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Verso l’insurrezione islamica: l’invasione del daghestan

Nella primavera del 1998 tra le frange radicali del nazionalismo ceceno si era fatta largo l’idea di esportare la rivoluzione in tutto il Caucaso, un po’ per intimorire la Russia, un po’ per assecondare il delirio di onnipotenza di quei capibanda che, dopo aver vinto la prima guerra, sognavano di combatterne una seconda ancora più grande. L’organizzazione che si era fatta promotrice di questo obiettivo, il Congresso dei Popoli di Ichkeria e Daghestan, si era costituita poco dopo, e Basayev ne era stato nominato Emiro. Nella primavera del 1999 le attività del Congresso si intensificarono. Il 17 luglio si tenne una assemblea plenaria, convocata per discutere la situazione di forte tensione che si viveva nel vicino Daghestan. Qui, come abbiamo visto, una vivace frangia del fondamentalismo, ispirata da Bagauddin Kebedov, aveva messo radici nei distretti più poveri e periferici, finendo per esserne espulsa con la forza. Kebedov era stato accolto da Basayev ed aveva trasferito in Cecenia i suoi seguaci, preparando la rivincita. Ugudov e Basayev sponsorizzavano fortemente il progetto.

In un’intervista con la rivista jihadista cecena Al – Qaf Basayev aveva dichiarato: “I leader del Congresso non consentiranno all’esercito di occupazione russo di provocare il caos nella terra dei nostri fratelli musulmani. Non intendiamo lasciarli impotenti.”. Nel gennaio del 1999 Khattab aveva iniziato a raccogliere i suoi adepti in una “Legione Islamica”, mentre insieme a Basayev aveva costituito la Brigata Internazionale Islamica per il Mantenimento della Pace, reclutando volontari principalmente tra i ceceni che componevano le Guardie della Sharia ed il Reggimento Islamico Speciale. Nell’aprile 1999 Kebedov aveva dichiarato ufficialmente una Jihad contro gli infedeli che perseguitavano i wahabiti in Daghestan, invitando tutti i “patrioti islamici del Caucaso” a prendervi parte. L’assemblea del Congresso fu convocata per decidere in che misura la Jihad di Kebedov dovesse essere appoggiata. Uno dei leader daghestani accorsi al Congresso dichiarò: “L’esistenza dell’impero russo per noi è un eterno onere schiacciante associato a determinati problemi. Dobbiamo fare del nostro meglio per concentrare tutto il nostro intelletto sulla distruzione e la frammentazione di questa minaccia globale […] dobbiamo compiere il nostro destino e scrivere col sangue la nuova storia del Caucaso […].” Il discorso si concluse con la proposta di iniziare le azioni di guerra quella stessa estate. La linea generale dei partecipanti fu aderente a questa dichiarazione.

Bandiera della Brigata Islamica per il Mantenimento della Pace, braccio armato del Congresso dei Popoli di Ichkeria e Daghestan

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Nelle settimane successive al congresso, bande armate provenienti dalla Cecenia iniziarono a penetrare oltre i confini del Daghestan, attaccando posti di blocco della polizia ed ingaggiando sparatorie con l’esercito federale. Dalla seconda metà di luglio, gli scontri divennero pressoché quotidiani.  Il governo, appena uscito da un confronto all’ultimo sangue coi signori della guerra, non aveva le forze e la capacità politica di fermare le azioni dei fondamentalisti, e si limitava a rispondere alle proteste di Mosca accusando a sua volta l’esercito federale di essere il vero responsabile degli attacchi, con l’intento di provocare deliberatamente un’escalation. Il 2 agosto un primo contingente di grandi dimensioni, composto per lo più da miliziani daghestani al seguito di Kebedov, penetrò in Daghestan, attaccando alcuni villaggi nel distretto di Tsumadi. Tra il 6 ed il 7 agosto circa 1500 uomini attraversarono il confine ceceno ed occuparono diversi villaggi senza sparare un singolo colpo. Tre giorni dopo, il 10 agosto, Kebedov dichiarò la nascita dello Stato Islamico del Daghestan, ed ingiunse al Congresso dei Popoli di Ichkeria e Daghestan di accorrere in suo aiuto, nominando Shamil Basayev Emiro (cioè comandante militare) del nuovo Stato. Lo sconfinamento di Kebedov fece incendiare i territori nel quali la componente fondamentalista era più forte. In particolare la rivolta si estese al circondario di Karamakhi, una piccola cittadina nel cuore del Daghestan, a circa centocinquanta chilometri dalle posizioni appena occupate dallo Stato Islamico del Daghestan. Il 15 agosto i miliziani fondamentalisti presenti in quel distretto presero il controllo della città, cacciarono gli amministratori civili e proclamarono la loro adesione allo Stato Islamico. L’ingresso incontrastato di Kebedov in Daghestan e la ribellione di Karamakhi convinsero Basayev e Khattab che fosse davvero possibile promuovere una “Guerra di liberazione” anche nella repubblica limitrofa. Così si dettero ad organizzare un vero e proprio piano di invasione. Sfruttando una massa critica di qualche migliaio di uomini le forze islamiste avrebbero dovuto penetrare nel distretto di Botlikh, al confine con la Cecenia.

