu molto difficile organizzare i gruppi. Nominammo un Emiro pe ogni gruppo, ma non li conoscevamo bene tutti. […] Quando iniziò la sortita notai che la colonna era come un alveare: conversazioni, urla, ecc. Iniziai a mettere ordine nei gruppi, comunicando con gli emiri. Dissi loro: “Non accendete fuochi. I russi sono ovunque, se scoprono la nostra posizione bruceranno la terra qui.” Alcuni sentirono il mio ordine, altri no. Ma faceva molto freddo, era impossibile dormire la notte e durante il giorno non potevamo, perché dovevamo andare avanti. Rimanemmo affamati, infreddoliti e fradici per 4/5 giorni senza sosta. Non potevamo toglierci le scarpe ed i nostri piedi erano bianchi perché il sangue aveva smesso di scorrere dentro di essi. Faceva un freddo insopportabile e un giovane cominciò ad accendere un fuoco. […].

Ibn Al – Khattab nella foresta

I fratelli iniziarono ad ammalarsi, sopraggiunse la diarrea, la loro pelle divenne pallida per il freddo e la fame e le loro labbra si screpolarono. Iniziammo a cercare una via d’uscita ma i russi erano su ogni collina, con le loro migliori forze le “forze speciali”. Annunciarono di essere pronti a schiacciare i criminali terroristi. Erano molto ben preparati a questo. Avevano vestiti, tende, stufe, come se fossero in un albergo a cinque stelle. Avevano tutto, mentre noi giravamo di foresta in foresta. Radunai i combattenti nella gola e dissi loro di appiccare un fuoco. Nelle vicinanze c’era un villaggio in rovina abbandonato dagli abitanti. Alcuni Miujahideen vi entrarono e iniziarono a mangiare ciò che c’era rimasto: polli, mucche, senza lasciare nulla indietro. I russi bruciavano villaggi e uccidevano persone ogni giorno, saccheggiavano villaggi, penetrandovi a notte fonda. Li inseguimmo, e prendemmo solo ciò di cui avevamo bisogno, dicendo: “Inshallah, poi restituiremo tutto”.  […].

LA SORTITA

Abbiamo iniziato ad uscire dalla gola. Sono passati 18 giorni e solo Allah sa in quale stato ci trovassimo. […] Allah ha ordinato di attaccare i russi al mattino. Li abbiamo attaccati da 15 metri e i russi avevano paura di sporgere la testa. I Mujahideen uccisero più di cinquanta infedeli. Distruggemmo due gruppi d’assalto, mentre il governo russo annunciava che i leader dei Mujahideen erano stati uccisi. Siamo andati avanti. […] Dopo aver ucciso tutti i russi in questa battaglia, questi iniziarono a bombardarci intensamente ed a spararci contro con l’artiglieria, e molti fratelli furono uccisi. Ci dividemmo in grandi gruppi. […] Il bombardamento era sempre più intenso, cercai di incontrare Shamil, ma non riuscii a farlo, la maggior parte degli emiri erano feriti o esausti. Ci siamo resi conto che la situazione era fuori controllo e che gli uomini, che pure continuavano a muoversi, lo stavano facendo di propria iniziativa, a caso. 

[Dopo aver individuato un sentiero libero dai russi e dalle mine] Ho informato subito mio fratello Shamil [Basayev] e subito ci siamo incamminati su quel sentiero. […] Continuammo a camminare fino a mezzanotte lungo la stessa strada che avevamo preso prima. La strada era piena di Mijahideen. […] Per Allah, donne e bambini hanno pianto quando hanno visto lo stato dei Mujahideen. Molti non potevano camminare e venivano trasportati. Ricordo come i fratelli portavano lo sceicco Abu Umar sulle spalle. Altri erano molto malati. Avevano le gambe rotte, molti di loro avevano perduto le scarpe, essendo rimasti bloccati nel fango, e camminavano a piedi nudi sul ghiaccio. I loro piedi erano così gonfi che non erano in grado di indossare scarpe nuove.

Khattab a cavallo

APPENDICE – LA MORTE DI KHATTAB

Le memorie di Ibn Al – Khattab non raccontano soltanto gli eventi da lui vissuti, ma contengono anche una serie di “consigli” e indicazioni sia di natura religiosa che militare, che in questa sede evitiamo di trascrivere (nella sezione BIBLIOGRAFIA è comunque presente il link al documento completo in lingua russa).

