Archivi tag: Islam

IBN AL – KHATTAB: MEMORIE DI UN TERRORISTA (PARTE 1)

Nel 2016 il blog di informazione https://arabskayavesna.wordpress.com/  ha pubblicato il testo integrale delle memorie di Sāmir Ṣālaḥ ʿAbd Allāh al-Suwaylim: “Memories of Amir Khattab: The Experience of the Arab Ansar in Cecenia, Afghanistan e Tagikistan”.Dai più conosciuto come Emir Al Khattab, è stato il più celebre “Comandante di Campo” della guerriglia cecena, mettendo in atto alcune delle più audaci azioni di guerra contro l’esercito russo, e rendendosi parimenti responsabile di alcuni tra i più odiosi atti terroristici che abbiano macchiato il suolo del Caucaso. Fervente islamista, fu tra i promotori della “svolta fondamentalista” della resistenza cecena, preparando centinaia di giovani combattenti al “martirio” e costituendo l’organizzazione alla base dell’autoproclamato “Emirato Islamico”. In questa sede pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista. Chiariamo subito che il nostro intento non è quello di glorificare una figura di Al Khattab, di giustificarne le azioni o di supportare il radicalismo islamico (come specificato nella sezione “Mission” di questo blog). Nel nostro trattare l’argomento della Repubblica Cecena di Ichkeria non possiamo ignorare la voce di questa parte della “resistenza” che fu così fondamentale per l’evoluzione confessionale della ChRI. Per questo, e per nessun altro motivo, riportiamo alcuni stralci del libro di Ibn Al Khattab.

Copertina della versione inglese dell’autobiografia di Ibn Al – Khattab

            BIOGRAFIA DI IBN AL – KHATTAB

Nato ad Arar, in Arabia Saudita, nel 1969, Samir Salah Al – Suwaylim proveniva da una famiglia benestante, il che gli permise di affrontare con successo gli studi secondari. Fin dall’adolescenza si appassionò alle grandi figure dell’Islam, maturando una visione radicale dell’impegno religioso che lo portò, ancora diciassettenne, ad unirsi alle file degli arabi afghani nella guerra contro l’esercito sovietico. Durante la sua permanenza in Afghanistan Al Suwaylim combattè come gregario in formazioni di mijahudeen vicine al fondamentalismo islamico, guadagnandosi il nome di battaglia di Ibn Al – Khattab, ispirato al celebre Califfo Omar Ibn – Al Khattab, vissuto nel VII Secolo. Nell’incauto maneggiamento di esplosivi, il giovane perse quasi completamente l’uso della mano destra.

Tra il 1993 ed il 1995 Khattab combattè in Tajikistan, al fianco dell’opposizione islamica. Secondo una sua dichiarazione, combattè anche in Bosnia, al fianco delle milizie islamiche locali. Recatosi per la prima volta in Cecenia nel 1995, ed infiltratosi fingendosi giornalista, costituì un’unità combattente guidata da lui stesso e da alcuni suoi uomini fidati ma composta prevalentemente da daghestani e ceceni con la quale, tra il 1995 e il 1996, mise a segno numerose imboscate tra le quali quella più celebre presso  la gola di Yarish – Mardy, durante la quale distrusse completamente una colonna della Quarantasettesima divisione corazzata dell’esercito federale.

Alla fine della Prima Guerra Cecena Khattab rimase sul territorio della ChRI, dove gestì un campo di addestramento di Mujahideen e raccolse milioni di dollari in donazioni dalle organizzazioni islamiste di tutto il pianeta, ivi compresa Al Qaeda. Sotto la sua guida si formarono centinaia di jihadisti, con i quali Khattab mise a segno il 22 Dicembre 1997 un’incursione in Daghestan, presso la base militare di Buinaksk. L’attacco fu un fiasco, i jihadisti dovettero rientrare precipitosamente in Cecenia e lo stesso Khattab rimase ferito.

Nel 1998 fu tra i promotori del Majilis  – Ul – Shura dei Mujahideen Riuniti (Consiglio Consultivo dei Sacri Combattenti Riuniti) il cui terminale politico era il Congresso dei Popoli di Ichkeria e Daghestan, con lo scopo di iniziare un’insurrezione islamista nella repubblica vicina alla ChRI e scatenare una rivoluzione islamica in tutto il Caucaso. Braccio armato dell’organizzazione fu la Brigata Islamica per il Mantenimento della Pace, al cui comando fu posto l’amico e compagno d’armi Shamil Basayev. Nell’Agosto del 1999 le forze islamiste al comando di Basayev e Khattab tentarono un’invasione del Daghestan, venendo tuttavia respinti con gravi perdite. L’azione dette il via alla ritorsione armata della Federazione Russa, la quale invase in forze la Cecenia provocando la caduta del governo separatista e lo scoppio della Seconda Guerra Cecena. Secondo l’FSB (il servizio di sicurezza federale) Khattab avrebbe diretto o organizzato i tragici attentati terroristici ai quartieri residenziali di numerose città russe, provocando centinaia di morti e feriti.