Shamil Basayev dirige le operazioni durante le prima fasi dell’invasione

Da qui, radunati altri volontari, l’esercito di Basayev avrebbe dovuto marciare dapprima su Karamakhi, poi sulla capitale dello stato, Machachkala, nella quale, nel frattempo, squadre di infiltrati avrebbero dovuto scatenare una sommossa. Un secondo contingente, nel frattempo, avrebbe dovuto penetrare in Daghestan da Nord, occupando la cittadina di Khasavyurt (la stessa dove nel 1996 si erano svolti i negoziati tra Maskhadov e Lebed) e da lì convergere su Machachkala, segnando la vittoria della rivoluzione e la liberazione del Daghestan. Numerose azioni diversive, tra le quali alcune azioni terroristiche in Russia, avrebbero distratto l’opinione pubblica dalle manovre militari, facendo guadagnare tempo agli insorti e consolidando la loro situazione strategica. Il piano era estremamente ambizioso, e partiva dalla convinzione, radicata sia in Basayev che in Kebedov, che il popolo daghestano non vedesse l’ora di seguire l’esempio tracciato dai ceceni e di affrancarsi così dal dominio russo. Secondo Basayev la proclamazione dello Stato Islamico sarebbe stato l’innesco di una reazione a catena che avrebbe in breve acceso tutto il Caucaso Settentrionale, provocando un’insurrezione generale. Forte di questa certezza, ai primi di agosto il comandante ceceno penetrò nel distretto di Botlikh con un drappello di 500 volontari armati di fucili da guerra, granate ed RPG. Nel corso della prima giornata di avanzata il piccolo esercito prese tutti i villaggi che incontrò sul suo cammino. Nel frattempo Ugudov, che sosteneva l’attività dei fondamentalisti con la sua stazione televisiva, aveva istituito il canale ufficiale dello Stato Islamico e da questo iniziò ad inneggiare alla Jihad contro gli infedeli russi. A Grozny la notizia dell’invasione del Daghestan fu vissuta con impotenza ed apprensione. Maskhadov non aveva le forze per prevenire, o anche solo per arrestare l’iniziativa di Basayev: non appena la notizia dell’attacco fu ufficializzata, il Presidente ceceno si affrettò a prenderne le distanze, dichiarando che lo sconfinamento non era né voluto né organizzato dal governo ceceno. La notizia dello sfondamento da parte dei miliziani islamisti non giungeva nuova a Mosca.

I comandi federali già da tempo si erano preparati all’eventualità di un’azione simile, sapendo già da almeno un anno che le intenzioni dei radicali ceceni erano quelle di penetrare in Daghestan e tentare di esportarvi la rivoluzione. Anzi, per la verità li avevano anche incoraggiati, ritirando per tutta la prima parte del 1999 qualsiasi unità militare dal confine occidentale del Daghestan, quasi ad invitarli ad entrare. Così, non appena fu chiaro che l’operazione era iniziata, Eltsin raccomandò massima durezza alle forze armate, e nominò primo ministro un giovane astro nascente della politica russa, Vladimir Putin. Questi era stato fino ad allora Direttore dei servizi segreti federali. Non si era neanche insediato che tenne una conferenza stampa nella quale dichiarò che il governo aveva preparato “una serie di misure per mantenere l’ordine e la disciplina in Daghestan.” Il 9 agosto le prime forze speciali federali vennero a contatto con i jihadisti sulle creste ad ovest di Botlikh, mentre l’aereonautica iniziava a bersagliare i sentieri, compiendo 78 sortite nelle sole prime 24 ore. La rabbiosa reazione delle forze federali costrinse Maskhadov ad intervenire per tentare di smarcarsi da quello che sembrava un disastro annunciato. In una conferenza stampa il presidente ceceno dichiarò che quanto stava accadendo non aveva niente a che fare con la Cecenia, che i miliziani erano per lo più daghestani e che i cittadini della Cecenia non stavano partecipando all’attacco, fatta eccezione per alcuni individui isolati.

Reparti di volontari daghestani sfilano ad una rievocazione. La maggior parte dei Daghestani si oppose all’invasione degli islamisti, costituendo distaccamenti di milizia a difesa dei villaggi.

Nel frattempo, al fronte, i miliziani si erano attestati su una collina calva chiamata “orecchio d’asino”. Le truppe federali iniziarono bombardando le altezze facendo largo uso di artiglieria Grad, e bersagliando le posizioni dei militanti con elicotteri da combattimento. Il 12 agosto, dopo intensi bombardamenti, le forze federali passarono all’assalto di terra, conquistando la cima del monte alle prime ore del 13 agosto. Le forze di Basayev passarono al contrattacco attacco utilizzando i loro mortai come copertura. L’attacco fu rabbioso ed ebbe successo: i russi persero una decina di uomini, tra i quali il comandante del gruppo, Maggiore Kostin ed altri venticinque rimasero feriti, e dovettero sloggiare le posizioni acquisite. Un secondo tentativo di prendere la cima fu fatto il 18 agosto, ed anche in questo caso un violento contrattacco islamista costrinse i federali a tornare sulle posizioni di partenza. La seconda controffensiva tuttavia esaurì le riserve degli insorti, che infine si decisero ad abbandonare la montagna. Nel frattempo tutto il fronte nel distretto di Botlikh si era acceso: l’11 agosto i miliziani avevano abbattuto un elicottero a bordo del quale volavano tre Generali della Milizia del Ministero degli Interni, i quali rimasero feriti. Altri due corpi d’assalto islamisti, uno agli ordini di Kebedov, l’altro costituito dai resti del Reggimento Islamico Speciale di Baraev, penetrarono in Daghestan, aspettandosi da un momento all’altro che i daghestani insorgessero in tutto il paese a supporto della loro azione. Tuttavia la stragrande maggioranza delle popolazione non soltanto non fraternizzò coi wahabiti, ma cercò in tutti i modi di allontanarli dai villaggi, temendo che le loro cose finissero distrutte nei combattimenti. Ben presto l’avanzata iniziò ad impantanarsi. Nessuna grande città del paese insorse, e le forze attaccanti, appiedate e prive di supporto aereo, non si avvicinarono a meno di centoventi chilometri da Karamakhi, l’obiettivo a medio termine dell’offensiva. Il 17 agosto le forze federali passarono al contrattacco assaltando Tando, la principale roccaforte di Basayev. I miliziani resistettero stoicamente, distruggendo 6 veicoli russi ed uccidendo 34 soldati, oltre a ferirne un centinaio, ma dopo aver accusato enormi perdite dovettero ritirarsi. Tra il 20 ed il 24 agosto i federali ripresero il controllo di tutto il circondario di Botlikh, bombardando pesantemente Tando e costringendo i miliziani superstiti a ritirarsi oltre i confini della Cecenia.

