Il 12 Maggio 1997 la Repubblica Cecena di Ichkeria e la Federazione Russa firmarono un trattato di pace con il quale intendevano porre fine alla Prima Guerra Russo – Cecena. Nonostante che in esso la Russia riconoscesse De Jure la Repubblica Cecena di Ichkeria, le clausole contenute nell’accordo furono interpretate in maniera assai differente dalle due parti. Il diverso approccio tenuto da Mosca e da Grozny rispetto al Trattato di Pace avrebbe impedito la risoluzione pacifica del conflitto, e creato le premesse per una nuova guerra.
Il testo del trattato in inglese e in russo
IL TRATTATO DI MOSCA
Il 12 Maggio1997 la delegazione cecena, composta da Maskhadov, Ugudov e Zakayev raggiunse Mosca, dove procedette alla firma solenne del Trattato di Pace tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria. La firma del Trattato fu un evento epocale: per la prima volta in quattrocento anni di guerre e tensioni il governo di Mosca e quello di Grozny si promettevano ufficialmente la pace. Vennero firmati due documenti: il primo si intitolava “Trattato di Pace e Principi di Relazione tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”, il secondo si chiamava “Accordo tra il governo della Federazione Russa e il governo della Repubblica Cecena di Ichkeria sulla cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa e la preparazione delle condizioni per la conclusione di un trattato su vasta scala tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”. I due documenti, dagli altisonanti titoli, avrebbero dovuto essere la base giuridica sulla quale si sarebbero costruiti i rapporti tra Russia e Cecenia. Il “Trattato di Pace” iniziava con un epico preambolo riguardo la reciproca volontà di “[…] Porre fine al confronto secolare, cercando di stabilire relazioni forti, uguali e reciprocamente vantaggiose […]”. Un iniziò di tutto rispetto, dal quale ci si aspetterebbe un lungo ed articolato Trattato. E invece niente di questo. Il Documento si costituiva di cinque articoli, e soltanto tre contenevano qualcosa di politicamente rilevante. In essi Russia e Cecenia si impegnavano:
A rinunciare in modo permanente all’uso ed alla minaccia dell’uso della forza come forma di risoluzione di eventuali controversie;
A Costruire le loro relazioni conformemente ai principi ed alle norme generalmente riconosciuti dal diritto internazionale, e ad interagire in aree definite da accordi specifici;
A considerare il Trattato come base per la conclusione di qualsiasi altra negoziazione.
Di per sé le tre affermazioni possono essere considerate solide basi di negoziazione politica, ma a ben guardare si prestano a molteplici interpretazioni, come tutti gli altri “documenti”, “dichiarazioni” e “protocolli” firmati fino ad allora dalla marea di delegazioni che fin dal 1992 avevano cercato di trovare un accordo tra le parti. In particolare Maskhadov considerò il Trattato come il riconoscimento dell’Indipendenza cecena, dichiarando che la sua sottoscrizione apriva “Una nuova era politica per la Russia, il Caucaso e l’intero mondo musulmano”. Uno dei funzionari della politica estera cecena, delegato in Danimarca per conto della Repubblica Cecena di Ichkeria, Usman Ferzauli, quando venne inviato da Maskhadov a firmare le Convenzioni di Ginevra, dichiarò: “[…] La Russia, firmando nel maggio 1997 il Trattato di Pace con la Repubblica Cecena di Ichkeria di fatto ha riconosciuto la Repubblica. Abbiamo il diritto di considerarci un soggetto di diritto internazionale. […].”. Anche alcuni ricercatori internazionali, come Francis A. Boyle, professore presso il College Law dell’Università dell’Illinos, produssero ricerche giuridiche sul Trattato. Nella discussione di Boyle si legge: “L’elemento più importante del trattato è il suo titolo: “Trattato sulla pace e i principi delle interrelazioni tra la Federazione russa e l’Ichkeria della Repubblica cecena”
Maskhadov ed Eltsin si stringono la mano
IL PARERE FAVOREVOLE
“Secondo i principi di base del diritto internazionale, un “trattato” è concluso tra due stati nazionali indipendenti. In altre parole, il CRI viene trattato dalla Federazione Russa come se fosse uno stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali. […] Allo stesso modo, l’uso del linguaggio “Trattato sui … principi di interrelazione” indica che la Russia sta trattando la CRI come uno stato nazionale indipendente anziché come un’unità componente della Federazione Russa. Normalmente, “i principi delle interrelazioni” tra uno stato federale come la Federazione Russa e un’unità componente sono determinati dalla Costituzione dello stato federale. Questo documento non dice nulla della Costituzione della Federazione Russa. […]Certamente l’elemento più importante del titolo del Trattato è l’uso del termine “Repubblica Cecena di Ichkeria”. Questo è il nome preciso che il popolo ceceno e il governo ceceno hanno deciso di dare al loro stato nazionale indipendente. In altre parole, ancora una volta, la Federazione Russa ha fornito ai Ceceni il riconoscimento di fatto (anche se non ancora di diritto) come stato nazionale indipendente alle loro condizioni. […] L’articolo 1 del trattato è sostanzialmente in linea con il requisito dell’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite secondo cui gli Stati membri “si astengono dalle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza ….” Allo stesso modo, la Carta delle Nazioni Unite Articolo 2, paragrafo 3, impone agli Stati membri di “risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici ….” Quindi, con questo Trattato, la Federazione Russa ha formalmente riconosciuto il suo obbligo di trattare la CRI in conformità con questi due requisiti fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. […] Il secondo articolo dell’accordo è estremamente importante: “Costruire le nostre relazioni corrispondenti ai principi e alle norme generalmente accettati del diritto internazionale …” Secondo la mia opinione professionale, l’unico modo in cui l’articolo 2 del presente trattato può essere correttamente letto alla luce di tutto ciò che è stato detto in precedenza nel suo testo è che la Federazione russa sta trattando l’IRC come se fosse di fatto (anche se non ancora de jure) stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali, con una propria personalità giuridica internazionale. Solo gli stati nazionali indipendenti sono soggetti ai “principi e norme generalmente accettati del diritto internazionale”. […].”
Accordi di Khasavyurt: Maskhadov e Lebed si stringono la mano
IL PARERE CONTRARIO
Il governo Russo negò questa interpretazione, considerando l’assenza di qualsiasi affermazione chiara in merito. Rispetto a questo, negli anni successivi sarebbe sorto un lungo dibattito, il che già di per sé dimostra quanto generici fossero gli impegni assunti dalle parti e quanto poco chiaro fosse il documento in se. In una sua trattazione del tema, il ricercatore russo Andrei Babitski scrisse:
“L’essenza di questo documento è semplice. E’ solo un documento sulla cessazione delle operazioni militari. […] Non menziona la capitolazione da parte di nessuna delle parti, non proclama nessuno vincitore e non formula principi chiari per governare le relazioni tra Russia e Cecenia. La risposta a queste domande è stata rinviata. La cosa più importante era terminare la guerra.”.
Silvia Serravo, ricercatrice esperta in questioni caucasiche, specificò in un’intervista:
“Il documento contiene la possibilità di interpretazioni diverse. […] L’indipendenza della Cecenia non è stata riconosciuta. Tuttavia, il documento ha reso possibile, almeno per la parte cecena, interpretarlo come il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza cecena. […] Il trattato può certamente essere considerato un risultato. […] Tuttavia si può sempre speculare sulla misura in cui le parti erano sincere quando fu firmato questo documento e se la conclusione del Trattato si basava su alcuni motivi fraudolenti.”
INDIPENDENZA “SOSPESA”
Il secondo documento, collaterale al primo, conteneva un altra generica serie di intese difficilmente realizzabili. In esso si definiva l’attuazione dei contenuti degli Accordi di Khasavyurt in fatto di ripristino dei servizi vitali per la popolazione civile, il regolare pagamento delle pensioni e degli stupendi pubblici da parte della Federazione Russa, il pagamento di un risarcimento alle vittime dei combattimenti, la “piena attuazione del programma di ripristino del complesso socioeconomico” del paese, il rilascio di ostaggi e prigionieri, e lo scioglimento della Commissione Governativa congiunta riguardo alla gestione del periodo interbellico, contemporaneamente all’entrata in vigore del Governo uscito dalle Elezioni del Gennaio precedente.
Se il primo documento, come abbiamo visto, poteva lasciar pensare che la Russia volesse trattare la Cecenia come uno Stato indipendente, il secondo assomigliava molto ad un accordo interfederale tra una repubblica autonoma bisognosa di aiuto ed un governo centrale che intendeva corrisponderglielo. Particolarmente evidente era l’impegno, da parte di Mosca, di erogare gli stipendi pubblici dell’amministrazione cecena. Questo passo è fondamentale, perchè accettandolo Maskhadov riconobbe implicitamente l’autorità di Mosca di mantenere la struttura amministrativa della Cecenia esattamente come faceva ai tempi dell’Unione Sovietica. Non un solo accenno era previsto riguardo al riconoscimento, anche formale, all’indipendenza del paese. Il Trattato di Pace firmato da Maskhadov fu un documento utile ad accreditare lui presso l’opinione pubblica ma fallì nel rappresentare uno strumento diplomatico utile a risolvere alcunchè. Certamente pose ufficialmente fine alla guerra e ad ogni palese ingerenza del governo federale sulla politica interna del paese, ma niente oltre a questo.
Il Trattato non riconobbe in maniera inequivocabile l’indipendenza del paese, ma si limitò a stabilire gli strumenti tramite i quali i due stati avrebbero comunicato tra loro. Dette ampia libertà di interpretazione sia al governo ceceno, che vide in quelle poche righe un implicito riconoscimento da parte di Mosca, che al governo russo, che ci riconobbe esclusivamente l’impegno assunto a riportare su binari politici il conflitto. Sul momento comunque sia Maskhadov che Eltsin poterono dirsi soddisfatti: il primo tornava in patria con un trattato di pace tra le mani, qualcosa che i Ceceni non avevano mai visto in tutta la loro storia. Il secondo tirava un sospiro di sollievo e metteva un temporaneo tampone a quella emorragia di consensi che era stata la Prima Guerra Cecena.
Tra il 20 ed il 22 Luglio del 2001 si tenne a Genova un vertice del G – 8 , il gruppo delle principali potenze economiche della Terra (G – 7) implementato (dal 1997 al 2013) dalla presenza della Russia. In vista di questo incontro, il Presidente della Repubblica Cecena di Ichkeria, Aslan Maskhadov, inviò una lettera ai rappresentanti di quei governi, che riportiamo integralmente, in italiano e in inglese.
Come nei riguardi delle parole di Dudaev sulla futura guerra in Ucraina, quelle di Maskhadov sull’ondivago rapporto delle democrazie occidentali con il regime di Vladimir Putin suonano tristemente concrete in questi giorni.
VERSIONE ITALIANA
Gentili Eccellenze,
Io, Aslan Maskhadov, presidente democraticamente eletto della Repubblica cecena di Ichkeria, scrivo questo appello disperato in nome del mio popolo, vittima di una guerra genocida il cui omicidio quotidiano deve ancora risvegliare la coscienza del mondo che guidate. Siamo miserabili, sanguinanti e schiavi come voi siete ricchi, potenti e liberi. Presto vi riunirete a Genova tra lo splendore e la cerimonia che si addice al vostro posto, in prima fila tra le nazioni. Guardie d’onore vi saluteranno, vi incontrerete nei palazzi e il mondo ascolterà ogni vostra parola. Io vi scrivo da un luogo di sterminio putrido, di carneficina, e come i miei fratelli rimango un braccato nel mio paese. Anch’io ho avuto dalle urne il privilegio e la responsabilità di guidare la mia nazione, ma Mosca mi definisce un bandito, un terrorista e un criminale. Al di là dei confini del mio piccolo paese, le mie parole sembrano contare poco, così come il grido angosciato del mio popolo vi lascia ancora sorprendentemente muti e sordi. Quindi continuerò a scrivere finché il silenzio non sarà squarciato.
Converrete al vostro vertice per considerare la riduzione del debito per i paesi poveri del mondo in via di sviluppo. Questo è un obiettivo lodevole, ed è senza dubbio la speranza di milioni di persone che la preoccupazione umanitaria motivi i forti a cercare di porre fine alla miseria a contratto per i deboli. Ma se riconoscete la silenziosa violenza della povertà sugli indigenti e sugli affamati, perché vi allontanate da noi? Noi che moriamo tra le fiamme della sporca guerra del Cremlino, siamo meno degni di compassione? Cosa ci ha reso invisibili a voi? Temo di conoscere la risposta. Temo che le fredde esigenze della realpolitik assicurino le vostre inazioni e condannino il nostro destino. Per non danneggiare una relazione incerta con una nuova Russia fragile e instabile, siete disposti a trascurare l’annientamento del mio popolo. Ai vostri occhi, per il bene di interessi più grandi, siamo una nazione sacrificabile. Quindi concedete un posto a tavola a un ospite d’onore, il presidente russo Vladimir Putin, e gli stringete la mano come leader di una grande democrazia, applaudendolo come un riformatore che condivide i vostri valori.
Aslan Mahadov (a sinistra) e Alexander Lebed (a destra) firmano gli Accordi di Khasavyurt
Se poteste sopportare di vedere il vero volto della Cecenia sotto l’agonia dell’occupazione russa, potreste sinceramente continuare a offrire tali lodi? Su una popolazione che un tempo contava un milione di persone, un ceceno su sette è ora morto. 250.000 dei nostri civili sono rifugiati. Privi dei beni di prima necessità, molti sono devastati da malattie e denutrizione, soprattutto anziani e giovani. Più di 20.000 civili e membri della resistenza subiscono la prigionia nei nuovi Gulag, i cosiddetti campi di filtrazione. Costretti in condizioni disumanizzanti e primitive con poche o nessuna assistenza medica, il che supera di gran lunga i peggiori standard del sistema penale russo, la vita nei campi improvvisati vede l’uso sadico e sistematico della tortura. Bruciature con le sigarette, percosse paralizzanti, soffocamento, annegamento negli escrementi umani, mutilazioni con coltelli, scosse elettriche ad alto voltaggio e abusi sessuali sono solo alcune delle pratiche comuni. Alla fine molti prigionieri vengono uccisi. Sicuramente per alcuni questa deve essere una gradita liberazione dall’inferno.
Le nostre donne vengono spesso radunate a caso e violentate in gruppo. In una politica comune sulla terra bruciata, i villaggi vengono saccheggiati, poi rasi al suolo e i maschi normodotati, compresi i ragazzi di età pari o inferiore a 15 anni, vengono portati via e scompaiono. Qualsiasi ceceno può essere arrestato senza accusa o ricevere la pena capitale senza processo. Le esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno per uomini, donne e bambini di tutte le età. I corpi dei morti vengono spesso mutilati deliberatamente e lasciati in mostra, la loro sepoltura vietata. I nostri morti servono anche come nuova forma di moneta, con i soldati russi che costringono i parenti a pagare ingenti riscatti prima che possano ottenere i resti dei loro cari. Innumerevoli fosse comuni giacciono nascoste in un paesaggio costellato da villaggi rasi al suolo e rovine in fiamme. Le nostre infrastrutture non esistono più. Solo nelle ultime due settimane una dozzina di villaggi nel sud-est e nell’ovest della Cecenia sono stati nuovamente terrorizzati, oltre 300 civili uccisi in una perquisizione sistematica e altre migliaia imprigionati, torturati e violentati. Abbiamo informato il Consiglio d’Europa, ma inutilmente. Questa è la verità più oscura della realpolitik. Terrore, macellazione e follia sono il prezzo che paghiamo per garantire il pragmatismo della diplomazia internazionale.
Grozny distrutta dai bombardamenti
Nel 1945 avete sconfitto i mali del militarismo, del fascismo e del nazismo. Quelle nazioni tra voi che avevano dato vita al mostruoso colosso e all’olocausto della guerra mondiale, hanno giurato di non ripetere mai gli stessi errori fatali e si sono forgiati con uno spirito nuovo per stare con orgoglio tra le democrazie più antiche. In oltre mezzo secolo di progressi insieme avete costruito nuove istituzioni per la comunità delle nazioni, l’ONU, la NATO, l’UE e l’OSCE, tra gli altri organismi regionali e globali, volte a un futuro più equo e più sicuro. Avete impedito il giorno del giudizio di un conflitto nucleare e il vostro esempio ha abbattuto il muro di Berlino, sollevando il giogo del comunismo e ponendo fine a una lunga guerra fredda. Avete smantellato i vostri imperi coloniali e avete permesso che i popoli ex sudditi fossero liberi. Avete combattuto il razzismo in patria e all’estero e le vostre voci hanno contribuito a sconfiggere la macchia dell’apartheid. Più e più volte avete incoraggiato le virtù della democrazia a trionfare sulla dittatura. Forse soprattutto, a Norimberga hai risposto ai tuoi più nobili istinti stabilendo lo stato di diritto ei diritti umani come principi inviolabili e universali che riterrebbero per sempre la barbarie responsabile di un codice di condotta civile.
