Nei giorni in cui viene pubblicato questo articolo la guerra tra Russia e Ucraina è in pieno svolgimento. E’ notizia di poche settimane fa il ritrovamento di decine di cadaveri lungo le strade e in una fossa comune nella cittadina di Bucha. Secondo il sindaco della cittadina le vittime sarebbero centinaia, uccise a sangue freddo dai militari russi in ritirata e abbandonate sul luogo dell’esecuzione. Sono state riportate anche testimonianze riguardanti strupri, saccheggi e devastazioni. La tragedia, se confermata, non sarebbe tuttavia la prima a vedere le forze armate russe responsabili di atrocità e crimini di guerra. Il triste copione di Bucha è stato più volte realizzato in Cecenia, sia durante la Prima che durante la Seconda Guerra Russo – Cecena. E in questi casi la responsabilità delle truppe del Cremlino è acclarata, e consegnata alla storia. Forse il più tragico di questi avvenimenti è quello che accadde nella cittadina di Novye Aldy, alla periferia meridionale di Grozny, il 5 Febbraio 2000.
OPERAZIONE DI “PULIZIA”
All’inizio della Seconda Guerra Cecena la cittadina di Novye Aldy contava circa trentamila abitanti. Ali primi di Gennaio del 2000 le forze federali raggiunsero i sobborghi occidentali e meridionali dell’abitato, nell’ambito dell’operazione di accerchiamento della capitale della Repubblica Cecena di Ichkeria. La cittadina aveva subito un primo bombardamento da parte dell’artiglieria e dell’aereonautica, a seguito del quale quasi tutti i residenti erano sfollati, cosicché alla fine del mese appena duemila persone, per lo più troppo anziane o malate per potersene andare, rimanevano acquattate nei seminterrati delle abitazioni, mentre nel cimitero cittadino si erano contate 75 nuove tumulazioni, in parte dovute alle esplosioni dei giorni precedenti. Novye Aldy era considerata dai russi un punto strategico non soltanto perché si trovava immediatamente a sud di Grozny (all’epoca chiamata “Dzhokhar” in onore del primo Presidente della ChRI, Dudaev) ma anche perché allo scoppio delle ostilità la sua moschea aveva ospitato una preghiera alla quale avevano partecipato il Presidente Maskhadov, l’ex Presidente Yandarbiev ed altre figure di alto profilo dell’Ichkeria. Era quindi definita una “roccaforte” degli indipendentisti, pur non essendo di fatto né trincerata, né difesa dalle forze regolari cecene.
Secondo quanto riportato dalle testimonianze dei residenti sopravvissuti, Aldy era stata temporaneamente occupata da unità alle dipendenze del Generale di Brigata Akhmed Zakayev, ma prima che i bombardamenti avessero inizio tale reparto si era già ritirato fuori dal centro abitato. Tuttavia quando le forze federali raggiunsero i suoi sobborghi, iniziò un fitto bombardamento sulla cittadina, che proseguì quasi ininterrottamente tra il 2 ed il 5 Febbraio, provocando decine di morti. Soltanto dopo che una rappresentanza di residenti locali ebbe modo di parlare con il comando militare russo, garantendo che la città fosse completamente libera da uomini armati, il bombardamento cessò, ed il giorno successivo, 5 Febbraio 2000, forze della polizia militare, la famigerata OMON, penetrarono nel villaggio per effettuare una “operazione di controllo dei passaporti”. L’operazione fu condotta da due distinti reparti: il reparto OMON della Polizia di San Pietroburgo ed un reparto eterogeneo composto da poliziotti, soldati a contratto e coscritti. Le due unità penetrarono dentro Novye Aldy da Nord e da Sud, abbandonandosi fin da subito al sistematico saccheggio delle abitazioni, prassi tristemente usuale durante entrambe le guerre russo – cecene.