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Da Mosca giungevano pressioni affinché  Maskhadov ripudiasse i jihadisti senza se e senza ma. Il 12 agosto il Vice Ministro dell’Interno russo, Zubov, gli aveva inviato un telegramma proponendo un’operazione congiunta contro gli islamisti: mentre i federali avrebbero scacciato Basayev ed i suoi dal Daghestan, i ceceni avrebbero distrutto le loro basi in Cecenia. Di nuovo Maskhadov si trovò di fronte ad un bivio: se avesse condannato Basayev, inseguendolo sulle montagne e consegnandolo ai russi, avrebbe scatenato la rappresaglia dei signori della guerra. Se non lo avesse fatto avrebbe invitato i Russi ad invadere il paese. Stavolta la scelta non era tra anarchia e guerra, ma chi scegliere come nemico. E Maskhadov non si sentì di assecondare le richieste di Mosca. Così scelse di non rispondere al telegramma inviato da Zubov, ma si limitò a convocare una manifestazione a Grozny, durante la quale accusò il governo russo di aver volutamente destabilizzato il Daghestan, ed introdusse la Legge Marziale nella Repubblica. Il dado era tratto: da adesso in poi una seconda guerra con la Russia sarebbe stata soltanto questione di tempo. Il 18 agosto si tenne un’assemblea dei Comandanti di Campo e dei veterani della Prima Guerra Cecena a Grozny. L’assemblea venne diretta da Maskhadov, Basayev e Yandarbiev. Molti Comandanti di Campo rifiutarono di supportare direttamente le azioni della Shura del Daghestan, ma accettarono di fornire assistenza ai feriti e materiale per sostenere lo sforzo bellico. Il 25 agosto l’aereonautica russa lanciò il primo raid aereo sul territorio ceceno. Su indicazione di Putin, il Distretto Militare del Caucaso Settentrionale dichiarò che si sarebbe riservato il diritto “di colpire le basi dei militanti sul territorio di qualsiasi regione del Caucaso Settentrionale, compresa la Cecenia.” Nel frattempo, approfittando del ritiro dei miliziani islamisti nelle basi di partenza, Putin ordinò di liquidare l’enclave di Karamakhi. Il 27 agosto l’autorità militare russa inviò un ultimatum ai wahabiti diffidandoli a far entrare la polizia militare entro le 8 del giorno successivo. Alle 3:30 della notte, non avendo ancora ricevuto risposta dagli assediati, l’esercito russo iniziò il bombardamento della cittadina con l’artiglieria e l’aereonautica. Le forze di terra iniziarono ad avanzare il giorno seguente, incontrando la severa resistenza di 500 Muhajdeen. La battaglia infuriò fino al 30 agosto, quando i miliziani cominciarono ad abbandonare Karamakhi ed a rifugiarsi sulle alture che sovrastavano la regione. Sembrava che i fondamentalisti avessero perso su tutta la linea. L’invasione era stata fermata, lo Stato Islamico sciolto e la raccogliticcia Brigata di Basayev sgominata. Ma il peggio doveva ancora venire.

Militare del Ministero degli Interni del Daghestan a Karamakhi, 16 settembre 1999

I jihadisti avevano previsto per i primi giorni di settembre una serie di operazioni terroristiche che avrebbero dovuto distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica mentre le loro bande, che per quella date avrebbero già dovuto essere giunte in appoggio agli insorti di Karamakhi, avrebbero lanciato il loro assalto finale alla capitale del Daghestan. L’offensiva di terra non aveva avuto successo, ma gli attentati si sarebbero ugualmente svolti. Nella notte tra il 4 ed il 5 settembre una serie di esplosioni scosse tutta la Russia.  La prima si ebbe alle 21:45 a Buynaksk, in Daghestan. Un camion contenente 2700 chilogrammi di esplosivo fu fatto esplodere sotto ad un condominio di cinque piani che ospitava le famiglie dei militari della 136a Brigata Motorizzata federale. Morirono 64 persone, tra le quali 23 bambini, mentre altre 146 rimasero ferite. Un secondo camion – bomba, in procinto di esplodere, venne individuato e neutralizzato due ore dopo. Era il preludio della terza fase dell’operazione programmata da Basayev e Khattab, durante la quale un secondo troncone, passando da Khasavyurt, avrebbe dovuto ricongiungersi al primo, nel frattempo penetrato a Karamakhi e diretto a Machachkala. I miliziani attraversarono il confine in più punti, diretti al capoluogo del distretto, Novolaskoye. Il primo drappello si lanciò all’assalto di un posto di blocco presidiato da soldati federali e poliziotti daghestani. I difensori, sopraffatti, ebbero morti e feriti, e sei di loro si arresero sulla promessa di non essere uccisi. Ma una volta abbassate le armi vennero arrestati, processati, e condannati sbrigativamente a morte dal comandante dell’unità miliziana. Vennero sgozzati ai lati di una strada di campagna, e la loro esecuzione venne filmata e registrata su una videocassetta. Il video di quell’orribile crimine fece il giro del mondo, e se ancora qualcuno in Russia avesse avuto qualche remora a dare carta bianca ad Eltsin ed a Putin, anch’egli quel giorno cambiò idea.

