Archivi tag: Troshev

LA VOCE DEL NEMICO: L’ICHKERIA SECONDO TROSHEV (PARTE 3)

Se Troshev fu protagonista della Prima Guerra Cecena, lo fu ancora di più durante la Seconda. Comandante delle forze federali durante la controffensiva per respingere l’incursione di Basayev e Khattab in Daghestan, fu tra i principali comandanti delle forze impiegate nella seconda invasione della Cecenia. I passi che seguono raccontano della seconda presa di Grozny, delle principali battaglie combattute dall’esercito contro i militanti e dell’atteggiamento della resistenza cecena durante la fase della guerriglia partigiana che seguì.

LA SECONDA PRESA DI GROZNY

“Il territorio della città era diviso in tre linee difensive. La prima era organizzata lungo l’autostrada del distretto di Staropromislovsky, la seconda lungo Lenin Street (principalmente negli scantinati degli edifici a più piani); la terza lungo Saykhanov Street, a sud ovest della stazione ferroviaria. Gli edifici, posti in posizioni tatticamente vantaggiose, furono trasformati in contrafforti per una difesa circolare. Al fine di ridurre la probabilità di sconfitta dei distaccamenti militanti da parte del fuoco dell’artiglieria e degli attacchi aerei delle truppe federali, i punti di forza erano collegati da passaggi sotterranei. Usandoli, i militanti avevano la possibilità di uscire di nascosto dai bombardamenti, lasciare le loro posizioni e poi tornare dopo la fine dell’attacco di artiglieria o aereo.

La principale unità tattica dei banditi durante le battaglie urbane, come in passato, era un gruppo manovrabile di 5 – 6 persone. Esso includeva sempre un cecchino. Gli altri lo coprivano, mentre sparava con lanciagranate e mitragliatrici. Per garantire libertà di manovra del cecchino nei grattaceli i passaggi erano situati, di regola, su piani sfalzati.

Eppure, secondo me, i capi dei militanti stavolta difficilmente immaginavano di poter tenere a lungo la città. Rendendosi conto dell’inutilità di uno scontro armato a lungo termine con le truppe federali, Maskhadov ha dato ai comandanti di campo il compito di mantenere la città sotto il loro controllo fino al 27 Gennaio, giorno di apertura dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE), sperando che le pressioni dell’occidente avrebbero costretto Mosca a smettere di condurre l’operazione antiterrorismo.”

Una pagina del New York Times mostra un confronto tra la zona di Piazza Minutka prima dell’inizio della battaglia e dopo la conquista della citta. Sono evidenti le diffuse devastazioni, che hanno prodotto il crollo della maggior parte degli edifici.

Come si evince dalla ricostruzione di Troshev, il comando separatista aveva intenzione non già di difendere Grozny fino all’ultimo uomo, quanto di sfruttare la congiuntura dell’appuntamento diplomatico del PACE per interrompere i combattimenti da una posizione di equilibrio, mentre cioè le due forze in campo si confrontavano sul centro di gravità del conflitto (la capitale, appunto). Maskhadov era evidentemente cosciente che il “miracolo” compiuto dai separatisti durante la Prima Guerra non si sarebbe verificato una seconda volta: questo a causa di molteplici fattori, che il lettore potrà approfondire nel libro “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, acquistabile QUI”.

CACCIA AI LUPI

Dopo la presa di Grozny, nel Gennaio del 2000, le forze federali si posero il problema di come neutralizzare la massa critica dei difensori della città, ancora asserragliata nei sobborghi meridionali, senza dover ricorrere alla distruzione sistematica dei quartieri residenziali. Certamente tra il 30 Gennaio ed il 1 Febbraio 2000 la maggior parte dei difensori tentò una sortita dalla capitale, finendo quasi annientata dall’artiglieria e dai campi minati. A posteriori i federali rivendicarono la paternità della vittoria, raccontando di aver pianificato e portato a termine una gigantesca imboscata dal nome in codice “Caccia ai lupi”. I separatisti negano che l’azione sia stata organizzata, adducendo il disastro al loro mancato coordinamento ed alla fortuita presenza di alcune grandi unità federali sul loro percorso. In questa sede riportiamo la versione fatta circolare dai comandi federali:

“Per attirare i militanti fuori dalla città assediata è stato sviluppato un piano originale presso la sede dell’UGV. Lo abbiamo chiamato “Il pozzo dei lupi”. Nell’ambito di questo piano è stata lanciata una campagna di disinformazione: con l’aiuto di un falso scambio radio, i banditi si sono convinti che ci fossero delle lacune nell’anello di accerchiamento, attraverso le quali avrebbero potuto passare. Alla congiuntura tra i reggimenti l’attività di combattimento è stata ridotta al minimo. Anche i servizi segreti sotto copertura hanno iniziato a lavorare, “spingendo” i comandanti sul campo ad uscire dall’anello. Parallelamente a queste misure in più direzioni, stavamo preparando una sorta di “corridoio” per il nemico.