Allora, com’è possibile celebrare Slobodan Milosevic che finalmente affronta il giudizio all’Aia ma abbracciare Putin come un partner credibile? Com’è possibile che vi siete mobilitati per affrontare la nuda aggressione durante la Guerra del Golfo, che siete intervenuti quando avete assistito alla pulizia etnica e alla ferocia in Bosnia, Kosovo, Timor e Sierra Leone e ora pronunciate raramente la parola Cecenia? Condannate e isolate il regime dello SLORC in Myanmar e i talebani in Afghanistan. Fate pressione sulla Cina per i suoi abusi in Tibet e la sua persecuzione di intellettuali dissidenti e seguaci religiosi, ma non dite nulla sull’omicidio di massa di civili ceceni. Praticate un’instancabile diplomazia cercando di assicurare la pace in Medio Oriente, Irlanda del Nord, Macedonia, Kashmir, Congo, persino in Sudan, dov’è la vostra iniziativa di pace cecena?
Artiglieria russa spara nei dintorni di Tolstoy – Yurt, Novembre 1999
In nome di una nazione morente vi prego di non abbandonarci più. Chiedo che adottiate collettivamente misure per favorire la ripresa dei negoziati di pace e l’emanazione di un cessate il fuoco immediato garantito e monitorato da parti neutrali. Vi prego inoltre di chiedere, in conformità con il diritto internazionale, il dispiegamento di aiuti umanitari, personale sanitario e medico disperatamente necessari. Vi imploro inoltre di chiedere il ritorno senza ostacoli degli investigatori dei diritti umani delle ONG, degli osservatori delle istituzioni internazionali e di tutti i membri della stampa mondiale attualmente esclusi dall’entrare in Cecenia. Mi rivolgo a voi, come leader del mondo libero, a raccogliere il coraggio morale in armonia con le tradizioni democratiche che rappresentate e che avete giurato di sostenere per fare pressione sulla Russia affinché cessi lo sterminio del mio paese, per ritenerlo responsabile del genocidio e per imporre sanzioni se Mosca non desisterà.
La ferocia che dobbiamo sopportare non è nuova. Ricordiamo le miniere di sale di Stalin, le sue torri di guardia, il filo spinato e le tombe anonime. Il dolore dell’esodo e del genocidio lo abbiamo già conosciuto. Così riconosciamo gli altri con i quali condividiamo una terribile fratellanza di orrore. Gli scheletrici ebrei e rom nei forni di Dachau e Auschwitz. La carne da baionetta di Nanchino. Gli antichi figli del Biafra dagli occhi sbarrati. La madre implorante e il bambino di fronte ai fucili a My Lai. Gli arabi di palude dell’Iraq soffocati dalle nuvole di gas mostarda. I tutsi del Ruanda massacrati sulla strada di Kigali dai coltelli dell’Interhamwe. Sono tutti i nostri fratelli e sorelle martiri nell’eredità di un omicidio senza senso. Solo il nostro massacro, la nostra morte non è di ieri, appartiene all’incubo vivente del presente. Quanti ceceni saranno morti nel tempo che impiegherete a leggere questa lettera? Quanti altri dovremo seppellire prima della fine del vostro vertice? Non mancate di parlare, per amore dell’umanità e della giustizia agite ora sulla vostra coscienza o nel tempo anche la storia vi segnerà con una pagina di vergogna. Se continuate a restare inerti mentre il mio popolo svanisce in un bagno di sangue, se non agite con convinzione e determinazione come avete fatto in Ruanda, i fantasmi ceceni macchieranno il vostro onore come fanno con quello russo.
Possa Dio concedervi la saggezza e la visione per servire la causa della pace e della giustizia
Rispettosamente
Aslan Maskhadov
Presidente della Repubblica Cecena di Ichkeria
ENGLISH VERSION
Dear Excellencies,
I, Aslan Maskhadov, the democratically elected President of the Chechen Republic of Ichkeria, write this desperate appeal in the name of my people, the victims of a genocidal war whose daily murder has yet to awaken the conscience of the world you lead. We are as wretched, bloody and enslaved as you are rich, mighty and free. You will soon gather in Genoa amidst the splendor and ceremony that befits your place in the front rank of nations. Guards of honour will salute you, you will meet in palaces and the world will listen to your every word. But I write you from a killing ground putrid with slaughter and like my brethren I remain a hunted man in my own country. I too won the privilege and responsibility of leading my nation from the ballot box, but Moscow calls me a bandit, a terrorist and a criminal. Beyond the confines of my tiny country, my words seem to count for little, just as the anguished cry of my people still astonishingly leaves you mute and deaf. So I will continue to write until the silence is pierced.
You will join in your summit to consider debt relief for the impoverished developing world. This is a laudable aim, and it is the hope no doubt of countless millions that humanitarian concern motivates the strong to seek an end to indentured misery for the weak. But if you acknowledge the quiet violence of poverty upon the destitute and the hungry why do you turn away from us? We who die in the flames of the Kremlin’s dirty war, are we less worthy of compassion? What has made us invisible to you? I fear I know the answer. I fear the cold exigencies of realpolitik ensure your inaction and seal our fate. Lest you damage an uncertain relationship with a fragile and volatile new Russia, you are willing to overlook the annihilation of my people. In your eyes, for the sake of larger interests we are an expendable nation. So you grant a seat at the table to an honoured guest, Russian President Vladimir Putin, and shake his hand as the leader of a great democracy, applauding him as a reformer who shares your values.
Fossa comune in Cecenia
If you could stand to see the true face of Chechnya under the agony of Russian occupation, could you sincerely continue to offer such praise? Out of a population that once numbered a million, one in seven Chechens is now dead. 250,000 of our civilians are refugees. Bereft of the most basic necessities, many are ravaged by disease and malnutrition, especially the elderly and the young. More than 20,000 civilians and resistance members endure imprisonment in the new Gulags, the so-called filtration camps. Held in dehumanizingly foul and primitive conditions with little or no medical care that far exceed the worst standards of the Russian penal system, life in the improvised camps sees the sadistic and systematic use of torture. Burning with cigarettes, crippling beatings, suffocation, drowning in human excrement, mutilation with knives, high voltage electric shock and sexual abuses are only some of the common practices. Many prisoners are ultimately killed. Surely for some this must be a welcome deliverance from hell.
Our women are often rounded up at random and gang raped. In a common scorched earth policy villages are looted then razed and the able bodied males including boys 15 and under are swept up and disappeared. Any Chechen can be arrested without charge or receive capital punishment without trial. Summary executions are an everyday occurrence for men, women and children of all ages. The bodies of the dead are often deliberately mutilated and left on display, their burial forbidden. Our dead also serve as a new form of currency, with Russian soldiers forcing relatives to pay large ransoms before they can obtain the remains of their loved ones. Countless mass graves lie hidden in a landscape dotted by flattened villages and burning ruins. Our infrastructure no longer exists. Only in the last two weeks a dozen villages in south eastern and western Chechnya were again terrorised, over 300 civilians murdered in a systematic sweep and thousands more imprisoned, tortured and raped. We informed the Council of Europe but to no avail. This is the darker truth of realpolitik. Terror, butchery and madness is the price we pay to ensure the pragmatism of international diplomacy.
In 1945 you defeated the evils of militarism, fascism and Nazism. Those nations among you that had given birth to the monstrous juggernaut and holocaust of world war, vowed never to repeat the same fatal errors and forged yourselves in a new spirit to stand proudly among the elder democracies. Over half a century of progress together you built new institutions for the community of nations, the UN, NATO, the EU, and the OSCE, among other regional and global bodies, aimed towards a more equitable and safer future. You prevented the doomsday of a nuclear conflict and your example brought down the Berlin Wall, lifting the yoke of communism and ending a long cold war. You dismantled your colonial empires and allowed former subject peoples to be themselves. You fought racism at home and abroad and your voices helped to vanquish the stain of apartheid. Time and again you fostered the virtues of democracy to triumph over dictatorship. Perhaps above all, at Nuremberg you responded to your most noble instincts establishing the rule of law and human rights as inviolable, universal principles that would forever hold barbarism accountable to a civilised code of conduct.
So how is it that you celebrate Slobodan Milosevic at last facing judgement at the Hague but embrace Putin as a credible partner? How is it possible that you mobilised to confront naked aggression during the Gulf War, intervened when you witnessed ethnic cleansing and savagery in Bosnia, Kosovo, Timor and Sierra Leone and now seldom even utter the word Chechnya? You condemn and isolate the SLORC regime in Myanmar and the Taliban in Afghanistan. You pressure China over its abuses in Tibet and its persecution of dissident intellectuals and religious followers, but you say nothing about the mass murder of Chechen civilians. You practice tireless diplomacy trying to secure peace in the Middle East, Northern Ireland, Macedonia, Kashmir, the Congo, even the Sudan, where is your Chechen peace initiative?
In the name of a dying nation I beg you not to forsake us any longer. I ask that you collectively take steps to foster the resumption of peace negotiations and the enactment of an immediate cease-fire guaranteed and monitored by neutral parties. I beseech you further to demand in accordance with international law the deployment of desperately needed humanitarian aid, health and medical personnel. I further implore you to seek the return without hindrance of NGO human rights investigators, observers from international institutions and all members of the global press currently being barred from entering Chechnya. I appeal to you as leaders of the free world to muster the moral courage in keeping with the democratic traditions you represent and have sworn to uphold to pressure Russia to cease its extermination of my country, to hold it accountable for genocide, and to impose sanctions if Moscow will not desist.
The savagery we must bear is not new. We remember Stalin’s salt mines, his guard towers, barbed wire and unmarked graves. The pain of exodus and genocide we have known before. So we recognise the others with whom we share a terrible kinship of horror. The skeletal Jews and Romany in the ovens of Dachau and Auschwitz. The bayonet fodder of Nanjing. The ancient, wide-eyed children of Biafra. The pleading mother and baby facing the rifles at My Lai. The marsh Arabs of Iraq choked by the clouds of mustard gas. The Tutsi of Rwanda butchered on the Kigali road by the knives of the Interhamwe. They are all our martyred brothers and sisters in the legacy of senseless murder. Only our slaughter, our death is not yesterday’s, it belongs in the living nightmare of the present. How many Chechens will have died in the time you take to read this letter? How many more must we bury by the time your summit is over? Do not fail to speak, for the sake of humanity and justice act now upon your conscience or in time history will also mark you with a page of shame. If you continue to stand idly by while my people vanish in a bloodbath, if you fail to act with conviction and resolve as you did in Rwanda, Chechen ghosts will stain your honour as surely as they do Russia’s.
May God grant you the wisdom and vision to serve the cause of peace and justice.
Respectfully,
Aslan Maskhadov President of the Chechen Republic of Ichkeria
Tim Guldiman è un politico e diplomatico svizzero. Durante la Prima Guerra Cecena e nel primo periodo interbellico guidò la missione diplomatica dell’OSCE in Cecenia, lavorando alla ricomposizione del conflitto ed alla sponsorizzazione di un accordo di pace duraturo. Presente agli accordi di Khasavurt, dopo la tregua rimase a Grozny cercando di avvicinare Mosca e Grozny e scongiurare lo scoppio di un nuovo conflitto. Il 3 Ottobre 1996 il giornalista della Nezavisimaja Gazeta, Igor Korotchenko, lo intervistò sul tema delle relazioni russo – cecene. Di seguito riportiamo l’intervista tradotta in italiano.
– Sig. Guldimann, quale valutazione potrebbe dare agli accordi Khasavyurt? Quanto sono vitali?
– Si tratta di accordi quadro per le fasi successive del processo di negoziazione. Dovrebbero essere considerati in concomitanza con gli accordi di agosto sulla cessazione delle ostilità e con i protocolli firmati in quel momento. Gli accordi Khasavyurt sono un documento che definisce ulteriori azioni in questa direzione. In base ad essi, verrà creata una commissione mista e i suoi compiti saranno specificati in dettaglio. Questo è un documento molto positivo. Ero presente alla firma. Si è ritenuto che entrambe le parti – russa e cecena – abbiano lavorato molto bene insieme e che abbiano raggiunto un testo concordato di questo documento.
Per me, la cosa più importante ora sono i prossimi passi. Penso che non sia necessario criticare gli accordi Khasavyurt e i documenti firmati. Ma c’è il pericolo che si finisca in un impasse. Spero che il processo di pace continui, ci saranno riunioni di rappresentanti di alto rango delle parti. Forse vi prenderà parte il primo ministro Chernomyrdin. Se il processo di pace continua, se le parti cecena e russa sono in grado di concordare ulteriori passi per una soluzione concreta dei problemi economici, sociali e politici, allora sarebbe possibile viverli con relativa calma. Se nulla di tutto ciò verrà risolto, c’è il pericolo di radicalizzazione delle posizioni.
– Pensa che qualcuno in Russia si opponga agli accordi di pace sulla Cecenia?
– Non credo che qualcuno si opponga al processo di pace o lo stia sabotando. Tuttavia, non tutti vogliono che abbia successo. Ciò dovrebbe essere considerato in linea con i processi politici in corso in Russia. Ciò significa scoprire le vere ragioni della guerra in Cecenia. Non è molto difficile fermare il combattimento in sè. È molto più difficile risolvere i problemi politici. E proprio ora il processo di pace è proprio nella fase di risoluzione di questioni puramente politiche. Va notato che vi è ambiguità riguardo ad alcune questioni. Pertanto, i documenti firmati a Khasavyurt affermano che le relazioni tra la Federazione Russa e la Repubblica cecena saranno oggetto di una soluzione pacifica entro i prossimi cinque anni. Questa disposizione può essere interpretata in due modi. So, ad esempio, come la intende la parte cecena…
Aslan Maskhaodv (a sinistra sul podio) Alexander Lebed (al centro) e Ruslan Alikhadzhiev ( a destra) ad un incontro a Shali il 17 Settembre 1996, successivamente alla firma degli accordi di Khasavyurt
– La parte cecena la interpreta come una disposizione che garantisce la completa indipendenza …
– I ceceni credono di aver già raggiunto l’indipendenza, e l’unica domanda è quando sarà riconosciuta dalla comunità internazionale e dal Cremlino come un dato di fatto. Questa è la loro posizione.
– Quindi devono solo formalizzare lo stato attuale della Cecenia de jure?
– I ceceni ritengono che de jure ciò sia già avvenuto nel periodo dal 1991 al 1992. Credono che sia stato allora che si è svolto il processo legale, grazie al quale la Cecenia ha ottenuto l’indipendenza. Ma la posizione federale è nota: la Cecenia fa parte della Federazione Russa.
Tuttavia, sono sicuro che, nonostante tutto, sia possibile andare avanti. Per quanto riguarda la soluzione di specifici problemi politici, sociali e di altro tipo, entrambe le parti, se necessario, possono dichiarare: ci sono problemi tali che non è necessario trovare un accordo ora. Possono essere risolti in seguito. È importante guardare come andare avanti.
Per quanto riguarda l’assegnazione di fondi per la restaurazione della Cecenia. Se la parte federale non lo farà, l’umore tra i ceceni crescerà a favore della completa indipendenza dalla Russia. E organizzeranno la loro vita politica interna sulla base di questa posizione.
A questo proposito, ora è molto importante che un processo democratico sia attualmente avviato in Cecenia.
– Lo dice seriamente? Di una società che predica la Sharia come norma di legge? Credo che la mentalità della società cecena e la democrazia siano concetti incompatibili.
– Non possiamo dirlo. I ceceni sono in grado di risolvere i loro problemi attraverso un processo democratico.
Alexander Lebed tiene una conferenza stampa congiunta con Zelimkhan Yandarbiev, allora Presidente ad interim della Repubblica Cecena di Ichkeria
– Là tutti i problemi sono risolti sotto la minaccia delle armi. Chiunque abbia un’arma in mano ha ragione. Non è così?
– Bisogna capire le radici del conflitto ceceno. Negli ultimi due anni c’è stata una guerra in Cecenia. Ma non si può dire che in Cecenia tutti i problemi vengano risolti automaticamente con le armi.
Durante i negoziati tra le delegazioni russa e cecena, mi è piaciuto molto l’approccio di Alexander Lebed. Era pronto a considerare la situazione, poteva ascoltare i ceceni. Entrambe le parti avevano fiducia e persino rispetto l’una per l’altra, nonostante la differenza di posizioni.
Ma vedo che in Russia c’è anche chi dice dei ceceni: dicono di voler risolvere tutti i problemi con una mitragliatrice in mano, hanno solo la sharia in testa e non si può parlare di democrazia. Penso che questo sia molto pericoloso. Il popolo ceceno ha una tradizionale struttura sociale democratica. Non dico che questo è esattamente ciò che è la democrazia. Ma hanno la tradizione di tenere riunioni pubbliche, hanno una gerarchia molto semplice, non hanno mai avuto un re. Storicamente, avevano forze diverse che dovevano negoziare tra loro, cercare un compromesso.