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Un secondo gruppo di Jihadisti penetrò dentro Novolaskoye. Dopo aver preso in ostaggio un ufficiale della polizia, Eduard Belan ed averlo torturato per conoscere i nomi dei comandanti militari locali, lo mutilarono e lo uccisero brutalmente, dopodiché assaltarono il presidio della polizia locale. I poliziotti russi si difesero strenuamente, ma finirono sotto il tiro dei lanciagranate e dovettero ripiegare verso la stazione di polizia, presidiata dai poliziotti daghestani. Un terzo distaccamento era penetrato in città con l’intenzione di prendere l’altura che dominava la cittadina sulla quale spiccava la torre televisiva.  La stazione era presidiata da cinque poliziotti daghestani ed un militare russo armato di mitragliatrice. Contro di loro si lanciarono per un’intera giornata un centinaio di miliziani, venendo respinti per ben sette volte con alte perdite. Soltanto l’esaurimento delle munizioni costrinse il piccolo drappello ad arrendersi. I due superstiti furono giustiziati e sepolti poco lontano. Mentre gli uomini di Basayev e Khattab combattevano a Novolaskoye, i terroristi che li fiancheggiavano continuavano a far scoppiare bombe in tutta la Russia. Il 9 settembre un condominio saltò in aria a Mosca. Morirono 109 persone, molte delle quali donne, anziane e bambini, ed altre 690 rimasero ferite. Un’ondata di sdegno attraversò l’opinione pubblica russa: i giornali di tutto il paese tuonavano contro i fondamentalisti, spingendo affinché Mosca intervenisse per sopprimere quell’ondata terroristica.

Resti del palazzo in Via Goryanov a Mosca, distrutto in un attentato terroristico il 9 Settembre 1999

Putin non aspettava altro, ed ordinò un violento contrattacco. Lo stesso 9 settembre forze federali riconquistavano la torre della televisione sulla sommità della collina che dominava Novolansky. La battaglia fu un vero e proprio tritacarne. Dopo aver preso la cima, le forze federali si trovarono sotto un pesante contrattacco dei miliziani, che coinvolse anche una colonna corazzata giunta in soccorso ed un secondo distaccamento di commando inviato a risolvere la situazione. Cinquecento miliziani piombarono addosso alle truppe federali, che in breve si trovarono circondate ed attaccate da tutti i lati. L’aereonautica, inviata a sostenere il ripiegamento della fanteria, finì per bombardare gli stessi russi, non si sa se per errore del comando o per il sabotaggio dei canali di comunicazione da parte dei miliziani islamisti. I feriti vennero per lo più uccisi sul posto dai jihadisti, ed i loro corpi mutilati. I federali dovettero infine desistere dall’assalto, schierare l’artiglieria campale ed iniziare un fitto bombardamento delle posizioni dei jihadisti, che l’11 settembre si ritirarono definitivamente dal Daghestan e rientrarono nelle loro basi in Cecenia. L’invasione islamista del Daghestan era ufficialmente fallita: era durata cinquanta giorni, aveva provocato la morte di 300 soldati federali ed il ferimento di un altro migliaio. I fondamentalisti avevano perso almeno un migliaio di uomini, ed un altro migliaio dovevano essere stati i feriti.  A Grozny, Maskhadov non si faceva illusioni. L’offensiva dello Stato Islamico del Daghestan aveva dato a Putin l’argomento perfetto per porre fine una volta per tutte all’indipendenza della Cecenia.

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L’ULTIMA INTERVISTA DI ABDUL – KHALIM SADULAYEV

BIOGRAFIA

Abdul – Halim Abusalamvic Sadulayev nacque ad Argun, in Cecenia, dopo che la sua famiglia era già tornata dall’esilio in Kazakistan. Fin da ragazzo si dedicò allo studio dell’Islam, imparando l’arabo e frequentando le massime autorità religiose della Cecenia. Allo scoppio della Rivoluzione Cecena si mise a disposizione del Comitato Esecutivo, e dal 1992 fu nominato parte della Commissione di Controllo del Municipio di Argun.

Allo scoppio della Prima Guerra Cecena si arruolò volontario nella milizia di Argun, Dal 1995 guidò la Squadra Investigativa Speciale sotto lo Stato Maggiore dell’esercito, diventando uomo fidato di Maskhadov. Dopo la guerra tornò a dedicarsi alla teologia, venendo nominato Vicedirettore della TV di Stato con delega agli affari religiosi. In questa veste tenne spesso sermoni serali molto apprezzati dalla popolazione. La sua fama di uomo equilibrato, anche allineato su posizioni rigorose, lo rese uno dei pochi leader della Repubblica apprezzati sia dai radicali che dai moderati. Nel 1999 Maskhadov lo nominò membro della Commissione responsabile della redazione di una nuova Costituzione islamica.

Abdul – Khalim Sadulayev

Allo scoppio della Seconda Guerra Cecena fu nominato Vice – Muftì, si arruolò nuovamente nella milizia di Argun e combattè in difesa della città. Quando questa cadde si trasferì con i resti del suo reparto sulle montagne, mettendosi a disposizione di Maskhadov. Agli inizi del 2002 questi lo nominò suo successore in caso di morte. Quando ciò avvenne, l’8 Marzo 2005, Sadulayev fu immediatamente riconsciuto da tutti i gruppi armati della resistenza come nuovo Presidente. Egli tuttavia già da tempo maturava l’idea di estendere la ribellione cecena a tutto il Caucaso, trasformando la resistenza in un’insurrezione islamica generale. Questa sua politica lo portò a costituire il Fronte Caucasico, una sorta di sovrastruttura militare nella quale inserire anche i numerosi gruppi armati islamici che operavano fuori dal paese, non in favore del nazionalismo ceceno ma certamente contro l’imperialismo russo. Per effetto di questo l’asse politica della ChRI, già da tempo fortemente orientata verso il radicalismo islamico, si spostò talmente tanto verso l’insurrezionalismo fondamentalista da perdere sostanzialmente di consistenza. Sadulalyev si oppose per tutta la durata del suo mandato allo svolgimento di azioni terroristiche, ed effettivamente sotto la sua presidenza nessuna azione contro civili fu intrapresa dalle forze armate della ChRI.