I banditi abboccarono. Nella notte tra il 29 e il 30 Gennaio i resti dei distaccamenti pronti al combattimento hanno cercato di scondare a Staraya Sunzha, alla congiuntura tra il 15° ed il 276° reggimento fucilieri motorizzati. Oltre 600 militanti si sono precipitati sulla breccia. Lasciarono che animali e prigionieri li precedessero. Molti banditi morirono nei campi minati, molti furono gravemente feriti, compresi noti comandanti di campo. Basayev fu uno di loro… Quella notte i militanti hanno patito circa 300 perdite solo tra i morti. La maggior parte dei sopravvissuti si è arresa. Solo pochi riuscirono a fuggire dalla città.”

Sopravvissuti alla sortita del 29 Gennaio si ritirano verso Alkhan – Kala, Febbraio 2000

Distrutta la guarnigione a difesa di Grozny, i federali iniziarono a martellare le posizioni precedentemente consolidate dai separatisti nelle loro roccaforti di montagna. L’esercito russo tentò di raggrupparli tutti nella Gola dell’Argun, posizione ottimamente difendibile ma difficile da evacuare se accerchiata. Mentre le unità di terra avanzavano chiudendo la gola da nord, est ed ovest, i paracadutisti occuparono la strada Itum – Khale / Shatili, principale canale di rifornimento della resistenza ed unica via di fuga praticabile dai veicoli. A questo punto il grosso dell’esercito separatista si trovò ammassato in una stretta lingua di terra, dalla quale avrebbe potuto uscire soltanto abbandonando tutto il suo materiale pesante ed affrontando lunghe marce sotto il costante tiro dell’aereonautica. Vistisi braccati, gli uomini di Maskhadov si divisero in tre gruppi di manovra e tentarono una sortita in più direzioni: quello di Maskhadov, più piccolo e maneggevole, si defilò in modo da mettere in salvo il Quartier Generale, mentre gli altri due, al comando di Ruslan Gelayev e Ibn Al Khattab, tentarono di sfondare rispettivamente ad Ovest, verso Komsomolskoye (odierna Saadi – Khotar) e ad est, verso Vedeno. La sortita di Khattab ebbe successo: il contingente di circa 1500 uomini al suo seguito riuscì a superare le posizioni russe su di una collina boscosa, la cosiddetta “Altezza 776”. La battaglia fu feroce, e le perdite da entrambe le parti molto alte, ma Khattab ed i suoi riuscirono a “filtrare” oltre le unità federali e a disperdersi nei distretti di Vedeno e Nozhai – Yurt, dove li aspettava Shirvani Basayev con un contingente di circa 800 militanti ed una rete ben organizzata di basi dove ricostituire i ranghi.

Truppe federali entrano ad Argun

KOMSOMOLSKOYE

La sortita di Gelayev, invece, non riuscì: dopo una lunga ed estenuante marcia tra i torrenti ed i sentieri di montagna, il suo reparto riuscì effettivamente a superare le posizioni dei federali, ma all’altezza di Komsomolskoye (villaggio natale dello stesso Gelayev) si trovò inchiodato dal tiro dei reparti di Mosca prontamente affluiti a bloccare lo sversamento dei separatisti.

“Su cosa contava Gelayev? Come si è scoperto, il suo obiettivo finale era quello di unire diversi gruppi di banditi a Komsomolskoye e conquistare il centro regionale di Urus – Martan. Credeva che sarebbe stato in grado di scuotere tutti i ceceni che simpatizzavano con lui contro le forze federali e poi dettare le sue condizioni al comando del Gruppo Unito. Tutto questo, comunque, divenne noto successivamente. Nel frattempo, subito dopo aver ricevuto informazioni sulla sortita e la cattura del villaggio, è stato dato l’ordine di bloccare Komsomolskoye da parte delle forze del Ministero della Difesa e delle truppe interne. Già il 5 Marzo, cioè il giorno successivo, il villaggio era sotto assedio.

[…] Il 7 Marzo è iniziata l’operazione. Fu subito chiaro che la maggior parte degli abitanti di Komsomolskoye aveva lasciato il villaggio. E che solo quelli che si erano uniti a Gelayev vi erano rimasti. […] Era chiaro che Gelayev e la sua banda, intrappolati in un doppio anello di blocco, non intendevano deporre le armi.

[…] I combattimenti a Komsomolskoye sono, forse, paragonabili per ferocia solo alle battaglie per Grozny[ […]. Il villaggio si è rivelato essere ben fortificato dal punto di vista ingegneristico Molte erano le fortificazioni attrezzate secondo tutte le regole della scienza militare. Le cantine erano state trasformate in fortini e potevano resistere al colpo diretto di un carro armato. Inoltre la maggior parte degli scantinati era collegata da trincee di comunicazione bloccate da porte d’acciaio. In effetti, quasi ogni casa fu trasformata in una fortezza, progettata per un lungo assedio. La battaglia fu combattuta in ogni edificio.

