Questo documentario di propaganda è uno dei pochi documenti sulla vita di Khattab del quale esista una traduzione in inglese. Si tratta di un lungometraggio nel quale sono disponibili molte scene riguardanti la sua storia personale, militare e terroristica durante il suo “periodo ceceno”.
La seconda parte del video è disponibile al seguente indirizzo:
Agli inizi di Gennaio del 2000 le forze federali avevano stretto Grozny sotto assedio. Per quanto i separatisti controllassero ancora la gran parte della città, la chiusura del fronte alle loro spalle aveva interrotto i rifornimenti che dalla gola dell’Argun e dalle altre regioni montuose della Cecenia raggiungevano le retrovie poste nei quartieri meridionali della capitale cecena. Nel tentativo di riaprire un corridoio utile a ripristinare i collegamenti, Maskhadov decise di lanciare una controffensiva in quello che sembrava essere il punto più debole dello schieramento federale: il cosiddetto “Triangolo” costituito dalle cittadine di Shali, Argun e Gudermes. L’azione sarebbe stata portata avanti dai raggruppamenti di Basayev, che avrebbe mosso una sortita da dentro Grozny verso Argun, e da Khattab, che avrebbe mosso dalla gola verso la cittadina. Una volta presa Argun, le forze separatiste avrebbero dovuto procedere verso Gudermes, impegnando i federali per il tempo necessario a far giungere a Grozny i rifornimenti necessari a proseguire l’assedio. Due raggruppamenti minori, guidati da Salambek Arsaev, e Ramzan Akhmadov, avrebbero fiancheggiato le due azioni principali: Arsaev avrebbe dovuto prendere Shali, mentre Akhmadov si sarebbe installato a Mesker – Yurt. In questo modo i due avrebbero presidiato i centri di collegamento tra le posizioni separatiste e la cittadina di Argun, tenendo aperto il corridoio più a lungo possibile. A confortare le speranze di Maskhadov c’era la percezione che l’anello di unità federali disposte a sud di Grozny non fosse così impermeabile: il 3 Gennaio, infatti, il raggruppamento al seguito del comandante di campo Arbi Baraev era riuscito ad eludere l’accerchiamento a Sud – Ovest della città, raggiungendo incolume Alkan – Khala e da qui attraversando il Sunzha fino ad Alkhan – Yurt.
I reparti della ChRI impiegati per l’operazione furono messi in moto nella notte tra il 5 e il 6 Gennaio. Il primo a manovrare fu Akhmadov, al comando di un centinaio di uomini. Dopo essersi raggruppato all’imbocco della Gola di Argun, il suo gruppo si diresse su Mesker -Yurt. Tuttavia, a causa del tempo avverso (nevicava copiosamente) e del fatto che gli uomini si muovessero in piena notte per evitare di essere individuati fece sì che anziché raggiungere l’obiettivo designato, Akhmadov si ritrovò nei dintorni del vicino villaggio di Germenchuk, qualche chilometro più a sud. Presa la strada per raggiungere Mesker – Yurt, lui e i suoi uomini si trovarono alle prime luci dell’alba a metà strada tra i due villaggi, e decisero così di acquartierarsi in un’area industriale semiabbandonata, dove avrebbero potuto attendere nuovamente il calare del buio per rimettersi in viaggio. Qui i militanti furono notati da alcuni civili, i quali presumibilmente allertarono le autorità federali. Pensando che si trattasse di un piccolo gruppo di sequestratori il comando russo inviò un plotone a “ripulire” l’area, ma questo venne ben presto ingaggiato e sopraffatto dagli uomini di Akhmadov. Un piccolo reparto di rinforzo giunto in soccorso fu costretto a ripiegare sotto il tiro dei lanciagranate. Oltre a 3 morti il plotone patì anche la presa di tre prigionieri, due dei quali sarebbero morti in cattività nelle settimane successive. Dopo aver respinto l’avanguardia federale Akhmadov si sbrigò a sloggiare dal suo nascondiglio, prevedendo l’arrivo di forze più consistenti appoggiate da carri armati. Queste effettivamente giunsero sul posto la mattina dopo, solo per constatare che i separatisti avevano già lasciato la posizione per iniziare il raid su Argun. Gli altri raggruppamenti al seguito di Khattab e Arsaev si posizionarono correttamente senza incontrare problemi: alcuni dei militanti giunsero in città nottetempo, altri si mischiarono alla popolazione e presero posizione ad Argun attendendo l’avvio dell’operazione.
Video girato dai separatisti che mostra la situazione appena terminati gli scontri con le avanguardie federali nell’area industriale a nord di Germenchuk
L’ATTACCO
La mattina del 9 Gennaio tutte le unità si attivarono, prendendo rapidamente il controllo di Argun: le unità federali furono assediate nelle loro basi, mentre i separatisti occupavano l’area prospicienti la stazione ferroviaria, il ponte sul fiume Dzalkha, via d’accesso alla città da Est, e la strada di collegamento tra i villaggi di Mesker – Yurt e Tsotsin – Yurt. Gli uomini di Arsaev presero posizione a Shali. Circa 500 uomini armati, sotto l’abile direzione di Maskhadov e guidati sul campo da comandanti esperti, presero di sorpresa la guarnigione federale, anch’essa ammontante a non meno di 500 uomini ma per lo più concentrata nelle basi di acquartieramento. Lo scopo dei separatisti non era quello di annientare il contingente russo, quanto quello di costringerlo ad asserragliarsi sulle sue posizioni in modo da poter aprire la strada ai rifornimenti per la guarnigione di Grozny. Così sia i reparti appostati intorno alla stazione, sia quelli schierati intorno alla base militare di Argun mantennero un costante fuoco intimidatorio che costrinse i difensori a rimanere fermi, mentre le altre unità di Maskhadov prendevano posizione ad aprivano il varco. Le unità che si trovavano a passare nei paraggi finirono sotto i colpi dei lanciagranate. Alcuni reparti isolati tentarono di penetrare in città per dare man forte ai difensori, ma furono anch’essi sommersi dal tiro dei militanti.
Mentre ad Argun si consumavano le prime fasi dell’attacco, negli altri quadranti dell’operazione gli uomini di Maskhadov si preparavano a difendere le posizioni. Gli uomini di Akhmadov, raggiunta Meskher – Yurt, si posizionarono all’altezza del ponte sul fiume Dzhalka, dove intercettarono una colonna federale che si stava avvicinando al villaggio. L’attacco, quasi interamente ripreso dai suoi propagandisti, fu guidato da Khattab in persona: morirono almeno 17 miliari federali, e certamente di più furono i feriti. Non sono note le perdite tra i separatisti, anche se probabilmente non furono ingenti, data la totale impreparazione della colonna russa, la quale non stava muovendo consapevole dell’attacco. Successivamente agli eventi Khattab avrebbe dichiarato l’uccisione di “centinaia” di soldati russi. La realtà è certamente diversa, ma sicuramente l’azione fu un pieno successo dei militanti. Una delle ultime vittorie sul campo prima della caduta di Grozny.
Ricostruzione grafica della Battaglia di Argun. Il rettangolo azzurro in alto a sinistra è la stazione ferroviaria, quello nel centro è il Quartier Generale delle forze federali in città. Le frecce arancioni segnano i punti nei quali i separatisti ingaggiarono i reparti inviati di soccorso, respingendoli.
IL FIASCO DI SHALI
A Shali, nel frattempo gli uomini di Arsaev erano entrati in azione, assediando la piccola guarnigione federale nella sua base. La cittadina era considerata il centro più facile da prendere, sia perchè era il più geograficamente vicino alle posizioni separatiste, sia perchè era il centro meno presidiato tra i tre. Tra i separatisti vi era la convinzione che le poche unità a difesa della base locale si sarebbero facilmente arrese se gli attaccanti avessero mostrato sufficiente forza. Di questo sembrava fermamente convinto Arsaev.
Dopo aver circondato il distaccamento nemico i separatisti inviarono un ultimatum, tramite il Capo di Stato Maggiore del reparto, Abdul Malik Mezhidov, invitando i russi ad arrendersi. Ricevuto un secco rifiuto dai difensori, i militanti rimasero ai margini della base avendo cura che il nemico non tentasse sortite. A poca distanza dalla base Arsaev organizzò una dimostrazione con i suoi uomini, schierandoli in piazza ed accogliendo anche numerosi simpatizzanti civili, volendo così dimostrare sia la fedeltà della popolazione ai separatisti, sia il numero dei suoi uomini, in grado di superare i federali di quattro o cinque volte. Il comandante della guarnigione russa decise allora di tentare una carta poco ortodossa, al limite (anzi, oltre il limite) del concesso. Consapevole di rischiare una strage di civili, chiese il supporto dell’artiglieria missilistica, la quale lanciò con estrema precisione un potente missile Tochka – U , in grado di polverizzare un intero edificio. Il missile centrò in pieno il raduno di Arsaev, provocando la morte di decine di militanti e di altrettanti civili. Non è dato sapere in quanti morirono, ma certamente non è assurda l’ipotesi che a perdere la vita fu almeno un centinaio di persone, in buona parte militanti separatisti. Diverse centinaia furono i feriti, tra i quali sicuramente moltissimi civili.
Arsaev tentò di vendicare l’azione lanciando rabbiosi attacchi contro la base federale, ma l’intervento dell’artiglieria, guidata sul campo dai difensori, impedì che i separatisti facessero progressi e scoraggiò molti di loro, i quali presero a ritirarsi fuori dalla città. I limitati successi ottenuti da Khattab ad Argun furono quindi rapidamente vanificati, ed i separatisti dovettero presto evacuare i loro obiettivi.
Video amatoriale che mostra i resti dei caduti federali durante gli scontri ad Argun
LA RISPOSTA RUSSA E LA FINE DELL’OFFENSIVA
L’avanzata di Basayev, in concomitanza con lo spostamento di unità federali intenti ad avanzare nei quartieri sud – orientali della città, aprì un corridoio che per due giorni permise l’arrivo di rifornimenti alla capitale assediata. Il sopraggiungere delle unità inviate da Mosca a chiudere il passaggio costrinse i reparti della ChRI ad indietreggiare, per poi disperdersi tra le colline e ricongiungersi nella Gola di Argun. Basayev, con i suoi uomini, rientrò in città, dove avrebbe sostenuto l’assedio fino alla fine di Gennaio. Le perdite russe ammontarono a più di ottanta morti e almeno un centinaio di feriti, ma i ceceni lasciarono sul campo almeno il doppio degli uomini, in buona parte combattenti di valore. Sul piano tattico, quindi, l’operazione fu un completo fallimento, e se servì a ritardare di quattro o cinque giorni l’assalto finale russo a Grozny, costò la vita a molti buoni combattenti ed un indurimento delle condizioni dei civili: per ordine del Comandante in Capo Kazantsev da ora in avanti soltanto i maschi al di sotto dei dieci anni o al di sopra dei sessanta sarebbero stati considerati rifugiati, e tutti gli altri avrebbero dovuto essere considerati “sospetti terroristi. D’altra parte l’offensiva ebbe un importante effetto propagandistico: per la prima volta dall’inizio della Seconda Guerra Cecena i separatisti erano tornati a prendere l’iniziativa, occupando due delle principali città del Paese e dimostrando all’opinione pubblica di essere ancora in grado di mettere in crisi la macchina bellica federale.
l-Suwaylim: “Memories of Amir Khattab: The Experience of the Arab Ansar in Cecenia, Afghanistan e Tagikistan”. Dai più conosciuto come Emir Al Khattab, è stato il più celebre “Comandante di Campo” della guerriglia cecena, mettendo in atto alcune delle più audaci azioni di guerra contro l’esercito russo, e rendendosi parimenti responsabile di alcuni tra i più odiosi atti terroristici che abbiano macchiato il suolo del Caucaso. Fervente islamista, fu tra i promotori della “svolta fondamentalista” della resistenza cecena, preparando centinaia di giovani combattenti al “martirio” e costituendo l’organizzazione alla base dell’autoproclamato “Emirato Islamico”. In questa sede pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista. Chiariamo subito che il nostro intento non è quello di glorificare una figura di Al Khattab, di giustificarne le azioni o di supportare il radicalismo islamico (come specificato nella sezione “Mission” di questo blog). Nel nostro trattare l’argomento della Repubblica Cecena di Ichkeria non possiamo ignorare la voce di questa parte della “resistenza” che fu così fondamentale per l’evoluzione confessionale della ChRI. Per questo, e per nessun altro motivo, riportiamo alcuni stralci del libro di Ibn Al Khattab. In appendice il racconto della sua morte nelle parole di uno dei suoi più leali Mijahideen, Abu Al – Walid.