Il 17 Giugno 2006 Sadulayev fu intercettato alla periferia di Argun dai servizi federali, su delazione di uno dei suoi conoscenti. Coinvolto in uno scontro a fuoco, rimase ucciso nella sparatoria. Suo successore fu Dokku Umarov, già comandante sul campo delle principali formazioni combattenti della ChRI, nominato Naib nel 2005. La presente intervista, pubblicata dalla rivista “Caucaso Settentrionale”, fu rilasciata alla Jamestown Foundation nel 2006. Sadulayev ricevette le domande per iscritto e registrò un video di risposta, pubblicato on line ed ancora disponibile in lingua originale.

L’INTERVISTA

Salutiamo tutti i nostri amici, tutte le persone che si preoccupano per la libertà e l’indipendenza del popolo ceceno, tutti coloro che vedono oggettivamente e correttamente l’immagine della nostra repubblica, intorno a noi; che riconoscono il diritto del popolo ceceno all’autodeterminazione ed all’indipendenza. In questo tentativo di rispondere ad alcune domande cercheremo di spiegare e mostrare chiaramente la nostra posizione. Le domande che abbiamo ricevuto dai nostri amici sono:

Come valuta la situazione in Cecenia dopo la morte di Aslan Maskhadov? La morte di Maskhadov ha influenzato la resistenza cecena, le sue tattiche politiche e militari?

Abbiamo adottato la tattica di allargare la Jihad nel 2002 al grande Majilis  – ul – Shura [il consiglio di guerra costituito allo scoppio del secondo conflitto con la Russia, ndr.] ed oggi stiamo ancora lavorando a quel piano. Tale piano, presentato dal Comitato Militare del Makilis – ul – Shura della ChRI, dovrebbe durare fino al 2010. La politica ha subito piccoli cambiamenti. Il piano da cui siamo guidati oggi deriva da quei progetti e da quelle decisioni adottate dal Majilin – ul – Shura, il quale era diretto dal nostro Presidente, Aslan Maskhadov (un martire, la pace sia su di lui).

Aslan Maskhadov ha ripetutamente dimostrato la sua adesione all’idea di negoziati con la parte russa. In particolare, il Presidente deceduto dichiarò che una conversazione di 30 minuti con Putin sarebbe stata sufficiente per porre fine alla guerra. Insisterete ora sul ritiro delle truppe dalla Cecenia come condizione essenziale per l’avvio dei negoziati?

Per fermare la guerra i nostri avversari hanno bisogno di forte volontà e coraggio, e di pensare in modo strategico. Purtroppo non vediamo queste qualità nella leadership russa. Certo, non è possibile fermare la guerra in 30 minuti; è possibile interrompere la fase attiva delle operazioni militari. Potremmo riuscirci. Sebbene la presenza delle loro truppe nella nostra repubblica non sia un fattore positivo, l’avvio di qualsiasi negoziato con la parte russa non rappresenta un grande ostacolo. Per parafrasare Yaroslav Gashek, i negoziati con un cappio al collo non possono essere definiti veri e propri negoziati. Tuttavia, la presenza di truppe non è un grande ostacolo perché tutto ciò può essere stipulato nel processo di negoziazione. Proveremo a non renderlo un punto critico.

Sadulayev (sinistra) seduto al fianco di Maskhadov (destra)

Considera l’operazione dei mujahideen a Nalchik, il 13 Ottobre 2005, un successo? Ha informazioni precise sui risultati (perdite da entrambi i lati, quanti civili innocenti sono stati uccisi, quante armi sono state catturate)? Coloro che attaccarono gli edifici delle strutture di potere quel giorno, nella Capitale della Cabardino – Balcaria, agirono seguendo i tuoi ordini? I combattenti ceceni erano presenti? Verranno ripetute sortite simili? Quanto è giustificabile la morte di civili innocenti durante tali attacchi su larga scala?

Prima di tutto, vorrei evitare tale terminologia della propaganda russa, parole come “sortite” e simili. L’operazione a Nalchik è stata un’operazione di sabotaggio classica, e nonostante vi furono perdite tra i mujahideen e, sfortunatamente, tra la popolazione civile, ed i principali obiettivi non furono raggiunti, l’operazione fu considerata riuscita.

Non era necessario impartire ordini speciali ai mujahideen. Il piano è stato presentato, l’ho approvato ed autorizzato. Non è stato necessario inviare i nostri combattenti dalla Repubblica Cecena di Ichkeria, dal Daghestan, dall’Inguscezia o dagli altri settori dei nostri fronti. Naturalmente l’Emiro militare Shamil Basayev ha preso parte allo sviluppo ed alla preparazione dell’operazione, ma non abbiamo distolto combattenti dagli altri settori.

Le perdite militari tra i nostri mijahideen ammontarono a 37 persone. Il resto di coloro che furono uccisi dagli attaccanti e dagli occupanti russi erano principalmente civili. Lo vediamo anche dalle scarse fonti russe. Secondo i genitori – padri e madri – un giovane ha lasciato la casa mezz’ora prima e poi è stato ritrovato morto tra “gli uomini armati”. Un altro giovane uscì dal cortile di casa e non tornò, fu ritrovato tra i morti. Non abbiamo questo tipo di mujahideen, che vanno a combattere per mezz’ora e poi tornano. Ci sono professionisti ben addestrati ed altamente qualificati, e uomini più giovani sotto la guida dei mijahideen esperti.