Khattab in Afghanistan

Con lo scoppio della Seconda Guerra Cecena Khattab fu reintegrato nell’esercito separatista, occupandosi di armare, addestrare e condurre le Jamaats islamiche insediatesi nel paese al termine della prima guerra. In questa veste il leader arabo si occupò anche di far fluire alla resistenza lauti aiuti economici provenienti dalle associazioni islamiche di tutto il mondo. Divenuto uno dei terroristi più ricercati del pianeta, Khattab fu oggetto di un’accanita caccia all’uomo terminata il 20 Marzo 2002, quando l’FSB riuscì ad avvelenarlo facendogli recapitare una lettera avvelenata.

KHATTAB IN CECENIA

“Mentre ci stavamo preparando per l’anno successivo, iniziarono gli eventi in Cecenia. Ho guardato la TV: lo scontro contro i russi era condotto dal generale comunista Dzhokhar Dudaev, o almeno così lo immaginavamo. Credevamo fosse un conflitto tra comunisti, non vedevamo prospettive islamiche in Cecenia.  Un giorno tornai nelle retrovie per curare il mio braccio destro ferito. La’ un Mujahideen ceceno venne da me e si offrì di portarmi in Cecenia per una o due settimane. Guardammo la mappa della Cecenia. Era una piccola repubblica di 16.000 chilometri quadrati. Era persino difficile da trovare sulla mappa. Pensavo che la sua popolazione fosse di un migliaio di persone. Quindi iniziammo il nostro viaggio. C’era una sola strada per entrare in Cecenia. In quel momento la Russi aveva iniziato ad istituire posti di frontiera, ma riuscimmo ad aggirarli.

[…] Alcuni tra i miei fratelli avevano un’opinione diversa dalla mia. Dicevano: “Perché vai in Cecenia? Ti sei affezionato alle battaglie e per te non fa differenza con chi combattere?” E’ Haraam per te combattere con queste persone, Sufi con un leader comunista, un generale sovietico? Verserai il tuo sangue invano. […] Ho discusso con loro, dicendo […] “Se Allah ha predeterminato che faremo qualcosa, allora lo faremo. Siamo venuti qui per Allah, non per i comunisti. Non supporteremo loro. Stiamo lavorando per Allah e la nostra ricompensa è con lui, quindi siate pazienti. Entriamo e diamo un’occhiata alla situazione.” […]. Questo è stato l’inizio della mia storia in Cecenia.”

Khattab armato di un lanciarazzi

FORMARE UN ESERCITO

I combattimenti si avvinarono presto alla nostra zona. I giovani discutevano se si trattasse di una Jihad, i mullah sufi dichiaravano che non lo era, che si trattava di una resa dei conti tra Dzhokhar Dudaev ed i comunisti, e gli ipocriti gettavano benzina sul fuoco con i loro commessi. I burattini dei russi (l’opposizione antidudaevita, ndr.) dicevano che questo era un problema tra loro e Dudaev, e che noi non avremmo dovuto intervenire. […] Io non conoscevo veramente la situazione perché non l’avevo studiata. Avevo una videocamera ed ho iniziato a filmare le persone, chiedendo loro per cosa stessero combattendo. E’ così che ho conosciuto Shamil Basayev. Alcune persone pensavano che fossi un giornalista. Ho visto persone sincere e, giuro su Allah, ho pianto quando ho chiesto ad una donna anziana: “Per quanto tempo sopporterete queste difficoltà?” e lei ha risposto: “Vogliamo sbarazzarci dei russi”. Le ho chiesto “Per cosa combattete?” e lei ha risposto: “Vogliamo vivere come musulmani e non vogliamo vivere con i russi”. Allora le ho chiesto. “Cosa potete dare ai Mujahideen?” E lei: “Non ho che questa giacca addosso”. Ho pianto: se questa donna anziana può aiutare avendo solo questo, perché noi ci permettiamo di avere paura e dubbi? Da quel giorno decisi con i miei fratelli di iniziare a preparare le persone alla battaglia, come primo passo.