LA SECONDA JIHAD
Le operazioni militari sono di nuovo iniziate in Cecenia, ed abbiamo iniziato per prepararci a difendere la regione settentrionale di Shelkovsky, le colline a Nord di Grozny ed il Distretto di Urus – Martan. Su questi fronti si trovavano i nostri fratelli Ramzan Tsakaev, Ramzan Akhmadov e Yakub Al -Hamidi. Sul fronte occidentale c’era il nostro fratello Abu Al Walid, che si trovava ad Argun insieme ad altri gruppi, a Grozny c’erano i fratelli Abu Zarr “Herat” e “Bagram” Ismail, che Allah abbia pietà di lui. E nostro fratelloa Abu Jafaar a Serzhen Yurt. Le operazioni iniziarono. […]
[Dopo l’assedio di Grozny, ndr] Molte sono state le difficoltà a Shatoi, una delle regioni più importanti della Cecenia dal punto di vista militare. Questa è una zona montuosa e una volta che hai preso il controllo delle strade e delle alture, è finita. Ma faceva molto freddo, e nevicava. I Muhajideen erano esausti e malati ed era difficile radunare le persone e prepararsi. Abbiamo tenuto uno shura [consiglio, ndr] al quale hanno partecipato Gelayev, Shamil [Basayev] Arbi [Baraev] e Ramzan [Akhmadov]. Abbiamo detto loro di prendere il controllo delle montagne prima che i russi vi atterrassero. Loro risposero: “Abbiamo bisogno di una settimana per riposare”. Così i russi atterrarono. Il primo gruppo sbarcò in un’area circoscritta e gradualmente iniziò ad occupare il territorio circostante. Dopo che presero le alture divenne difficile rimanere in quella zona. […]
Da sinistra a destra: Abu Al – Walid, Shamil Basayev, Ibn Al – Khattab e Ramzan Akhmadov
L’ASSEDIO DI GROZNY
L’uscita daGrozny fu molto difficile, poiché il numero dei Mujahideen era di oltre 3000 persone e l’errore più grande in questo case fu che tutti igruppi iniziarono a partire contemporaneamente. Così facendo fecero capire ai russi che stavano lasciando la città, e questi iniziarono a minare l’area. La sortita fu guidata da Shamil [Basayev] e Arbi [Baraev], i quali posizionarono gruppi di sicurezza nelle zone di raccolta dei MIjahideen. Tuttavia tali gruppi attirarono l’attenzione dei russi i quali, dopo essersi conto di cosa stava succedendo, li minarono ed iniziarono ad aspettare. Quando i Mujahideen iniziarono ad andarsene, molti furono fatti saltare in aria dalle mine, tra i quali Shamil, il suo vice Khunkharpasha, così come il comandante in capo di Grozny Aslambek [Ismailov, ndr.] il quale fu ucciso da un colpo di mortaio. […] Fu preso chiaro che il terreno era disseminato di mine a pressione. I feriti furono raccolti e, nonostante le ferite, continuarono a camminare.
Shamil chiese 20/30 volontari per attraversare il campo minato e liberare il sentiero. Tutti tacevano e nessuno si offrì volontario. Allora disse: “Andrò io”. Dopo essere saltato su una mina richiamò la gente all’ordine. Gli andò dietro uno dei parenti di Dzhokhar Dudaev, di nome Lechi [Lechi Dudaev, sindaco di Grozny allo scoppio della Seconda Guerra, ndr.] il quale fu ucciso da una mina, dopodiché fu la volta di Khunkarpasha. Costoro spianarono la strada ai Mujahideen i quali, lasciando Grozny, entrarono nel villaggio di Ermolovka. I russi bombardarono il villaggio con l’artiglieria. Poi entrarono in un altro villaggio, poi in un terzo, e così via fino a raggiungere le montagne. Ricevemmo la notizia che c’erano morti e feriti tra gli emiri e ci fu richiesto di inviare trattori e camion per aiutarli. Lo spirito del Mujahideen tornò alto quando seppero che Khattab stava inviando loro 40 camion e trattori, con provviste e cibo. Molti di loro, felicissimi per la notizia, dissero che avrebbero continuato a camminare finchè non ci avessero trovati. […] Quando ho visto Shamil ferito sono scoppiato in lacrime, ma lui al contrario era di buon umore e, ridendo, ha detto: “I russi mi hanno fatto un regalo! Ora, se dovrò attraversare un campo minato, sarà molto più facile per me!” […].
LA GOLA DI ARGUN
Dopo che i russi presero il controllo delle zone montuose, incontrai ifratelli e dissi loro: “Se non usciamo da questa cona i russi inizieranno a restringere l’accerchiamento, e la situazione non farà che peggiorare”. I nemici di alla cominciavano a dire “La finiremo con loro entro una settimana, e mostreremo i corpi dei mercenari”, facendo l’elenco dei vari comandanti. […] Descrivevano la situazione come se avessero già finito con noi.
Uscimmo da Shatoi con grande difficoltà. […] Uscimmo di notte, scalammo un’alta montagna per poi scendere in una profonda gola. […] Pensavo che nella colonna ci sarebbero state dalle 500 alle 700 persone, ma si scoprì presto che c’erano ben 1250 Mujahideen con noi. Fu molto difficile organizzare i gruppi. Nominammo un Emiro pe ogni gruppo, ma non li conoscevamo bene tutti. […] Quando iniziò la sortita notai che la colonna era come un alveare: conversazioni, urla, ecc. Iniziai a mettere ordine nei gruppi, comunicando con gli emiri. Dissi loro: “Non accendete fuochi. I russi sono ovunque, se scoprono la nostra posizione bruceranno la terra qui.” Alcuni sentirono il mio ordine, altri no. Ma faceva molto freddo, era impossibile dormire la notte e durante il giorno non potevamo, perché dovevamo andare avanti. Rimanemmo affamati, infreddoliti e fradici per 4/5 giorni senza sosta. Non potevamo toglierci le scarpe ed i nostri piedi erano bianchi perché il sangue aveva smesso di scorrere dentro di essi. Faceva un freddo insopportabile e un giovane cominciò ad accendere un fuoco. […].
Ibn Al – Khattab nella foresta
I fratelli iniziarono ad ammalarsi, sopraggiunse la diarrea, la loro pelledivenne pallida per il freddo e la fame e le loro labbra si screpolarono. Iniziammo a cercare una via d’uscita ma i russi erano su ogni collina, con le loro migliori forze le “forze speciali”. Annunciarono di essere pronti a schiacciare i criminali terroristi. Erano molto ben preparati a questo. Avevano vestiti, tende, stufe, come se fossero in un albergo a cinque stelle. Avevano tutto, mentre noi giravamo di foresta in foresta. Radunai i combattenti nella gola e dissi loro di appiccare un fuoco. Nelle vicinanze c’era un villaggio in rovina abbandonato dagli abitanti. Alcuni Miujahideen vi entrarono e iniziarono a mangiare ciò che c’era rimasto: polli, mucche, senza lasciare nulla indietro. I russi bruciavano villaggi e uccidevano persone ogni giorno, saccheggiavano villaggi, penetrandovi a notte fonda. Li inseguimmo, e prendemmo solo ciò di cui avevamo bisogno, dicendo: “Inshallah, poi restituiremo tutto”. […].
LA SORTITA
Abbiamo iniziato ad uscire dalla gola. Sono passati 18 giorni e solo Allah sa in quale stato ci trovassimo. […] Allah ha ordinato di attaccare i russi al mattino. Li abbiamo attaccati da 15 metri e i russi avevano paura di sporgere la testa. I Mujahideen uccisero più di cinquanta infedeli. Distruggemmo due gruppi d’assalto, mentre il governo russo annunciava che i leader dei Mujahideen erano stati uccisi. Siamo andati avanti. […] Dopo aver ucciso tutti i russi in questa battaglia, questi iniziarono a bombardarci intensamente ed a spararci contro con l’artiglieria, e molti fratelli furono uccisi. Ci dividemmo in grandi gruppi. […] Il bombardamento era sempre più intenso, cercai di incontrare Shamil, ma non riuscii a farlo, la maggior parte degli emiri erano feriti o esausti. Ci siamo resi conto che la situazione era fuori controllo e che gli uomini, che pure continuavano a muoversi, lo stavano facendo di propria iniziativa, a caso.
[Dopo aver individuato un sentiero libero dai russi e dalle mine] Hoinformato subito mio fratello Shamil [Basayev] e subito ci siamo incamminati su quel sentiero. […] Continuammo a camminare fino a mezzanotte lungo la stessa strada che avevamo preso prima. La strada era piena di Mijahideen. […] Per Allah, donne e bambini hanno pianto quando hanno visto lo stato dei Mujahideen. Molti non potevano camminare e venivano trasportati. Ricordo come i fratelli portavano lo sceicco Abu Umar sulle spalle. Altri erano molto malati. Avevano le gambe rotte, molti di loro avevano perduto le scarpe, essendo rimasti bloccati nel fango, e camminavano a piedi nudi sul ghiaccio. I loro piedi erano così gonfi che non erano in grado di indossare scarpe nuove.
Khattab a cavallo
APPENDICE – LA MORTE DI KHATTAB
Le memorie di Ibn Al – Khattab non raccontano soltanto gli eventi da lui vissuti, ma contengono anche una serie di “consigli” e indicazioni sia di natura religiosa che militare, che in questa sede evitiamo di trascrivere (nella sezione BIBLIOGRAFIA è comunque presente il link al documento completo in lingua russa).
Nel Marzo 2002 Khattab fu raggiunto da una lettera avvelenata, spirando nel giro di poche ore. Il resoconto del suo omicidio è reso da uno dei suoi più fedeli segueci, Abu Al Walid Al – Hamidi (conosciuto ai più semplicemente come Abu Al Walid):
“I nemici di Allah stavano pianificando questa vile operazione da un anno, e loro stessi lo hanno ammesso. Sono convinto che sia così, perché uno degli accusati dell’omicidio di Khattab lavorava con lui da un anno, e molti fratelli avevano avvertito l’Emiro che questi lavorava per i servizi speciali. […] Khattab si comportava con molta attenzione, li incontrava raramente e lontano dalle basi. Sembravano necessari per il trasporto di materiali poiché, nonostante la presenza di persone più affidabili che portavano la posta all’estero, questi due erano i più veloci e coraggiosi. La situazione rimase così per diversi mesi, fecero un buon lavoro e conoscevano tutte le rotte che usavamo per spedire cose all’estero. […] Questi due portavano denaro, lettere, apparecchi radio dai paesi vicini e quando venne il momento, prepararono del veleno e lo misero in una delle lettere dei fratelli arabi. […] Portarono queste lettere con alcune cose e, consegnandole alle guardie di Khattab, dissero che tra queste cose c’erano lettere molto importanti, che avrebbero dovuto essere consegnate a Khattab il prima possibile. Naturalmente questi fratelli, rischiando la propria vita, furono immediatamente mandati a consegnare le lettere, e caddero in un’imboscata, dove uno di loro fu ucciso. Gettando tutte le loro cose, presero solo una borsa con le lettere pensando che ci fosse qualcosa di molto importante dentro, non immaginando che là dentro ci fosse il destino del loro comandante e amato amico. Sono arrivati da Khattab, e come al solito egli iniziò a sfogliare le lettere, così fu il primo a prendere la lettera scritta in arabo. […].