IL MASSACRO
Ben presto tuttavia la portata dei crimini divenne ancora più drammatica: lungo la via principale della cittadina militari russi penetrarono casa per casa, lasciando dietro di loro una scia di morti: il primo a cadere fu il cinquantenne Sultan Temirov, che abitava al numero 170 di quella strada. Il suo corpo, privato della testa (che non fu mai ritrovata) fu rinvenuto fatto a brandelli davanti alla porta di casa. Dopo di lui fu la volta di altre ventirè persone, per lo più donne e anziane. La vittima più vecchia, Rakat Akhmadova, aveva 82 anni, e fu freddata con due colpi sul marciapiede davanti alla sua abitazione. Tra le vittime si contarono almeno sei giovani donne, una delle quali incinta, ed un bambino di un anno, giustiziato con due colpi alla testa e bruciato in strada.
I militari russi andavano di casa in casa, chiedendo la consegna di tutti gli oggetti di valore, ed ammazzando a sangue freddo chiunque opponesse resistenza, o che non consegnasse un riscatto sufficientemente alto. In altri casi, secondo le testimonianze, anche coloro che possedevano qualcosa furono successivamente giustiziate, in quanto non avevano prodotto i documenti di identità richiesti. In almeno un caso si ebbe uno stupro di gruppo ai danni di sei donne, tre delle quali successivamente strangolate. La maggior parte delle case di proprietà delle vittime furono devastate e date alle fiamme, probabilmente nel tentativo di coprire i crimini commessi. Quando, al tramonto, i militari russi se ne andarono dal villaggio, i pochi superstiti uscirono dai loro nascondigli per spegnere gli incendi, prestare soccorso ai feriti e seppellire i cadaveri. Davanti a loro si palesò il dramma di una vera e propria strage, assimilabile ad un atto di genocidio, contro civili la cui unica colpa era quella di trovarsi nel villaggio al momento dell’operazione di “pulizia” e di non possedere sufficienti risorse per comprare la loro salvezza e quella dei loro cari. Nelle case e sulle strade rimasero tra i 56 e gli 82 cadaveri. Contrariamente a quanto prescritto dalla tradizione islamica, i superstiti non seppellirono immediatamente i corpi delle vittime, ma li mantennero nelle loro posizioni originarie affinché potessero essere filmati. Nel corso dei giorni successivi furono realizzati numerosi video amatoriali, molti dei quali sono visibili oggi nel documentario Aldy: A Past That Cannot Be Forgotten che riportiamo qui di seguito.
COPERTURE DI STATO
Malgrado l’evidenza del crimine commesso, le autorità federali si mossero con estrema lentezza ed inefficacia. Dapprima si negò che la strage fosse avvenuta: interrogato sull’argomento, il Tenente Generale Stanislav Kavun dichiarò: Queste affermazioni non sono altro che un intruglio non supportato da fatti o prove. Le dichiarazioni di questa organizzazione per i diritti umani, basate esclusivamente sui resoconti verbali di testimoni anonimi, dovrebbero essere viste come una provocazione il cui obiettivo è screditare l’operazione delle forze federali contro i terroristi in Cecenia. Nel frattempo, un secondo raid dell’OMON ebbe luogo a Novye Aldyh il 10 Maggio. L’azione fu verosimilmente orchestrata per costringere i sopravvissuti al silenzio: non si registrarono ulteriori vittime, ma si verificò un nuovo, sistematico, saccheggio, e gli abitanti del villaggio furono malmenati e minacciati.