Nel Marzo 2002 Khattab fu raggiunto da una lettera avvelenata, spirando nel giro di poche ore. Il resoconto del suo omicidio è reso da uno dei suoi più fedeli segueci, Abu Al Walid Al – Hamidi (conosciuto ai più semplicemente come Abu Al Walid):

“I nemici di Allah stavano pianificando questa vile operazione da un anno, e loro stessi lo hanno ammesso. Sono convinto che sia così, perché uno degli accusati dell’omicidio di Khattab lavorava con lui da un anno, e molti fratelli avevano avvertito l’Emiro che questi lavorava per i servizi speciali. […] Khattab si comportava con molta attenzione, li incontrava raramente e lontano dalle basi. Sembravano necessari per il trasporto di materiali poiché, nonostante la presenza di persone più affidabili che portavano la posta all’estero,  questi due erano i più veloci e coraggiosi. La situazione rimase così per diversi mesi, fecero un buon lavoro e conoscevano tutte le rotte che usavamo per spedire cose all’estero. […] Questi due portavano denaro, lettere, apparecchi radio dai paesi vicini e quando venne il momento, prepararono del veleno e lo misero in una delle lettere dei fratelli arabi. […] Portarono queste lettere con alcune cose e, consegnandole alle guardie di Khattab, dissero che tra queste cose c’erano lettere molto importanti, che avrebbero dovuto essere consegnate a Khattab il prima possibile. Naturalmente questi fratelli, rischiando la propria vita, furono immediatamente mandati a consegnare le lettere, e caddero in un’imboscata, dove uno di loro fu ucciso. Gettando tutte le loro cose, presero solo una borsa con le lettere pensando che ci fosse qualcosa di molto importante dentro, non immaginando che là dentro ci fosse il destino del loro comandante e amato amico. Sono arrivati da Khattab, e come al solito egli iniziò a sfogliare le lettere, così fu il primo a prendere la lettera scritta in arabo. […].

Il cadavere di Khattab subito dopo l’avvelenamento

Dopo alcuni minuti si sentì stordito, la sua vista si offuscò. Dal momento che stava digiunando pensò che ciò fosse causato dal digiuno, così si sdraiò per un po’. Dopo qualche minuto tornò a leggere la lettera, ma non riusciva a leggerne il testo e così, sentendosi molto stanco, andò a letto e dormì fino all’alba. Dopo la preghiera, cominciò a sentire la mancanza d’aria e una nebbia negli occhi. Disse a coloro che erano con lui di raccogliere rapidamente le cose nel caso avessero dovuto andarsene rapidamente. […] Quando arrivò il momento di pregare non riuscì a condurre la preghiera. Dopo di chè il dolore si intensificò […]. Poi tacque e svenne. […] Quando il dottore arrivò, dopo un lungo e pericoloso viaggio, ed ebbe esaminato Khattab versando sudore, si rese conto che si trattava di sintomi da avvelenamento. Chiese ai fratelli cosa avesse mangiato, loro risposero che mangiavano tutti dallo stesso piatto, e che bevevano dallo stesso recipiente, e che non mangiava né beveva separatamente da molto tempo. Ma si ricordarono della lettera. Il medico, dopo averla esaminata, confermò che era avvelenata e disse a tutti coloro che l’avevano avuta tra le mani di lavarsi accuratamente. […] La mattina dopo lo seppellirono in un luogo sicuro e giurarono di non dire a nessuno della sua morte e del suo luogo di sepoltura finchè non lo avessi saputo.

29/03/2000: L’IMBOSCATA DI DHZANI VEDENO

L’imboscata di Dzhani Vedeno fu uno dei più importanti fatti d’armi della Seconda Guerra Cecena, ed uno degli ultimi ascrivibili alla cosiddetta “fase militare” del conflitto. Il 18 Febbraio di quest’anno i servizi di sicurezza federali hanno arrestato tre ex militanti che allora presero parte all’attacco, il quale costò la vita a 43 militari tra funzionari OMON della polizia e soldati della Divisione Taman, oltre 17 feriti.

PREMESSE

Con la presa di Grozny (1 – 6 Febbraio 2000) e la conquista di Shatoi (22 – 29 febbraio 2000) l’esercito russo aveva costretto le ultime grandi unità dell’esercito separatista a frammentarsi in più tronconi: un piccolo distaccamento si era diretto sulle montagne al seguito di Maskhadov, mentre due grossi gruppi da combattimento di erano diretti ad Ovest (gruppo Gelayev) in direzione di Komsomolskoye (dove avrebbe combattuto l’omonima battaglia tra il 5 ed il 20 Marzo) e ad Est (gruppo Khattab) in direzione di Vedeno. Quest’ultimo si era fatto strada verso il sudest della Cecenia sfondando le linee russe all’altezza di Ulus – Kert, in una battaglia che avrebbe preso il celebre nome di “Battaglia per la Quota 776” (28 Febbraio  – 2 Marzo). Nonostante le grosse perdite subite, il distaccamento di Khattab (del quale facevano parte numerosi foreign fighters caucasici, arabi e centroasiatici) era riuscito a guadagnare la salvezza, potendo così riorganizzarsi e preparare una risposta ai gravi rovesci militari patiti dai separatisti nelle settimane precedenti. L’occasione fu fornita dallo stesso comando federale alla fine di Marzo, quando una colonna di polizia miliare, scortata da tre veicoli blindati al comando di un giovane ed inesperto comandante, il Maggiore Valentin Simonov, fu inviata da Vedeno a portare a termine un’operazione di pattugliamento nel villaggio di Tsentaroy, dove nei giorni precedenti si erano segnalati movimenti sospetti.