Il cadavere di Khattab subito dopo l’avvelenamento
Dopo alcuni minuti si sentì stordito, la sua vista si offuscò. Dal momento che stava digiunando pensò che ciò fosse causato dal digiuno, così si sdraiò per un po’. Dopo qualche minuto tornò a leggere la lettera, ma non riusciva a leggerne il testo e così, sentendosi molto stanco, andò a letto e dormì fino all’alba. Dopo la preghiera, cominciò a sentire la mancanza d’aria e una nebbia negli occhi. Disse a coloro che erano con lui di raccogliere rapidamente le cose nel caso avessero dovuto andarsene rapidamente. […] Quando arrivò il momento di pregare non riuscì a condurre la preghiera. Dopo di chè il dolore si intensificò […]. Poi tacque e svenne. […] Quando il dottore arrivò, dopo un lungo e pericoloso viaggio, ed ebbe esaminato Khattab versando sudore, si rese conto che si trattava di sintomi da avvelenamento. Chiese ai fratelli cosa avesse mangiato, loro risposero che mangiavano tutti dallo stesso piatto, e che bevevano dallo stesso recipiente, e che non mangiava né beveva separatamente da molto tempo. Ma si ricordarono della lettera. Il medico, dopo averla esaminata, confermò che era avvelenata e disse a tutti coloro che l’avevano avuta tra le mani di lavarsi accuratamente. […] La mattina dopo lo seppellirono in un luogo sicuro e giurarono di non dire a nessuno della sua morte e del suo luogo di sepoltura finchè non lo avessi saputo.
l-Suwaylim: “Memories of Amir Khattab: The Experience of the Arab Ansar in Cecenia, Afghanistan e Tagikistan”. Dai più conosciuto come Emir Al Khattab, è stato il più celebre “Comandante di Campo” della guerriglia cecena, mettendo in atto alcune delle più audaci azioni di guerra contro l’esercito russo, e rendendosi parimenti responsabile di alcuni tra i più odiosi atti terroristici che abbiano macchiato il suolo del Caucaso. Fervente islamista, fu tra i promotori della “svolta fondamentalista” della resistenza cecena, preparando centinaia di giovani combattenti al “martirio” e costituendo l’organizzazione alla base dell’autoproclamato “Emirato Islamico”. In questa sede pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista. Chiariamo subito che il nostro intento non è quello di glorificare una figura di Al Khattab, di giustificarne le azioni o di supportare il radicalismo islamico (come specificato nella sezione “Mission” di questo blog). Nel nostro trattare l’argomento della Repubblica Cecena di Ichkeria non possiamo ignorare la voce di questa parte della “resistenza” che fu così fondamentale per l’evoluzione confessionale della ChRI. Per questo, e per nessun altro motivo, riportiamo alcuni stralci del libro di Ibn Al Khattab.
LA GUERRA
Ricordo quello che mi disse Shamil Basayev: “Inshallah, la guerra finirà in pochi giorni, e vinceremo.” Io risposi: “La guerra finirà soltanto se sconfiggiamo i russi e li cacciamo”. Lui mi dette una pistola con silenziatore e mi disse: “Tienila con te. So che non è facile per te. Quando ero in Abkhazia, la gente ha iniziato a negoziare. E’ stato difficile per noi uscire da questi negoziati, soprattutto dopo la morte di tanti Mujahideen. Potrebbe essere difficile per te ma, inshallah, non agiremo come hanno fatto gli abkhazi”. Queste cose per me non erano ancora chiare. Poi ci fu un’operazione a Bodennovsk, in Russia, ed i russi dovettero risolvere questo problema attraverso i negoziati. Lo spirito della Jihad rivisse nelle persone con rinnovato vigore. Successivamente iniziai a chiedere agli uomini di elaborare un programma, di acquistare armi e munizioni. Durante i 4 mesi del periodo di negoziazione riuscimmo a prepararci.
Successivamente i russi annunciarono di voler tenere le elezioni presidenziali in Cecenia, dichiarando che a seguito di queste si sarebbero ritirati dalla repubblica. Alle elezioni parteciparono anche i militari russi, il cui numero aveva raggiunto mezzo milione, mentre l’intera popolazione della Cecenia era inferiore al milione e mezzo di persone. Naturalmente i russi vinsero le elezioni piazzando il loro burattino, Zavgaev. I mujahideen strapparono gli accordi, interruppero i negoziati ed iniziarono le operazioni militari. Dopo aver seguito da vicino questa situazione mi accorsi che tutto era stato risolto: avevamo tutto pronto e, cinque giorni dopo la conclusione delle trattative, effettuammo la nostra prima operazione.
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Il video postato sopra è la ripresa dell’imboscata di Yarishmardy ripresa dalla telecamera degli uomini di Khattab.
LA JIHAD DI IBN AL KHATTAB
Nella nostra prima operazione attaccammo un convoglio militare vicino al villaggio di Kharachoy, a Sud di Vedeno. L’operazione ebbe successo, i russi persero cinque blindati, 41 soldati e 5 ufficiali. Poiché la sparatoria era intensa ed era condotta da 15 metri, ci furono molte perdite da parte del nemico, fu un tritacarne. Non avemmo né uccisi né feriti tra i nostri. Solo io fui leggermente ferito, ed uno degli emiri fu colpito dall’esplosione di un camion di munizioni. Successivamente iniziammo ad addestrare combattenti. La gente era interessata a chi c’era dietro questa operazione, se fosse stato Shamil (Basayev, ndr.) o qualcun altro. […] I giovani si riunirono e iniziarono le ricognizioni per un nuovo attacco, che avvenne due mesi dopo. Attaccammo una colonna militare nel momento più difficile, durante la potente offensiva russa nel territorio montuoso. Abbiamo attaccato il convoglio a Serzhen – Yurt. Era composto da 100 veicoli, dei quali ne abbiamo distrutti 47, conquistandoci molti trofei. L’operazione riuscì, ed i suoi dettagli furono registrati su videocassetta. […] Lanciammo un attacco, rompendo la colonna in quattro tronconi, e 4 nostri fratelli divennero martiri, Inshallah. In un altro troncone 5 furono uccisi e 21 rimasero feriti, per la maggior parte a causa di semplici errori.
Questa operazione ci dette una buona esperienza, ed iniziammo a prepararci per ripeterla. […] Ci siamo preparati per l’attacco. Il convoglio era composto da 32 veicoli: 4 carri armati, 11 veicoli da combattimento, 4 autocisterne ed alcuni camion. Tutti i veicoli furono distrutti, dal primo all’ultimo, e solo 12 soldati riuscirono fuggire buttandosi nel fiume. Dopo queste due operazioni l’offensiva russa si arrestò completamente ed i russi si ritirarono dalle montagne. Il morale della gente saliva e lo spirito dei russi declinava. […] Poco dopo, i mujahideen entrarono a Grozny.
I resti della colonna corazzata russa distrutta a Yarishmardy
TRA LE DUE GUERRE
Dopo la cessazione delle ostilità nell’Agosto 1996 in Cecenia, tutte le persone hanno chiesto al comando militare ed al Presidente di essere preparati militarmente, perché nessuno era sicuro del ritiro delle truppe russe, poiché il loro ridislocamento avrebbe richiesto dai cinque ai sei mesi. Pertanto iniziammo subito a preparare un campo di addestramento e di formazione presso l’istituto (il celebre Campo di Addestramento Kavkaz, ndr.) ed abbiamo stretto rapporti con centinaia di giovani. Avevamo molti problemi: la situazione finanziaria era molto difficile e dovevamo limitare il numero di allievi. Allora i fratelli, che Allah li ricompensi con il bene, hanno cominciato a lavorare sodo e, grazie ad Allah e poi a questi fratelli, la situazione è migliorata. Abbiamo iniziato ad espanderci e siamo stati in grado di ospitare fino a 400 persone per ogni corso. I giovani venivano da tutto il Caucaso: dall’Inguscezia, dal Daghestan, dalla Kabardino – Balkaria e dal Karachay, e addirittura dall’Uzbekistan. […] Creammo un dipartimento per lo studio del Corano ed un programma per la preparazione dei predicatori. Dopo questa formazione di base tenemmo lezioni nei villaggi, e poi corsi per aumentare il livello di conoscenza tra i predicatori. Lo stesso sistema era organizzato nel campo di addestramento, con corsi speciali, (secondo, terzo, quarto corso). C’era molto lavoro, ed ognuno aveva il suo ruolo e i suoi doveri, che Allah li ricompensi con il bene.
Sposammo donne del posto per legarci maggiormente a quei popoli, e nessuno ha osato opporsi a noi quando siamo diventati loro parenti.
IL RAID SUL DAGHESTAN
Molte persone pensano che i fratelli si siano precipitati in Daghestan, e che siano stati i primi ad iniziare la guerra, e li incolpano per questo. L’esercito russo ha succhiato sangue, umiliato e distrutto le terre dei musulmani in Afghanistan, Tagikistan, Bosnia e Cecenia. E quando gli stessi guerrieri dell’islam iniziano ad attivarsi, allora sono loro a dover essere biasimati? E’ ora di scendere dalle nuvole. La Russia firmò un cessate il fuoco di cinque anni per addestrare il suo esercito. I generali russi dissero che sarebbero tornati, e persino Maskhadov disse in televisione che i russi sarebbero tornati presto. I loro agenti ci avevano detto un anno e mezzo prima (dello scoppio della seconda guerra, ndr.) che i russi sarebbero arrivati dalle montagne. Nel nostro campo di addestramento catturammo trentasette loro agenti, inviati per uccidere Shamil, Khattab ed altri comandanti. Sono confessioni delle spie stesse. Non è questa, già, guerra? […] Dovevamo davvero reagire solo dopo che la tragedia fosse già avvenuta, la terra bruciata, tutto distrutto, cadaveri mostrati alla televisione, pianti di bambini, donne dall’onore violato?
Khattab indossa il basco di comandante del Battaglione Islamico. Cecenia, Settembre 1996
[…] (In Daghestan, ndr.) c’era l’intenzione di espellere le autorità dall’intera ragione e di stabilirvi la Sharia. Il governo chiese aiuto ai russi, i fratelli chiesero aiuto ai mujahideen, così entrammo in Daghestan prima dei russi. Dopo aver preso posizione, aspettammo l’attacco dei russi. Non entrammo in Dahestan per altro motivo se non quello di fornire aiuto ai mujahideen. […] I mihajudeen daghestani, avendo molti feriti e uccisi, cominciarono a chiedere aiuto. Sarebbe stato illecito per noi lasciarli senza aiuto. […] Non ho mai visto in vita mia, e non credo che rivedrò quello che è successo in Daghestan. L’aviazione bombardò con bombe multi – tonnellata, bruciando tutto intorno. L’intera valla fu bruciata dai russi, che uccisero 30 giovani mujahideen del gruppo di Hakim al Madani (che Allah abbia pietà di lui) dopo aver causato gravi danni ai russi.
[…] Per Allah, prima che sparassimo il primo colpo di Daghestan, l’esercito russo era già avanzato di un chilometro in profondità in Cecenia, nella regione di Shelskovsky, ed a concentrare le sue truppe a Naursk. Chiunque volesse avere conferma può chiedere agli abitanti di quelle zone. Anche Maskhadov lo sapeva. […] Era chiaro che la Russia stesse pianificando un’invasione, quindi li abbiamo anticipati.