Capisco che molti a Mosca affermino che in Cecenia ci sono solo criminali, radicali e terroristi. Ma per una soluzione pacifica al problema ceceno bisogna capire che, oltre a questi elementi, c’è anche chi è di carattere costruttivo.
– Pensi che personalità odiose come, ad esempio, Shamil Basayev, possano entrare a far parte del governo di coalizione della Cecenia? Questo non sconvolgerà l’Occidente?
– Non posso giudicare chi sarà nel governo di coalizione.
– Per quanto ne so, Basayev afferma di essere il capo del servizio doganale della Cecenia …
– Non posso confermarlo, non voglio discutere del futuro politico di Shamil Basayev, anche se lo conosco, l’ho incontrato più volte.
Incontro preparatorio alla firma del Trattato di Pace del 12 Maggio 1997. Al tavolo siedono Ivan Rybkin, Presidente del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa (a sinistra) con il so vice Boris Berezovsky ( a destra). Al centro i componenti della delegazione cecena, Akhmed Zakayev (sinistra) e Movladi Ugudov (destra).
– E quali sono le tue impressioni personali di questi incontri?
– Il suo passato. Quello che ha fatto a Budennovsk è ben noto. È stato un atto terroristico. Ma è successo nel quadro del conflitto ceceno. Questa, ovviamente, non è una scusa, ma dobbiamo guardare a come e in quali condizioni ciò è accaduto. Il mio approccio è il terrorismo e per questo dovrebbe essere giudicato. Ma penso che sia pericoloso guardare solo a queste caratteristiche. Le sue domande sul problema ceceno riguardano solo il terrorismo e la sharia. Il suo approccio mi spaventa, è di parte.
– Non nascondo il mio atteggiamento verso Basayev e quelli come lui. Basayev è un terrorista, è un criminale secondo tutte le norme internazionali e si dovrebbe agire di conseguenza nei suoi confronti.
– Va bene. Ma non è un caso che lei lo stia chiedendo.
– Sono interessato al tuo approccio, soprattutto perché alle tue spalle c’è l’OSCE, sei il rappresentante ufficiale di questa organizzazione.
– Credo che ci siano criminali in questa guerra non solo tra i ceceni, ma anche dall’altra parte! Perché non ne parla? Quante persone pacifiche sono morte lì […] E non è necessario dire che Basayev è un terrorista. Sì, ovviamente è un terrorista. Ma proviamo a parlare dell’altra parte.
– Sig. Guldimann, come ha guidato la missione OSCE a Grozny?
– Prima di tutto, vorrei sottolineare quanto segue: il fatto che l’OSCE abbia aperto il suo ufficio in Cecenia significa per me una conferma della disponibilità della Federazione Russa per la cooperazione internazionale. Anche in un conflitto interno, la Russia ha deciso di invitare un gruppo di assistenza di un’organizzazione come l’OSCE. Non tutti i paesi in Europa lo farebbero.
Sono arrivato in Cecenia quasi per caso. Sono stato diplomatico fino al 1990, poi ho lasciato il servizio diplomatico. Prima della mia nomina a Grozny, ho lavorato a Berna, nel dipartimento di politica e ricerca scientifica del Ministero dell’Interno della Svizzera, dove mi sono occupato di questioni relative ai rapporti con l’Unione Europea. Nel novembre 1995 mi è stato detto che stavano cercando un candidato per la carica di capo del gruppo OSCE a Grozny, e io parlo russo. Il 2 gennaio 1996 ero già qui. Prima di allora, avevo letto solo della Cecenia e non la conoscevo molto bene. Ma per me è stato il lavoro più interessante. Mi piace molto quello che faccio. Sì, è difficile, pericoloso, ma mi piace.
– E’ risaputo che c’è stato attentato alla sua vita, ma lei è rimasto in Cecenia. A questo proposito, è impossibile non notare il suo coraggio personale: una qualità, a mio avviso, non è molto caratteristica di un diplomatico di carriera. Lei è stato sotto i bombardamenti ed ha visitato ripetutamente le regioni montuose della Cecenia. Tutto può succedere. Mi dica, ha provato paura?
– L’attacco è stato al convoglio, non alla nostra macchina. Anche quando siamo tornati da Nazran, fu molto pericoloso. Il 6-8 agosto 1996, due missili di un elicottero russo furono lanciati nel nostro ufficio. Penso che sia successo per caso, visto che c’era una battaglia nelle vicinanze. Abbiamo trascorso otto giorni nel seminterrato. Hanno bombardato pesantemente nelle vicinanze.
Ora Grozny è diventato molto più calmo. Adesso non ho paura di niente. Non so cosa succederà dopo.
– Rappresentanti di quali paesi lavorano nell’OSCE a Grozny?
– Il mio vice è polacco, gli altri provengono da Italia, USA, Svezia, Spagna, Germania …
– Sono diplomatici?
– Legalmente – diplomatici, hanno passaporti diplomatici. Tra loro ci sono due militari.
– Gli eserciti di quali paesi rappresentano?
– Vengono dalla Spagna e dalla Svezia. In precedenza, c’erano più militari: quattro persone.
– Il suo soggiorno a Mosca è connesso a consultazioni politiche?
– Sì, nell’ultimo mese sono andato a Mosca ogni due settimane, incontrando i rappresentanti delle ambasciate straniere.
– Pensa che il risultato finale degli accordi di Khasavyurt possa portare all’indipendenza della Cecenia?
– Questo è ciò che vuole la parte cecena. Penso che questo sia inaccettabile per la Federazione russa. Io stesso non posso giudicarlo, poiché stiamo lavorando in Cecenia sulla base di un accordo con il governo russo. Mosca deciderà se la Cecenia diventerà uno stato indipendente. È difficile per me immaginare come possa cambiare la posizione della Russia su questo tema e in quale direzione. Ma ciò che sta accadendo ora nella Repubblica cecena è un’espressione della volontà della popolazione locale. Molte forze politiche stanno prendendo parte alla formazione del governo di coalizione. A Novye Atagi, molte persone si rivolgono a Yandarbiev e altri con le loro proposte riguardo al governo. Questo processo ha legittimità democratica.
Aslan Maskadov e Alezander Lebed firmano gli Accordi di Khasavyurt
– Cosa ne pensa di Yandarbiev?
– Ora è considerato il presidente della Repubblica cecena . L’ho conosciuto nel maggio 1996 dopo la morte di Dudaev. Questa è stata la prima occasione per me di incontrare il leader dell’altra parte. Fin dall’inizio abbiamo avuto un buon contatto con lui. E posso sempre andare da lui. È molto importante. Ci siamo incontrati due volte la scorsa settimana. È aperto, non sorgono problemi. C’è fiducia.
Yandarbiyev e i suoi sostenitori desiderano mantenere le tradizioni nazionali e gli interessi popolari. Vogliono perseguire una politica nell’interesse delle persone. Quanto all’indipendenza e ad altre cose radicali , anche Aslan Maskhadov mi ha detto: non potrei firmare un altro documento, altrimenti non avrei un futuro politico. Sanno esattamente cosa possono e cosa non possono fare.
– Parla molto bene il russo. Ha già studiato la Russia?
– Durante i 9 mesi del mio lavoro in Cecenia, ho cominciato a parlare molto meglio che durante il periodo iniziale del mio arrivo qui. Ho iniziato a studiare russo a scuola. Poi – all’università. Poi ho lavorato come guida come parte di gruppi di turisti svizzeri che visitavano la Russia in epoca sovietica. Nel 1979 ho ricevuto una borsa di studio dall’Accademia delle scienze dell’URSS – 300 rubli al mese, ho vissuto a Mosca in un hotel vicino a Piazza ottobre. Era impegnato in sovietologia, ho scritto il libro “Moralità e potere nell’Unione Sovietica”.
– Alcune pubblicazioni dell’opposizione russa hanno affermato che lei è un ufficiale dell’intelligence di carriera ed ha il grado di generale di brigata. Potrebbe commentare questa informazione?
– Questo non ha senso. Questa è una conseguenza dell’antica tradizione sovietica: vedere una spia in ogni straniero. Ci sono persone che hanno paura degli stranieri e pensano che operino contro la Russia.
– E le dichiarazioni secondo cui gli ufficiali dei servizi segreti occidentali lavorano nella missione OSCE a Grozny sono anch’esse una sciocchezza?
– Naturalmente, anche questa è una sciocchezza […] se ciò fosse vero, sarebbe un’attività di spionaggio in accordo con il governo Russo.
Il 27 Gennaio 1997 in Ichkeria si tennero le prime elezioni dalla fine della guerra: la popolazione si recò in massa alle urne, vivendo quell’esperienza con grande passione e spirito partecipativo. La contesa vide confrontarsi i principali leader politici e militari della repubblica: Basayev, Yandarbiev, Ugudov, Zakayev, Arsanov, e ovviamente il grande favorito: l’ex Capo di Stato Maggiore dell’esercito separatista Aslan Maskhadov. Allineato su posizioni moderate, cui aderiva la maggioranza della popolazione civile (oltre che parte dell’establishment militare) egli fu in testa fin dall’inizio della campagna elettorale, conquistando infine quasi il 60% dei voti e lasciando in minoranza sia i dudaeviti radicali (rappresentati dall’ex Presidente ad Interim Zelimkha Yandarbiev) sia l’ala militare oltranzista (rappresentata da Shamil Basayev). Un ciclo di articoli editi dal New York Times, dei quali pubblichiamo una traduzione, racconta le impressioni che il mondo occidentale ebbe di quei momenti così fatali per la storia postbellica della Repubblica Cecena di Ichkeria. Il link agli articoli in lingua originale sono reperibili quì:
Principali preoccupazioni degli elettori ceceni: ordine estabilità
di Alessandra Stanley
24 GENNAIO 1997 – La guerra è finita ed ora la battaglia per il controllo della repubblica secessionista della Cecenia si sta conducendo sulle onde radio. In un piccolo canale di proprietà privata, Aslan Maskhadov, primo ministro e capo di stato maggiore delle forze cecene durante la guerra, fissa la telecamera indossando un maglione ed una giacca civile, e racconta lentamente la storia della sua vita, a partire dalla sua nascita e dalla giovinezza ai tentativi di entrare in un’accademia militare sovietica contro la volontà di sua madre. In un altro, il suo principale avversario, Shamil Basayev, il comandante ceceno che ha guidato la tragica presa di ostaggi nell’ospedale di Budennovsk nel giugno 1995, vie mostrato in una sorta di video musicale sulla jihad. Immagini audaci di lui che affronta il governo russo a Budennovsk e che guida le truppe in battaglia a Grozny in stile montaggio – flash sullo sfondo di una musica popolare e marziale cecena.
Dopo 21 mesi di incessanti bombardamenti aerei e d’artiglieria, la Cecenia è un mosaico di edifici bruciati e macerie. Non c’è ancora acqua corrente e la gente fa la fila per ore per riempire i secchi dalle colonnine in strada. Ma l’elettricità è tornata nella maggior parte delle zone e le persone la usano principalmente per alimentare i loro televisori. Le elezioni cecene, [previste per] lunedì sono una campagna elettorale in stile anni ’90, sullo sfondo di alcune delle peggiori distruzioni urbane dalla Seconda Guerra Mondiale.
Manifesto elettorale di Aslan Maskhadov
Ci sono 16 candidati alla presidenza, e tutti sostengono l’indipendenza dalla Russia. Sui volantini e i manifesti incollati sulle finestre sbarrate e gli edifici bombardati in tutta Grozny, i cinque principali candidati della campagna promettono tutti di ristabilire l’ordine. E tutti dicono di voler favorire l’instaurazione di una società islamica. Ma il background ed il temperamento dei due candidati più noti e favoriti, il signor Maskhadov ed il signor Basayev forniscono un netto contrasto.
Il signor Basayev, 32 anni, che è ancora il nemico pubblico numero 1 in Russia, simboleggia la sfida e il rischio. Il signor Maskhadov, 46 anni, che ha negoziato e firmato l’accordo che ha portato al ritiro della truppe russe, è a favore della moderazione e del compromesso. Stanche della guerra, per persone stanno affrontando una sconcertante, e a volte sgradevole competizione tra ex alleati che hanno combattuto insieme i russi e che ora combattono tra di loro. L’indipendenza, che la Russia rifiuta di accettare ma che la maggior parte dei ceceni da già per scontata, non è il tema principale della campagna. Lo sono l’ordine e la stabilità. I ceceni che sono sopravvissuti a malapena alla guerra ora sono terrorizzati dalla pace. “Ogni notte viviamo nella paura che i banditi battano alla nostra porta” dice Tarabek Dejetayeva, 40 anni, una donna cecena il cui quartiere, dove metà degli edifici rimangono rovine bombardate e dove non c’è più acqua corrente, è stato ripetutamente colpito da colpi dai colpi di arma da fuoco dei ladri. “Dobbiamo scegliere un uomo forte che possa fermarlo”. Dice che voterà per Mr. Basayev.
I pochi occidentali che ancora lavorano a Grozny sperano che un presidente democraticamente eletto possa ristabilire l’ordine. “Queste elezioni non cambieranno nulla riguardo lo status della Cecenia: lo stallo con la Russia rimarrà, non importa chi sarà il vincitore” dice Tim Guildimann, capo della missione a Grozny dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa [OSCE] che sta aiutando ad organizzare ed a monitorare le elezioni. “Al vincitore daranno la legittimità per garantire la stabilità all’interno della Repubblica”. Quando 60 osservatori dell’organizzazione europea arriveranno in Cecenia questo fine settimana per monitorare le elezioni, questi saranno scortati da guardie armate del governo ceceno.
Shamil Basayev tiene un comizio elettorale
I candidati parlano di legge ed orine. Mercoledì, durante una manifestazione a Starye Atagi, Shamil Basayev è salito sui gradini di una moschea e si è lamentato del fatto che il governo, guidato dal Presidente Zelimkhan Yandarbiev, non ha fatto nulla per fermare il crimine dilagante e la corruzione. Il signor Yandarbiev, che è anch’egli candidato di primo piano, sta correndo principalmente sulle orme di Dzhokhar M. Dudaev, il presidente ribelle ceceno che è stato ucciso lo scorso Aprile ed ha nominato Yandarbiev suo successore. In un enorme raduno commemorativo per il signor Dudaev oggi (dove è stato insignito del titolo postumo di Generalissimo) il signor Yandarbiev ha fatto pressione sulla sua forza ribattezzando Grozny, la capitale, in Dzhokhar – Ghala, “Città di Dzhokhar”.
Ma gli elettori parlano di criminalità dilagante e mancanza di controllo da parte del governo. Dal ritiro russo le fazioni rivali sono entrate in guerra per il controllo dei loro territori. Le rapine, i rapimenti e gli omicidi si sono moltiplicati. A Dicembre sei operatori della Croce Rossa sono stati uccisi da uomini armati spingendo tutti gli altri operatori stranieri a lasciare la Cecenia. Un sacerdote ortodosso russo è stato rapito due settimane fa. Due giornalisti russi sono scomparsi la scorsa settimana.
L’esuberante e popolare Mr. Basayev è forse il candidato più visibile, tiene raduni e discorsi in tutta la Cecenia. Il signor Maskhadov è forse il meno in evidenza. Ha interrotto tutte le campagne la scorsa settimana e ora trascorre le sue giornate in una casa pesantemente sorvegliata fuori Grozny, ricevendo gli anziani del villaggio. Oggi, in una breve intervista, era circondato da guardie del corpo armate mentre parlava delle sue preoccupazioni per la sicurezza, promettendo di raggruppare i combattenti ceceni in un esercito organizzato e di sciogliere i reparti che sarebbero rifiutati di arruolarsi. Uno dei suoi migliori aiutanti militari ha detto che Maskhadov aveva smesso di fare campagna elettorale per motivi di sicurezza. “Secondo me la minaccia viene dalla parte russa”, ha detto l’assistente, Hussein Iskhanov. “Non è nell’interesse della Russia che Maskhadov vinca”. In realtà i suoi rivali affermano che è una figura fin troppo conveniente per la Russia. Dipingono in signor Maskhadov come qualcuno che piegherà la schiena per compiacere Mosca. Il signor Basayev al contrario dice che solo lui può costringere la Russia a concedere l’indipedenza alla Cecenia. “Con me la Russia ha solo una scelta: lasciarci in pace”, ha detto ai suoi sostenitori. “Con Yandarbiev ne hanno sette, con Maskhadov nove o dieci.”