La mappa interattiva mostra le prime fasi della Seconda Guerra Cecena, dalla tarda estate del 1999 alla caduta di Grozny

LA COLONNA SI MUOVE

All’alba del 29 Marzo il convoglio, composto da 49 uomini (41 agenti di polizia antisommossa provenienti dai distretti di Perm e Berezniki più 8 militari della Divisione Taman) si mise in viaggio su tre veicoli: un veicolo da trasporto URAL, un camion ZIL – 131 ed un blindato per il trasporto della fanteria, un “iconico” BTR – 80 armato con una mitragliatrice pesante. I tre veicoli erano in quest’ordine di marcia. Giunta all’altezza della fattoria di Dzhani – Vedeno, a circa dodici chilometri dalla cittadina di partenza, il motore della ZIL si surriscaldò, costringendo la colonna a fermarsi. La zona era occupata da uno dei distaccamenti di Khattab, al comando del suo luogotenente Abu Kuteyb (anch’egli arabo, veterano della prima guerra cecena oltre che di molti altri fronti “jihadisti”). Il distaccamento separatista era appostato nei pressi della fattoria ed alcuni miliziani erano sistemati negli edifici del piccolo abitato.

Il reparto federale era composto per lo più da giovanissime reclute, le quali non possedevano l’addestramento necessario ad operare in un simile contesto. In particolare non venne istituito un perimetro di difesa, né, predisposta una formazione a riccio per difendere i veicoli da un’eventuale aggressione. Secondo quanto riportato in seguito sulla stampa, il comando della colonna non conosceva le frequenze radio delle unità aviotrasportate che avrebbero potuto portare un soccorso immediato in caso di attacco, e in ogni caso il convoglio possedeva un solo dispositivo radio, localizzato dentro il BTR, considerato il bersaglio principale di un’ipotetica imboscata. Lo stesso comandante del gruppo, Dmitrevich, si recò presso una abitazione unifamiliare a qualche decina di metri di distanza per chiedere dell’acqua con la quale raffreddare il motore dello ZIL, accompagnato soltanto da un poliziotto OMON munito di telecameraa. L’evento (ed i primi istanti della battaglia) venne filmato da quella telecamera. Il filmato è ancora disponibile QUI.

Elementi del gruppo di unità federali coinvolto nell’imboscata

L’IMBOSCATA

Dentro la casa erano asserragliati alcuni militanti del gruppo di Kuteyb, i quali aprirono immediatamente il fuoco uccidendo Simonov e l’operatore che era con lui. L’improvvida azione del Maggiore lasciò il reparto privo di un comandante fin dai primi attimi della battaglia, rendendo ancora più difficile il cordinamento della risposta federale. Nel giro di pochi secondi i separatisti si abbatterono con la colonna facendo ampio uso di armi leggere e di lanciagranate. I federali non erano neanche scesi dai loro automezzi, segno evidente della scarsa preparazione militare che era stata loro fornita. Rimasti seduti ai loro posti, divennero un facile bersaglio per i miliziani appostati tutt’intorno. Come da tattica ormai rodata, colpi di RPG si abbatterono sul camion URAL in testa alla colonna e sul BTR in coda, paralizzando il convoglio. Il mitragliere del BTR tentò di dare copertura sparando all’impazzata contro la collina che sovrastava la strada, facendo guadagnare ai superstiti qualche secondo utile per scendere dai veicoli e posizionarsi in un perimetro difensivo. Sparò finché un secondo colpo non prese in pieno il veicolo, incendiandolo ed uccidendo lo stesso mitragliere. La distruzione del BTR privò i militari dell’unica stazione radio mobile in grado di trasmettere al Comando.