Nel 2016 il blog di informazione https://arabskayavesna.wordpress.com/ ha pubblicato il testo integrale delle memorie di Sāmir Ṣālaḥ ʿAbd Allāh al-Suwaylim: “Memories of Amir Khattab: The Experience of the Arab Ansar in Cecenia, Afghanistan e Tagikistan”.Dai più conosciuto come Emir Al Khattab, è stato il più celebre “Comandante di Campo” della guerriglia cecena, mettendo in atto alcune delle più audaci azioni di guerra contro l’esercito russo, e rendendosi parimenti responsabile di alcuni tra i più odiosi atti terroristici che abbiano macchiato il suolo del Caucaso. Fervente islamista, fu tra i promotori della “svolta fondamentalista” della resistenza cecena, preparando centinaia di giovani combattenti al “martirio” e costituendo l’organizzazione alla base dell’autoproclamato “Emirato Islamico”. In questa sede pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista. Chiariamo subito che il nostro intento non è quello di glorificare una figura di Al Khattab, di giustificarne le azioni o di supportare il radicalismo islamico (come specificato nella sezione “Mission” di questo blog). Nel nostro trattare l’argomento della Repubblica Cecena di Ichkeria non possiamo ignorare la voce di questa parte della “resistenza” che fu così fondamentale per l’evoluzione confessionale della ChRI. Per questo, e per nessun altro motivo, riportiamo alcuni stralci del libro di Ibn Al Khattab.
Copertina della versione inglese dell’autobiografia di Ibn Al – Khattab
BIOGRAFIA DI IBN AL – KHATTAB
Nato ad Arar, in Arabia Saudita, nel 1969, Samir Salah Al – Suwaylim proveniva da una famiglia benestante, il che gli permise di affrontare con successo gli studi secondari. Fin dall’adolescenza si appassionò alle grandi figure dell’Islam, maturando una visione radicale dell’impegno religioso che lo portò, ancora diciassettenne, ad unirsi alle file degli arabi afghani nella guerra contro l’esercito sovietico. Durante la sua permanenza in Afghanistan Al Suwaylim combattè come gregario in formazioni di mijahudeen vicine al fondamentalismo islamico, guadagnandosi il nome di battaglia di Ibn Al – Khattab, ispirato al celebre Califfo Omar Ibn – Al Khattab, vissuto nel VII Secolo. Nell’incauto maneggiamento di esplosivi, il giovane perse quasi completamente l’uso della mano destra.
Tra il 1993 ed il 1995 Khattab combattè in Tajikistan, al fianco dell’opposizione islamica. Secondo una sua dichiarazione, combattè anche in Bosnia, al fianco delle milizie islamiche locali. Recatosi per la prima volta in Cecenia nel 1995, ed infiltratosi fingendosi giornalista, costituì un’unità combattente guidata da lui stesso e da alcuni suoi uomini fidati ma composta prevalentemente da daghestani e ceceni con la quale, tra il 1995 e il 1996, mise a segno numerose imboscate tra le quali quella più celebre presso la gola di Yarish – Mardy, durante la quale distrusse completamente una colonna della Quarantasettesima divisione corazzata dell’esercito federale.
Alla fine della Prima Guerra Cecena Khattab rimase sul territorio della ChRI, dove gestì un campo di addestramento di Mujahideen e raccolse milioni di dollari in donazioni dalle organizzazioni islamiste di tutto il pianeta, ivi compresa Al Qaeda. Sotto la sua guida si formarono centinaia di jihadisti, con i quali Khattab mise a segno il 22 Dicembre 1997 un’incursione in Daghestan, presso la base militare di Buinaksk. L’attacco fu un fiasco, i jihadisti dovettero rientrare precipitosamente in Cecenia e lo stesso Khattab rimase ferito.
Nel 1998 fu tra i promotori del Majilis – Ul – Shura dei Mujahideen Riuniti (Consiglio Consultivo dei Sacri Combattenti Riuniti) il cui terminale politico era il Congresso dei Popoli di Ichkeria e Daghestan, con lo scopo di iniziare un’insurrezione islamista nella repubblica vicina alla ChRI e scatenare una rivoluzione islamica in tutto il Caucaso. Braccio armato dell’organizzazione fu la Brigata Islamica per il Mantenimento della Pace, al cui comando fu posto l’amico e compagno d’armi Shamil Basayev. Nell’Agosto del 1999 le forze islamiste al comando di Basayev e Khattab tentarono un’invasione del Daghestan, venendo tuttavia respinti con gravi perdite. L’azione dette il via alla ritorsione armata della Federazione Russa, la quale invase in forze la Cecenia provocando la caduta del governo separatista e lo scoppio della Seconda Guerra Cecena. Secondo l’FSB (il servizio di sicurezza federale) Khattab avrebbe diretto o organizzato i tragici attentati terroristici ai quartieri residenziali di numerose città russe, provocando centinaia di morti e feriti.
Khattab in Afghanistan
Con lo scoppio della Seconda Guerra Cecena Khattab fu reintegrato nell’esercito separatista, occupandosi di armare, addestrare e condurre le Jamaats islamiche insediatesi nel paese al termine della prima guerra. In questa veste il leader arabo si occupò anche di far fluire alla resistenza lauti aiuti economici provenienti dalle associazioni islamiche di tutto il mondo. Divenuto uno dei terroristi più ricercati del pianeta, Khattab fu oggetto di un’accanita caccia all’uomo terminata il 20 Marzo 2002, quando l’FSB riuscì ad avvelenarlo facendogli recapitare una lettera avvelenata.
KHATTAB IN CECENIA
“Mentre ci stavamo preparando per l’anno successivo, iniziarono gli eventi in Cecenia. Ho guardato la TV: lo scontro contro i russi era condotto dal generale comunista Dzhokhar Dudaev, o almeno così lo immaginavamo. Credevamo fosse un conflitto tra comunisti, non vedevamo prospettive islamiche in Cecenia. Un giorno tornai nelle retrovie per curare il mio braccio destro ferito. La’ un Mujahideen ceceno venne da me e si offrì di portarmi in Cecenia per una o due settimane. Guardammo la mappa della Cecenia. Era una piccola repubblica di 16.000 chilometri quadrati. Era persino difficile da trovare sulla mappa. Pensavo che la sua popolazione fosse di un migliaio di persone. Quindi iniziammo il nostro viaggio. C’era una sola strada per entrare in Cecenia. In quel momento la Russi aveva iniziato ad istituire posti di frontiera, ma riuscimmo ad aggirarli.
[…] Alcuni tra i miei fratelli avevano un’opinione diversa dalla mia. Dicevano: “Perché vai in Cecenia? Ti sei affezionato alle battaglie e per te non fa differenza con chi combattere?” E’ Haraam per te combattere con queste persone, Sufi con un leader comunista, un generale sovietico? Verserai il tuo sangue invano. […] Ho discusso con loro, dicendo […] “Se Allah ha predeterminato che faremo qualcosa, allora lo faremo. Siamo venuti qui per Allah, non per i comunisti. Non supporteremo loro. Stiamo lavorando per Allah e la nostra ricompensa è con lui, quindi siate pazienti. Entriamo e diamo un’occhiata alla situazione.” […]. Questo è stato l’inizio della mia storia in Cecenia.”
Khattab armato di un lanciarazzi
FORMARE UN ESERCITO
I combattimenti si avvinarono presto alla nostra zona. I giovani discutevano se si trattasse di una Jihad, i mullah sufi dichiaravano che non lo era, che si trattava di una resa dei conti tra Dzhokhar Dudaev ed i comunisti, e gli ipocriti gettavano benzina sul fuoco con i loro commessi. I burattini dei russi (l’opposizione antidudaevita, ndr.) dicevano che questo era un problema tra loro e Dudaev, e che noi non avremmo dovuto intervenire. […] Io non conoscevo veramente la situazione perché non l’avevo studiata. Avevo una videocamera ed ho iniziato a filmare le persone, chiedendo loro per cosa stessero combattendo. E’ così che ho conosciuto Shamil Basayev. Alcune persone pensavano che fossi un giornalista. Ho visto persone sincere e, giuro su Allah, ho pianto quando ho chiesto ad una donna anziana: “Per quanto tempo sopporterete queste difficoltà?” e lei ha risposto: “Vogliamo sbarazzarci dei russi”. Le ho chiesto “Per cosa combattete?” e lei ha risposto: “Vogliamo vivere come musulmani e non vogliamo vivere con i russi”. Allora le ho chiesto. “Cosa potete dare ai Mujahideen?” E lei: “Non ho che questa giacca addosso”. Ho pianto: se questa donna anziana può aiutare avendo solo questo, perché noi ci permettiamo di avere paura e dubbi? Da quel giorno decisi con i miei fratelli di iniziare a preparare le persone alla battaglia, come primo passo.
[…] Abbiamo iniziato a radunare i giovani e abbiamo preparato per loro una base di addestramento sulla montagne. Lo Sceicco Fathi (Al – Sistani, comandante del cosiddetto Battaglione Islamico, ndr.) mi ha dato una mappa ed abbiamo scelto il villaggio di Vedeno e la zona circostante. Dopo aver trovato un Campo dei Pionieri (istituzione giovanile del Partito Comunista sovietico, ndr.) abbandonato, abbiamo iniziato a radinarvi i giovani e abbiamo stabilito un programma di addestramento. Ricordo che al primo incontro c’erano più di 80 mujahideen che ora sono divenuti Emiri. Ricordo cosa dissi loro (e Fathi tradusse): “Se qualcuno di voi vuole essere Emir, allora deve offrire il suo programma di combattimento e noi gli ubbidiremo”. Nessuno disse nulla. In quei giorni la battaglia si stava avvicinando alle montagne. Quindi dissi loro: “Non vi sto dicendo che ho conoscenza. Ho solo esperienza di combattimento in Afghanistan e Tajikistan. Forse è il momento di mettersi al lavoro. Ho un programma scaglionato in tre fasi: preparazione, armamento e operazioni. Se non saremo davanti a voi in battaglia potrete spararci. Saremo davanti a voi dopo il corso. Dopo l’armamento, inizieremo ad implementare il programma di combattimento. Andremo sempre davanti a voi, io ed i fratelli che sono con me.”
L’INCONTRO CON DUDAEV
Ho incontrato Dudaev durante una visita allo Sceicco Fathi. […] Dzhokhar iniziò a fare domande. […] Chiese: “perché dalle tua parti non ci vengono ad aiutare?” Risposi: “La verità che le ragioni della guerra non sono chiare, e le persone non sanno per cosa stiamo combattendo.” Lui mi disse: “Fratello […] questa è una terra islamica. Non è abbastanza per te?” Rimasi scioccato dal fatto che una frase di questo genere provenisse dalle labbra di un generale russo. […] Rimasi colpito da questa personalità dignitosa e forte. Mi sedetti accanto a loro (Dudaev e Al – Sistani, ndr.) e posi a Dudaev la prima domanda: “Qual è lo scopo della tua battaglia? Combatti per l’Islam?” Lui rispose: “Ogni figlio della Cecenia e del Caucaso, oppresso da decenni, sogna che un giorno l’Islam tornerà non solo nella sua terra natale, ma in tutto il Caucaso. E io sono uno di questi figli. Fui sopraffatto da una risposta così profonda. Dissi: “Va bene, i russi sono stati assenti pe tre anni, del 1991 alla fine del 1994. Perché non hai proclamato uno Stato Islamico e non hai risolto la questione in questi tre anni?” Lui disse: “Sapevamo che non appena ci fossimo allontanati dalla Russia, questa ci avrebbe attaccati il giorno successivo. Abbiamo cercato di ingannarli, mostrandoci come dei democratici che cercano di sbarazzarsi dell’inferno russo. Ma i russi sono molto maliziosi, e astuti; sapevano che eravamo sulla strada per la restaurazione dell’Islam, quindi iniziarono l’occupazione.”
Khattab e Basayev
Allora risposi: “Il mondo islamico non sa di questa guerra. Non hai nemmeno chiamato questo paese “Repubblica Islamica Cecena” in modo che le persone sapessero che hanno il dovere di aiutare. Il mondo islamico non sa nulla degli eventi in corso in Cecenia.” Lui disse: “[…] E’ un dovere. La guerra è iniziata qui in Ceceni,a e sai che questa è la terra dei musulmani, che è tuo dovere venire qui. Sei il primo giornalista musulmano a farmi queste domande, mentre sotto i bombardamenti i giornalisti della BBC, della CNN e dell’intero mondo occidentale si siedono in ginocchio davanti a noi per saperne di più sulla guerra. Chiedono per cosa combattiamo, qual è la situazione, se siamo musulmani o cristiani e ci pongono domande sorprendenti. E finora, guarda quanti musulmani ci sono tra i giornalisti! Nessuno è venuto qui per saperne di più, o per fare domande sulla guerra!”