Soltanto il 14 Marzo, su pressione dell’Osservatorio dei Diritti Umani, si presentarono nel villaggio i primi investigatori. Le prime dichiarazioni degli inquirenti resero subito chiaro che l’intento del governo di Mosca fosse quello di sminuire la gravita dell’evento, e se possibile di attribuirne la responsabilità agli stessi ceceni, i quali si sarebbero travestiti da soldati russi ed avrebbero compiuto la strage con l’intento di screditare le forze federali. Nel corso degli anni successivi, nessun responsabile fu mai individuato dalle autorità russe, e l’unico soldato riconosciuto colpevole di saccheggio ed omicidio, un poliziotto OMON dell’unità di San Pietroburgo, dopo essere stato condannato fece perdere le proprie tracce, dopo di che la sua condanna fu sospesa. Neanche l’intervento del Tribunale Internazionale, delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa (OSCE) hanno permesso di accertare le responsabilità della strage.
Un resoconto completo della tragedia è riportato nel rapporto dell’Osservatorio per i Diritti Umani che alleghiamo di seguito:
Il Governo Zakayev ha organizzato una manifestazione davanti al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, per spingere la corte a prendere in esame la documentazione presentata nel 2018 inerente i crimini commessi dalle forze della Federazione Russa in Cecenia. Il raduno, documentato da NEP Prague, verrà proposto dall’emittente in una serie di video. Di seguito pubblichiamo il primo tra questi, corredato di sottotitoli in italiani realizzati da Francesco Benedetti
“Il Tribunale dell’Aia per Putin. Il Tribunale dell’Aia per la Russia. “ Sottotitoli in italiano
Tra il 20 ed il 22 Luglio del 2001 si tenne a Genova un vertice del G – 8 , il gruppo delle principali potenze economiche della Terra (G – 7) implementato (dal 1997 al 2013) dalla presenza della Russia. In vista di questo incontro, il Presidente della Repubblica Cecena di Ichkeria, Aslan Maskhadov, inviò una lettera ai rappresentanti di quei governi, che riportiamo integralmente, in italiano e in inglese.
Come nei riguardi delle parole di Dudaev sulla futura guerra in Ucraina, quelle di Maskhadov sull’ondivago rapporto delle democrazie occidentali con il regime di Vladimir Putin suonano tristemente concrete in questi giorni.
VERSIONE ITALIANA
Gentili Eccellenze,
Io, Aslan Maskhadov, presidente democraticamente eletto della Repubblica cecena di Ichkeria, scrivo questo appello disperato in nome del mio popolo, vittima di una guerra genocida il cui omicidio quotidiano deve ancora risvegliare la coscienza del mondo che guidate. Siamo miserabili, sanguinanti e schiavi come voi siete ricchi, potenti e liberi. Presto vi riunirete a Genova tra lo splendore e la cerimonia che si addice al vostro posto, in prima fila tra le nazioni. Guardie d’onore vi saluteranno, vi incontrerete nei palazzi e il mondo ascolterà ogni vostra parola. Io vi scrivo da un luogo di sterminio putrido, di carneficina, e come i miei fratelli rimango un braccato nel mio paese. Anch’io ho avuto dalle urne il privilegio e la responsabilità di guidare la mia nazione, ma Mosca mi definisce un bandito, un terrorista e un criminale. Al di là dei confini del mio piccolo paese, le mie parole sembrano contare poco, così come il grido angosciato del mio popolo vi lascia ancora sorprendentemente muti e sordi. Quindi continuerò a scrivere finché il silenzio non sarà squarciato.
Converrete al vostro vertice per considerare la riduzione del debito per i paesi poveri del mondo in via di sviluppo. Questo è un obiettivo lodevole, ed è senza dubbio la speranza di milioni di persone che la preoccupazione umanitaria motivi i forti a cercare di porre fine alla miseria a contratto per i deboli. Ma se riconoscete la silenziosa violenza della povertà sugli indigenti e sugli affamati, perché vi allontanate da noi? Noi che moriamo tra le fiamme della sporca guerra del Cremlino, siamo meno degni di compassione? Cosa ci ha reso invisibili a voi? Temo di conoscere la risposta. Temo che le fredde esigenze della realpolitik assicurino le vostre inazioni e condannino il nostro destino. Per non danneggiare una relazione incerta con una nuova Russia fragile e instabile, siete disposti a trascurare l’annientamento del mio popolo. Ai vostri occhi, per il bene di interessi più grandi, siamo una nazione sacrificabile. Quindi concedete un posto a tavola a un ospite d’onore, il presidente russo Vladimir Putin, e gli stringete la mano come leader di una grande democrazia, applaudendolo come un riformatore che condivide i vostri valori.