Un numero enorme di persone è stato ucciso tra la popolazione civile della Cabardino – Balaria: migliaia di persone, comprese donne incinte, sono state perseguitate dagli aggressori russi. Naturalmente non è possibile accettare le perdite tra civili innocenti, indipendentemente dall’operazione. E le nostre operazioni sono sempre messe a punto prendendo in considerazione il fatto che la popolazione civile non dovrebbe soffrire, anche se l’aggressore pone sempre le sue basi e installazioni solo all’interno dei confini dei centri abitati e nelle aree più densamente popolate. Si proteggono in questo modo. Comprendiamo perfettamente perché lo anno.

Sadulayev (destra) seduto a fianco di Shamil Basayev (sinistra). Sullo sfondo la bandiera di combattimento della ChRI ai tempi della presidenza di Sadulayev.

Quali sono i tuoi rapporti con Shamil Basayev? Alcuni credono che lui, e non tu, controlli tutte le unità della resistenza. Qual è il meccanismo per la formazione ed il coordinamento delle unità militari che operano al di fuori dei confini della Cecenia?

I media ci pongono sempre domande del genere, sulle nostre relazioni con Shamil Basayev e con persone illustri come Dokku Umarov. Abbiamo relazioni normali e buone. Il fatto che sorga una domanda del genere, tuttavia, non ci sorprende, perché queste persone hanno un’enorme autorità sia in Cecenia che nel Caucaso Settentrionale. Queste persone sono veramente leader della loro causa. Se qualcuno sta cercando di scoprire se questo ostacola il nostro lavoro – la nostra lotta per liberare la nostra terra – allora, la risposta è il contrario: ciascuno dei mijahideen, ciascuno degli emici, conosce il suo dovere, la sua posizione. Shamil Basayev ricopre la posizione di Emiro militare del Majilis – ul – Shura e, naturalmente, tutte le nostre unità sono subordinate a lui. E, naturalmente, egli è subordinato al comandante in capo, cioè a me.

Per quanto riguarda le nostre unità, esse sono sottoposte tutte direttamente al Comitato Militare, al Ministero della Difesa ed allo staff congiunto. Non ci sono grandi differenze tra le unità di mijahidee che operano all’interno della Cecenia e quelle che operano all’esterno. Siamo tutti parte di un meccanismo unificato ed i nostri mihajideen sono divisi in fronti e settori. Ogni settore e ciascun fronte conosce il suo Emiro diretto. Ognuno conosce i propri obiettivi. Gli Emiri dei settori e dei fronti sono spesso incaricati di risolvere molti compiti. Effettuiamo anche operazioni militari su larga scala, sebbene solo con l’autorizzazione del comandante in capo e del Comitato Militare.

Quando Maskhadov era vivo la leadership di Ichkeria ha ripetutamente condannato qualsiasi metodo terroristico di condurre la guerra. Qual è il tuo atteggiamento nei confronti di questo problema come presidente della ChRI?

Consideriamo inaccettabili i metodi terroristici, e questo è dimostrato dal fatto che da un anno e mezzo siamo riusciti ad osservare gli accordi raggiunti su insistenza di Maskhadov per un rifiuto unilaterale di atti terroristici. Questi vengono attualmente osservati. Tuttavia, nonostante questo gesto di buona volontà e gli sforzi della leadership della ChRI e del Comitato Militare del Mijilis – ul – Shura, non vediamo azioni corrispondenti da parte degli aggressori russi. L’omicidio dei nostri innocenti continua; i rapimenti, le uccisioni extragiudiziali e le torture continuano. Ad oggi è in funzione un sistema di prigioni clandestine che si è sviluppato non solo in Cecenia ma in tutto il Caucaso Settentrionale. Le persone in queste prigioni vengono torturate, violentate ed uccise.

Sadulayev (sinistra) con Rappani Khalilov (centro, leader dei miliziani islamisti daghestani) ed Abu Hafs al Urdani (referente di Al Quaeda nel Caucaso)

Nel tuo primo appello da Presidente hai osservato che “la leadership cecena continuerà a mantenere stretti contatti e amicizia con tutto il mondo civile, ma nel fare ciò la base ideologica dovrebbe prendere in considerazione la visione del mondo del popolo musulmano della Cecenia”. Potresti spiegare se questo significa che dopo la guerra la Cecenia creerà uno Stato confessionale basato sulla Sharia e non uno Stato laico basato sulla Costituzione adottata nel 1992? Oppure pensi che sia possibile un compromesso tra queste due opzioni, combinando leggi religiose e secolari?

Durante la guerra continueremo a creare lo Stato che avevamo pianificato dall’inizio sulla base della Costituzione adottata nel 1992. Il punto è che questa Costituzione, secondo la decisione presa non solo dagli organi esecutivi e legislativi del potere della ChRI, ma anche dal Comitato Militare del Majilis – ul – Shura, da tutti i Comitati che ne fanno parte ed anche per volontà di una vasta parte della popolazione dovrebbero riflettere l’essenza islamica del popolo ceceno. Né un singolo regime, neppure quello sovietico, con tutto il suo totalitarismo, con tutta la sua politica misantropica, potrebbe costringere i ceceni o i popoli vicini ad abbandonare la pratica di risolvere i loro problemi attraverso i tribunali della Sharia. Naturalmente questi non potevano funzionare a pieno regime.