[…] Abbiamo iniziato a radunare i giovani e abbiamo preparato per loro una base di addestramento sulla montagne. Lo Sceicco Fathi (Al – Sistani, comandante del cosiddetto Battaglione Islamico, ndr.) mi ha dato una mappa ed abbiamo scelto il villaggio di Vedeno e la zona circostante. Dopo aver trovato un Campo dei Pionieri (istituzione giovanile del Partito Comunista sovietico, ndr.) abbandonato, abbiamo iniziato a radinarvi i giovani e abbiamo stabilito un programma di addestramento. Ricordo che al primo incontro c’erano più di 80 mujahideen che ora sono divenuti Emiri. Ricordo cosa dissi loro (e Fathi tradusse): “Se qualcuno di voi vuole essere Emir, allora deve offrire il suo programma di combattimento e noi gli ubbidiremo”. Nessuno disse nulla. In quei giorni la battaglia si stava avvicinando alle montagne. Quindi dissi loro: “Non vi sto dicendo che ho conoscenza. Ho solo esperienza di combattimento in Afghanistan e Tajikistan. Forse è il momento di mettersi al lavoro. Ho un programma scaglionato in tre fasi: preparazione, armamento e operazioni. Se non saremo davanti a voi in battaglia potrete spararci. Saremo davanti a voi dopo il corso. Dopo l’armamento, inizieremo ad implementare il programma di combattimento. Andremo sempre davanti a voi, io ed i fratelli che sono con me.”

L’INCONTRO CON DUDAEV

Ho incontrato Dudaev durante una visita allo Sceicco Fathi. […] Dzhokhar iniziò a fare domande. […] Chiese: “perché dalle tua parti non ci vengono ad aiutare?” Risposi: “La verità  che le ragioni della guerra non sono chiare, e le persone non sanno per cosa stiamo combattendo.” Lui mi disse: “Fratello […] questa è una terra islamica. Non è abbastanza per te?” Rimasi scioccato dal fatto che una frase di questo genere provenisse dalle labbra di un generale russo. […] Rimasi colpito da questa personalità dignitosa e forte. Mi sedetti accanto a loro (Dudaev e Al – Sistani, ndr.) e posi a Dudaev la prima domanda: “Qual è lo scopo della tua battaglia? Combatti per l’Islam?” Lui rispose: “Ogni figlio della Cecenia e del Caucaso, oppresso da decenni, sogna che un giorno l’Islam tornerà non solo nella sua terra natale, ma in tutto il Caucaso. E io sono uno di questi figli. Fui sopraffatto da una risposta così profonda. Dissi: “Va bene, i russi sono stati assenti pe tre anni, del 1991 alla fine del 1994. Perché non hai proclamato uno Stato Islamico e non hai risolto la questione in questi tre anni?” Lui disse: “Sapevamo che non appena ci fossimo allontanati dalla Russia, questa ci avrebbe attaccati il giorno successivo. Abbiamo cercato di ingannarli, mostrandoci come dei democratici che cercano di sbarazzarsi dell’inferno russo. Ma i russi sono molto maliziosi, e astuti; sapevano che eravamo sulla strada per la restaurazione dell’Islam, quindi iniziarono l’occupazione.”

Khattab e Basayev

Allora risposi: “Il mondo islamico non sa di questa guerra. Non hai nemmeno chiamato questo paese “Repubblica Islamica Cecena” in modo che le persone sapessero che hanno il dovere di aiutare. Il mondo islamico non sa nulla degli eventi in corso in Cecenia.” Lui disse: “[…] E’ un dovere. La guerra è iniziata qui in Ceceni,a e sai che questa è la terra dei musulmani, che è tuo dovere venire qui. Sei il primo giornalista musulmano a farmi queste domande, mentre sotto i bombardamenti i giornalisti della BBC, della CNN e dell’intero mondo occidentale si siedono in ginocchio davanti a noi per saperne di più sulla guerra. Chiedono per cosa combattiamo, qual è la situazione, se siamo musulmani o cristiani e ci pongono domande sorprendenti. E finora, guarda quanti musulmani ci sono tra i giornalisti! Nessuno è venuto qui per saperne di più, o per fare domande sulla guerra!”

RUSLAN GELAYEV: “L’ANGELO NERO”

Ruslan Gelayev è forse uno dei comandanti di campo separatisti più iconici. Proveniente dal proletariato di campagna, lavoratore stagionale, animato da un coraggio fuori dal comune e dotato di grande leadership, egli rappresenta forse più di chiunque altro il prototipo del guerrigliero secessionista. Testardo uomo d’azione, si trovò spesso in rotta di collisione con la leadership della ChRI, finendo per essere addirittura degradato e privato dei suoi riconoscimenti.  Anche la sua morte, che racconteremo qui, è certamente tra le più emblematiche.

per approfondire la sua storia, leggi “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” Acquistabile QUI”