La colonna si era fermata intorno alle 06:30, e la battaglia iniziò oltre un’ora dopo, ma ci volle fino alle 09:30 perché i comandi federali inviassero i primi soccorsi. Essendo rimasti privi di contatto radio, gli ufficiali del comando non presero contromisure finchè il pilota di un elicottero che sorvolava la zona non comunicò, intorno alle 9:00 di aver individuato uno scontro a fuoco nei dintorni di Dzhani Vedeno. Solo allora si mosse da Vedeno una colonna di soccorso, ma Kuteyb aveva previsto questa eventualità, e dovendo difendere un unico punto di accesso al luogo della battaglia (cioè l’unica strada carrabile che da Vedeno raggiungeva Dzhani Vedeno) gli fu sufficiente inviare un distaccamento poco più avanti e tentare di ripetere l’azione con il secondo gruppo. Poco dopo le 10:00 la colonna di soccorso cadde nell’imboscata preparata da Kuteyb: il veicolo blindato in testa al convoglio fu colpito e incendiato, ed i federali, temendo di finire bloccati come i loro commilitoni più avanti, si decisero ad arretrare. L’azione produsse comunque alcuni risultati positivi per gli uomini di Simonov: avendo infatti dovuto ritirare parte dei suoi uomini per contrastare il secondo gruppo di federali, Kuteyb indebolì l’anello di assedio intorno al primo gruppo, dal quale riuscirono a sganciarsi sei elementi (cinque poliziotti ed un soldato della Taman) i quali tentarono di raggiungere le linee russe, o di portarsi dietro quanti più miliziani possibile nel tentativo di alleggerire la pressione sui loro commilitoni.

Resti dello ZIL – 131 distrutto durante l’attacco

I resti del primo gruppo, ormai isolato, continuarono a combattere per tutto il giorno. L’ultimo messaggio che pervenne via radio fu trasmesso alle 16:45 dal soldato Vasily Konshin, il quale aveva preso il comando del gruppo dopo la morte del Maggiore Simonov. In esso egli raccomandava ai suoi uomini di sparare “a colpo singolo”, segno che le munizioni dovevano essere quasi esaurite. Per quell’ora nessuna unità di soccorso era ancora riuscita a raggiungere il luogo dell’imboscata.

L’ARRIVO DEI SOCCORSI E L’ESECUZIONE DEI PRIGIONIERI

I reparti federali riuscirono ad arrivare al luogo dell’agguato soltanto due giorni dopo, il 31 Marzo 2000. Il luogo della battaglia era ormai deserto, e sulla strada furono rinvenuti i corpi di 31 russi uccisi e di due combattenti di origine araba al seguito di Kuteyb. Tra i cadaveri i soccorritori trovarono un poliziotto gravemente ferito alle gambe ma ancora vivo: si trattava di Alexander Prokopov, miracolosamente scampato alla morte (in seguito avrebbe avuto una gamba amputata) probabilmente creduto morto dai miliziani dopo che, esaurite le munizioni, i superstiti della colonna si arresero loro. Nei giorni successivi Shamil Basayev, comandante separatista di quel fronte, si dichiarò disposto a consegnare i 12 prigionieri che dichiarava di avere in custodia (tra questi c’erano anche almeno 5 dei 6 militari riusciti a sfuggire all’accerchiamento nella tarda mattinata del 29 febbraio) a fronte della consegna di un Colonnello dell’esercito federale, Yuri Budanov, indagato per lo stupro e l’omicidio di una ragazza cecena. Al rifiuto dei comandi di consegnare l’ufficiale, Basayev dichiarò che avrebbe attuato una rappresaglia sui prigionieri i quali, effettivamente furono giustiziati e seppelliti nei pressi di Dargo, dove i loro corpi furono rinvenuti il 1° Aprile successivo. Dalle analisi forensi risultò che i prigionieri avevano molto probabilmente subito gravi percosse, e che furono giustiziati tramite sgozzamento.

Militari russi ispezionano la carcassa del BTR distrutto durante l’agguato

CONSEGUENZE

L’imboscata di Dzhani Vedeno rese chiaro ai comandi federali che le forze separatiste, date ormai per sconfitte, erano ancora in grado di controllare significative zone della Cecenia meridionale, possedevano discrete quantità di armi ed erano in grado di tenere sotto scacco grandi distaccamenti anche sulle principali vie di comunicazione. Nell’Aprile del 2000 l’esercito russo dovette lanciare numerose azioni militari, impiegando centinaia di soldati, artiglieria campale e forze aeree.

Perseverando nella logica di considerare i separatisti alla stregua di banditi, la Federazione Russa aprì un’indagine, considerando la battaglia come un “agguato” alle forze di sicurezza federali. Nel 2001 si aprì un processo nella capitale daghestana di Makhachkala ai danni di 6 imputati tutti daghestani, accusati di aver preso parte all’imboscata. Dalla ricostruzione degli eventi emerse che con molta probabilità Kuteyb non aveva predisposto in anticipo le manovre per l’attacco, e che l’imboscata fu frutto di una serie di particolari circostanze, come la presenza fortuita di alcuni dei suoi reparti nella zona delle operazioni, il guato al motore dello ZIL russo e l’improvvida decisione del comandante del convoglio di procedere con una certa leggerezza alle perlustrazioni in cerca di acqua per il radiatore del veicolo.

per approfondire leggi “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” acquistabile QUI