Movladi Ugudov (a sinistra) e Shamil Basayev (a destra) durante un dibattito per le elezioni del Gennaio 1997
Ma molti in Cecenia favoriscono il signor Maskhadov proprio perché è meno intransigente del signor Basayevv – ed ha meno probabilità di provocare Mosca. “Sono per Maskhadov, è istruito, è civile ed è per la pace: è lui che ha firmato la pace coi russi” dice Leila Khuchiyeva, una donna cecena che vende pane in un mercato di strada. “Basayev è un eroe nazionale, ma non è un presidente”. Tutti i favoriti sono eroi di guerra, ma hanno dimostrato capacità mediatica in tempo di pace. Istruita dagli europei, la commissione elettorale cecena ha stabilito un regolamento che assegna a ciascun candidato circa 3.000 dollari per coprire i costi della campagna elettorale e 20 minuti di trasmissione gratuita alla televisione ed alla radio del governo. C’è un limite di spesa di centomila dollari, ma la commissione ha poca capacità di monitorare le spese effettive. E alcuni candidati hanno più “tempo uguale” di altri. Il signor Basayev ha il suo canale televisivo, una minuscola stazione a basso costo di proprietà di un uomo d’affari. Il signor Maskhadov ha anch’egli una stazione privata a sua disposizione, anch’essa di proprietà di un uomo d’affari che sostiene la sua candidatura. Il signor Yandarbiev si avvale liberamente del canale governativo. Non ci sono sondaggi affidabili, ma alcuni analisti politici affermano che il signor Basayev stia guadagnando rapidamente su Maskhadov.
Gennady Troshev è stato uno dei protagonisti delle due guerre russo – cecene: comandò le forze federali durante il primo conflitto, guidò la difesa del Daghestan dall’invasione islamista dell’Agosto 1999 e poi di nuovo la seconda invasione della Cecenia. Su questa esperienza ha scritto tre libri: “La mia guerra: Diario di un Generale in Trincea” (2001) “Recidiva Cecena: Note del Comandante” (2003) e “Pausa Cecena: Diari e Ricordi (2008). Si tratta di raccolte di documenti, resoconti, riflessioni, che fanno somigliare i tre libri più ad un diario personale che ad un memoriale organico.
Troshev fu uno dei più accaniti oppositori della Repubblica Cecena di Ichkeria. Le sue memorie, come vedremo, lasciano trasparire in maniera chiara il suo punto di vista non soltanto come militare, ma anche come funzionario leale alla causa della Federazione Russa, fiero oppositore del secessionismo ceceno e implacabile critico dei suoi leaders. Le sue parole non sono quelle dello storico, o dell’analista politico: forse proprio per questo spiegano in maniera più efficace (in quanto non – neutrale) le ragioni di chi prese le armi contro la ChRI.
Lo slideshow mostra le copertine dei tre libri scritti da Troshev
SERVIZI SEGRETI
Troshev ebbe fin dall’inizio una pessima opinione di Dudaev. Lo considerava come una sorta di “gangster in divisa”, e biasimava il governo russo per averlo indirettamente favorito rispetto a Zavgaev, del quale apprezzava il pragmatismo e la visione di prospettiva. Secondo lui Dudaev aveva avuto più di un alleato “non convenzionale”: il neonato governo Eltsin, come dicevamo, ma anche i servizi segreti di molti paesi, desiderosi a vario titolo di indebolire la posizione della Russia.
“E’ anche assolutamente indiscutibile che molti servizi segreti stranieri abbiano “ereditato” la Cecenia. Soprattutto quelli mediorientali. Sotto la “copertura” di varie compagnie, hanno svolto il loro lavoro praticamente alla luce del sole, con lo scopo non tanto di raccogliere informazioni, quanto di preparare il conflitto militare tra la Cecenia e la Russia. Ciò è dimostrato da numerose intercettazioni di informazioni di intelligence e dalle testimonianze degli stessi agenti. Mosca ha reagito lentamente a queste circostanze. Come mi ha detto a Grozny uno degli alti rappresentanti delle forze dell’ordine russe, questa passività è stata associata alla corruzione dei vertici del governo federale ed all’instabilità della situazione politica nel paese nel suo complesso.”
La guerra, quindi, fu procurata secondo Troshev anche dall’intervento di forze esterne intenzionate ad aumentare l’attrito tra i nazionalisti ceceni ed il governo federale.
Dzokhar Dudaev in abito
IMPREPARAZIONE DELL’ESERCITO FEDERALE
Troshev fu inviato a guidare le unità dell’esercito federale poco dopo l’ingresso delle truppe in Cecenia. Come comandante dovette confrontarsi fin da subito con la carenza organizzativa e morale dell’esercito che era stato inviato a guidare.
“l’operazione [l’assalto a Grozny, ndr.] è iniziata il 31 dicembre 1994. Secondo alcuni generali l’iniziativa per l’assalto “festivo” di Capodanno sarebbe stata ideata da persone appartenenti alla cerchia ristretta del Ministero della Difesa, desiderose di far coincidere la cattura della città con il compleanno di Pave Sergeevich [Grachev, Ndr.]. Non so quanto ci sia di vero qui, ma il fatto che l’operazione sia stata davvero preparata in fretta, senza una reale valutazione delle forze e dei mezzi del nemico è un dato di fatto. Non si fece in tempo neanche a dare un nome all’operazione.
Sulla base dei dati operativi sul gruppo a difesa della città, era necessario avere almeno 50/60 mila persone per l’assalto. Questi calcoli hanno una propria logica, dimostrata dall’esperienza storica. […] Al 3 Gennaio non c’erano più di cinquemila persone a Grozny e, lasciatemelo ricordare, c’erano il doppio dei militanti!
Le comunicazioni radio nelle unità che assaltavano Grozny erano quasi paralizzate a causa della confusione che regnava nell’aria. Non c’era praticamente alcuna integrazione tra le unità, l’inesperienza affliggeva la maggior parte dei guidatori dei carri armati e dei veicoli da combattimento per fanteria. […] Colonne miste (automobili e mezzi blindati) si allungavano su strade strette senza margini di manovra. Di conseguenza, fanteria ed equipaggiamento furono colpiti dagli edifici a bruciapelo. I comandanti, a partire dal comandante di battaglione a seguire, in realtà non avevano una mappa di Grozny, da qui le frequenti “interruzioni” del percorso, e la perdita di orientamento. E se qualcuno aveva le mappe, erano nella migliore delle ipotesi modelli del 1980, molto obsoleti e mancanti di interi microdistretti.
I numeri citati da Troshev riguardo la consistenza delle unità attaccanti non devono essere mal interpetati: per lui erano da considerarsi unità combattenti soltanto gli uomini inquadrati nell’esercito, e tra questi soltanto i reparti che guidarono il primo assalto alla città. L’opinione del Generale qui è sostanzialmente quella sostenuta dalla maggior parte degli analisti militari: l’invasione della Cecenia e l’assalto a Grozny furono improvvisati e guidati dalla convinzione che una semplice prova di forza sarebbe bastata a far fuggire i separatisti.
CRIMINI DI GUERRA
La Prima Guerra Cecena vide la Russia sconfitta prima di tutto sul fronte dell’informazione. Impreparati a gestire la mediaticità dei nuovi conflitti, i comandi russi si trovarono a doversi proteggere da un fuoco di critiche, essendo incapaci di seguire un’efficace strategia comunicativa. Il fulcro della propaganda separatista furono i costanti resoconti delle atrocità commesse dall’esercito federale, ma soprattutto dalla polizia OMON, sui civili ceceni. Nelle sue memorie Troshev racconta una sua versione dei crimini di guerra compiuti dai separatisti, dei quali i media e l’opinione pubblica sembravano, a suo parere, non curarsi:
“Uno degli spettacoli preferiti dai militanti della prima guerra erano i combattimenti tra schiavi. Penso che valga la pena menzionare anche questo. I militanti spesso organizzavano qualcosa di simile ai combattimenti di gladiatori: se vinci vivrai, se perdi, tu stesso avrai scelto la morte. Per salvarsi la vita alcuni dei prigionieri hanno accettato di convertirsi all’Islam. Successivamente i “convertiti” hanno affermato nelle interviste che essere musulmani significava servire la verità, che la Russia era un aggressore che stava compiendo un’ingiusta azione in Cecenia, e che i ceceni (cioè i banditi) erano giusti, stavano conducendo una guerra santa contro gli infedeli. […] L’adozione dell’Islam era cosparsa di sangue: prima di accettare l’Islam il prigioniero doveva sparare o pugnalare il suo compagno di prigionia […].
Anche rispetto agli eccessi compiuti dai militari russi, Troshev aveva una sua idea piuttosto chiara: i “suoi” uomini si comportarono sempre piuttosto bene, e laddove ci furono crimini, questi furono compiuti essenzialmente dalle unità dipendenti dal Ministero degli Interni, e dalla Polizia OMON:
“La prolungata presenza di truppe federali nei punti di schieramento, la passività nel disarmo dei gruppi di banditi e l’aumento del numero delle cosiddette perdite non combattenti hanno avuto un effetto deprimente sul personale. I casi di saccheggi sono diventati più frequenti, sempre più spesso si è cominciato a licenziare “soldati a contratto” per ubriachezza… […] Di quali standard etici possiamo parlare se i residenti di alcuni insediamenti classificano le forze federali a modo loro “per gradi”? Il primo scaglione combatte principalmente i banditi e condivide pane e cibo in scatola con i civili (si tratta principalmente di uomini dell’esercito). Il secondo scaglione fa una “pulizia”, non condivide nulla, ma non entra in casa finchè non lancia una granata per ogni evenienza, schiacciando tutto ciò che gli sta intorno (truppe interne). Il terzo “scaglione” passa per il villaggio con grandi borse in spalla e ruba tutto ciò che ha valora dai residenti locali (questa è principalmente la polizia). Questo “scaglionamento”, ripeto, non è stato inventato da me o dal quartier generale delle forze federali. Questa è la terminologia dei civili in Cecenia. Non voglio denigrare i rappresentanti delle truppe interne e della polizia (sono nostri fratelli d’armi) ma non ho nemmeno il diritto di chiudere gli occhi su tali fatti, poiché queste rapine possono in un attimo annullare enormi sforzi e vittorie di tutte le forze federali, compreso il Ministero degli Affari Interni, ottenute nelle battaglie con i banditi.”
Militari russi posano davanti ad una abitazione data alle fiamme.
ORGANIZZAZIONE MILITARE DEI SEPARATISTI
A dispetto dell’immagine descritta a posteriore dai separatisti, secondo la quale l’esercito dei difensori era poco più che un’accozzaglia di giovani volontari armati alla meno peggio e animati soltanto dal sacro dovere di resistere, Troshev descrive quanto invece, secondo lui, il fronte militare avversario forze forte e ben organizzato (nonché fiancheggiato da migliaia di mercenari), e di quanto difficile sarebbe stato per qualsiasi esercito piegarlo in battaglia:
Al 1° Marzo 1995 il numero totale del personale dei gruppi armati illegali, escluse le potenziali riserve nelle zone montuose, raggiungeva più di novemila persone, tra le quali più di tremilacinquecento erano mercenari e volontari provenienti dall’estero, vicino e lontano. Erano armati con più di 20 carri armati, 35 veicoli blindati per il trasporto della fanteria, 40 cannoni e mortai, 5 – 7 installazioni GRAD, 20 sistemi antiaerei. Allo stesso tempo, nel solo mese di Febbraio, il numero dei veicoli corazzati è raddoppiato a seguito delle riparazioni avviate nelle rimesse di Shali e Gudermes, ed anche la fornitura di armi attraverso Azerbaijan e Georgia è aumentata. I dudaeviti continuarono a raggruppare le loro forze ed i loro mezzi, preparandosi per le future battaglie. L’attenzione principale era posta al rafforzamento della difesa dei fronti di Gudermes e Shali. I gruppi militanti, qui, sono diventati i principali, poiché il baricentro della resistenza alle truppe federali si era spostato nelle regioni orientali e sudorientali della Repubblica. […] I militanti avevano preparato le basi con armi, munizioni, medicinali e cibo in anticipo, il che permise loro di condurre operazioni di combattimento in autonomia per lungo tempo. Nell’Est della Repubblica spiccavano le unità di difesa di Argun, Shali e Gudermes. La posizione geografica militarmente favorevole e la presenza di barriere d’acqua ramificate […] rafforzava i già potenti centri di resistenza. Ad esempio, la piazzaforte di Shali includeva due linee di difesa ben separate. La prima, su entrambe le rive del fiume Argun, sul lato di Chechen – Aul, Starye Atagi e Belgatoy. La seconda dentro Shali e nei sobborghi più vicini, con una rete sviluppata di strade di accesso che consentiva al nemico, se necessario, di manovrare prontamente con uomini e mezzi. Secondo le nostre informazioni qui erano concentrati fino a 1700 militanti, carri armati, artiglieria e mortai, oltre a diversi lanciarazzi. Non era escluso che da un momento all’altro potessero essere supportati da distaccamenti di militanti (fino a 500 persone) con attrezzatura provenienti dalla regione di Vedeno e dagli insediamenti di Kurchaloy e Avtury.
DOPO BUDENNOVSK
Il Raid su Budennovsk fu l’evento che determinò una svolta radicale nel primo conflitto ceceno. L’azione, ideata a portata a termine da Basayev e dai suoi luogotenenti, costrinse il governo federale a negoziare un cessate – il – fuoco, creando le premesse di quella “strana guerra” che, trascinandosi fino all’autunno del 1995, avrebbe permesso ai separatisti di riorganizzarsi e di preparare la riscossa del 1996.
“Avendo abbandonato il confronto diretto e utilizzando un accordo su un cessate il fuoco reciproco, i militanti hanno fatto affidamento sulle tattiche di guerriglia, del sabotaggio e delle attività terroristiche. Molti uomini ceceni ripresero nuovamente le armi. In montagna di formarono gruppi per compiere sabotaggi, vennero create nuove basi dei militanti, dove venivano addestrati i sabotatori. In particolari, “scuole” simili erano situate nelle vicinanze di Bamut, di Orekhov, di Roshni – Chu. Un centro di formazione operava sul territorio della vicina Inguscezia – presso il dipartimento regionale degli affari interni della regione di Dzheyrakh, nell’edificio del sanatorio “Armkhi”. Durante la moratoria, il comando dei militanti provenienti da distaccamenti sparsi e demoralizzati è riuscito a riunire quattro gruppi relativamente grandi, rifornirli di “volontari”, armi e munizioni, ripristinare il sistema di controllo e dispiegare un nuovo sistema di comunicazione cellulare.
Alla fine di Agosto i gruppi di banditi, fino a cinquemila, si erano concentrati in quattro regioni principali: est, sud, ovest e centro. Erano armati con 10 carri armati, 12/14 veicoli da combattimento per la fanteria e veicoli blindati, 15/16 cannoni e mortai, diversi lanciarazzi a lancio multiplo, due dozzine di sistemi missilistici antiaerei. Attrezzature e armi arrivavano dall’estero attraverso Azerbaijan, Georgia e Inguscezia. La comunicazione tra i posti di controllo dei gruppi armati illegali era garantita da un sistema ad onde ultracorte a sette frequenze fisse, utilizzando stazioni radio della società Motorola. Per garantire la segretezza, il comando militare cambiò i nominativi degli ufficiali e dei comandanti sul campo che lavoravano nella rete radio del controllo operativo.
Mentre le nostre truppe erano sulle montagne, il nemico iniziò a ritirare le sue truppe nella pianure, inclusa Grozny. Gli attacchi con armi leggere, mortai e lanciagranate ai posti di blocco e alle basi dei federali non si fermava, La “guerra contro le mine” si svolgeva su larga scala. Anche nel processo di consegna delle armi da parte della popolazione, i militanti cercavano di ottenere il massimo beneficio per loro stessi: portavano per lo più armi vecchie o difettose e ricevevano una discreta ricompensa in denaro per ogni carico. Poi persone fidate dei militanti compravano armi nuove ai bazar con questo denaro. Questa è una scena abbastanza tipica. Si capiva sempre più chiaramente che gli accordi firmati con i capi delle formazioni di banditi erano una formalità, e non venivano praticamente rispettati.
Da sinistra a destra: Isa Madae (con il basco)v, Gennady Troshev (con il cappello), Aslan Maskhadov
IL SUPPORTO DELLA DIASPORA ALLA RESISTENZA CECENA
Contrariamente a quanto affermato dai separatisti, Troshev valutava come “determinante” l’appoggio fornito dai sostenitori esterni alla resistenza armata. Si riferiva certamente non soltanto alle donazioni volontarie dei ceceni all’estero, ma anche al supporto interessato dei governi in attrito con la Russia, e dai loro servizi segreti. In questo passo Troshev parla delle organizzazioni appartenenti alla diaspora Vaynakh che sostenevano i dudaeviti durante la Prima Guerra Cecena e della resistenza durante la Seconda:
“Caratteristiche distintive dei membri delle diaspore cecene sia nei pasi della CSI che nel lontano estero sono il pregiudizio anti -russo, tradizioni storiche e religiose comuni, idee ed obiettivi nazionalisti, il che determina il loro sostegno al movimento separatista in Cecenia. La diaspora cecena in Turchia, ad esempio, è una delle più numerose, contando oltre trentamila persone, alcune delle quali occupano posizioni di rilievo nei più alti organi statali e nelle forze armate. Secondo le stime circa 50.000 Vaynakh si trovano in Giordania, Siria ed Iraq. Una colonia cecena di diverse decine di migliaia di persone risiede permanentemente negli Emirati Arabi Uniti. Ci sono circa 2.000 ceceni in Israele. Nelle aree nelle quali la loro presenza è più massiccia i ceceni dimostrano un alto livello di coesione nazionale con i loro compatrioti nella loro terra natale. Subito dopo l’inizio della seconda campagna militare cecena, diversi milioni di dollari sono stati inviati solo dall’Arabi Saudita ai “fratelli della fede”: Un altro tipo di assistenza è il reclutamento di mercenari tra i rappresentanti delle diaspore negli stati del Vicino e Medio Oriente.