Aslan Mahadov (a sinistra) e Alexander Lebed (a destra) firmano gli Accordi di Khasavyurt
Se poteste sopportare di vedere il vero volto della Cecenia sotto l’agonia dell’occupazione russa, potreste sinceramente continuare a offrire tali lodi? Su una popolazione che un tempo contava un milione di persone, un ceceno su sette è ora morto. 250.000 dei nostri civili sono rifugiati. Privi dei beni di prima necessità, molti sono devastati da malattie e denutrizione, soprattutto anziani e giovani. Più di 20.000 civili e membri della resistenza subiscono la prigionia nei nuovi Gulag, i cosiddetti campi di filtrazione. Costretti in condizioni disumanizzanti e primitive con poche o nessuna assistenza medica, il che supera di gran lunga i peggiori standard del sistema penale russo, la vita nei campi improvvisati vede l’uso sadico e sistematico della tortura. Bruciature con le sigarette, percosse paralizzanti, soffocamento, annegamento negli escrementi umani, mutilazioni con coltelli, scosse elettriche ad alto voltaggio e abusi sessuali sono solo alcune delle pratiche comuni. Alla fine molti prigionieri vengono uccisi. Sicuramente per alcuni questa deve essere una gradita liberazione dall’inferno.
Le nostre donne vengono spesso radunate a caso e violentate in gruppo. In una politica comune sulla terra bruciata, i villaggi vengono saccheggiati, poi rasi al suolo e i maschi normodotati, compresi i ragazzi di età pari o inferiore a 15 anni, vengono portati via e scompaiono. Qualsiasi ceceno può essere arrestato senza accusa o ricevere la pena capitale senza processo. Le esecuzioni sommarie sono all’ordine del giorno per uomini, donne e bambini di tutte le età. I corpi dei morti vengono spesso mutilati deliberatamente e lasciati in mostra, la loro sepoltura vietata. I nostri morti servono anche come nuova forma di moneta, con i soldati russi che costringono i parenti a pagare ingenti riscatti prima che possano ottenere i resti dei loro cari. Innumerevoli fosse comuni giacciono nascoste in un paesaggio costellato da villaggi rasi al suolo e rovine in fiamme. Le nostre infrastrutture non esistono più. Solo nelle ultime due settimane una dozzina di villaggi nel sud-est e nell’ovest della Cecenia sono stati nuovamente terrorizzati, oltre 300 civili uccisi in una perquisizione sistematica e altre migliaia imprigionati, torturati e violentati. Abbiamo informato il Consiglio d’Europa, ma inutilmente. Questa è la verità più oscura della realpolitik. Terrore, macellazione e follia sono il prezzo che paghiamo per garantire il pragmatismo della diplomazia internazionale.
Grozny distrutta dai bombardamenti
Nel 1945 avete sconfitto i mali del militarismo, del fascismo e del nazismo. Quelle nazioni tra voi che avevano dato vita al mostruoso colosso e all’olocausto della guerra mondiale, hanno giurato di non ripetere mai gli stessi errori fatali e si sono forgiati con uno spirito nuovo per stare con orgoglio tra le democrazie più antiche. In oltre mezzo secolo di progressi insieme avete costruito nuove istituzioni per la comunità delle nazioni, l’ONU, la NATO, l’UE e l’OSCE, tra gli altri organismi regionali e globali, volte a un futuro più equo e più sicuro. Avete impedito il giorno del giudizio di un conflitto nucleare e il vostro esempio ha abbattuto il muro di Berlino, sollevando il giogo del comunismo e ponendo fine a una lunga guerra fredda. Avete smantellato i vostri imperi coloniali e avete permesso che i popoli ex sudditi fossero liberi. Avete combattuto il razzismo in patria e all’estero e le vostre voci hanno contribuito a sconfiggere la macchia dell’apartheid. Più e più volte avete incoraggiato le virtù della democrazia a trionfare sulla dittatura. Forse soprattutto, a Norimberga hai risposto ai tuoi più nobili istinti stabilendo lo stato di diritto ei diritti umani come principi inviolabili e universali che riterrebbero per sempre la barbarie responsabile di un codice di condotta civile.