Io stesso sono stato testimone di come in Russia, nell’Ex Unione Sovietica, tre costituzioni si sostituirono in breve tempo e poi arrivarono la Perestroika, lo sviluppo della democrazia, e successivamente il regime revanchista che ancora una volta sta trascinando la Russia in guerre e conflitti: un regime che ha cominciato a combattere per la “Grande Russia” non è collegato né alla libertà né ai diritti umani. La “Grande Russia” significa guerra senza fine, morte e menzogna per milioni di persone. Pertanto non vogliamo approvare delle leggi che dovrebbero essere modificate ogni 10 – 15 – 20 anni. Leggi che sarebbero buone soltanto per un leader, calcolate per una sorta di periodo temporaneo. Tutte le leggi dovrebbero basarsi sui principi fondamentali dell’umanità che si trovano nella religione: nel Corano, nei Vangeli, nella Torah. I principi di base sono espressi dai libri sacri, inviati dall’Onnipotente Allah, e l’umanità non dovrebbe ignorarli. Quando qualcuno cerca di sfuggire a questo e introduce altri valori che contraddicono la natura umana, questo genera conflitto, locale o generale.

L’Islam ha tre nemici. Il primo è l’ateo militante. L’ateo è un pericolo per qualsiasi paese, per qualsiasi nazione, perché è una persona senza valori. Voglio essere compreso correttamente qui: quando i musulmani usano la parola “infedele” intendono persone che non hanno accettato l’Islam, ma che non sono Cristiani, Ebrei o rappresentanti di altre religioni. Cioè persone che hanno una propria scala di valori. Le persone che hanno tali valori, tali regole, possono trovare un linguaggio comune.

Il secondo nemico dell’Islam è il fanatismo, il fanatismo del teologo che interpreta erroneamente l’Islam. Questo è ciò che stiamo vedendo anche oggi in molti paesi islamici in cui le persone soffrono sotto regimi totalitari dittatoriali invece di godere dei diritti umani e delle libertà, che sono valori che dovrebbero essere protetti per ogni persona. Ciò non è in alcun modo conforme all’Islam.

Il terzo nemico è l’ignorante fanatico. Queste persone sono un pericolo per qualsiasi società. Per quanto riguarda il mio primo appello, ho semplicemente detto che nessuno dovrebbe interferire negli affari interni di uno Stato sovrano.

Quale, secondo te, dovrebbe essere la politica della comunità mondiale e, in particolare, dei governi dei paesi musulmani, che potrebbe avere un impatto reale e fermare la guerra in Cecenia? Pensi che sia possibile che i mediatori internazionali possano prendere parte ai negoziati tra Russia e ChRI? Qual è il tuo atteggiamento nei confronti del piano di [Ilyas] Akhmadov, il quale propone un mandato internazionale temporaneo sotto la Nazioni Unite?

La politica della comunità mondiale non dovrebbe discostarsi dai valori di base che possono essere presi dal Corano, dai Vangeli o dalla Torah. La partecipazione dei mediatori internazionali è possibile, ma non è obbligatoria. Al piano di Akhmadov è stato dato il via libera da diversi assi, ma sfortunatamente non ha funzionato. Non perché il piano fosse negativo, ma perché i nostri avversari non erano pronti per una soluzione pacifica del problema. Oggi il piano non si adatta alla realtà attuale. Abbiamo resistito e ci siamo rafforzati. Non abbiamo più bisogno di questo piano e ci sono altre proposte e soluzioni a questo problema. Ma la cosa principale è che il Cremlino dovrebbe separarsi dal suo militarismo e diventare più pragmatico, corretto e rispettoso del diritto, il diritto internazionale.

Ilyas Alhamdov, autore di un piano di pace che prevedeva la trasformazione della Cecenia in un mandato fiduciario delle Nazioni Unite. Il piano non fu mai seriamente discusso nè dalla Russia, nè dalla dirigenza della ChRI.

Accetteresti personalmente trattative dirette con la leadership filo – russa della Cecena – Alu Alkhanov e Ramzan Kadyrov – e, in tal caso, quale forma, secondo te, dovrebbero assumere?

Vorrei usare un esempio comprensibile a tutti. Immaginiamo di essere attaccati da un branco di cani appartenenti al tuo vicino. Dovresti parlare col proprietario dei cani, giusto? Non avrebbe senso parlare con gli animali, con i cani. Loro svolgono un ruolo disonorevole e non dignitoso di semplici burattini. Se riponessimo le nostre speranze su di loro danneggeremmo non solo l’onore e la dignità dei martiri caduti ma anche l’onore dell’intera nazione cecena. Cosa possono fare questi pupazzi? Quale problema possono risolvere? Tutto ciò che fanno lo fanno con il permesso del Cremlino e dei servizi speciali russi. Non hanno mai preso una decisione da soli. Non hanno mai deciso nulla da soli e non lo faranno mai. Quindi questa domanda dev’essere compresa correttamente. Non è una questione della nostra riluttanza a fermare le operazioni militari. Semplicemente non ha senso condurre negoziati con quella gente.

In caso di trattative tra la ChRI e la Federazione Russa, quale ruolo potrebbero svolgere gli emiri delle comunità delle altre repubbliche del Caucaso Settentrionale? Qual è lo scopo finale della lotta portata avanti da queste Jamaat? In che modo la loro lotta è correlata alla guerra combattuta dai ceceni per la loro indipendenza? Vedi la prospettiva di diventare il leader politico dell’intero Caucaso Settentrionale?