Il sistema giuridico delle corti della sharia fu sempre inefficiente, anche se nel corso del 1998 parve raggiungere un maggior livello di funzionalità a seguito degli interventi diretti di Maskhadov e della sostituzione di gran parte dei funzionari incapaci o corrotti. Nel corso del 1998 la Procura Generale della Repubblica notò una diminuzione dei crimini contestati dai 3558 del 1997 ai 3083 di quell’anno, e una maggior capacità delle istituzioni di individuare e punire i crimini, secondo un tasso di “Individuazione del crimine” passato dal 41,8% del 1997 al 55,8% del 1998. Questi dati, tuttavia, fanno riferimento ai crimini comuni: per quanto riguarda la lotta ai crimini gravi, la tendenza risultò opposta, con un tasso di rilevamento del crimine passato dal 28% del 1997 al 20,1% del 1998 (cioè appena un crimine su 5). Frequente l’apertura di fascicoli ebbe scopo estorsivo, e numerosi furono i fascicoli giudicati a posteriori non regolari, e quindi archiviati.
Arbi Baraev, comandante del Battaglione Islamico per Scopu Speciali (IPON), nonchè uno dei comandanti di campo maggiormente coinvolti nel racket dei rapimenti nella Cecenia post bellica
In particolare il crimine più odioso e purtroppo endemico nella cecenia postbellica, il rapimento, non fu arginato che in minima parte. Tra il 1997 ed il 1999 furono certamente rapite 1217 persone (ed il dato è in difetto, facendo riferimento ai soli cittadini ceceni). A fronte di questo le autorità arrestarono appena 60 persone, comminando 4 condanne a morte e 7 ergastoli. La regione più problematica in assoluto in Cecenia era e rimase il distretto Avtorkhanovsky (ex Leninsky) di Grozny, nel quale nel solo 1998 vennero contati 736 crimini, il 25% di tutti quelli commessi in Cecenia. Nel 1999 la situazione era totalmente fuori controllo: all’inizio di Aprile di quell’anno lo stato era incapace di garantire la sicurezza dei cittadini, con 1203 ricercati per vari crimini a piede libero, tra i quali 173 criminali gradi e 82 omicidi.
REAZIONE POPOLARE
La scarsa competenza del personale, l’arbitrarietà delle decisioni del tribunale e lo stato di diffuso abuso di autorità da parte dei funzionari generò ben presto l’insoddisfazione da parte dei cittadini verso il sistema giudiziario. Maskhadov tentò di metterci una pezza, sostituendo gran parte dei funzionari di medio livello con il Decreto 375 del 16 Agosto 1997, e introducendo un criterio di certificazione a cura del “Consiglio degli Ulema” (una sorta di riunione plenaria dei principali esperti di diritto islamico in Cecenia) che garantisse una conoscenza minima da parte del giudice del tribunale per riconoscergli il diritto di emettere sentenze. La nomina dei Giudici della Corte Suprema della Sharia fu effettuata per decreto diretto da parte del Presidente della Repubblica.
All’inefficienza del sistema si affiancava un’altra perniciosa situazione: l’instaurazione del regime islamico stava avvantaggiando, più che i ceceni, la componente araba che aveva fiancheggiato i nazionalisti durante la Prima Guerra, rappresentata dal suo più noto esponente, Ibn Al Khattab. Se questi era il braccio armato della jihad islamica in Cecenia, dietro di lui (o sotto il suo ombrello) operavano molti altri personaggi, ufficialmente studiosi di diritto islamico o animatori di associazioni caritatevoli, i quali con il loro comportamento volutamente fanatico stavano minando le già fragili basi del neonato stato indipendente ceceno. La contrapposizione tra la società civile, orientata su posizioni nazionaliste moderate e non incline ad abbandonare i presupposti laici dello stato, ed i nazionalisti radicali, espressione dei comandanti di campo più riottosi e appoggiati dai fondamentalisti arabi produsse una spaccatura sempre più vistosa, la quale esplose alla fine di Giugno del 1998 in un vero e proprio conflitto armato nei dintorni della città di Gudermes. A seguito di quel grave fatto di sangue Maskhadov si risolse a dichiarare i jihadisti arabi ospiti non più graditi in Cecenia, tramite il Decreto 175 del 18 Luglio 1998 “Sull’espulsione di individui dalla Repubblica Cecena di Ichkeria”, accusandoli di partecipazione a gruppi armati illegali, propaganda antistatale, diffusione di ideologie mirare alla divisione della società su base religiosa. Il decreto prevedeva anche il licenziamento del wahabita Anvar Ahmad Yunus Bakr Shishani (Khamzat Shishani) dalla Camera Giudiziaria.
Facendo seguito alla volontà di sradicare l’influenza dei wahabiti sul nascente stato ceceno, Maskhadov promosse un giro di vite nel sistema giudiziario, licenziando ben 44 funzionari dei Tribunali della Sharia (circa il 30% del personale) facendo anche ricorso alla legge del 12 Novembre 1992 “Sullo Status dei Giudici nella Repubblica Cecena), la quale prevedeva che per svolgere l’attività di magistrato era necessario il possesso della cittadinanza. Contestualmente al lavoro di “ripulitura” dell’apparato giudiziario in senso stretto, Maskhadov tentò di aumentare la qualità della formazione professionale dei funzionari, stabilendo con il Decreto 128 “Sulla certificazione nelle forze dell’ordine nelle autorità giudiziarie della Repubblica per l’assunzione dei lavoratori” nel quale stabilì che la presenza di precedenti criminali fosse ostativa all’assunzione di nuovi funzionari, e che coloro i quali, già assunti, vantassero simili precedenti si considerassero diffidati e sotto il rischio di essere licenziati.” Il decreto stabiliva inoltre che i funzionari fossero in possesso “come minimo” di un titolo di istruzione secondaria, raccomandazione indicativa dello stato deplorevole nel quale versava l’organico della magistratura. Considerato il fatto che, secondo quanto riportato dai giornali di allora, il 90% delle controversie giudiziali riguardavano controversie associate al lavoro (una categoria che richiede particolare esperienza in ambito contrattuale) è facile intuire come l’amministrazione della giustizia risultasse deficitaria, e quanto poca fiducia avesse il ceceno comune nei riguardi delle corti della Sharia.
Esecuzione di una pena inflitta dalla Guardia della Sharia per le strade di Grozny.
Il giro di vite imposto da Maskhadov si vide anche nel fatto che i Tribunali della Sharia iniziarono a lavorare anche sulla classe dirigente della Repubblica, e non soltanto sui cittadini comuni, altra cosa molto in odio tra i ceceni: i leader politici ed i comandanti di campo, infatti, avevano acquisito una sorta di immunità giudiziale, controllando direttamente o indirettamente i tribunali nei loro territori. La campagna promossa da Maskhadov produsse il suo primo risultato nel processo a Salman Raduev, tenutosi contro il Comandante di Campo radicale tra le fine di Ottobre e l’inizio di Novembre 1998. Il verdetto, del 4 Novembre 1998 fu emesso riguardo l’attacco al centro televisivo di Grozny portato a termine pochi mesi prima dai militanti radueviti al seguito del suo vice, Colonnello Vakha Jafarov, e comminò una condanna a 4 anni di carcere (mai scontati). 6 Giorni dopo Maskhadov privò Raduev di tutti i titoli ed i riconoscimenti, ivi compreso il grado di Generale di Brigata. Come già detto, Raduev non scontò un solo giorno di carcere, venendo successivamente perdonato da Maskhadov dopo l’interessamento diretto di Basayev, il quale addusse alle precarie condizioni di salute del condannato per ottenere la sua scarcerazione.
Così come Maskhadov si stava applicando per salvare lo stato islamico dagli islamisti, gli islamisti tentarono di utilizzare proprio lo strumento giuridico per metterlo fuori dai giochi. Mentre si teneva infatti il processo a Raduev, Maskhadov stesso fu posto sotto accusa per usurpazione del potere e condotta immorale, proprio dal suo ex compagno d’armi Shamil Basayev, ormai in rotta di collisione con il Presidente. Di quel processo è purtroppo rimasto molto poco, tranne una registrazione di una ventina di minuti nella quale tuttavia si parla poco del processo, ma si ascoltano per lo più parole del Muftì Akhmat Kadyrov. In ogni caso il processo di risolse con l’assoluzione di Maskhadov ed una semplice ammonizione per via del fatto che sua moglie stesse portando avanti un progetto di carità sociale assimilabile al lavoro, quindi vietato dal Corano.
REAZIONE DELLE AUTORITA’ RELIGIOSE
Contrariamente a quanto si potrebbe credere, la massima autorità religiosa del paese, il Muftì della Cecenia Akhmat Kadyrov, si dichiarò sempre contrario all’introduzione della Sharia, considerando che il paese non fosse in alcun modo pronto ad affrontare una simile rivoluzione, oltre al fatto che egli aveva in odio i wahabiti e vedeva le manovre di Yandarbiev e dei nazionalisti radicali soltanto come un cavallo di troia del fondamentalismo. Come riportato, del resto, dalla trascrizione del processo a Maskhadov, di cui ne riportiamo una parte.
Giudice: Voglio attirare l’attenzione di tutti i presenti su questo: Shamil [Basayev, ndr], voglio che tu esprima la tua accusa, in modo che più tardi non ci siano lamentele riguardo al fatto che non ti abbiamo ascoltato.
Basayev: Non lo riconosco come Muftì [Akhmat Kadyrov] dal momento che avrebbe dovuto assumere una posizione neutrale.
Kadyrov: Ascolta, Shamil, l’ho detto allora e lo ripeterò adesso: se non esprimo correttamente la mia opinione, potrà sembrare che io stia dando la preferenza ad una delle parti. Che tu lo voglia o no sono il tuo Muftì, sono il Muftì dei tuoi sostenitori, sono il Muftì del popolo e della repubblica, sono il Muftì di tutti i musulmani che lo riconoscono. Non mi schiererò in questo conflitto. Sarò più professionale possibile nello stabilire la giustizia. Sono venuto qui per amore della giustizia! Oggi non fa differenza se sono arrivato qui in veste di Muftì o di persona comune, perché qui ci sono i giudici, la decisione sarà presa da loro!
Basayev: No, non sei il mio Muftì, sei andato contro di me per molto tempo, dal primo incontro ti sei schierato dalla parte di Maskhadov! Dovevi rimanere neutrale, così saresti stato un Muftì.
Giudice: andiamo su richiesta
Basayev: Allora, secondo la dichiarazione, voglio invitare qui Zelimkhan Yandarbiev, testimone di uno spergiuro di Maskhadov, per dimostrare che Maskhadov era coinvolto in un crimine contro l’indipendenza e la sovranità, nell’usurpazione del potere e nelle conseguenze ad esso associate, nei crimini di divisione dei combattenti, di divisione del popolo. Voglio invitare Zelimkhan Yandarbiev
Kadyrov: non apprezzo le attività di questa corte della Sharia se le persone qui presenti non tengono conto del verdetto della corte. E’ facile accusarmi in modo infondato, è facile condannarmi alla decapitazione, ma se non aderiamo alla decisione del tribunale, non siamo musulmani. E ho motivo di dubitare che la decisione del tribunale verrà rispettata, indipendentemente dalla decisione che prendiamo oggi. E’ importante che trattiamo questa decisione con il dovuto rispetto. Abbiamo visto a cosa ha portato questo prima: la legge del più forte.
Yandarbiev: Secondo le mie informazioni si sono riuniti a Bakhi – Yurt: si sono riuniti Kadyrov, Khambiev, Sulim, figlio di Vakha, che ha prestato servizio in un reggimento di carri armati, Arsaev Aslanbek, Ibragim di Bachi . Yurt e Umar Ali…
Kadyrov: non credo alle tue informazioni e tu non sei un testimone di questa conversazione. Questa è una bugia, non ho visto Umar Ali da quando si è unito a te.