Allora, com’è possibile celebrare Slobodan Milosevic che finalmente affronta il giudizio all’Aia ma abbracciare Putin come un partner credibile? Com’è possibile che vi siete mobilitati per affrontare la nuda aggressione durante la Guerra del Golfo, che siete intervenuti quando avete assistito alla pulizia etnica e alla ferocia in Bosnia, Kosovo, Timor e Sierra Leone e ora pronunciate raramente la parola Cecenia? Condannate e isolate il regime dello SLORC in Myanmar e i talebani in Afghanistan. Fate pressione sulla Cina per i suoi abusi in Tibet e la sua persecuzione di intellettuali dissidenti e seguaci religiosi, ma non dite nulla sull’omicidio di massa di civili ceceni. Praticate un’instancabile diplomazia cercando di assicurare la pace in Medio Oriente, Irlanda del Nord, Macedonia, Kashmir, Congo, persino in Sudan, dov’è la vostra iniziativa di pace cecena?
Artiglieria russa spara nei dintorni di Tolstoy – Yurt, Novembre 1999
In nome di una nazione morente vi prego di non abbandonarci più. Chiedo che adottiate collettivamente misure per favorire la ripresa dei negoziati di pace e l’emanazione di un cessate il fuoco immediato garantito e monitorato da parti neutrali. Vi prego inoltre di chiedere, in conformità con il diritto internazionale, il dispiegamento di aiuti umanitari, personale sanitario e medico disperatamente necessari. Vi imploro inoltre di chiedere il ritorno senza ostacoli degli investigatori dei diritti umani delle ONG, degli osservatori delle istituzioni internazionali e di tutti i membri della stampa mondiale attualmente esclusi dall’entrare in Cecenia. Mi rivolgo a voi, come leader del mondo libero, a raccogliere il coraggio morale in armonia con le tradizioni democratiche che rappresentate e che avete giurato di sostenere per fare pressione sulla Russia affinché cessi lo sterminio del mio paese, per ritenerlo responsabile del genocidio e per imporre sanzioni se Mosca non desisterà.
La ferocia che dobbiamo sopportare non è nuova. Ricordiamo le miniere di sale di Stalin, le sue torri di guardia, il filo spinato e le tombe anonime. Il dolore dell’esodo e del genocidio lo abbiamo già conosciuto. Così riconosciamo gli altri con i quali condividiamo una terribile fratellanza di orrore. Gli scheletrici ebrei e rom nei forni di Dachau e Auschwitz. La carne da baionetta di Nanchino. Gli antichi figli del Biafra dagli occhi sbarrati. La madre implorante e il bambino di fronte ai fucili a My Lai. Gli arabi di palude dell’Iraq soffocati dalle nuvole di gas mostarda. I tutsi del Ruanda massacrati sulla strada di Kigali dai coltelli dell’Interhamwe. Sono tutti i nostri fratelli e sorelle martiri nell’eredità di un omicidio senza senso. Solo il nostro massacro, la nostra morte non è di ieri, appartiene all’incubo vivente del presente. Quanti ceceni saranno morti nel tempo che impiegherete a leggere questa lettera? Quanti altri dovremo seppellire prima della fine del vostro vertice? Non mancate di parlare, per amore dell’umanità e della giustizia agite ora sulla vostra coscienza o nel tempo anche la storia vi segnerà con una pagina di vergogna. Se continuate a restare inerti mentre il mio popolo svanisce in un bagno di sangue, se non agite con convinzione e determinazione come avete fatto in Ruanda, i fantasmi ceceni macchieranno il vostro onore come fanno con quello russo.