GIOVINEZZA E RIVOLUZIONE

Ruslan Germanovich Gelayev nacque il 16 Aprile 1964 a Komsomolskoye (odierna Goychu) da una famiglia da poco rientrata dall’esilio in Kazakistan. Il suo villaggio natale era un paesino rurale, che poté fornirgli a malapena qualche anno di scuola elementare e la prospettiva di una vita da contadino. Quando suo padre morì, nei primi anni ’80, Gelayev decise di iniziare a lavorare come stagionale, nel settore delle costruzioni e nel lavoro agricolo. Un destino comune a decine di migliaia di suoi compatrioti, “eccedenze rurali” del sistema socialista. Il lavoro lo portava spesso nella regione di Omsk, dove trovò una compagna, Larisa, dalla quale ebbe un figlio maschio, Rustam. Dopo qualche anno di convivenza nei sobborghi di Omsk, Ruslan trovò lavoro a Grozny nel settore petrolifero, cosicché la famiglia si trasferì in Cecenia intorno al 1990. Per quell’epoca, secondo alcune fonti, Gelayev aveva già accumulato un bel numero di denunce per reati minori (per lo più furto e rapina).

Lo scoppio della Rivoluzione Cecena lo trovò frustrato e desideroso di rimettersi in gioco: al pari di molti altri militanti della prima ora, il nazionalismo fu per lui il motore di una vera e propria rinascita personale, capace di fornirgli una nuova ragione di vita. Gelayev partecipò agli eventi di Settembre – Novembre 1991 arruolandosi volontario nella Guardia Nazionale, dove strinse una forte amicizia con due personaggi destinati a segnare la sua vita per sempre: Khamzat Khankarov e Shamil Basayev. Il primo, militante pancaucasico, autore di inni nazionalisti ed ispirato autore di articoli incendiari, divenne uno dei suoi migliori amici. Il secondo invece divenne il suo principale partner nella costruzione di una forza armata di formidabile valore, e terribilmente spietata.

Ruslan Gelayev nel 1991

IL COMANDANTE MILITARE

Il vero colpo d’ala nella sua vita Gelayev ci fu nel 1992, quando scoppiò la Guerra Georgiano – Abkhaza. I nazionalisti ceceni, inquadrati nelle Brigate Internazionali della Confederazione dei Popoli del Caucaso, si schierarono a difesa dei separatisti abkhazi, costituendo il nocciolo duro di due raggruppamenti armati e recandosi nella piccola regione a combattere. Per quasi tutto il 1992 Ruslan combattè al fronte, guadagnandosi fama di energico comandante e costituendo il nucleo di un reparto armato a lui fedelissimo. Fu proprio il suo amico e diretto superiore, Khankarov, a nominarlo comandante di plotone. Da quel plotone nacque il Reggimento “Borz” (“Lupo”) destinato a diventare uno dei più temibili reparti dell’esercito separatista.

Rientrato in patria si mise a disposizione del governo Dudaev, trasformando quel piccolo gruppo di combattenti in un’unità organizzata. Tra le sue file si arruolarono molti giovani, tra i quali un suo lontano parente, Dokku Umarov, anch’egli destinato a diventare un uomo di punta della Repubblica Cecena di Ichkeria. Gelayev strinse amicizia con un parente acquisito del Presidente, Salman Raduev, il quale stava a sua volta costituendo un reparto armato chiamato “Berretti Presidenziali”. Tra i due nacque una proficua collaborazione “professionale” e umana, alimentata dalla figura del Generale Dudaev e dal suo progetto di una Cecenia indipendente e forte. Gelayev divenne uno dei più ardenti sostenitori del progetto separatista, mettendo a disposizione i suoi volontari. Il primo incarico che gli fu affidato fu quello di proteggere gli impianti petroliferi di Grozny, da tempo flagellati dal furto di greggio e ridotti quasi all’improduttività. La sua unità divenne la forza di guardia degli impianti di raffinazione, e immediatamente i furti di petrolio si ridussero come non mai. La sua figura cresceva di giorno in giorno, tanto che alla fine del 1993 egli poteva ben definirsi una delle persone più influenti della nuova Cecenia.

Il colpo di Stato del 1993 lo mise in crisi di fronte a Dudaev: nel Dicembre di quell’anno, quando ormai si profilava all’orizzonte la guerra civile, insieme a Basayev si recò a casa del Presidente, volendo convincerlo a ricomporre la frattura tra il suo governo e l’opposizione parlamentare, portata agli estremi dal golpe militare da questi operato nel Giugno precedente. Le forze di Gelayev e di Basayev si schierarono di fronte alla residenza presidenziale domandando la nomina di un Primo Ministro (Dudaev aveva tenuto per sé sia la carica che Presidente che quella di Capo del Gabinetto dei Ministri) e l’istituzione di un Ministero della Difesa. Dudaev convocò entrambi, negoziò con loro e alla fine riuscì a ricondurli dalla sua parte. Non sappiamo quali argomenti addusse, fatto sta che dal Gennaio del 1994 Gelayev tornò ad essere un pretoriano del Presidente, prendendo parte alla guerra civile dalla parte dei lealisti. Il suo reparto fu la punta di lancia nella repressione dell’insurrezione messa in atto da Ruslan Labazanov, ed insieme a Maskhadov prese parte alla battaglia di Gekhi contro le unità di Bislan Gantamirov.