Giudice: aspetta, questo non è un contraddittorio
Yandarbiev: desidero che tu risponda
Kadyrov: questa non è una risposta alla tua domanda. Questa è solo una bugia.
Yandarbiev: in tal caso voglio chiamarlo (Umar – Ali) perché renda conto.
Kadyrov: eccellente, anch’io voglio chiamarlo a rendere conto. Umar Ali non si è nemmeno seduto a parlare con me da quando ti sei avvicinato a lui.
[…]
Kadyrov: nel nome di Allah il Misericordioso, non voglio discutere di relazioni personali in questa corte. Vorrei dire, a proposito di Zelimkhan (Yandarbiev) che è l’uomo che ha dato avvio alla discordia ed alla divisione in questa società. Risponderò e spiegherò come lo fa. Non appena la guerra finì, chiamò Baudi da Kisilyurt, dichiarando che era un grande esperto […] Ulus – Kert, anche quando non c’era un solo soldato per strada, eravamo con Aslan Maskhadov. Shamsudi Batukaev ci portò questo Baudi, ci disse “Sono qui per ordine del vostro Presidente, dobbiamo dichiarare subito lo Stato Islamico. Abbiamo parlato con il vostro presidente e siamo giunti ad un accordo. Ma c’è un problema: non abbiamo persone qualificate per farlo. Vi porterò buoni sceicchi e costruiremo uno Stato Islamico.” L’ho detto fin dall’inizio, e Zelimkhan è testimone: abbiamo troppi pochi Imam per organizzare i tribunali della Sharia, è ancora molto presto per noi per istituire i tribunali della Sharia. Ne abbiamo parlato molte volte. Ha affermato che il Wahabismo era sullo stesso percorso del Tariqat, altrimenti sarebbe stato una loro violazione. Baudi, Aslan Maskhadov e Batukaev sono testimoni di questa conversazione.
Yandarbiev: dove e con chi?
Kadyrov: Novye Atagi. Io, Shamsudi e Baudi, sono tutti testimoni, ho parlato dopo di te. Da allora, la società è stata divisa in due fronti da Zelimkhan Yandarbiev. Tutto ha avuto inizio con quello! E ciò che poi ha fatto alle elezioni è una storia a parte, lo avete visto tutti. Mi disse allora, cito: Akhmat, so che non vincerò le elezioni, ma se non ritirano la loro candidatura non lascerò loro un solo centimetro di questo paese! Lo giuro. Oggi è portatore di sciagura nella nostra società, qualsiasi parola che esce dalla sua bocca è una bugia!” Da ex presidente, mi ha parlato del popolo ceceno…fammi finire! Raccontaci come vivi, da dove vengono le tue proprietà, da dove vengono le macchine! Non ne discuteremo qui e ora. Ora qui stiamo esaminando il caso di Aslan Maskhadov, che è stato accusato da Shamil Basayev. Pertanto, dichiaro ancora una volta che Zelimkhan Yandarbiev è l’uomo che ha diviso la società in due campi, l’uomo che ha diffuso le idee del wahabismo. Il wahabismo non è la via, il wahabismo è la via per sterminare i musulmani! Tutti coloro che sono nemici dell’islam stanno su questa strada!
Yandarbiev: Voglio rispondere…
Kadyrov: Ora rispondi se quelli seduti là lo permettono! Dichiaro subito che non ero con Umar Alì e con il suo capo della sicurezza né a Bachi – Yurt né altrove. Questo non è un pettegolezzo, ma un fatto che posso giurare!
Yandarbiev: Aslan ha giurato sul Corano che avrebbe protetto la costituzione, ha giurato che c’era anche il Muftì!
Dal pubblico: raccontaci com’è andata, e se giurò che avrebbe difeso la costituzione!
Kadyrov: il mondo intero conosce questo giuramento, questo giuramento non è mai stato un segreto. Voglio rispondere a Shamil [Basayev] voglio rispondere alla sua dichiarazione secondo cui Zelimkhan (Yandarbiev) aveva proposto di tenere le elezioni in conformità con la Sharia, ma noi non lo avremmo permesso. Ci eravamo riuniti da Zelimkhan, c’erano anche altri candidati, non ricordo onestamente se Shamil ci fosse o meno. Altri erano sicuramente lì, c’erano anche esperti, insieme a Hussein Batukaev e Magomed di Zakan – Yurt. Con questi esperi abbiamo voluto provare in modo che scegliessero un candidato tra di loro. Poi Hussein Batukaev ha suggerito loro, cito: “Cinque capi militari, votate uno di loro e scegliete una persona dei vostri”. “Che tipo di ciarlataneria stai proponendo!” esclamò Zelimkhan Yandarbiev. L’altro ha detto che quella non era ciarlataneria, ed ha citato una storia dalla Vita del Profeta”
Yandarbiev: Non è vero!
Kadyrov: I candidate Akhmed Zakayev e Aslan Maskhadov, Hussein Batukayev e Magomed di Zakan Yurt sono tutti testimoni di questo. Eravamo nel suo ufficio.
Yandarbiev: Bugie, non ricordo questi incontri
Kadyrov: Questa non è una bugia! C’e stata una violazione lì da parte di Zelimkhan, non voleva tenere nessuna elezione. Ora voglio rispondere per il “giuramento”
Giudice: ci sono altri oltre a te che vogliono parlare…
Kadyrov: non ho ancora finito!
Giudice: Akhmat, sei solo un testimone
Kadyrov: sto rispondendo alle tue domande! Va bene…
Giudice: Ho dato la parola ad Akhmat dopo di te, Zelimkhan, ora risponde alla tua domanda in merito al caso, non interromperlo.
Kadurov: sto rispondendo a questa domanda. Aslan Maskhadov ha giurato di difendere e aderire alla costituzione, il mondo intero ne è testimone! Ma secondo la Sharia c’è una regola: una persona viene liberata da un giuramento se trova una soluzione più corretta. La Sharia gli concede questo diritto. La Costituzione è la Costituzione. Violare la Costituzione è una cosa, lui non ha violato il Corano, qui siete tutti degli studiosi e sapete che su questo giuramento incombe una soluzione migliore, e in questo caso ha il diritto di infrangere il giuramento! Persone come Zelimkhan Yandarbiev non sanno queste cose! Ama definirsi un esperto, non ha neanche una conoscenza di base!
Basayev: Ho una domanda per Aslan Maskhadov, quando stavamo tornando da Budennovsk, nel distretto di Novolasky, ti abbiamo dato un documento con le condizioni. Quando hai allegato questo documento? Ne hai discusso coi russi?
Maskhadov: abbiamo pensato che si, davvero questo fosse un documento utile per noi…
Kadyrov: C’era un progetto preparato, Zakayev allora aveva la testa rasata. Sono venuti a Benoy c’era Shamil, c’era Aslan, che Allah accetti la Gazavat, c’era Alavdi da Argun. Questo accordo è stato considerato punto per punto, sul retro c’era scritto un emendamento a penna di Dzhokhar (Dudaev). Hanno detto di firmare, questo accordo è stato firmato e se ne sono andati, io ne sono un testimone!
[…]
Kadyrov: la metà dei presenti qui dichiara che sono il loro Muftì, l’altra parte è contraria perché qui non sono un imputato, sono loro gli imputati! Ne risponderanno oggi! Shamil ha detto che non ero il suo Muftì, quindi le mie risposte non si applicavano a lui! Pertanto non risponderò a questa domanda, voglio rivolgerne una alla Corte della Sharia. Ti risponderanno, se vorrai rispondergli
LA PIENA LEGGE DELLA SHARIA
Come risultato di una serie di frizioni e allentamenti di tensione intercorsi in tutto il 1998, agli inizi del 1999 Maskhadov tentò di prendere il controllo dello Stato islamico che di fatto si stava venendo a costituire in Cecenia proclamandone la sua istituzione ufficiale e assumendone, in questo modo, il diretto controllo. Il 3 Febbraio 1999 Maskhadov emise il Decreto 39 del 3 Febbraio 1999 “Sull’introduzione della piena regola della Sharia” con il quale la Cecenia diventava ufficialmente una Repubblica Islamica e le istituzioni secolari venivano svuotate di qualsiasi potere a vantaggio di loro emuli confessionali. In particolare il Parlamento perse il diritto di iniziativa legislativa a vantaggio di un nuovo organo, la Shura Presidenziale (o Consiglio Islamico) che avrebbe costituito di fatto un’assemblea legislativa. L’8 Febbraio, con il Decreto 46 “Sulla Costituzione della Sharia” Maskhadov decretò la creazione di una commissione di Stato che preparasse il paese alla transizione al pieno sistema confessionale, redigendo una bozza di una nuova costituzione in affiancamento al Consiglio degli Ulema. Il documento finale sarebbe stato sottoposto ad un Congresso Nazionale del Popolo Ceceno ed eventualmente approvato.
Il gesto fu un autogol sostanziale: Maskhadov non incassò il parere dei radicali islamici, i quali continuarono a chiedere le sue dimissioni, e lo mise in rotta di collisione con i moderati, i quali lo avevano sempre sostenuto. I radicali pretesero che, una volta istituito lo Stato Islamico, Maskhadov procedesse alla dissoluzione delle strutture di potere secolari, ivi compresa la carica di Presidente della Repubblica, non prevista dallo Stato Islamico. Di fronte al parere negativo della Corte Suprema della Sharia, la quale confermò la posizione di Maskhadov alla presidenza, i radicali istituirono un loro “stato nello stato”, costituendo una loro Shura Islamica ed una loro Corte Suprema della Sharia. Il paese sprofondò così in una sorta di triarchia, con le istituzioni secolari ancora operative, quelle confessionali filo – presidenziali e quelle confessionali anti – presidenziali, aggiungendo caos al caos e impantanando il lavoro delle istituzioni.
Il provvedimento del 3 Febbraio, peraltro, era in contrasto con la Costituzione del 1992, ed inevitabilmente espose il Presidente all’impeachment per violazione dei dettami costituzionali. I suoi decreti vennero pertanto immediatamente aboliti, ma stante il caos istituzionale regnante nella Repubblica le decisioni di Maskhadov furono comunque portate avanti autonomamente dalla Presidenza, e la Commissione sulla riscrittura della Costituzione fu istituita ed iniziò ad operare senza il consenso del Parlamento. Akhmed Zakayev, Presidente della Commissione, iniziò a sviluppare un progetto costituzionale basato sulle carte fondamentali di Iran e Pakistan, con l’intendo di adeguarle alla situazione cecena. Anche Maskhadov, per parte sua, continuò a comportarsi come se i suoi decreti avessero avuto un effetto pratico: mentre il Parlamento continuava a riunirsi ignorandolo, e lo steso facevano i radicali nazionalisti con la loro Shura, Maskhadov si proclamò con Decreto 80 del 9 Marzo 1999 “Mekhkan – Da”, cioè “Padre della Nazione”, tentando di consolidare la sua riforma del sistema statale ichkeriano basato sì su di un fondamento confessionale, ma funzionante come una sua dittatura personale.
LO SCOPPIO DELLA GUERRA E LA DISSOLUZIONE DELLO STATO
Lo scoppio della Seconda Guerra Cecena, il sequestro, il saccheggio e la distruzione degli archivi statali conseguenti all’invasione militare hanno sottratto allo studio accademico sulla materia gran parte dei documenti originali, ragion per cui se già è difficile ricostruire la storia del sistema giudiziario ichkeriano tra il 1991 ed il 1999, è praticamente impossibile farlo per il periodo durante il quale le corti della Sharia operarono in stato di guerra e poi in clandestinità.