Possa Dio concedervi la saggezza e la visione per servire la causa della pace e della giustizia
Rispettosamente
Aslan Maskhadov
Presidente della Repubblica Cecena di Ichkeria
ENGLISH VERSION
Dear Excellencies,
I, Aslan Maskhadov, the democratically elected President of the Chechen Republic of Ichkeria, write this desperate appeal in the name of my people, the victims of a genocidal war whose daily murder has yet to awaken the conscience of the world you lead. We are as wretched, bloody and enslaved as you are rich, mighty and free. You will soon gather in Genoa amidst the splendor and ceremony that befits your place in the front rank of nations. Guards of honour will salute you, you will meet in palaces and the world will listen to your every word. But I write you from a killing ground putrid with slaughter and like my brethren I remain a hunted man in my own country. I too won the privilege and responsibility of leading my nation from the ballot box, but Moscow calls me a bandit, a terrorist and a criminal. Beyond the confines of my tiny country, my words seem to count for little, just as the anguished cry of my people still astonishingly leaves you mute and deaf. So I will continue to write until the silence is pierced.
You will join in your summit to consider debt relief for the impoverished developing world. This is a laudable aim, and it is the hope no doubt of countless millions that humanitarian concern motivates the strong to seek an end to indentured misery for the weak. But if you acknowledge the quiet violence of poverty upon the destitute and the hungry why do you turn away from us? We who die in the flames of the Kremlin’s dirty war, are we less worthy of compassion? What has made us invisible to you? I fear I know the answer. I fear the cold exigencies of realpolitik ensure your inaction and seal our fate. Lest you damage an uncertain relationship with a fragile and volatile new Russia, you are willing to overlook the annihilation of my people. In your eyes, for the sake of larger interests we are an expendable nation. So you grant a seat at the table to an honoured guest, Russian President Vladimir Putin, and shake his hand as the leader of a great democracy, applauding him as a reformer who shares your values.
Fossa comune in Cecenia
If you could stand to see the true face of Chechnya under the agony of Russian occupation, could you sincerely continue to offer such praise? Out of a population that once numbered a million, one in seven Chechens is now dead. 250,000 of our civilians are refugees. Bereft of the most basic necessities, many are ravaged by disease and malnutrition, especially the elderly and the young. More than 20,000 civilians and resistance members endure imprisonment in the new Gulags, the so-called filtration camps. Held in dehumanizingly foul and primitive conditions with little or no medical care that far exceed the worst standards of the Russian penal system, life in the improvised camps sees the sadistic and systematic use of torture. Burning with cigarettes, crippling beatings, suffocation, drowning in human excrement, mutilation with knives, high voltage electric shock and sexual abuses are only some of the common practices. Many prisoners are ultimately killed. Surely for some this must be a welcome deliverance from hell.
Our women are often rounded up at random and gang raped. In a common scorched earth policy villages are looted then razed and the able bodied males including boys 15 and under are swept up and disappeared. Any Chechen can be arrested without charge or receive capital punishment without trial. Summary executions are an everyday occurrence for men, women and children of all ages. The bodies of the dead are often deliberately mutilated and left on display, their burial forbidden. Our dead also serve as a new form of currency, with Russian soldiers forcing relatives to pay large ransoms before they can obtain the remains of their loved ones. Countless mass graves lie hidden in a landscape dotted by flattened villages and burning ruins. Our infrastructure no longer exists. Only in the last two weeks a dozen villages in south eastern and western Chechnya were again terrorised, over 300 civilians murdered in a systematic sweep and thousands more imprisoned, tortured and raped. We informed the Council of Europe but to no avail. This is the darker truth of realpolitik. Terror, butchery and madness is the price we pay to ensure the pragmatism of international diplomacy.