Fotogramma che mostra RUslan Gelayev ad una riunione del Comitato per la Difesa dello Stato (GKO)

per approfondire la sua storia, leggi “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” Acquistabile QUI”

L’ANGELO NERO

Allo scoppio della Prima Guerra Cecena Gelayev era già uno dei candidati di punta per guidare le forze armate della ChRI. Nominato comandante del settore Sud – Occidentale, schierò i suoi uomini nel quadrilatero Assinovskaya – Novy – Sharoy – Achkhoy Martan – Bamut. In quest’ultimo villaggio si trovava una vecchia base missilistica sovietica, che egli fortificò al punto da diventare quasi inespugnabile. Dopo la presa di Grozny da parte dell’esercito federale la sua forza d’animo e la sua leadership furono essenziali pet tenere unito ciò che rimaneva dell’esercito regolare. Per far sentire la sua autorità non esitò a compiere veri e propri crimini di guerra, come l’uccisione a sangue freddo di tre ufficiali russi catturati, come ritorsione per i bombardamenti lanciati dai russi nei villaggi montani dove si era asserragliato. Sostenitore della guerra ad oltranza, se necessario facendo ricorso a metodi terroristici, sostenne la proposta di Basayev di “Portare la guerra in Russia” attuando un’azione dimostrativa che terrorizzasse l’opinione pubblica. Fu anche grazie al suo appoggio che Basayev potè ideare e portare a termine il Raid su Budennovsk, a seguito del quale i separatisti ottennero dal governo russo l’avvio di negoziati per la fine delle ostilità.

Dopo lo stallo dell’estate 1995 e la ripresa delle ostilità attive nell’autunno di quell’anno, Gelayev prese le redini di gran parte delle milizie separatiste, attribuendosi il nome di battaglia di “Black Angel”: fu tra gli organizzatori della difesa della piazzaforte di Shatoi nel 1995, del Raid su Grozny del Marzo 1996 e della celebre Imboscata di Yarish Mardy nell’Aprile di quell’anno. Il 6 Agosto successivo i suoi uomini dettero avvio alla cosiddetta “Operazione Jihad” con la quale i separatisti ripresero la capitale cecena costringendo Eltsin a sedersi al tavolo della pace. L’azione gli valse il grado di Generale di Divisione, unico in tutta la gerarchia dell’esercito separatista oltre  Maskhadov e Basayev. Divenne così uno dei tre pilastri del nazionalismo ceceno. Ruslan il muratore era diventato Khamzat, L’Angelo Nero.

Gelayev in uniforme con l’Ordine dell’Onore della Nazione al petto

L’EROE SENZA PACE

La fine della guerra fece assurgere Gelayev all’Olimpo dei Comandanti di Campo. Egli era “L’eroe di Bamut”, colui che con la sua milizia aveva tenuto testa all’esercito federale senza mai perdere la speranza, rispondendo colpo su colpo, tenendo unita la resistenza militare all’invasione russa. Un personaggio così difficilmente avrebbe trovato una collocazione nella nuova Cecenia “civile”, che lentamente tentava di riprendersi dall’inferno nel quale era stata proiettata. Molti dei suoi miliziani erano si vincitori, ma senza un lavoro e senza risorse per sopravvivere. Le sue bande non smobilitarono, ma si acquartierarono nei dintorni di Achkhoy – Martan. Nel frattempo egli partecipava al “governo di coalizione” messo in piedi da Maskhadov per traghettare il paese alle elezioni presidenziali previste per Gennaio 1997, nelle quali il popolo avrebbe dovuto scegliere il successore del defunto Dudaev. Un mese prima delle elezioni Maskhadov e molti altri ministri del governo si dimisero per candidarsi, e Gelayev acconsentì, seppur per un brevissimo tempo, a svolgere il ruolo di Primo Ministro facente funzioni. Fu il fugace apice di una carriera politica non ricercata, ma comunque subita come conseguenza della sua importanza.