Shamil Basayev ed Aslan Maskhadov
CONCLUDENDO
Uno dei principali fallimenti nello “state – building” della Repubblica Cecena di Ichkeria fu rappresentato dall’incapacità del nuovo stato di garantire ai cittadini un sistema giudiziario equo e funzionante. Durante il primo periodo repubblicano la magistratura fu costantemente ostaggio delle lotte di potere tra il partito parlamentarista e quello presidenzialista, mentre durante il regime di Dudaev esso subì un costante deterioramento causato sia dallo stato di grave carenza di fondi, sia dall’utilizzo che il regime fece delle strutture giudiziarie, ridotte per lo più a strumenti di repressione politica. Durante la prima guerra cecena il sistema si dissolse, aprendo la strada ai tribunali della Sharia, visti come strumento “smart” per amministrare una sommaria giustizia nei territori sotto il controllo dei miliziani, e per tenere a freno i miliziani stessi. Al termine della prima guerra la dissoluzione delle strutture pubbliche e lo slancio islamista di molti comandanti di campo, abilmente intercettato da Yandarbiev e malamente contrastato da Maskhadov, portò alla trasformazione della magistratura in un sistema islamico di facciata, privo degli strumenti materiali ed intellettuali per funzionare in maniera decorosa, e che divenne ben presto uno strumento nelle mani dei piccoli potentati semi – indipendenti che andarono a crearsi nella Cecenia postbellica. Il risultato fu un accrescimento del clima di anarchia nel quale la ChRI si trovò a vivere fino alla Seconda Guerra Cecena. Con lo scoppio della Seconda Guerra il sistema giuridico andò in frantumi, e di nuovo fu istituita una “magistratura di guerra” che fu messa direttamente nelle mani dei comandanti di campo, i quali presumibilmente ne fecero un uso personalistico e finalizzato alla conservazione del proprio potere.
Com’era possibile, dunque, che la leadership dell’Ichkeria, posta alla guida dello Stato da una Costituzione secolare, legiferasse apparentemente in piena tranquillità secondo il diritto confessionale, aggirando i dettami della carta fondamentale per trasformare la Cecenia in uno stato islamico? Sia Dudaev che Maskhadov (ma in gioventù certamente anche Yandarbiev) erano formati alla scuola socialista, e non potevano certamente dirsi zelanti islamici. Eppure tutti e tre mossero concreti passi politici verso l’islamizzazione dello Stato. Come abbiamo visto il primo a muovere passi in questo senso fu Dudaev, con l’istituzione dei tribunali della Sharia in tempo di guerra. Lui probabilmente cercò soltanto di dare una parvenza di ordine alle milizie, utilizzando un meccanismo di giudizio più alla loro portata, e certamente più facile da gestire nella situazione contingente. Yandarbiev, invece, mosse passi molto decisi verso l’islamizzazione dello stato, agendo in costante disprezzo verso i dettami della Costituzione ed abolendo quasi ogni manifestazione secolare dello Stato. Maskhadov ondeggiò inizialmente tra l’una e l’altra soluzione, ma fu lui nel Febbraio del 1999 ad instaurare la Legge della Sharia per decreto presidenziale, compiendo un passo che né Dudaev, né Yandarbiev si erano arrischiati a fare. L’opinione corrente è che tutti e tre (Dudaev prudentemente, Maskhadov con incertezza, Yandarbiev con maggior convinzione) “flirtarono” con gli islamisti perché questi, seppur minoritari, erano la massa militante più facile da mobilitare e più fedele alla causa della guerra.
L’introduzione dei tribunali della Sharia e la progressiva abolizione dei tribunali secolari ha avuto effetti distruttivi non soltanto sul già agonizzante potere giudiziario, ma anche sulla stessa società civile. Se già la legge della Sharia poteva infatti dirsi non all’altezza di un sistema sociale moderno, il fatto che questa fosse demandata a corti improvvisate, basata su un sistema legislativo artigianale e spesso inadatto al luogo e al tempo nel quale avrebbe dovuto essere applicato, ed il semi – analfabetismo dei giudici nominati portarono il paese al caos giuridico, trasformando la Cecenia in una sorta di anarchia islamica.
Nella primavera del 1998 tra le frange radicali del nazionalismo ceceno si era fatta largo l’idea di esportare la rivoluzione in tutto il Caucaso, un po’ per intimorire la Russia, un po’ per assecondare il delirio di onnipotenza di quei capibanda che, dopo aver vinto la prima guerra, sognavano di combatterne una seconda ancora più grande. L’organizzazione che si era fatta promotrice di questo obiettivo, il Congresso dei Popoli di Ichkeria e Daghestan, si era costituita poco dopo, e Basayev ne era stato nominato Emiro. Nella primavera del 1999 le attività del Congresso si intensificarono. Il 17 luglio si tenne una assemblea plenaria, convocata per discutere la situazione di forte tensione che si viveva nel vicino Daghestan. Qui, come abbiamo visto, una vivace frangia del fondamentalismo, ispirata da Bagauddin Kebedov, aveva messo radici nei distretti più poveri e periferici, finendo per esserne espulsa con la forza. Kebedov era stato accolto da Basayev ed aveva trasferito in Cecenia i suoi seguaci, preparando la rivincita. Ugudov e Basayev sponsorizzavano fortemente il progetto.
In un’intervista con la rivista jihadista cecena Al – Qaf Basayev aveva dichiarato: “I leader del Congresso non consentiranno all’esercito di occupazione russo di provocare il caos nella terra dei nostri fratelli musulmani. Non intendiamo lasciarli impotenti.”. Nel gennaio del 1999 Khattab aveva iniziato a raccogliere i suoi adepti in una “Legione Islamica”, mentre insieme a Basayev aveva costituito la Brigata Internazionale Islamica per il Mantenimento della Pace, reclutando volontari principalmente tra i ceceni che componevano le Guardie della Sharia ed il Reggimento Islamico Speciale. Nell’aprile 1999 Kebedov aveva dichiarato ufficialmente una Jihad contro gli infedeli che perseguitavano i wahabiti in Daghestan, invitando tutti i “patrioti islamici del Caucaso” a prendervi parte. L’assemblea del Congresso fu convocata per decidere in che misura la Jihad di Kebedov dovesse essere appoggiata. Uno dei leader daghestani accorsi al Congresso dichiarò: “L’esistenza dell’impero russo per noi è un eterno onere schiacciante associato a determinati problemi. Dobbiamo fare del nostro meglio per concentrare tutto il nostro intelletto sulla distruzione e la frammentazione di questa minaccia globale […] dobbiamo compiere il nostro destino e scrivere col sangue la nuova storia del Caucaso […].” Il discorso si concluse con la proposta di iniziare le azioni di guerra quella stessa estate. La linea generale dei partecipanti fu aderente a questa dichiarazione.
Bandiera della Brigata Islamica per il Mantenimento della Pace, braccio armato del Congresso dei Popoli di Ichkeria e Daghestan
Nelle settimane successive al congresso, bande armate provenienti dalla Cecenia iniziarono a penetrare oltre i confini del Daghestan, attaccando posti di blocco della polizia ed ingaggiando sparatorie con l’esercito federale. Dalla seconda metà di luglio, gli scontri divennero pressoché quotidiani. Il governo, appena uscito da un confronto all’ultimo sangue coi signori della guerra, non aveva le forze e la capacità politica di fermare le azioni dei fondamentalisti, e si limitava a rispondere alle proteste di Mosca accusando a sua volta l’esercito federale di essere il vero responsabile degli attacchi, con l’intento di provocare deliberatamente un’escalation. Il 2 agosto un primo contingente di grandi dimensioni, composto per lo più da miliziani daghestani al seguito di Kebedov, penetrò in Daghestan, attaccando alcuni villaggi nel distretto di Tsumadi. Tra il 6 ed il 7 agosto circa 1500 uomini attraversarono il confine ceceno ed occuparono diversi villaggi senza sparare un singolo colpo. Tre giorni dopo, il 10 agosto, Kebedov dichiarò la nascita dello Stato Islamico del Daghestan, ed ingiunse al Congresso dei Popoli di Ichkeria e Daghestan di accorrere in suo aiuto, nominando Shamil Basayev Emiro (cioè comandante militare) del nuovo Stato. Lo sconfinamento di Kebedov fece incendiare i territori nel quali la componente fondamentalista era più forte. In particolare la rivolta si estese al circondario di Karamakhi, una piccola cittadina nel cuore del Daghestan, a circa centocinquanta chilometri dalle posizioni appena occupate dallo Stato Islamico del Daghestan. Il 15 agosto i miliziani fondamentalisti presenti in quel distretto presero il controllo della città, cacciarono gli amministratori civili e proclamarono la loro adesione allo Stato Islamico. L’ingresso incontrastato di Kebedov in Daghestan e la ribellione di Karamakhi convinsero Basayev e Khattab che fosse davvero possibile promuovere una “Guerra di liberazione” anche nella repubblica limitrofa. Così si dettero ad organizzare un vero e proprio piano di invasione. Sfruttando una massa critica di qualche migliaio di uomini le forze islamiste avrebbero dovuto penetrare nel distretto di Botlikh, al confine con la Cecenia.
Shamil Basayev dirige le operazioni durante le prima fasi dell’invasione
Da qui, radunati altri volontari, l’esercito di Basayev avrebbe dovuto marciare dapprima su Karamakhi, poi sulla capitale dello stato, Machachkala, nella quale, nel frattempo, squadre di infiltrati avrebbero dovuto scatenare una sommossa. Un secondo contingente, nel frattempo, avrebbe dovuto penetrare in Daghestan da Nord, occupando la cittadina di Khasavyurt (la stessa dove nel 1996 si erano svolti i negoziati tra Maskhadov e Lebed) e da lì convergere su Machachkala, segnando la vittoria della rivoluzione e la liberazione del Daghestan. Numerose azioni diversive, tra le quali alcune azioni terroristiche in Russia, avrebbero distratto l’opinione pubblica dalle manovre militari, facendo guadagnare tempo agli insorti e consolidando la loro situazione strategica. Il piano era estremamente ambizioso, e partiva dalla convinzione, radicata sia in Basayev che in Kebedov, che il popolo daghestano non vedesse l’ora di seguire l’esempio tracciato dai ceceni e di affrancarsi così dal dominio russo. Secondo Basayev la proclamazione dello Stato Islamico sarebbe stato l’innesco di una reazione a catena che avrebbe in breve acceso tutto il Caucaso Settentrionale, provocando un’insurrezione generale. Forte di questa certezza, ai primi di agosto il comandante ceceno penetrò nel distretto di Botlikh con un drappello di 500 volontari armati di fucili da guerra, granate ed RPG. Nel corso della prima giornata di avanzata il piccolo esercito prese tutti i villaggi che incontrò sul suo cammino. Nel frattempo Ugudov, che sosteneva l’attività dei fondamentalisti con la sua stazione televisiva, aveva istituito il canale ufficiale dello Stato Islamico e da questo iniziò ad inneggiare alla Jihad contro gli infedeli russi. A Grozny la notizia dell’invasione del Daghestan fu vissuta con impotenza ed apprensione. Maskhadov non aveva le forze per prevenire, o anche solo per arrestare l’iniziativa di Basayev: non appena la notizia dell’attacco fu ufficializzata, il Presidente ceceno si affrettò a prenderne le distanze, dichiarando che lo sconfinamento non era né voluto né organizzato dal governo ceceno. La notizia dello sfondamento da parte dei miliziani islamisti non giungeva nuova a Mosca.
I comandi federali già da tempo si erano preparati all’eventualità di un’azione simile, sapendo già da almeno un anno che le intenzioni dei radicali ceceni erano quelle di penetrare in Daghestan e tentare di esportarvi la rivoluzione. Anzi, per la verità li avevano anche incoraggiati, ritirando per tutta la prima parte del 1999 qualsiasi unità militare dal confine occidentale del Daghestan, quasi ad invitarli ad entrare. Così, non appena fu chiaro che l’operazione era iniziata, Eltsin raccomandò massima durezza alle forze armate, e nominò primo ministro un giovane astro nascente della politica russa, Vladimir Putin. Questi era stato fino ad allora Direttore dei servizi segreti federali. Non si era neanche insediato che tenne una conferenza stampa nella quale dichiarò che il governo aveva preparato “una serie di misure per mantenere l’ordine e la disciplina in Daghestan.” Il 9 agosto le prime forze speciali federali vennero a contatto con i jihadisti sulle creste ad ovest di Botlikh, mentre l’aereonautica iniziava a bersagliare i sentieri, compiendo 78 sortite nelle sole prime 24 ore. La rabbiosa reazione delle forze federali costrinse Maskhadov ad intervenire per tentare di smarcarsi da quello che sembrava un disastro annunciato. In una conferenza stampa il presidente ceceno dichiarò che quanto stava accadendo non aveva niente a che fare con la Cecenia, che i miliziani erano per lo più daghestani e che i cittadini della Cecenia non stavano partecipando all’attacco, fatta eccezione per alcuni individui isolati.