Certamente, se inizieranno i negoziati tra la ChRI e la Russia, tutte le questioni saranno risolte tra di noi in modo consultivo, osservando i principi della Shura. Non solo gli emiri delle Jamaat prenderanno parte alle discussioni, ma anche i mijahideen ordinari prenderanno parte alla pari. Tutti abbiamo un obiettivo comune: la liberazione dalla schiavitù coloniale ed il raggiungimento della libertà e dell’indipendenza. Come il popolo ceceno, tutti i popoli intorno a noi si sono sollevati e vogliono libertà e indipendenza. Ci sono Jammat sul territorio della Russia, alcune costituite da russi etnici, molti dei quali hanno prestato giuramento di fedeltà come emiri del Majilis – ul – Shura e si sono subordinati direttamente a noi. Esistono gruppi del genere ma sono i ceceni che in passato non hanno mai avuto il desiderio di rimanere nella Russia e non hanno un tale desiderio neanche oggi. Ci sono anche nazioni vicine che condividono la nostra richiesta di indipendenza. Tutte queste domande saranno affrontate in modo consultivo, collegiale e di comune accordo.

Sono un leader non perché voglio esserlo, ma perché è un fatto universalmente riconosciuto nel Caucaso Settentrionale. Il Majilis – ul – Shura è l’organismo legale di tutti i musulmani del Caucaso Settentrionale e, come è già stato detto, anche all’interno della Russia, dove ci sono molte Jamaat che hanno prestato giuramento di fedeltà a noi. Questo è un dato di fatto, ma non è come se noi stessi avessimo cercato in modo specifico di realizzarlo.

Fotogramma di un programma di divulgazione religiosa mandato in onda sulla TV di stato durante il periodo interbellico. Gli interventi televisivi di Sadulayev erano molto apprezzati e seguiti dalla popolazione.

Quale posizione è più importante per te: essere uno Sceicco e un Emiro del Majilis – ul – Shura o essere il Presidente della ChRI?

Secondo l’Islam, la parola “Sceicco” esprime un atteggiamento rispettoso nei confronti di uno studioso o di un anziano appartenente alla famiglia. E’ vicino al significato della parola inglese “Sir”. L’Emiro del Majilis – ul – Shura e il Presidente hanno la stessa funzione e lo stesso ruolo. L’unica differenza è che l’Emiro del Majilis – ul  – Shura ha più diritti e più doveri. Naturalmente il popolo ceceno si è sempre comportato secondo la Costituzione, in cui è assegnata la posizione di Presidente della ChRI. “Sceicco”, come è già stato detto, è soltanto una forma di rispetto.

Cerchiamo di sondare il tuo atteggiamento nei confronti dei paesi occidentali. Consideri gli Stati Uniti come un potenziale nemico della ChRI o consideri l’America un nemico, come al Russia?

Penso che possiamo fare amicizia non soltanto con gli Stati Uniti, ma anche con la Russia. Nonostante questa guerra omicida, sporca e barbare che la Russia ha intrapreso contro di noi, non abbiamo mai respinto le relazioni di buon vicinato ed amichevoli con la Russia. Sfortunatamente, questo ha sempre colpito un muro di incomprensioni, arroganza ed ambizioni imperiali. Tuttavia non siamo persone che possono essere trasformate in schiavi. E’ meglio averci come amici. Se una nazione, in particolare una superpotenza mondiale come gli Stati Uniti, è pronta a dialogare con noi, siamo sempre aperti e saremo sempre disponibili a questo. Se siamo pronti ad essere buoni vicini con la Russia, non possiamo avere problemi con l’America.

Aslan Maskhadov ha avuto qualche influenza sulla formazione delle tue opinioni?

Indubbiamente. Aslan Maskhadov è sempre stato un enorme esempio per tutti i nostri mujahideen e per l’intera popolazione. Maskhadov è stato un grande leader e con il suo martirio è diventato ancora più grande perché ha mostrato come un leader dovrebbe andarsene, come dovrebbe andarsene un emiro. Quei cani russi che danzavano intorno al suo cadavere dovrebbero vergognarsi. Anche da morto, Maskhadov è stato grandioso, mentre la Russia si è disonorata agli occhi di tutte le persone oneste e rispettabili del mondo. Come dice il proverbio, un leone morto può essere cacciato anche da un coniglio. Anche dopo la sua morte, Maskhadov rimane un grande leader ed un esempio per me.

Potresti fornire alcuni fatti della tua storia personale? Ci sono molte notizie contraddittorie sulla stampa. Sei nato davvero ad Argun? Hai preso parte alle operazioni contro l’esercito russo? La stampa russa ti ha descritto come un ardente wahabita. Fai parte di una particolare scuola dell’Islam?

Vengo davvero dalla città di Argun. Se Allah lo permetterà, avrò presto 40 anni. Sono nato ad Argun nel 1966.  La scuola di pensiero islamica che ho studiato e seguito l’ho appresa dagli insegnamenti dell’Imam Shafi’i, sebbene conosca anche le altre opere degli altri tre grandi Imam e gli insegnamenti delle quattro scuole islamiche di base, i quattro Madhabs. Ho anche cercato di attingere all’Hanbali Maskhab, ma i ceceni sono sempre stati seguaci dell’Imam Shati’i; questa è la ragione per la quale l’ho studiato a fondo. Per quanto riguarda il wahabismo […] esso non ha nulla a che fare né con la nostra religione né con le nostre credenze.

Spero di essere stato in grado, nel mio breve discorso, di rispondere ad alcune delle domande dei nostri amici e di aver chiarito la situazione in cui ci troviamo. Ogni paese ed ogni nazione che sostiene il popolo ceceno non sostiene soltanto noi, ma anche sé stesso, perché se neghi la libertà a qualcuno, neghi la libertà alla tua stessa gente. Il fatto che i nostri amici in America facciano queste domande serve alla causa della pace ed avvicina i nostri popoli. Vi ringrazio per la vostra simpatia e per i vostri sforzi di capire la situazione nella nostra repubblica. Ringrazio tutti voi.

Allah Akhbar!