Dopo la vittoria di Maskhadov, Gelayev si schierò dalla parte dei nazionalisti intransigenti. Convinto che la guerra non fosse realmente finita, ma che stesse attraversando una semplice fase di stallo, sosteneva la necessità di sfruttare il parziale successo ottenuto estendendo la ribellione antirussa a tutto il Caucaso. In questo trovava l’appoggio di Zelimkhan Yandarbiev, ex Presidente ad Interim (dopo la morte di Dudaev) e leader del movimento “Confederazione Caucasica”, favorevole alla costituzione di una repubblica confederale che abbracciasse tutti i popoli non  – russi del Caucaso. Fondò anche una rivista di propaganda, “Grande Jihad”, amplificatrice del suo pensiero tradizionalista, nazionalista radicale e militarista. Per tentare di tenerlo a bada Maskhadov lo incluse come Vicepresidente del Gabinetto dei Minsitri, con delega alla Ricostruzione, e lo inserì nel Consiglio Presidenziale Supremo, massimo organo consultivo dello Stato. Rimase al suo posto giusto qualche mese, per poi dimettersi in contrasto con la politica di Maskhadov, a suo dire “troppo accomodante verso la Russia”. Nel distretto dove esercitava principalmente il suo potere, quello di Urus – Martan, proteggeva i radicali di ogni risma, in particolare quelli islamisti, dei quali apprezzava la rigida moralità: sotto la sua protezione Urus – Martan divenne una sorta di piccolissimo emirato, soggetto ad una versione artigianale della legge islamica. Nel 1998 Gelayev compì il suo “Haji”, il pellegrinaggio rituale che ogni islamico deve portare a termine durante la sua vita. Al termine del viaggio egli si attribuì il nome islamico “Khamzat”, con il quale intese onorare il suo amico e commilitone Khamzat Khankharov, nel frattempo deceduto.

Gelayev a Shatoi nel 1996

La situazione nel Paese diventava sempre più difficile man mano che Maskhadov cercava di prendere il controllo delle istituzioni e dell’economia, strappando potere e popolarità ai nazionalisti radicali. Nella primavera del 1998 la situazione era esplosiva, e i due fronti erano pronti per un confronto all’ultimo sangue. La Battaglia di Gudermes vide confrontarsi l’esercito lealista con gli esponenti islamizzati delle forze dell’ordine (Battaglione Islamico per Scopi Speciali – IPON e Guardia della Sharia) fiancheggiate dai militanti isllamisti. Fu un massacro, durante il quale furono impiegate anche armi pesanti. La battaglia sancì la vittoria dei moderati di Maskhadov, ma lo mise in rotta di collisione con “L’eroe di Bamut”, il quale da quel momento lavorò affinchè il governo Maskhadov cadesse quanto prima.

Per tentare di ricucire lo strappo con i comandanti di campo Maskhadov tentò di reintrodurli nelle strutture di potere, giungendo a nominare Gelayev comandante della Guardia della Sharia ed arrivando, nel Febbraio del 1999 a proclamare la Legge Islamica in tutto il territorio nazionale. Questa manovra disperata non sortì i risultati sperati, anzi: nel giro di qualche mese il Paese divenne completamente incontrollabile, le milizie islamiche poterono organizzarsi liberamente e, nell’Agosto del 1999, passarono all’attacco sconfinando in Daghestan con l’intento di fondare anche là uno stato confessionale. La reazione della Russia fu immediata e implacabile: nell’Ottobre del 1999 iniziò una seconda invasione della Cecenia, ed una seconda, distruttiva, guerra di occupazione.

per approfondire la sua storia, leggi “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” Acquistabile QUI”

DI NUOVO IN ARMI

Lo scoppio della Seconda Guerra Cecena non colse Gelayev impreparato: egli di fatto non aveva mai smobilitato le sue milizie, né si era mai ambientato alla pace. Quando i reparti federali varcarono i confini del paese, i suoi uomini erano già pronti a prendere posizione sul “suo” fronte Occidentale, dove si erano distinti nella Prima Guerra. Ancora una volta i suoi uomini si batterono con grande audacia, tenendo a distanza i russi per mesi. Quando questi raggiunsero i sobborghi di Grozny, egli fu nominato da Maskhadov comandante di uno dei settori della città, con l’incarico di ripetere quanto riuscito nel Gennaio del 1995 e trasformare l’avanzata dei federali in un inferno. Lui ed altri illustri comandanti di campo difesero la città fino alla fine di Gennaio. Poi, inaspettatamente, decisero di abbandonare i quartieri ancora sotto il loro controllo e tentare una sortita. Fu un massacro: i russi avevano organizzato un’operazione volta a far uscire i militanti allo scoperto, per poi distruggerli con l’artiglieria e l’aereonautica, la cosiddetta “Caccia ai Lupi”. In una notte circa un terzo dei millecinquecento miliziani fuoriusciti fu ucciso, un altro terzo catturato. Le poche centinaia di superstiti riuscirono a guadagnare la Gola dell’Argun, ultima roccaforte separatista, dove si era acquartierato Maskhadov. La gola fu presto messa sotto assedio, mentre i reparti federali avanzavano a macchia d’olio in tutto il territorio circostante.