Le diaspore cecene sono le più influenti e organizzate nelle repubbliche che facevano parte dell’ex Unione Sovietica. I loro rappresentanti in Bielorussia, Ucraina, Moldavia e Kazakistan mantengono legami con la Cecenia. Queste connessioni sono spesso di natura criminale. In particolare, i “nuovi ceceni” forniscono assistenza finanziaria a gruppi armati illegali. Secondo le forze dell’ordine, una delle fonti di reddito per i “gruppi ceceni” sono i contributi degli imprenditori locali. Anche durante il conflitto armato del 1994 – 1996, le comunità cecene della CSI hanno pagato la cosiddetta “tassa volontaria sugli aiuti ai fratelli belligeranti”. In Kazakistan, ad esempio, questa ha raggiunto il 10% del reddito della diaspora nazionale. Secondo alcuni rapporti, dal 25 al 50 percento dei profitti delle attività degli uomini d’affari ceceni sarebbero stati inviati in Cecenia.
In Russia la diaspora cecena conta circa cinquecentomila persone. Non è un segreto che la maggior parte dei suoi rappresentanti sia coinvolta nel business criminale. Controllano il commercio dei prodotti petroliferi, i servizi ai consumatori, la ristorazione pubblica e la lavorazione dei prodotti agricoli. In alcune regione della Russia, addirittura, controllano completamente l’attività del prestito, ed in alcuni casi influenzano i rappresentanti delle autorità locali. Ci sono prove che nella stessa Russia ci siano banche e aziende che sono state impegnate in transazioni fraudolente nel settore monetario.
Uno dei partecipanti al finanziamento illegale dei gruppi armati illegali era la Transcreditbank, con sede a Mosca. Secondo la Direzione principale per la Lotta alla Criminalità Organizzata del Ministero degli Affari Interni della Federazione Russa, la direzione della banca ha partecipato alle attività di legalizzazione dei proventi criminali, incassando fondi e incanalandoli verso i combattenti ceceni. Secondo il GUBOP, ogni giorno sono stati incassati fino a cinque milioni di dollari attraverso società appositamente create. E questo è tutt’altro che un esempio isolato.
Alexander Lebed ed Aslan Maskhadov si scambiano una stretta di mano a seguito degli Accordi Di Khasavyurt
GLI ACCORDI DI KHASAVYURT
Troshev fu molto critico verso l’approccio accomodante assunto dal governo federale nei confronti dei Ceceni, durante le trattative che portarono alla firma degli Accordi di Khasavyurt. Nelle sue memorie il Generale russo riporta un aneddoto e le sue riflessioni:
“Gli accordi di Khasavyurt hanno stretto ancora di più il nodo dei problemi caucasici. Difficilmente Alexander Lebed, mettendo la sua firma, avrebbe potuto credere che i militanti si sarebbero disarmati ed avrebbero fermato le loro attività illegali. Le nostre unità militari erano ancora sul territorio della Cecenia, ed i leader di Ichkeria avevano già iniziato a ricostruire il loro esercito, svolgendo l’addestramento dei futuri terroristi in apposite scuole e campi di sabotaggio.
A metà del 1997 in un campo di addestramento di Grozny si consegnarono i “diplomi”. Salman Raduev si rivolse ai diplomati. Cito quasi integralmente il suo discorso, perché è molto simbolico ed ha un carattere programmatico.
“Fratelli, oggi lasciate le mura della nostra scuola. Per quattro mesi i vostri insegnanti vi hanno insegnato l’arte del sabotaggio, della corruzione, della diffusione di voci e molto altro. Avete preso tutti parte alla guerra, santa per l’indipendenza di Ichkeria, e non importa che tra voi non ci siano solo ceceni e musulmani, Ichkeria è diventata comunque la loro vera patria, hanno versato il loro sangue nella lotta per la libertà, vivono secondo le leggi della Sharia, sono nostri fratelli.
Ora Mosca sta cercando di convincere tutti che ci darà il mondo. Non ci credo, così come né Shamil [Basayev, ndr] né Aslan [Maskhadov, ndr] ne molti altri, che hanno guadagnato l’indipendenza con le armi in pugno, ci credono. Tutte le promesse di Mosca sui finanziamenti non sono altro che chiacchiere per stupidi. Il denaro trasferito attraverso le banche russe finirà nelle tasche dei funzionari. Aslan è fantastico. Tiene Eltsij per il naso e, probabilmente, riuscirà ad ottenere i soldi per la nostra banca nazionale. E anche se non ci riuscisse, va bene. Non abbiamo bisogno dei soldi russi. Ci verranno dati da alcuni paesi europei, oltre a Pakistan, Afghanistan e Iran. Da loro riceveremo denaro, armi ed equipaggiamento militare per armare il nostro esercito. Si, e tra i più alti funzionari russi ce ne sono molti pronti a venderci armi, cibo, uniformi […].
Le nostre richieste: completa indipendenza politica di Ichkeria. La Russia, in quanto parte sconfitta in guerra, è obbligata a pagare un’indennità. Ogni centesimo. Senza condizione. Di coloro che hanno sostenuto Mosca nella guerra, ci occuperemo con la Legge della Shari […].
Già domani alcuni di voi inizieranno a svolgere i loro incarichi. Il vostro compito è seminare terrore mortale tra coloro che hanno venduto Allah. Devono sentire la mano fredda della morte ogni ora. Tra tutti i militari che sono ancora sul nostro territorio è necessario seminare confusione e paura. Prendete in ostaggio, e uccideteli. Allah perdonerà tutto, non prestate attenzione alle grida dei politici: questa non è altro che una cortina sonora.
Un compito speciale per chi si stabilisce in Russia e negli stati limitrofi. Il vostro compito è infiltrarvi nelle strutture di potere, negli organi amministrativi e finanziari. Il vostro compito e destabilizzare la situazione, l’economia e le finanze. Create basi, selezionate persone, non dovrete aspettare a lungo. Se Ichkeria non riceverà la completa libertà e indipendenza entro la primavera, colpiremo quasi tutte le grandi città industriali.
[…] Dovete gettare fango su quei russi che sono patriottici. E’ molto facile accusarli di fascismo, antisemitismo e nazionalismo. Quelli tra i Gentili che vogliono stare sotto al Sacra Bandiera del Profeta devono essere battezzati con il sangue. Allora non avranno modo di tornare indietro. […].
Ilyas Akhmadov fu appuntato Ministro degli Esteri da Maskhadov il 27 Giugno 1999, pochi mesi prima dello scoppio della Seconda Guerra Cecena. Akhmadov fu scelto per il fatto di non aver partecipato a nessuna delle azioni terroristiche (Budennovsk e Klizyar in primis) che avevano resto tristemente celebre la resistenza separatista durante il primo conflitto. In questo modo egli avrebbe potuto muoversi con maggior facilità tra le cancellerie occidentali senza incorrere nel rischio di essere arrestato per terrorismo. Nella sua veste di alto rappresentante della diplomazia cecena, Akhmadov si diresse dapprima in Turchia, poi in Belgio, poi ancora negli Stati Uniti, girando in lungo e in largo nel tentativo di coinvolgere i governi occidentali in un negoziato trilaterale con la Federazione Russa (per approfondire, leggi il libro “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, acquistabile QUI).
Ilyas Akhmadov the Minister of Foreign Affaires for the Chechen rebel government. (Photo by Alex Smailes/Sygma via Getty Images)
Presto fu tuttavia chiaro che nessuno dei governi in grado di fare la differenza in una trattativa con la Russia sarebbe intervenuto, appoggiando tout – court la posizione dei secessionisti. Così, dal 2001, il Ministro degli Esteri si mise ad elaborare un piano di pace che ponesse in essere le premesse di una separazione senza costringere il Cremlino ad accettarla sul piano formale. Il progetto, che pubblichiamo in versione italiana (scaricabile QUI in PDF) si basava sull’idea di trasformare la Cecenia in una sorta di protettorato, sotto il mandato delle Nazioni Unite, per un periodo di 10 o 15 anni, durante i quali il paese sarebbe stato ricostruito e le istituzioni democratiche sarebbero state implementate, sul modello di quanto stava succedendo in Kosovo ed a Timor Est. Maskhadov avrebbe rassegnato le sue dimissioni, l’esercito russo si sarebbe ritirato e le forze armate cecene avrebbero smobilitato. Una volta che la situazione si fosse stabilizzata e le istituzioni democratiche avessero iniziato a funzionare sotto la protezione delle forze armate dell’ONU, nuove elezioni avrebbero portato alla costituzione di una Cecenia indipendente.
Il piano girava tutto intorno al concetto di “indipendenza condizionata”:
“Il riconoscimento condizionato di un governo o di uno Stato è il principio che consiste nel rendere il riconoscimento dell’entità in questione soggetto all’adempimento di condizioni precedentemente convenute. Una appropriata applicazione di questo principio attraverso il meccanismo di una amministrazione internazionale può risolvere il conflitto russo – ceceno con un approccio in cui vincono entrambe le parti. L’idea è semplice: la trasformazione della Cecenia in uno Stato realmente democratico e pacifico attraverso un periodo di transizione di diversi anni di amministrazione internazionale. Questa formula può non essere un miracolo, ma fornisce un modo per risolvere la sfida di soddisfare le legittime aspirazioni della Cecenia andando simultaneamente incontro alle autentiche esigenze di sicurezza della Russia, come alle preoccupazioni relative alla sicurezza della Georgia ed alla sicurezza ed agli interessi complessivi della comunità internazionale.
UNA STRADA IN SALITA
Il piano era di difficile attuazione, perché avrebbe dovuto passare dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del quale la Russia faceva parte, e difficilmente il Cremlino avrebbe accettato la presenza di forze di pace entro quelli che considerava i propri confini. Un segnale incoraggiante comunque giunse da Putin, che in relazione al piano proposto rispose: “Oggi la questione dell’indipendenza o meno della Cecenia dalla Russia è assolutamente non di fondamentale importanza. Ciò che è di fondamentale importanza per noi è soltanto una questione. Non vogliamo permettere che questo territorio venga usato ancora una volta come testa di ponte per un attacco alla Russia.” in questi termini, Putin poteva essere teoricamente disponibile a congelare nuovamente la questione dell’indipendenza in cambio della completa smilitarizzazione della Cecenia. Il piano venne sottoposto a Maskhadov qualche settimana dopo, sponsorizzato dallo scrittore francese Andrè Glucksmann e dal politico belga Olivier Dupuis, che si dissero disponibili a farsene relatori presso le autorità europee ed all’ONU. Esso tuttavia era debole per due motivi: prima di tutto la situazione della Cecenia non poteva essere assimilata a quella del Kosovo, perchè Russia non era la Serbia né in fatto di peso politico né in fatto di rapporti con l’occidente.
Vladimir Putin, Presidente della Federazione Russa. Allo scoppio della Seconda Guerra Cecena giustificò l’intervento armato come un’operazione volta a garantire la sicurezza della Russia. Il “Piano Akhmadov” muoveva dalla necessità di garantire a Putin il riconoscimento delle sue “ragioni di sicurezza” senza ledere il diritto della Cecenia all’autodeterminazione.
In secondo luogo, come spiegò Maskhadov nella sua risposta alla proposta di Akhmadov, “La mentalità della resistenza cecena era sempre più religiosa e sempre più frustrata rispetto all’Occidente ed alla democrazia, rispetto a quanto non fosse durante la prima guerra. […] dovete capire che quello che la gente vede riguardo alle democrazie occidentali sono dichiarazioni preoccupate di routine, gestualità vuote, che irritano soltanto la gente. Dovete capire che questo è tutto quello che hanno visto di codeste democrazie”. Maskhadov confidò che non sarebbe riuscito a tenere insieme il fragile fronte indipendentista se un simile piano fosse stato sponsorizzato da lui. In particolare, una simile soluzione avrebbe messo la resistenza in rotta di collisione coi suoi finanziatori, che erano per lo più comunità religiose mediorientali le quali mai avrebbero supportato finanziariamente un movimento che andava a braccetto con l’ONU, vista dai più come una sovrastruttura al servizio del potere occidentale. Rispose quindi che il piano poteva essere presentato, ma come una iniziativa personale di Akhmadov e dei suoi amici, e non come un documento ufficiale della ChRI.
IL PIANO NAUFRAGA
Anche all’interno di ciò che restava della gerarchia repubblicana, il dibattito sul piano fu acceso ed i funzionari non riuscirono a trovare un accordo. Laddove Umar Khambiev, Ministro della Sanità ed inviato personale di Maskhadov in Europa, appoggiò entusiasticamente il piano, Akhyad Idigov, ex Presidente del Parlamento dudaevita, lo attaccò pesantemente accusando Akhmadov di voler vendere l’indipendenza della Cecenia e di attentare alla costituzione. Akhmadov propose il piano in via personale nel marzo 2003, ma proprio in quei mesi iniziò la seconda invasione americana dell’Iraq, e la questione cecena finì nelle ultime pagine dei giornali. Olivier Depuis, raccolse comunque le firme per presentare il piano alle Nazioni Unite, e per la metà del 2003 ne aveva già raccolte 30.000. L’azione di Depuis, che era un deputato del Partito Radicale Transnazionale, avrebbe portato, nel febbraio del 2004, il Parlamento Europeo a varare una risoluzione nella quale per la prima volta si riconosceva l’Ardakhar del 1944 come “genocidio”, ma oltre all’adozione di questa risoluzione, non ci sarebbe stato altro di politicamente rilevante. In ogni caso la discussione del “Piano Akhmadov” non riuscì neanche a decollare, giacché l’11 settembre 2001 Osama Bin Laden aveva lanciato il suo attacco terroristico agli Stati Uniti. Da quel momento il timore del terrorismo islamico si era impadronito delle società occidentali, ed anche i secessionisti ceceni avevano finito per essere considerati parte del fenomeno.
Alhyad Idigov, Deputato al Parlamento di I e II Convocazione e rappresentante del Parlamento all’Estero, criticò duramente il “Piano Akhmadov”, accusando il Ministro degli Esteri di voler sacrificare l’indipendenza della Cecenia, secondo il suo parere già acquisita nel 1991 e confermata nel Trattato di Pace del 1997. La mancanza di unità nel fronte secessionista fu una delle principali cause del naufragio della proposta di pace.
Come scrive Akhmadov: “Le cose sono cambiate radicalmente dopo l’11 settembre 2001, quando la maggior parte delle persone in Occidente, e certamente la maggior parte dei governi, ha iniziato a guardarci attraverso la lente dell’antiterrorismo. Il pretesto che l’uccisione di massa di civili ceceni da parte della Russia abbia contribuito alla guerra contro il terrorismo ha permesso all’Occidente di mantenere stretti rapporti con la Russia e di assolvere la sua coscienza collettiva ignorando le atrocità. Vedere questa guerra come uno dei fronti di guerra contro il terrorismo globale ha liberato l’Occidente dai suoi obblighi al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale nei suoi rapporti con la Russia.”. La resistenza cecena, che per parte sua aveva compiuto atti di terrorismo e che, radicalizzandosi, aveva assunto i turpi connotati del fanatismo religioso, fu pesantemente colpita dai nefasti effetti dell’azione di Al Qaeda, che gli alienarono completamente le simpatie dell’occidente, fatta eccezione per qualche giornalista, qualche associazione umanitaria e qualche uomo politico di scarso peso. Le autorità russe si resero conto di avere campo libero nel portare a termine la loro invasione e chiusero a qualsiasi negoziato che potesse portare anche soltanto ad una tregua.