Reparti di volontari daghestani sfilano ad una rievocazione. La maggior parte dei Daghestani si oppose all’invasione degli islamisti, costituendo distaccamenti di milizia a difesa dei villaggi.
Nel frattempo, al fronte, i miliziani si erano attestati su una collina calva chiamata “orecchio d’asino”. Le truppe federali iniziarono bombardando le altezze facendo largo uso di artiglieria Grad, e bersagliando le posizioni dei militanti con elicotteri da combattimento. Il 12 agosto, dopo intensi bombardamenti, le forze federali passarono all’assalto di terra, conquistando la cima del monte alle prime ore del 13 agosto. Le forze di Basayev passarono al contrattacco attacco utilizzando i loro mortai come copertura. L’attacco fu rabbioso ed ebbe successo: i russi persero una decina di uomini, tra i quali il comandante del gruppo, Maggiore Kostin ed altri venticinque rimasero feriti, e dovettero sloggiare le posizioni acquisite. Un secondo tentativo di prendere la cima fu fatto il 18 agosto, ed anche in questo caso un violento contrattacco islamista costrinse i federali a tornare sulle posizioni di partenza. La seconda controffensiva tuttavia esaurì le riserve degli insorti, che infine si decisero ad abbandonare la montagna. Nel frattempo tutto il fronte nel distretto di Botlikh si era acceso: l’11 agosto i miliziani avevano abbattuto un elicottero a bordo del quale volavano tre Generali della Milizia del Ministero degli Interni, i quali rimasero feriti. Altri due corpi d’assalto islamisti, uno agli ordini di Kebedov, l’altro costituito dai resti del Reggimento Islamico Speciale di Baraev, penetrarono in Daghestan, aspettandosi da un momento all’altro che i daghestani insorgessero in tutto il paese a supporto della loro azione. Tuttavia la stragrande maggioranza delle popolazione non soltanto non fraternizzò coi wahabiti, ma cercò in tutti i modi di allontanarli dai villaggi, temendo che le loro cose finissero distrutte nei combattimenti. Ben presto l’avanzata iniziò ad impantanarsi. Nessuna grande città del paese insorse, e le forze attaccanti, appiedate e prive di supporto aereo, non si avvicinarono a meno di centoventi chilometri da Karamakhi, l’obiettivo a medio termine dell’offensiva. Il 17 agosto le forze federali passarono al contrattacco assaltando Tando, la principale roccaforte di Basayev. I miliziani resistettero stoicamente, distruggendo 6 veicoli russi ed uccidendo 34 soldati, oltre a ferirne un centinaio, ma dopo aver accusato enormi perdite dovettero ritirarsi. Tra il 20 ed il 24 agosto i federali ripresero il controllo di tutto il circondario di Botlikh, bombardando pesantemente Tando e costringendo i miliziani superstiti a ritirarsi oltre i confini della Cecenia.
Da Mosca giungevano pressioni affinché Maskhadov ripudiasse i jihadisti senza se e senza ma. Il 12 agosto il Vice Ministro dell’Interno russo, Zubov, gli aveva inviato un telegramma proponendo un’operazione congiunta contro gli islamisti: mentre i federali avrebbero scacciato Basayev ed i suoi dal Daghestan, i ceceni avrebbero distrutto le loro basi in Cecenia. Di nuovo Maskhadov si trovò di fronte ad un bivio: se avesse condannato Basayev, inseguendolo sulle montagne e consegnandolo ai russi, avrebbe scatenato la rappresaglia dei signori della guerra. Se non lo avesse fatto avrebbe invitato i Russi ad invadere il paese. Stavolta la scelta non era tra anarchia e guerra, ma chi scegliere come nemico. E Maskhadov non si sentì di assecondare le richieste di Mosca. Così scelse di non rispondere al telegramma inviato da Zubov, ma si limitò a convocare una manifestazione a Grozny, durante la quale accusò il governo russo di aver volutamente destabilizzato il Daghestan, ed introdusse la Legge Marziale nella Repubblica. Il dado era tratto: da adesso in poi una seconda guerra con la Russia sarebbe stata soltanto questione di tempo. Il 18 agosto si tenne un’assemblea dei Comandanti di Campo e dei veterani della Prima Guerra Cecena a Grozny. L’assemblea venne diretta da Maskhadov, Basayev e Yandarbiev. Molti Comandanti di Campo rifiutarono di supportare direttamente le azioni della Shura del Daghestan, ma accettarono di fornire assistenza ai feriti e materiale per sostenere lo sforzo bellico. Il 25 agosto l’aereonautica russa lanciò il primo raid aereo sul territorio ceceno. Su indicazione di Putin, il Distretto Militare del Caucaso Settentrionale dichiarò che si sarebbe riservato il diritto “di colpire le basi dei militanti sul territorio di qualsiasi regione del Caucaso Settentrionale, compresa la Cecenia.” Nel frattempo, approfittando del ritiro dei miliziani islamisti nelle basi di partenza, Putin ordinò di liquidare l’enclave di Karamakhi. Il 27 agosto l’autorità militare russa inviò un ultimatum ai wahabiti diffidandoli a far entrare la polizia militare entro le 8 del giorno successivo. Alle 3:30 della notte, non avendo ancora ricevuto risposta dagli assediati, l’esercito russo iniziò il bombardamento della cittadina con l’artiglieria e l’aereonautica. Le forze di terra iniziarono ad avanzare il giorno seguente, incontrando la severa resistenza di 500 Muhajdeen. La battaglia infuriò fino al 30 agosto, quando i miliziani cominciarono ad abbandonare Karamakhi ed a rifugiarsi sulle alture che sovrastavano la regione. Sembrava che i fondamentalisti avessero perso su tutta la linea. L’invasione era stata fermata, lo Stato Islamico sciolto e la raccogliticcia Brigata di Basayev sgominata. Ma il peggio doveva ancora venire.
Militare del Ministero degli Interni del Daghestan a Karamakhi, 16 settembre 1999
I jihadisti avevano previsto per i primi giorni di settembre una serie di operazioni terroristiche che avrebbero dovuto distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mentre le loro bande, che per quella date avrebbero già dovuto essere giunte in appoggio agli insorti di Karamakhi, avrebbero lanciato il loro assalto finale alla capitale del Daghestan. L’offensiva di terra non aveva avuto successo, ma gli attentati si sarebbero ugualmente svolti. Nella notte tra il 4 ed il 5 settembre una serie di esplosioni scosse tutta la Russia. La prima si ebbe alle 21:45 a Buynaksk, in Daghestan. Un camion contenente 2700 chilogrammi di esplosivo fu fatto esplodere sotto ad un condominio di cinque piani che ospitava le famiglie dei militari della 136a Brigata Motorizzata federale. Morirono 64 persone, tra le quali 23 bambini, mentre altre 146 rimasero ferite. Un secondo camion – bomba, in procinto di esplodere, venne individuato e neutralizzato due ore dopo. Era il preludio della terza fase dell’operazione programmata da Basayev e Khattab, durante la quale un secondo troncone, passando da Khasavyurt, avrebbe dovuto ricongiungersi al primo, nel frattempo penetrato a Karamakhi e diretto a Machachkala. I miliziani attraversarono il confine in più punti, diretti al capoluogo del distretto, Novolaskoye. Il primo drappello si lanciò all’assalto di un posto di blocco presidiato da soldati federali e poliziotti daghestani. I difensori, sopraffatti, ebbero morti e feriti, e sei di loro si arresero sulla promessa di non essere uccisi. Ma una volta abbassate le armi vennero arrestati, processati, e condannati sbrigativamente a morte dal comandante dell’unità miliziana. Vennero sgozzati ai lati di una strada di campagna, e la loro esecuzione venne filmata e registrata su una videocassetta. Il video di quell’orribile crimine fece il giro del mondo, e se ancora qualcuno in Russia avesse avuto qualche remora a dare carta bianca ad Eltsin ed a Putin, anch’egli quel giorno cambiò idea.
Un secondo gruppo di Jihadisti penetrò dentro Novolaskoye. Dopo aver preso in ostaggio un ufficiale della polizia, Eduard Belan ed averlo torturato per conoscere i nomi dei comandanti militari locali, lo mutilarono e lo uccisero brutalmente, dopodiché assaltarono il presidio della polizia locale. I poliziotti russi si difesero strenuamente, ma finirono sotto il tiro dei lanciagranate e dovettero ripiegare verso la stazione di polizia, presidiata dai poliziotti daghestani. Un terzo distaccamento era penetrato in città con l’intenzione di prendere l’altura che dominava la cittadina sulla quale spiccava la torre televisiva. La stazione era presidiata da cinque poliziotti daghestani ed un militare russo armato di mitragliatrice. Contro di loro si lanciarono per un’intera giornata un centinaio di miliziani, venendo respinti per ben sette volte con alte perdite. Soltanto l’esaurimento delle munizioni costrinse il piccolo drappello ad arrendersi. I due superstiti furono giustiziati e sepolti poco lontano. Mentre gli uomini di Basayev e Khattab combattevano a Novolaskoye, i terroristi che li fiancheggiavano continuavano a far scoppiare bombe in tutta la Russia. Il 9 settembre un condominio saltò in aria a Mosca. Morirono 109 persone, molte delle quali donne, anziane e bambini, ed altre 690 rimasero ferite. Un’ondata di sdegno attraversò l’opinione pubblica russa: i giornali di tutto il paese tuonavano contro i fondamentalisti, spingendo affinché Mosca intervenisse per sopprimere quell’ondata terroristica.
Resti del palazzo in Via Goryanov a Mosca, distrutto in un attentato terroristico il 9 Settembre 1999
Putin non aspettava altro, ed ordinò un violento contrattacco. Lo stesso 9 settembre forze federali riconquistavano la torre della televisione sulla sommità della collina che dominava Novolansky. La battaglia fu un vero e proprio tritacarne. Dopo aver preso la cima, le forze federali si trovarono sotto un pesante contrattacco dei miliziani, che coinvolse anche una colonna corazzata giunta in soccorso ed un secondo distaccamento di commando inviato a risolvere la situazione. Cinquecento miliziani piombarono addosso alle truppe federali, che in breve si trovarono circondate ed attaccate da tutti i lati. L’aereonautica, inviata a sostenere il ripiegamento della fanteria, finì per bombardare gli stessi russi, non si sa se per errore del comando o per il sabotaggio dei canali di comunicazione da parte dei miliziani islamisti. I feriti vennero per lo più uccisi sul posto dai jihadisti, ed i loro corpi mutilati. I federali dovettero infine desistere dall’assalto, schierare l’artiglieria campale ed iniziare un fitto bombardamento delle posizioni dei jihadisti, che l’11 settembre si ritirarono definitivamente dal Daghestan e rientrarono nelle loro basi in Cecenia. L’invasione islamista del Daghestan era ufficialmente fallita: era durata cinquanta giorni, aveva provocato la morte di 300 soldati federali ed il ferimento di un altro migliaio. I fondamentalisti avevano perso almeno un migliaio di uomini, ed un altro migliaio dovevano essere stati i feriti. A Grozny, Maskhadov non si faceva illusioni. L’offensiva dello Stato Islamico del Daghestan aveva dato a Putin l’argomento perfetto per porre fine una volta per tutte all’indipendenza della Cecenia.