KOMSOMOLSKOYE

Circondati e sotto bombardamento, i separatisti decisero di tentare nuovamente la sortita: divisi in tre gruppi tentarono di guadagnare posizioni differenti in modo da dividere gli attaccanti e guadagnare le montagne, dove avrebbero portato avanti la guerriglia partigiana. Gelayev si ritrovò a guidare uno dei due corpi più grossi, composto da circa millecinquecento uomini. Il suo piano era quello di attraversare la gola dai sentieri di montagna, sbucare nel suo villaggio natale, Komsomolskoye, e da lì disperdersi nel familiare Distretto di Urus – Martan. Secondo fonti giornalistiche Gelayev avrebbe dovuto trovare nel villaggio un convoglio di bus messo a disposizione da Arbi Baraev, che a seguito della fuga da Grozny di era dato alla macchia con i suoi uomini e pare stesse organizzando la sua squadra dietro le linee nemiche. Gelayev raggiunse il villaggio dopo cinque giorni di marcia forzata, il 4 marzo.  Per quella data erano rimasti operativi un migliaio di uomini, affamati ed esausti, molti dei quali feriti, a corto di armi e di munizioni. Una volta giunti nella cittadina, di Baraev e dei suoi bus non si trovò traccia. Gelayev pensò ad un tradimento, e probabilmente era proprio così. Nei mesi successivi Baraev avrebbe vissuto tranquillamente nella sua città natale, Alkhan – Kala, godendo della protezione di Gantemirov e dell’FSB, al quale presumibilmente si era venduto in cambio dell’immunità fin dalla sortita da Grozny. Gelayev ed i suoi si trovarono improvvisamente circondati dalle truppe federali, che misero sotto assedio il villaggio: la mattina del 5 marzo iniziò un fitto bombardamento aereo e di artiglieria. Gelayev non aveva avuto il tempo di predisporre un piano di fuga, cosicché iniziò a spedire i suoi in piccoli gruppi fuori dall’assedio, sperando che riuscissero a cavarsela. Dopo quattro giorni di bombardamenti le forze federali iniziarono l’assalto, schierando una trentina di carri armati e due battaglioni di fanteria. I separatisti resistettero con tutte le loro forze a decine di assalti, costringendo i comandi federali a contrattare una tregua il 14 Marzo per recuperare i corpi dei caduti. Il giorno successivo i bombardamenti ripresero, ma i separatisti non abbandonarono le loro posizioni: nonostante il completo accerchiamento e l’impossibilità di vittoria, i separatisti continuavano a combattere con fanatica violenza, aiutanti anche da grandi quantitativi di eroina che, successivamente alla battaglia vennero trovati negli scantinati e nelle dotazioni personali dei combattenti. Ci volle fino al 20 marzo Perchè le ultime sacche di resistenza cessassero di combattere. Durante tutti questi giorni Gelayev riuscì ad evacuare centinaia di uomini. Egli stesso riuscì a mettersi in salvo insieme al nerbo del suo piccolo esercito. 700 dei suoi, tuttavia, rimasero uccisi o furono catturati dai russi.

Miliziani della Colonna Gelayev si arrendono al termine della Battaglia di Komsomolskoye, fine Marzo 2000