Dopo la strage di Beslan, il movimento nazionalista ceceno cessò di esistere in quanto tale. I funzionari della ChRI rimasti erano rappresentativi quasi soltanto di loro stessi, e la loro voce non fu più ascoltata. Basayev ed i fondamentalisti avevano preso il monopolio dell’immagine della resistenza. Il 14 gennaio 2005, in un ultimo tentativo di riprendere il controllo del suo esercito, Maskhadov proclamò una “tregua unilaterale”. Era una mossa azzardata, perché se le operazioni fossero continuate, l’ultimo barlume di credibilità di Maskhadov sarebbe andato a farsi benedire. Incredibilmente, Basayev dichiarò che, malgrado non ritenesse la tregua necessaria, si sarebbe adeguato all’ordine. Fu un piccolo miracolo: per un mese le attività dei separatisti cessarono, e Maskhadov dimostrò al mondo che egli era ancora in grado di esercitare una forte influenza sul movimento di resistenza. Per un attimo, sembrò possibile ricostruire i ranghi della ChRI e riportare la guerriglia nell’alveo del conflitto armato più o meno “tradizionale”, nel quale aveva sempre voluto mantenerlo Maskhadov. Il 25 febbraio, confortato dall’obbedienza di Basayev e degli altri comandanti di campo che avevano rispettato il suo ordine, Maskhadov scrisse a Javier Solana, Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera, il suo ultimo messaggio politico:
Aslan Maskhadov stringe la mano al plenipotenziario russo Alexander Lebed a margine degli Accordi di Khasavyurt del 1996
Signor Alto Rappresentante,
Mentre non passa giorno senza notizie di vittime tra la popolazione civile cecena e tra i combattenti russi e ceceni, senza che dei Ceceni, donne, bambini, uomini, non siano oggetto delle peggiori esazioni che esistano, i superstiti, tra i quali io stesso, hanno celebrato il decimo triste anniversario dell’offensiva militare lanciata l’11 dicembre 1994 dal Presidente Eltsin contro il popolo ceceno. Del milione di abitanti che contava la Cecenia di allora, più di 200.000 sono morti, 300.000 si sono rifugiati fuori del paese, decine di migliaia si sono spostati all’interno del paese, decine di migliaia soffrono delle conseguenze delle ferite ricevute, o delle torture subite. Migliaia di altri sono detenuti nelle prigioni e nei campi di “filtraggio” delle forze armate russe o dei loro collaboratori ceceni, nell’attesa del versamento di un riscatto o, più spesso, della morte dopo torture e privazioni innominabili.
Javier Solana, all’epoca Alto Rappresentante per la Politica Estera dell’Unione Europea
Come sapete, ho reiterato costantemente, dalla ripresa di quella che è stata chiamata la seconda guerra di Cecenia, nell’autunno 1999, la mia volontà di risolvere questo conflitto e tutte le controversie che esistono tra la parte russa e le parti cecene mediante un dialogo con le autorità russe. Fino ad oggi, queste domande ripetute di negoziati sono rimaste senza alcuna risposta da parte delle autorità russe, salvo un discorso su una falsa normalizzazione. Nel marzo 2003, con l’intermediazione del mio Ministro degli Affari esteri, Ilyas Akhmadov, ho reso pubblica una proposta di pace che, facendosi forte dell’esperienza della comunità internazionale nel Timor orientale e nel Kosovo, voleva portare un nuovo contributo alla risoluzione di questo conflitto prendendo in considerazione i legittimi interessi, in termini di sicurezza, della parte russa, e le tre esigenze alle quali la parte cecena non può rinunciare: un meccanismo di garanzia internazionale, sotto una forma o un’altra, di ogni nuovo accordo tra le due parti; un coinvolgimento diretto, per un periodo di transizione, della comunità internazionale nella costruzione di un Stato di Diritto e della democrazia in Cecenia, e nella ricostruzione materiale del mio paese; al termine di questo periodo di transizione, una decisione finale, secondo le norme internazionali in vigore, sullo statuto della Cecenia.
Purtroppo, questa proposta, come le precedenti, come l’ultima, cioè il cessate il fuoco unilaterale che ho ordinato all’inizio di questo anno, non ha suscitato altre reazioni da parte delle autorità di Mosca se non una nuova corsa in avanti in un processo di sedicente normalizzazione della tragedia del mio popolo, col suo corteo di elezioni fraudolente, di sofisticazione delle operazioni militari, di esazioni contro la popolazione civile. Ho seguito con tutta l’attenzione che la mia condizione di presidente-resistente mi permetteva gli avvenimenti in Ucraina, la “rivoluzione arancione”, ed il ruolo, decisivo secondo me, giocato dall’unione europea, nella sua felice conclusione. Ho constatato in particolare quanto l’Europa possa essere capace ed efficace quando decide di parlare con una sola voce, mediante gli interventi dei differenti Capi di stato o di governo, o mediante quella del suo Alto Rappresentante per la Politica estera e la Sicurezza Comune. Non ignoro la complessità delle relazioni con questo grande paese che è la Federazione della Russia, né l’importanza politica ed economica di queste relazioni. Al contrario, credo che proprio perché queste relazioni sono capitali per l’Unione Europea ritengo sia fondamentale ed urgente che queste vengano costruite sulle uniche fondamenta solide che possono esserci: la libertà, la democrazia e lo Stato di Diritto.
Aslan Maskhadov al seggio elettorale durante le elezioni del Gennaio 1997, dalle quali uscì vincitore.
Purtroppo, come gli avvenimenti dell’Ucraina ci ricordano, come le derive antidemocratiche in Russia ci mostrano già da troppi anni e come la tragedia che subisce il mio popolo da dieci anni basterebbe a dimostrare, queste basi solide non esistono in Russia. Sul terrorismo, quotidiano e massiccio, dello Stato russo e dei suoi accoliti ceceni, non ritornerò. Quanto agli atti terroristici perpetrati dalle frange della resistenza cecena, li ho, come sapete, ogni volta condannati. E continuerò a farlo. Resta il fatto che questo terrorismo non ha niente a che vedere col terrorismo fondamentalista internazionale. È l’opera di disperati che hanno, nella maggior parte dei casi, perso dei parenti in circostanze atroci, e che ritengono di potere rispondere all’aggressore ed all’occupante utilizzandone gli stessi metodi. Questo non è il mio punto di vista e non lo sarà mai. In effetti ho fatto tutto ciò che era in mio potere affinché le azioni della resistenza cecena si iscrivessero rigorosamente dentro il perimetro del diritto internazionale di guerra. Quando non riesco a prevenire il terrorismo, fallisco solamente in circostanze dove nessuno potrebbe riuscire. Il terrorismo all’opera in Cecenia, che sia opera delle forze di occupazione o di elementi isolati della resistenza, nasce e prospera sulla guerra, sulle violenze più abiette e sulle violazioni quotidiane e di massa dei diritti più fondamentali. Solo la pace e la democrazia possono scongiurarlo. Lungi dal volere esagerare l’importanza del mio popolo negli affari del mondo e dell’Europa, resta il fatto che è oggi vittima di un lento sterminio e che la questione cecena costituisce, per il potere di Mosca, un elemento chiave nella sua opera di decostruzione della democrazia e dello Stato di Diritto o, se si preferisce, di costruzione di uno Stato autoritario, para o pseudo-democratico.
Negoziati a Novye Atagi. Al centro – Isa Madaev, Gennady Troshev, Aslan Maskhadov. Foto dall’archivio di S. K. Kondratenko
So che il mio paese non è il Kosovo, e la Russia non è la Serbia. Ma so, perché l’ho visto durante la crisi ucraina, che quando l’unione europea è animata da una volontà, è in grado di contribuire a sventare ciò che sembrava ineluttabile. Ecco perché mi permetto di suggerire che attraverso di lei, l’Unione Europea si dia per compito di affrontare la questione della tragedia cecena in vista di creare le condizioni perché possano aprirsi, sotto gli auspici dell’Unione Europea e di qualsiasi altro Stato od organizzazione internazionale che giudicherà opportuno coinvolgere, dei veri negoziati tra il mio governo ed il governo del Presidente Putin. Per approfondire alcune di queste riflessioni, sarei molto felice se poteste incontrare, non potendo io stesso per il momento avere questo onore, Umar Khanbiev, mio rappresentante generale in Europa e ministro della Sanità nel mio governo. Ringraziandovi della vostra attenzione e con la speranza di leggervi, la prego di gradire, Signor Alto Rappresentante, l’espressione della mia più alta considerazione,
Aslan Maskhadov Presidente del Repubblica Cecena di Ichkeria.
Appena un mese e mezzo dopo, l’8 marzo 2005, il Presidente venne ucciso a Tolstoy Yurt in circostanze ancora da chiarire. La lettera a Solana fu l’ultimo suo comunicato ufficiale. Letta a posteriori, sembra quasi un testamento politico: in essa Maskhadov si dissociava dal terrorismo, pur sforzandosi di inquadrarlo in uno spazio differente da quello portato avanti dall’islamismo militante che in quegli anni iniziava la sua offensiva contro il mondo occidentale, e che avrebbe insanguinato mezzo pianeta nel quindicennio successivo. La lettera seguiva il cessate – il – fuoco unilaterale con il quale il Presidente della ChRI aveva dimostrato al mondo di essere ancora in grado di essere ubbidito dai suoi, e di poter quindi porre fine alla spirale di violenza nella quale la Seconda Guerra Cecena aveva portato il suo paese e l’intera Russia. La sua morte, tuttavia, pose fine a qualsiasi residua possibilità, invero molto remota, che Putin si sedesse ad un tavolo come aveva fatto il suo predecessore Eltsin dieci anni prima.
Lo scoppio della Seconda Guerra Cecena vanificò le speranze del governo di Grozny di veder riconosciuta l’indipendenza della Cecenia. Con l’inizio delle operazioni militari l’esercito russo blindò i confini terrestri e lo spazio aereo, impedendo al governo di Maskhadov ed al Parlamento di comunicare efficacemente con le loro rappresentanze all’estero. Per ovviare alle prevedibili difficoltà logistiche, Maskhadov aveva inviato fin dal novembre del 1999 alcuni suoi uomini di fiducia in Europa e negli Stati Uniti. Tra questi vi erano il Ministro degli Esteri Ilyas Akhmadov, il Ministro della Sanità, Umar Khambiev, nominato rappresentante personale del presidente in Europa, il Ministro della Cultura e dell’Informazione, Akhmed Zakayev, l’ex presidente del Parlamento “epurato” da Dudaev nel 1993, Akhyad Idigov (rieletto parlamentare nel 1997 e Presidente della Commissione Esteri), Usman Ferzauli, inviato a Copenhagen, e Mairbek Vatchagayev, rappresentante del Presidente a Mosca. Questo network di funzionari governativi avrebbe dovuto riuscire a costruire una rete di contatti in grado di mantenere sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo il tema della guerra in Cecenia, di acquisire sponde per stimolare i governi occidentali e le organizzazioni internazionali a compiere passi concreti per costringere Putin a sedersi ad un tavolo negoziale e fermare la guerra. Alcuni di loro, molti anni dopo, hanno raccontato il loro lavoro in libri di memorie. La traccia più precisa e puntuale è fornita dall’allora Ministro degli Esteri Akhmadov, che in due opere, “The Chechen Struggle” e “Secret Wartime Diplomacy” racconta l’attività svolta in quel difficile contesto. Il metodo con il quale il presidente, non potendo comunicare direttamente con i suoi funzionari a causa del blocco delle telecomunicazioni imposto dalla Russia, riusciva a far pervenire i suoi messaggi, era ingegnoso ma molto articolato. Scrive Akhmadov:
Ilyas Akhmadov, ultimo Ministro degli Esteri del Governo Maskhadov, rappresentò la Repubblica Cecena di Ichkeria all’estero fino all’Agosto del 2005, quando il nuovo Presidente Abdul Khalim Sadulayev licenziò tutte le rappresentanze della ChRI all’estero. Oggi vive negli Stati Uniti. (Photo by Alex Smailes/Sygma via Getty Images)
“Uno dei grandi problemi […] erano le comunicazioni. Nei primi mesi di guerra […] sapevamo che le conversazioni sarebbero state monitorate. Ricordavamo come il Generale Dzhokhar Dudaev fu ucciso mentre usava un telefono satellitare. Maskhadov sapeva benissimo che sarebbe stato un bersaglio dei russi. Se avesse usato un telefono satellitare, poco dopo i russi avrebbero lanciato un bombardamento d’artiglieria in direzione della sua posizione triangolata. Alla fine decise di non utilizzare ulteriormente questi telefoni […] e di impiegare il più primitivo ma affidabile metodo di spedizione tramite corriere. […] Il modo in cui funzionava questo sistema di comunicazione era il seguente: Maskhadov aveva organizzato una rete di corrieri per la raccolta di informazioni. Un gran numero di corrieri erano donne perché erano sottoposte ad un controllo più blando ai posti di frontiera rispetto agli uomini. Il corriere doveva prima di tutto riuscire ad uscire dalla zona di guerra, raggiungendo generalmente Baku, in Azerbaijan, con delle cassette registrate. […] Il corriere spesso doveva aspettare settimane perché si “aprisse una finestra”. Avrebbe dovuto aspettare che il controllo russo si indebolisse e poi avrebbe dovuto capire come andare dal punto A al punto B. Dipendeva da molti fattori. Naturalmente questo ha causato problemi quando avevi bisogno di una risposta rapida al tuo messaggio […]. Non era un sistema che funzionava come un orologio, e c’erano spesso interruzioni inaspettate. Ma questo era l’unico mezzo nelle condizioni di controllo totale, monitoraggio telefonico totale, controllo di tutte le strade che portavano fuori dalla Cecenia ed all’interno della Cecenia.”
Akhmadov era riuscito ad uscire dal Paese prima che i confini fossero completamente sigillati. Per prima cosa cercò di raggiungere l’Europa. Dovette prima volare a Baku, poi ad Istanbul, e da lì mettersi a cercare un consolato che gli garantisse un visto per volare in Occidente. Ci volle un bel po’ prima che il consolato olandese, dopo lunghe perorazioni, autorizzasse Akhmadov a volare ad Amsterdam. Una volta in Olanda Akhmadov riuscì ad ottenere un’audizione al parlamento, grazie all’intercessione dell’associazione umanitaria Pax Christi. Uno dei segretari, Egbert Verseling, riuscì poi a metterlo in contatto con il Comitato Americano per la Pace in Cecenia, un’associazione di volontari che combatteva per la tutela dei diritti umani dei cittadini ceceni. Grazie a quell’invito Akhmadov poté raggiungere Washington nel gennaio del 2000, dove incontrò rappresentanti del Senato e della Camera dei Rappresentanti tra i quali John McCain, Chuck Hagel e Paul Wellstone. Il Senato americano adottò una serie di risoluzioni nelle quali si esprimeva preoccupazione per gli eventi in Cecenia, ed Akhmadov fu invitato ad in ciclo di conferenze nelle università americane.
LE INTERFERENZE DEI RADICALI
Fu alla prima di queste conferenze che si rese conto che la corrente fondamentalista della resistenza aveva un proprio “Ministro degli Esteri” non autorizzato. Mentre lui e gli altri volavano in Occidente, infatti, Zelimkhan Yandarbiev, ex Presidente della Repubblica pretoriano del defunto Dudaev, era volato in Afghanistan a cercare il riconoscimento da parte dei Talebani. Durante la sua prima conferenza pubblica, alla John Hopkins University di Washington, dal pubblico giunse la domanda: “Come vedi il fatto che il tuo governo ha fatto un’alleanza con i talebani?”. Akhmadov non sapeva niente di tutto questo e rispose che non ne era informato, e che se fosse stato così probabilmente era a causa del destino comune che i due popoli avevano affrontato durante l’occupazione russa. Akhmadov chiamò Maskhadov e gli chiese: “Hai inviato Yandarbiev dai Talebani alle mie spalle? Questo è un casino totale!” Maskhadov rispose che era al corrente del fatto che Yandarbiev era in Afghanistan, ma che non aveva dato alcun ordine di aprire canali diplomatici ufficiali. In sostanza, Yandarbiev, che non era un signore della guerra ma soltanto uno stimato politico, l’unico che fosse ancora in piedi dall’inizio della rivoluzione cecena, era diventato una sorta di “inviato” presso i movimenti islamici e gli stati del Medioriente e dell’Asia Centrale, rivendicando una sua propria politica personale. Qualcosa di simile a quello che stava facendo Ugudov, che dopo essere stato licenziato dal Ministero degli Esteri nel 1998 aveva svolto il ruolo di regista dell’informazione del Congresso dei Popoli di Cecenia e Daghestan, aveva sponsorizzato l’invasione dei wahabiti e poi, una volta fuoriuscito, aveva continuato ad animare il sito Kavkazcenter.org e da lì la propaganda islamista nel Caucaso. Il riconoscimento della Repubblica Cecena di Ichkeria da parte dei Talebani fu il primo e l’unico da parte di un governo indipendente, e fu controproducente dal punto di vista politico. Yandarbiev non era stato inviato in Afghanistan da Maskhadov, ma questi dovette accettare il fatto compiuto e cercare di trarre il massimo profitto dal nuovo legame diplomatico stabilito. Il fatto era che lo stesso Emirato di Afghanistan a guida talebana era riconosciuto da appena tre paesi: Pakistan, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.