In 1945 you defeated the evils of militarism, fascism and Nazism. Those nations among you that had given birth to the monstrous juggernaut and holocaust of world war, vowed never to repeat the same fatal errors and forged yourselves in a new spirit to stand proudly among the elder democracies. Over half a century of progress together you built new institutions for the community of nations, the UN, NATO, the EU, and the OSCE, among other regional and global bodies, aimed towards a more equitable and safer future. You prevented the doomsday of a nuclear conflict and your example brought down the Berlin Wall, lifting the yoke of communism and ending a long cold war. You dismantled your colonial empires and allowed former subject peoples to be themselves. You fought racism at home and abroad and your voices helped to vanquish the stain of apartheid. Time and again you fostered the virtues of democracy to triumph over dictatorship. Perhaps above all, at Nuremberg you responded to your most noble instincts establishing the rule of law and human rights as inviolable, universal principles that would forever hold barbarism accountable to a civilised code of conduct.
So how is it that you celebrate Slobodan Milosevic at last facing judgement at the Hague but embrace Putin as a credible partner? How is it possible that you mobilised to confront naked aggression during the Gulf War, intervened when you witnessed ethnic cleansing and savagery in Bosnia, Kosovo, Timor and Sierra Leone and now seldom even utter the word Chechnya? You condemn and isolate the SLORC regime in Myanmar and the Taliban in Afghanistan. You pressure China over its abuses in Tibet and its persecution of dissident intellectuals and religious followers, but you say nothing about the mass murder of Chechen civilians. You practice tireless diplomacy trying to secure peace in the Middle East, Northern Ireland, Macedonia, Kashmir, the Congo, even the Sudan, where is your Chechen peace initiative?
In the name of a dying nation I beg you not to forsake us any longer. I ask that you collectively take steps to foster the resumption of peace negotiations and the enactment of an immediate cease-fire guaranteed and monitored by neutral parties. I beseech you further to demand in accordance with international law the deployment of desperately needed humanitarian aid, health and medical personnel. I further implore you to seek the return without hindrance of NGO human rights investigators, observers from international institutions and all members of the global press currently being barred from entering Chechnya. I appeal to you as leaders of the free world to muster the moral courage in keeping with the democratic traditions you represent and have sworn to uphold to pressure Russia to cease its extermination of my country, to hold it accountable for genocide, and to impose sanctions if Moscow will not desist.
The savagery we must bear is not new. We remember Stalin’s salt mines, his guard towers, barbed wire and unmarked graves. The pain of exodus and genocide we have known before. So we recognise the others with whom we share a terrible kinship of horror. The skeletal Jews and Romany in the ovens of Dachau and Auschwitz. The bayonet fodder of Nanjing. The ancient, wide-eyed children of Biafra. The pleading mother and baby facing the rifles at My Lai. The marsh Arabs of Iraq choked by the clouds of mustard gas. The Tutsi of Rwanda butchered on the Kigali road by the knives of the Interhamwe. They are all our martyred brothers and sisters in the legacy of senseless murder. Only our slaughter, our death is not yesterday’s, it belongs in the living nightmare of the present. How many Chechens will have died in the time you take to read this letter? How many more must we bury by the time your summit is over? Do not fail to speak, for the sake of humanity and justice act now upon your conscience or in time history will also mark you with a page of shame. If you continue to stand idly by while my people vanish in a bloodbath, if you fail to act with conviction and resolve as you did in Rwanda, Chechen ghosts will stain your honour as surely as they do Russia’s.
May God grant you the wisdom and vision to serve the cause of peace and justice.
Respectfully,
Aslan Maskhadov President of the Chechen Republic of Ichkeria