PANKISI

Dopo quella tragica sconfitta Maskhadov, accusandolo di aver deliberatamente disobbedito ai suoi ordini e di aver guidato pessimamente l’operazione, lo degradò al rango di soldato semplice e lo privò “del diritto di difendere la madrepatria”. Gelayev raccolse qualche centinaio di seguaci e, faticosamente, si aprì la strada verso la salvezza, attraversando l’Inguscezia. Inseguito dai federali, riuscì a rifugiarsi in Georgia, nella remota Gola di Pankisi. Si trattava di una stretta valle a ridosso dei confini meridionali della Cecenia, abitata da una antica popolazione Vaynakh. Stabilitosi nella valle, vi rimase fino all’autunno del 2001, tenendosi lontano dalle operazioni militari. Nell’ottobre di quell’anno tentò di attraversare il confine attraverso l’Abkhazia, confidando nel fatto che, durante la guerra georgiano – abkhaza, aveva combattuto dalla parte dei secessionisti. Ne uscì uno scontro a fuoco nel quale Gelayev si ritrovò invischiato in una battaglia tra georgiani ed Abkhazi per il controllo del territorio. Non essendo riuscito a passare, rientrò a Pankisi, dove attese la fine dell’inverno. Nell’agosto 2002, ritentò l’impresa. Dopo aver organizzato i suoi uomini in bande, ne spedì alcune attraverso le montagne, alla spicciolata, verso il Sud della Cecenia. Poi, al comando di un nutrito gruppo di duecentocinquanta uomini, accompagnato da Abdul Malik Mezhidov, ex Comandante della Guardia della Sharia, attraversò il confine tra Georgia ed Ossezia del Nord all’altezza di Tarskoye. Dopo aver forzato un posto di blocco ed ucciso otto guardie di frontiera Gelayev, Mezhidov ed i suoi avanzarono braccati dalle forze federali fino a raggiungere il villaggio inguscio di Galashky, dove si scontrarono con i russi in una vera e propria battaglia campale. La banda di Gelayev patì una settantina di morti ed una manciata dei suoi furono fatti prigionieri, ma riuscì ad abbattere un elicottero e ad eliminare una quindicina di federali, ferirne una ventina e mettere fuori combattimento i loro mezzi blindati, per poi attraversare il confine con la Cecenia e dirigersi verso Bamut. Una volta rientrato nei ranghi, tuttavia, si trovò davanti un freddo Maskhadov, che si rifiutò di reintegrarlo come Comandante di Campo. A Gelayev fu permesso di rimettere in piedi una sua banda, ma il timore che fosse colluso con le autorità federali era tale che il Presidente ceceno si rifiutò di reintegrarlo nel Consiglio di Difesa, lasciandolo ai margini della resistenza.

Gelayev con alcuni suoi uomini sulle montagne

LA FINE

Dopo il suo rientro dalla Georgia non riuscì mai a reintegrarsi nel fronte separatista, rimanendo ai margini della leadership, ostracizzato da Maskhadov, che lo credeva un collaboratore dell’FSB. Nel dicembre del 2003, frustrato dalla sua emarginazione, con i suoi ultimi seguaci tentò di tornare nella Gola di Pankisi passando dal Daghestan. Individuato dalle guardie di frontiera locali finì in uno scontro a fuoco, a seguito del quale, usando tutti i mezzi a disposizione, dalle unità corazzate agli elicotteri da combattimento, l’esercito federale distrusse il distaccamento, uccidendo o catturando i suoi ultimi seguaci. Rimasto solo, Gelayev tentò comunque di attraversare il confine, ma il 28 febbraio 2002 si imbattè in due guardie di frontiera daghestane. Nello scontro a fuoco che seguì, il leggendario “Angelo Nero” uccise le due guardie, ma un proiettile lo ferì gravemente al braccio. Gelayev tentò di salvarsi amputandosi da solo l’arto ferito, ma il freddo, il dolore e la grave emorragia ebbero la meglio. La sua fine, ricostruita dagli esperti dell’FSB dopo che il suo corpo fu ritrovato, racconta di un uomo che, pur arrivato al suo capolinea politico ed esistenziale, era ancora animato da una forza incrollabile: “Stava diventando sempre più difficile per lui fare ogni passo, mentre il sangue scorreva dalla sua mano sinistra maciullata. Il comandante […] si fermò ad una cinquantina di metri dal campo di battaglia, si amputò la mano sinistra con un coltello e la gettò nella neve. Quindi estrasse un elastico, lo chiuse sul moncone della sua mano, fece qualche passo e cadde. Riuscì ad alzarsi con grande difficoltà. Dopo qualche decina di passi Gelayev si fermò, prese una lattina di caffè istantaneo Nescafé dalla tasca e, aprendolo con tutte le sue forze, iniziò a masticare i granuli, sperando che il caffè lo tirasse su e lo aiutasse a raggiungere il confine. Poi tirò fuori e morse una tavoletta di cioccolato Alyonka, ma cadde di nuovo. Cominciò a trascinarsi verso il confine con la Georgia. Morì in questa posizione, con una barretta di cioccolato serrata tra i denti.”

Il corpo di Gelayev accasciato ad un albero, al confine tra Daghestan e Georgia

TALE PADRE, TALE FIGLIO

L’unico figlio di Gelayev, Rustam, seguì le orme del padre qualche anno dopo la sua morte. La Repubblica Cecena di Ichkeria non c’era più, al suo posto era rimasto un emirato islamico virtuale, l’Emirato del Caucaso Settentrionale, il cui peso si stava affievolendo sempre più. Rustam decise di dirigersi in Siria, dove nel frattempo Daesh stava costituendo uno stato islamico forte e aggressivo. Si arruolò certamente tra i jihadisti, come testimoniato da alcune foto che postò sul suo account social, e morì nel 2012 sotto i bombardamenti dell’esercito regolare siriano.

per approfondire la sua storia, leggi “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” Acquistabile QUI”