Zelimkhan Yandarbiev guida una preghiera pubblica dietro un’immagine di Dzhokhar Dudaev
Nessun governo occidentale avrebbe visto la sponsorizzazione dei talebani come uno stimolo a prendere le parti dei ceceni ed anzi, alla luce di quanto sarebbe successo l’11 settembre del 2001, con l’attentato terroristico al World Trade Center e l’inizio della guerra globale al terrorismo, l’accostamento ai Talebani sarebbe stato un colossale boomerang. Dopo il rientro dagli USA, Akhmadov si recò a cercare l’appoggio degli stati europei. Nel marzo del 2000 ebbe contatti con l’allora presidente del Parlamento Europeo, Nicole Fontaigne, con gli esponenti delle principali fazioni politiche, ed insieme ad altri deputati ceceni esuli riuscì a convincere l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE) a votare una mozione per estromettere la Russia fintanto che la guerra in Cecenia fosse continuata.Secondo quanto racconta Akhmadov, la prima prova diplomatica importante fu proprio l’incontro del PACE. In quell’occasione Akhmadov riuscì a convincere l’assemblea ad adottare una risoluzione di condanna alla Russia ci fu e questo aprì un dibattito di alto livello tra le istituzioni europee ed il Cremlino. Putin non poteva ignorare i rapporti con l’Unione Europea, che insieme agli Stati Uniti era la principale fonte di prestiti per le sue disastrate finanze. Così il presidente russo inviò i suoi parlamentari a trattare con il PACE, proponendo ai membri dell’Assemblea di partecipare alla scrittura di una nuova Costituzione cecena che ricomponesse il conflitto e riportasse la pace nel paese.
La proposta muoveva dalla presunzione di considerare quello che stava succedendo in Cecenia come il frutto di una guerra civile tra una fazione filorussa ed una indipendentista. Questa visione delle cose presentava il Cremlino non come una delle parti in causa, ma come il mediatore di un conflitto che era andato fuori controllo, e che si sarebbe risolto soltanto quando le anime moderate del nazionalismo ceceno avessero ritrovato la concordia. I governi europei videro di buon grado la soluzione proposta da Putin, interpretando la visione di una guerra civile come la più realistica e rifiutandosi di riconoscere per intero le ragioni dei rappresentanti della ChRI. Fu un vero disastro per Maskhadov: tutti gli sforzi fatti per ottenere sponde dall’occidente naufragarono nella disponibilità dell’Occidente a sacrificare l’indipendenza della Cecenia.
IL “PIANO AKHMADOV”
Akhmadov si dette alla ricerca di personalità pubbliche che sponsorizzassero qualsiasi soluzione alternativa. Tra il 2001 ed il 2003 propose di fare della Cecenia un protettorato sotto mandato delle Nazioni Unite per un periodo di 10 o 15 anni, durante i quali il paese sarebbe stato ricostruito e le istituzioni democratiche sarebbero state implementate, sul modello di quanto stava succedendo in Kosovo ed a Timor Est. Maskhadov avrebbe rassegnato le sue dimissioni, l’esercito russo si sarebbe ritirato e le forze armate cecene avrebbero smobilitato. Una volta che la situazione si fosse stabilizzata e le istituzioni democratiche avessero iniziato a funzionare sotto la protezione delle forze armate dell’ONU, nuove elezioni avrebbero portato alla costituzione di una Cecenia indipendente. Il piano era di difficile attuazione, perché avrebbe dovuto passare dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, del quale la Russia faceva parte, e difficilmente il Cremlino avrebbe accettato la presenza di forze di pace entro quelli che considerava i propri confini. Un segnale incoraggiante comunque giunse da Putin, che in relazione al piano proposto rispose: “Oggi la questione dell’indipendenza o meno della Cecenia dalla Russia è assolutamente non di fondamentale importanza. Ciò che è di fondamentale importanza per noi è soltanto una questione. Non vogliamo permettere che questo territorio venga usato ancora una volta come testa di ponte per un attacco alla Russia.”
Putin visita la Cecenia durante la seconda invasione del paese
In questi termini, Putin poteva essere teoricamente disponibile a congelare nuovamente la questione dell’indipendenza in cambio della completa smilitarizzazione della Cecenia. Il piano venne sottoposto a Maskhadov qualche settimana dopo, sponsorizzato dallo scrittore francese Andrè Glucksmann e dal politico belga Olivier Dupuis, che si dissero disponibili a farsene relatori presso le autorità europee ed all’ONU. Esso tuttavia era debole per due motivi: prima di tutto la Cecenia non era come il Kosovo perché la Russia non era come la Serbia, né in fatto di peso politico, né in fatto di rapporti con l’occidente. In secondo luogo, come spiegò Maskhadov nella sua risposta alla proposta di Akhmadov, “La mentalità della resistenza cecena era sempre più religiosa e sempre più frustrata rispetto all’Occidente ed alla democrazia, rispetto a quanto non fosse durante la prima guerra. […] dovete capire che quello che la gente vede riguardo alle democrazie occidentali sono dichiarazioni preoccupate di routine, gestualità vuote, che irritano soltanto la gente. Dovete capire che questo è tutto quello che hanno visto di codeste democrazie”. Maskhadov confidò che non sarebbe riuscito a tenere insieme il fragile fronte indipendentista se un simile piano fosse stato sponsorizzato da lui. In particolare, una simile soluzione avrebbe messo la resistenza in rotta di collisione coi suoi finanziatori, che erano per lo più comunità religiose mediorientali le quali mai avrebbero supportato finanziariamente un movimento che andava a braccetto con l’ONU, vista dai più come una sovrastruttura al servizio del potere occidentale. Rispose quindi che il piano poteva essere presentato, ma come una iniziativa personale di Akhmadov e dei suoi amici, e non come un documento ufficiale della ChRI. Anche all’interno di ciò che restava della gerarchia repubblicana, il dibattito sul piano fu acceso ed i funzionari non riuscirono a trovare un accordo. Laddove Umar Khambiev, Ministro della Sanità ed inviato personale di Maskhadov in Europa, appoggiò entusiasticamente il piano, Akhyad Idigov, ex Presidente del Parlamento dudaevita, lo attaccò pesantemente accusando Akhmadov di voler vendere l’indipendenza della Cecenia e di attentare alla costituzione. Akhmadov propose il piano in via personale nel marzo 2003, ma proprio in quei mesi iniziò la seconda invasione americana dell’Iraq, e la questione cecena finì nelle ultime pagine dei giornali. Olivier Depuis raccolse comunque le firme per presentare il piano alle Nazioni Unite, e per la metà del 2003 ne aveva già raccolte 30.000. L’azione di Depuis, che era un deputato del Partito Radicale Transnazionale, avrebbe portato, nel febbraio del 2004, il Parlamento Europeo a varare una risoluzione nella quale per la prima volta si riconosceva la deportazione dei ceceni del 1944 come “genocidio”, ma oltre all’adozione di questa risoluzione, non ci sarebbe stato altro di politicamente rilevante.
L’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE)
LA GUERRA AL TERRORISMO
In ogni caso la discussione del “Piano Akhmadov” non riuscì neanche a decollare, giacché l’11 settembre 2001 Osama Bin Laden lanciò il suo attacco terroristico agli Stati Uniti. Da quel momento il timore del terrorismo islamico si impadronì delle società occidentali, ed anche i secessionisti ceceni finirono per essere considerati parte del fenomeno. Come scrive Akhmadov: “Le cose sono cambiate radicalmente dopo l’11 settembre 2001, quando la maggior parte delle persone in Occidente, e certamente la maggior parte dei governi, ha iniziato a guardarci attraverso la lente dell’antiterrorismo. Il pretesto che l’uccisione di massa di civili ceceni da parte della Russia abbia contribuito alla guerra contro il terrorismo ha permesso all’Occidente di mantenere stretti rapporti con la Russia e di assolvere la sua coscienza collettiva ignorando le atrocità. Vedere questa guerra come uno dei fronti di guerra contro il terrorismo globale ha liberato l’Occidente dai suoi obblighi al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale nei suoi rapporti con la Russia.”. La resistenza cecena, che per parte sua aveva compiuto atti di terrorismo e che, radicalizzandosi, aveva assunto i turpi connotati del fanatismo religioso, fu pesantemente colpita dai nefasti effetti dell’azione di Al Qaeda, che gli alienarono completamente le simpatie dell’occidente, fatta eccezione per qualche giornalista, qualche associazione umanitaria e qualche uomo politico di scarso peso. Le autorità russe si resero conto di avere campo libero nel portare a termine la loro invasione e chiusero a qualsiasi negoziato che potesse portare anche soltanto ad una tregua.
La prima conseguenza di questo nuovo cambio di prospettiva fu un’ulteriore stretta sugli agenti diplomatici della repubblica, che si trovarono ovunque in difficoltà per ottenere i visti per raggiungere le loro destinazioni. Ilyas Akhmadov: “Il mio bisogno più elementare era quello di ottenere i visti per entrare nei vari stati, ma ogni richiesta era una battaglia. Anche la logistica era complicata, senza considerare il fatto che non avevamo ambasciate, o personale, o coordinamento tra i rappresentanti. I rappresentanti dei governi stranieri ci incontrarono, normalmente in veste personale, e ci fu permesso di partecipare ai forum internazionali, ma normalmente senza il diritto di parola o di voto.” Il secondo importante problema era determinato dal fatto che molti comandanti di campo ed alcuni dei principali inviati del governo (reali o auto dichiarati) erano fermamente contrari all’apertura di negoziati perché, a differenza di Maskhadov, continuavano a nutrire il sogno di uno stato islamico. Secondo uomini come Ugudov, Yandarbiev, ma anche Basayev e Khattab la guerra non soltanto non doveva finire, ma doveva valicare i confini della Cecenia e trasformarsi in una vera e propria insurrezione islamica, dalla quale sorgesse un Emirato Islamico del Caucaso, sulla falsariga di quanto successo in Afghanistan. In questa ottica qualsiasi accordo di pace con la Russia avrebbe soltanto allontanato il risultato politico auspicato, e pertanto la guerra doveva continuare, come e più forte di prima.
L’INSURREZIONE ISLAMICA
Di questo progressivo scollamento tra Maskhadov ed i suoi gruppi più agguerriti si ha traccia nelle audio lettere che il presidente inviava al Ministro degli Esteri, nelle quali si riferiva a numerose riunioni con Basayev ed a piani per una nuova invasione di Grozny ai quali il comandante di campo faceva resistenza passiva, rimandando gli incontri operativi e rifiutandosi di mettere in pratica operazioni militari che in qualche misura potessero costringere i russi a riaprire i negoziati. In uno di questi audio messaggi diceva: “Dunque, riguardo Basayev. Gli ho fatto visita quattro volte ed ho cercato di convincerlo: “Lascia tutto da parte, lascia queste politiche ed il passato da parte. Battiamo insieme i russi! Ecco il nemico, ecco l’avversario: battiamolo! […] Voglio riprendermi la città [Grozny], voglio entrare in città. […] Di quanti combattenti hai bisogno? 500? 1000? Ordinerò una pronta preparazione. Quando entrerai, sarà necessario attuare tattiche diversive in qualche altro posto e io le preparerò.” Quindi abbiamo deciso. Passarono tre o quattro mesi con la promessa di attaccare domani, dopodomani, e non ne uscì nulla. Poi disse che non riusciva a comunicare, e così via, così via. Poi ho capito che nelle sue espressioni c’erano pensieri del tipo: “Non dobbiamo sbrigarci, dobbiamo prendere tempo. Non è vantaggioso per la Russia portare avanti questa guerra, la Russia sì è indebolita. Dobbiamo risparmiare le nostre forze.” Non sono d’accordo con un simile approccio. In che senso non sono d’accordo? Non possiamo prendere tempo. Se iniziamo a prendere tempo, loro [i governi occidentali] si dimenticano di noi e poi diventa più difficile per te parlare laggiù, diventa più difficile per me. Abbiamo un’opportunità al cento percento di colpire in qualche posto almeno una volta al mese, e di fare molto rumore al riguardo. Ma il comportamento di questi comandanti mi suggerisce che vogliono trascinare avanti questa guerra con qualsiasi mezzo.”
Basayev e Maskhadov: nella foto c’è tutta la loro reciproca frustrazione
Aslan Maskhadov ereditò dal suo predecessore Yandarbiev un paese al collasso, eppure ancora ubriacato dalla vittoria militare conseguita l’anno precedente. Il nuovo Presidente dovette così destreggiarsi tra la necessità di ricostruire rapporti decenti con la Russia, unico possibile partner nella ricostruzione del Paese, e il revanscismo dei comandanti di campo, i quali premevano perché i rapporti tra Grozny e Mosca non si ricucissero troppo. I margini di manovra erano così stretti da essere quasi impraticabili: Mosca infatti non era interessata a riconoscere ufficialmente l’indipendenza della Cecenia, ed al Cremlino vi era una corrente interventista che premeva affinché la Cecenia fosse isolata e sprofondasse nell’anarchia, giustificando così un secondo intervento militare che lavasse il prestigio della Russia. I governi occidentali, per parte loro, non sembravano interessati a rivalutare la loro opinione riguardo la cosiddetta “questione cecena”, preferendo continuare a considerarla un “affare interno” alla Federazione Russa. In patria, infine, l’ala nazionalista radicale, rappresentata da Shamil Basayev, Salman Raduev, Ruslan Gelayev e perfino dall’ex Presidente Yandarbiev osservava con disappunto gli ammiccamenti di Maskhadov verso la Russia, temendo che il nuovo leader “tradisse” la Rivoluzione Cecena.
I primi mesi del governo Maskhadov furono quindi impiegati per lo più nella costituzione di una piattaforma negoziale con la Russia che permettesse al Presidente ceceno di guadagnare tempo, mentre il Paese iniziava la ricostruzione, nella speranza di ammorbidire le posizioni dei nazionalisti radicali e di allacciare rapporti diplomatici con il Cremlino. Atto fondamentale di questo processo fu il Trattato di Mosca del 12 Maggio 1997.
RUSSIA. May 12, 1997. Meeting of Boris Yeltsin and Aslan Maskhadov. Russian President Boris Yeltsin (R) and the President of the Chechen Republic of Ichkeria Aslan Maskhadov after signing of the Russia-Chechen Peace Treaty. Alexander Sentsov, Alexander Chumichev/TASS
–осси€. 12 ма€ 1997 г. ¬стреча Ѕ. ≈льцина и ј. ћасхадова. ѕрезидент –оссии Ѕорис ≈льцин (справа) и глава „ечни јслан ћасхадов после подписани€ в ремле договора о мире и принципах взаимоотношений между –оссийской ‘едерацией и „еченской –еспубликой »чкерией. —енцов јлександр, „умичев јлександр/‘отохроника “ј——
IL TRATTATO DI MOSCA
Il 12 maggio la delegazione cecena, composta da Maskhadov, Ugudov e Zakayev raggiunse Mosca, dove procedette alla firma solenne del Trattato di Pace tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria. Fu un evento epocale: per la prima volta in quattrocento anni di guerre e tensioni il governo di Mosca e quello di Grozny si promettevano ufficialmente la pace. Vennero firmati due documenti: il primo si intitolava “Trattato di Pace e Principi di Relazione tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”, il secondo si chiamava “Accordo tra il governo della Federazione Russa e il governo della Repubblica Cecena di Ichkeria sulla cooperazione economica reciprocamente vantaggiosa e la preparazione delle condizioni per la conclusione di un trattato su vasta scala tra la Federazione Russa e la Repubblica Cecena di Ichkeria”. I due documenti, dagli altisonanti titoli, avrebbero dovuto essere la base giuridica sulla quale si sarebbero costruiti i rapporti tra Russia e Cecenia. Il trattato iniziava con un epico preambolo riguardo la reciproca volontà di “[…] Porre fine al confronto secolare, cercando di stabilire relazioni forti, uguali e reciprocamente vantaggiose […]”. Un iniziò di tutto rispetto, dal quale ci si aspetterebbe un lungo ed articolato documento. E invece niente di questo. Il testo si costituiva di cinque articoli, e soltanto tre contenevano qualcosa di politicamente rilevante. In essi Russia e Cecenia si impegnavano:
A rinunciare in modo permanente all’uso ed alla minaccia dell’uso della forza come forma di risoluzione di eventuali controversie;
A Costruire le loro relazioni conformemente ai principi ed alle norme generalmente riconosciuti dal diritto internazionale, e ad interagire in aree definite da accordi specifici;
A considerare il Trattato come base per la conclusione di qualsiasi altra negoziazione.
Di per sé le tre affermazioni possono essere considerate solide basi, ma a ben guardare si prestano a molteplici interpretazioni, come tutti gli altri “documenti”, “dichiarazioni” e “protocolli” firmati fino ad allora. In particolare Maskhadov considerò il Trattato come il riconoscimento di fatto dell’indipendenza cecena, dichiarando che la sua sottoscrizione apriva “Una nuova era politica per la Russia, il Caucaso e l’intero mondo musulmano”. Uno dei funzionari della politica estera cecena, delegato in Danimarca per conto della Repubblica Cecena di Ichkeria, Usman Ferzauli, quando venne inviato da Maskhadov a firmare le Convenzioni di Ginevra, dichiarò: “[…] La Russia, firmando nel maggio 1997 il Trattato di Pace con la Repubblica Cecena di Ichkeria di fatto ha riconosciuto la Repubblica. Abbiamo il diritto di considerarci un soggetto di diritto internazionale. […].”.
Anche alcuni ricercatori internazionali, come Francis A. Boyle, professore presso il College Law dell’Università dell’Illinois, produssero ricerche giuridiche sul Trattato. Nella discussione di Boyle si legge: “L’elemento più importante del trattato è il suo titolo: “Trattato sulla pace e i principi delle interrelazioni tra la Federazione russa e l’Ichkeria della Repubblica cecena”. Secondo i principi di base del diritto internazionale, un “trattato” è concluso tra due stati nazionali indipendenti. In altre parole, il CRI viene trattato dalla Federazione Russa come se fosse uno stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali. […] Allo stesso modo, l’uso del linguaggio “Trattato sui … principi di interrelazione” indica che la Russia sta trattando la CRI come uno stato nazionale indipendente anziché come un’unità componente della Federazione Russa. Normalmente, “i principi delle interrelazioni” tra uno stato federale come la Federazione Russa e un’unità componente sono determinati dalla Costituzione dello stato federale. Questo documento non dice nulla della Costituzione della Federazione Russa. […]Certamente l’elemento più importante del titolo del Trattato è l’uso del termine “Repubblica Cecena di Ichkeria”. Questo è il nome preciso che il popolo ceceno e il governo ceceno hanno deciso di dare al loro stato nazionale indipendente. In altre parole, ancora una volta, la Federazione Russa ha fornito ai Ceceni il riconoscimento di fatto (anche se non ancora di diritto) come stato nazionale indipendente alle loro condizioni. […] L’articolo 1 del trattato è sostanzialmente in linea con il requisito dell’articolo 2, paragrafo 4 della Carta delle Nazioni Unite secondo cui gli Stati membri “si astengono dalle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza …” Allo stesso modo, la Carta delle Nazioni Unite Articolo 2, paragrafo 3, impone agli Stati membri di “risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici ….” Quindi, con questo Trattato, la Federazione Russa ha formalmente riconosciuto il suo obbligo di trattare la CRI in conformità con questi due requisiti fondamentali della Carta delle Nazioni Unite. […] Il secondo articolo dell’accordo è estremamente importante: “Costruire le nostre relazioni corrispondenti ai principi e alle norme generalmente accettati del diritto internazionale …” Secondo la mia opinione professionale, l’unico modo in cui l’articolo 2 del presente trattato può essere correttamente letto alla luce di tutto ciò che è stato detto in precedenza nel suo testo è che la Federazione russa sta trattando l’IRC come se fosse di fatto (anche se non ancora de jure) stato nazionale indipendente ai sensi del diritto e delle prassi internazionali, con una propria personalità giuridica internazionale. Solo gli stati nazionali indipendenti sono soggetti ai “principi e norme generalmente accettati del diritto internazionale”. […].” Il governo Russo negò questa interpretazione, considerando l’assenza di qualsiasi affermazione chiara in merito.
Salman Raduev (al centro) uno dei principali esponenti dell’ala nazionalista radicale, fu sempre contrario alla firma di un trattato di pace con la Federazione Russa, dichiarando la sua volontà di proseguire la guerra fino alla completa “liberazione” del Caucaso dal controllo russo.
Rispetto a questo, negli anni successivi sarebbe sorto un lungo dibattito. In una sua trattazione del tema, il ricercatore russo Andrei Babitski scrisse: “L’essenza di questo documento è semplice. È solo un documento sulla cessazione delle operazioni militari. […] Non menziona la capitolazione da parte di nessuna delle parti, non proclama nessuno vincitore e non formula principi chiari per governare le relazioni tra Russia e Cecenia. La risposta a queste domande è stata rinviata. La cosa più importante era terminare la guerra.”. Silvia Serravo, ricercatrice esperta in questioni caucasiche, specificò in un’intervista: “Il documento contiene la possibilità di interpretazioni diverse. […] L’indipendenza della Cecenia non è stata riconosciuta. Tuttavia, il documento ha reso possibile, almeno per la parte cecena, interpretarlo come il riconoscimento da parte della Russia dell’indipendenza cecena. […] Il trattato può certamente essere considerato un risultato. […] Tuttavia si può sempre speculare sulla misura in cui le parti erano sincere quando fu firmato questo documento e se la conclusione del Trattato si basava su alcuni motivi fraudolenti.”
L’ALLEGATO AL TRATTATO
Il secondo documento, collaterale al primo, conteneva un’altra generica serie di intese difficilmente realizzabili. In esso si definiva l’attuazione dei contenuti degli Accordi di Khasavyurt in fatto di ripristino dei servizi vitali per la popolazione civile, il regolare pagamento delle pensioni e degli stupendi pubblici da parte della Federazione Russa, il pagamento di un risarcimento alle vittime dei combattimenti, la “piena attuazione del programma di ripristino del complesso socioeconomico” del paese, il rilascio di ostaggi e prigionieri, e lo scioglimento della Commissione Governativa congiunta riguardo alla gestione del periodo interbellico, contemporaneamente all’entrata in vigore del Governo uscito dalle Elezioni del Gennaio precedente. Se il primo documento, come abbiamo visto, poteva lasciar pensare che la Russia volesse trattare la Cecenia come uno Stato indipendente de facto, anche se ancora non de jure, il secondo assomigliava molto ad un accordo interfederale tra una repubblica autonoma bisognosa di aiuto ed un governo centrale che intendeva corrisponderglielo. Particolarmente evidente era l’impegno, da parte di Mosca, di erogare gli stipendi pubblici dell’amministrazione cecena. Questo passo è fondamentale, Perchè accettandolo Maskhadov riconobbe implicitamente l’autorità di Mosca di mantenere la struttura amministrativa della Cecenia esattamente come faceva ai tempi dell’Unione Sovietica.
Aslan Maskhadov (allora Capo di Stato Maggiore dell’Esercito) e Alexander Lebed (rappresentante della parte russa ai negoziati per la tregua) firmano gli Accordi di Khasavyurt, con i quali la ChRI e la Federazione Russa concordarono un cessate -il -fuoco a tempo indeterminato. Secondo alcuni storici sarebbe proprio questo il documento con il quale la Federazione Russa riconobbe (implicitamente) l’indipendenza della Cecenia.
Non un solo accenno era previsto riguardo al riconoscimento, anche formale, all’indipendenza del paese, ed il trattato aveva in calce non già la firma di Eltsin e di Maskhadov (in qualità di presidenti) ma quelle di Chernomyrdin e Maskhadov in qualità di Primi Ministri. Ed i primi ministri, né nella Costituzione russa, né in quella cecena, avevano autorità di negoziare trattati internazionali. Il Trattato di Pace firmato da Maskhadov fu un documento utile ad accreditare lui presso l’opinione pubblica ma fallì nel rappresentare uno strumento diplomatico utile a risolvere alcunché. Certamente pose ufficialmente fine alla guerra e ad ogni ingerenza del governo federale sulla politica interna del paese, ma niente oltre a questo. Il Trattato si limitò a stabilire gli strumenti tramite i quali i due stati avrebbero comunicato tra loro. Dette ampia libertà di interpretazione sia al governo ceceno, che vide in quelle poche righe un implicito riconoscimento da parte di Mosca, che al governo russo, che ci riconobbe esclusivamente l’impegno assunto a riportare su binari politici il conflitto. Sul momento comunque sia Maskhadov che Eltsin poterono dirsi soddisfatti: il primo tornava in patria con un trattato di pace tra le mani, qualcosa che i Ceceni non avevano mai visto in tutta la loro storia. Il secondo tirava un sospiro di sollievo e metteva un temporaneo tampone a quella emorragia di consensi che era stata la Prima Guerra Cecena. Rientrato a Grozny, Maskhadov incassò l’entusiastico consenso delle forze moderate, che al termina della sua relazione al Parlamento lo salutarono con uno scrociante applauso.
Proseguiamo la nostra rassegna sulla politica estera della Repubblica Cecena di Ichkeria (QUI LA PRIMA PARTE). Come abbiamo visto, tra il 1991 ed il 1992 il principale attore nella politica estera repubblicana fu il Presidente Dudaev. Egli intese fin da subito il suo ruolo come centrale nell’azione di difesa dell’indipendenza cecena. Questo atteggiamento “protagonista” si tradusse in azioni politiche spesso al di là dei suoi limiti “di protocollo istituzionale” alienandogli il favore sia del primo Ministro degli Esteri della Repubblica, Shamil Beno (il quale si dimise, in polemica con il Presidente, nel Settembre 1992) sia del Parlamento, il quale intendeva portare avanti una politica meno provocatoria nei confronti di Mosca e più orientata ai “piccoli passi”, evitando di alzare la tensione tramite sterili visite ufficiali che non avrebbero certamente portato al riconoscimento della ChRI, ma che invece avrebbero messo in imbarazzo Mosca, allontanando la prospettiva di una secessione “negoziata” con la Russia.
OGNUNO PER SE’, DUDAEV PER TUTTI
Mentre Dudaev svolgeva il suo “gran tour” nei paesi mediorientali ed occidentali, una delegazione parlamentare guidata dal Vicepresidente dell’Assemblea, Magomed Gushakayev, intesseva fitti rapporti con i paesi baltici, ed in particolare con la Lituania. Qui il Presidente del Consiglio Supremo, Vyautas Landsbergis, si era dimostrato molto sensibile alle istanze dei ceceni, ed accolse con entusiasmo una rappresentanza del parlamento nell’Ottobre 1992. I deputati di Grozny parlarono all’assemblea parlamentare lituana, auspicando ad un riconoscimento ufficiale da parte di questa. In quell’occasione Gushakayev garantì che la stragrande maggioranza dei ceceni era favorevole all’indipendenza, e che le discussioni politiche non vertevano sul “cosa” fare, ma sul “come” farlo:
“[…] non c’è, e non esiste, una sola organizzazione socio – politica [in Cecenia, ndr.] che non sostenga l’indipendenza della Cecenia. La discrepanza è solo nella tattica per raggiungere questo obiettivo. L’esperienza lituana nel raggiungimento dell’indipendenza statale è molto importante per noi. E’ stato per questo che siamo venuti a Vilnius. La Lituania è stata e rimane un faro per la Cecenia sulla via dell’indipendenza dello Stato.”
Le tre principali autorità del Parlamento di Prima Convocazione della ChRI. Da sinistra a destra: Bektimar Mezhidov, Hussein Akhmadov, Magomed Gushakayev
IL TOUR DIPLOMATICO DEL 1993
L’atteggiamento moderato e prudente del Parlamento cozzava con quello ardimentoso e radicale di Dudaev, il quale, non appena rientrato dal suo giro di visite diplomatiche, ne organizzò subito un altro per i primi mesi del 1993. Il 29 Gennaio egli volò in Lettonia, proprio dove si erano recati i parlamentari pochi mesi prima. Accolto dal solito Landsbergis, Dudaev tenne un colloquio con il Presidente della piccola repubblica baltica, Seimas Cheslovas Yurshenas. I due parlarono di come impostare un rapporto di partnership economica e culturale, di come realizzare un programma di scambio universitario e di come sostenere vicendevolmente le rispettive economie utilizzando la Lituania come “porta per l’occidente” della Cecenia, e la Cecenia come “petroliera” della Lituania. L’incontro rimase, tuttavia, soltanto un’esperienza informale, e la Lituania non procedette a riconoscere ufficialmente la secessione cecena.
Dopo un altro giro di visite “locali” in Azerbaijan ed Armenia, teso a consolidare i rapporti tra il suo governo (ormai sul punto di diventare un vero e proprio regime dittatoriale) e gli stati più vicini, Dudave partì per la Francia, dove svolse una visita a metà tra l’ufficiale ed il privato tra il 13 ed il 16 Giugno 1993. Secondo Eduard Khachukaev, all’epoca Capo del Dipartimento per il Commercio Estero (il quale accompagnò il Presidente in quasi tutti i suoi viaggi) L’invito era giunto da rappresentanti del Ministero della Difesa francese, i quali si occuparono di organizzare l’arrivo del presidente ceceno all’aereoporto di Beauvais e di organizzare un incontro volto a concludere un contratto di consulenza militare relativamente alla difesa terrestre della repubblica. Secondo quanto riferito da Khachukaev i funzionari francesi, sapendo che Dudaev era un pilota, lo invitarono alla basa aerea di Orange e gli presentarono il loro nuovo caccia Mirage 2000, permettendogli addirittura di guidarne uno. Non si sa molto altro di questo viaggio, na certamente le prospettive auspicate da Dudaev riguardo una collaborazione militare tra Francia e Cecenia non si concretizzarono mai.
AMBASCIATORI NON AUTORIZZATI
L’approccio disinvolto e pragmatico di Dudaev alla politica estera si concretizzava anche nel frequente ricorso a “testimonial internazionali” alla causa cecena. Impegnato nella costante ricerca di un riconoscimento politico per il suo paese, e disposto a qualsiasi cosa pur di farsi conoscere dall’opinione pubblica mondiale, il presidente non si risparmiò il ricorso alla nomina di “ambasciatori” non riconosciuti dai paesi nei quali avrebbero dovuto operare. Fu il caso ad esempio di Berkan Yashar, nominato Viceministro degli Esteri nel 1992 e poi “Ambasciatore in Turchia” (nonostante la Turchia non avesse riconosciuto la Cecenia). Berkan era un personaggio torbido, quasi sicuramente un agente reclutato dalla CIA, e a quanto pare curò più di un affare sporco per conto di Dudaev (secondo quanto dichiarò molti anni dopo, giunse perfino ad incontrare il terrorista internazionale Osama Bin Laden in un appartamento a Grozny – ma di questo parleremo in un articolo ad hoc dedicato alle “covert operations” della ChRI – ). Nello stesso modo l’americano David Christian, giunto in visita a Grozny nel 1993, fu nominato “Ambasciatore negli Stati Uniti” pur non avendò né la cittadinanza cecena, né il riconoscimento in tale ruolo da parte delle autorità statunitensi.
Dzhokhar Dudaev discute con David Christian durante la sua visita a Grozny nel 1993
Certamente la pratica di nominare “rappresentanti della repubblica” e “consoli onorari” di origine straniera ovunque ci fosse qualcuno disposto a fregiarsi di questo titolo divenne una delle principali attività diplomatiche dei presidenti della “ChRI”, pratica in vigore ancora oggi presso il governo separatista in esilio. Ad oggi abbiamo raccolto un elenco di 77 “rappresentanti” nominati tra il 1991 ed il 2020 in numerosi paesi, così come presso alcune importanti organizzazioni internazionali.
DIPLOMAZIA DI GUERRA
Lo scoppio della Prima Guerra Cecena impedì alla ChRI di portare avanti una politica estera ufficiale. Costretti ad operare in clandestinità, i secessionisti (e Dudaev in particolare) cercarono di sfruttare i canali aperti tra il 1992 ed il 1994 per garantire il costante approvvigionamento di risorse economiche, volontari ed armamenti necessari a sostenere la resistenza armata. Non ci soffermeremo su questo punto in questa sede: l’argomento richiede una trattazione molto lunga e dettagliata, e rimandiamo la questione ad articoli successivi. Chi volesse approfondire il tema della politica estera della ChRI durante la Prima Guerra Cecena può trovare informazioni utili nel libro “Libertà o morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”, acquistabile QUI.
L’ERA YANDARBIEV
Il 21 Aprile 1996, pochi mesi prima che la guerra avesse fine con la vittoria tattica dei separatisti e gli accordi di Khasavyurt, il Presidente Dudaev morì ucciso da un missile teleguidato russo. Gli successe il suo amico, ideologo e vicepresidente, Zelimkhan Yandarbiev. A differenza di Dudaev, Yandarbiev era ben disposto all’idea di aprire contatti concreti con i movimenti islamici radicali, dei quali apprezzava la dedizione, lo spirito combattivo e non ultimo le importanti disponibilità economiche necessarie, secondo lui, a consolidare le conquiste della Rivoluzione Cecena ed a far ripartire la sgangherata economia del Paese. Tali contatti, tuttavia, avrebbero certamente alienato alla Cecenia le simpatie del mondo occidentale, e gettato sul movimento separatista il turpe alone del fondamentalismo. Per questo motivo contatti ufficiali tra la ChRI ed i movimenti jihadisti non furono mai portati avanti, neanche sotto la presidenza Yandarbiev, fino allo scoppio della Seconda Guerra Cecena.
Zelimkhan Yandarbiev discute con Boris Eltsin durante i negoziati del 1996 a Mosca
In campo internazionale l’impegno del nuovo presidente fu monopolizzato dalla gestione dei negoziati con la Federazione Russa, con la quale era necessario giungere ad un’intesa per la smilitarizzazione del Paese e la sua ricostruzione post – bellica. Fu Yandarbiev a portare avanti i negoziati che portarono al ritiro delle truppe federali entro il 31/12/1996, supportato in questo dall’autorevole Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Aslan Maskhadov, destinato a succedergli nel Febbraio 1997 alla Presidenza della Repubblica.