Dopo un paio di giorni, è diventato ovvio che non ci sarebbe stata una vittoria rapida. Più intensificavamo i nostri sforzi, più feroce diventava la resistenza. I banditi hanno subito enormi perdite, ma i sopravvissuti hanno combattuto con la disperazione dei condannati. Ed erano condannati. I ripetuti tentativi dei banditi di sfondare l’anello di blocco sono stati repressi da noi in modo deciso e duro. […]  I militanti subirono perdite significative, ebbero molti feriti, tuttavia, sotto il pericolo della prigionia, continuarono e resistere ostinatamente, al punto che anche i feriti rimasero in posizione.

I banditi resistevano principalmente grazie alla droga. Le siringhe erano sparse in tutte le case, in ogni seminterrato, intervallate da cartucce esaurite. In preda alla frenesia della droga, i banditi non conoscevano né paura né dolore. Ci sono stati momenti in cui, stupefatti dalla dose, sono corsi fuori dal nascondiglio, sono andati di corsa all’attacco ed hanno sparato indiscriminatamente fino a quando non si sono presi un proiettile in fronte.

Bombardamenti sul villaggio di Komsomolskoye (Marzo 2000)

[…] Nonostante tutto il 14 Marzo, cioè una settimana dopo l’inizio, si è conclusa la parte militare dell’operazione. Tutti i tentativi dei Gelayeviti di sortire da Komsomolskoye nelle direzioni sud – est e sud – ovest furono repressi dalle azioni delle forze federali. […] Il controllo dei distaccamenti militanti è stato completamente interrotto, sono rimasti solo piccoli gruppi sparsi, che sono stati distrutti dal fuoco dei carri armati, dei lanciafiamme e delle armi leggere. E il giorno successivo unità del Ministero della Difesa, truppe interne e del Ministero degli Affari Interni e del Ministero della Giustizia hanno iniziato una completa “Pulizia” del villaggio. Era necessario letteralmente sradicare i resti dei gruppi delle bande da scantinati e rifugi.

[…] Nella notte tra il 19 e il 20 Marzo i resti dei gruppi di banditi fecero un disperato tentativo di sfondare in direzione nord. Camminarono lungo il letto del torrente, gonfi di droga, chiaramente visibili alla luce della luna. Era la marcia dei condannati. Ovviamente non andarono molto lontano. Rimasero intrappolati nel fuoco incrociato delle nostre unità.

[…] Il giorno dopo il fallimento dell’azione, i militanti disperati hanno iniziato a gettare le armi. Sono state contate 88 persone in totale. Sporchi, laceri, quasi tutti indossavano abiti civili mimetici. Alcuni avevano passaporti sovietici. […]. Sfortunatamente Gelayev è riuscito a fuggire da Komsomolskoye. Ha tradito tutti: la sua gente, trascinandola qui a morte certa, e i suoi connazionali (a seguito di un’avventura di banditi, il villaggio è stato quasi completamente distrutto). Non è difficile immaginare quali sentimenti hanno provato gli abitanti del posto quando sono tornati ai ruderi.

[…] L’operazione speciale a Komsomolskoye, che si concluse con una completa sconfitta dei banditi, divenne, infatti, l’ultima grande battaglia della Seconda Guerra Cecena, coronando degnamente la fase militare attiva dell’operazione antiterroristica.”

GUERRA PARTIGIANA

Dopo le battaglie dell’Altezza 776 e di Komsomolskoye i resti dell’esercito separatista si divisero in piccole bande, avviando una logorante guerriglia partigiana, la quale si sarebbe trascinata con intensità decrescente per molti anni (una piccola unità di guerriglieri, ormai appartenenti allo Stato Islamico, è stata distrutta giusto nel Febbraio del 2021). Troshev ne descrive i tratti principali in questo passo:

“I distaccamenti militanti non sono riusciti a sfondare nella pianura. Si trovavano ancora nei distretti di Nozhai – Yurt, di Vedeno e di Shatoi. Ma, nonostante la sconfitta delle principali forze separatiste nelle zone montuose, la dirigenza delle formazioni armate illegali ha tentato di ripristinare un sistema di controllo unificato per i distaccamenti separati. I gruppi di combattimento di Shamile Basayev e di Khattab rimasero i più pronti alla battaglia, nascondendosi in basi precedentemente preparate, in depositi e in caverne.

L’elusione dei posti di blocco è diventata più frequente. A causa dell’incoerenza e della mancanza delle competenze necessarie, finimmo in un’imboscata e subimmo la perdita di un distaccamento (40 persone) dell’Omon di Perm. La colonna marciava senza ricognizione del percorso e organizzazione dell’interazione con le suddivisioni delle truppe interne e dell’artiglieria. L’operazione fu condotta attraverso canali di comunicazione aperti. Queste omissioni portarono al disastro. E tali esempi, sfortunatamente, non sono stati isolati. All’inizio dell’estate del 2000, dopo la sconfitta della banda di Gelayev a Komsomolskoye, le truppe federali non furono più impegnate in ostilità su larga scala. Gli estremisti iniziarono ad usare metodi di guerriglia: bombardamenti “da dietro l’angolo”, sabotaggi, esplosioni, imboscate […].

Cratere lasciato dall’esplosione di un ordigno a ridosso della base federale di Argun, Luglio 2000

FINANZIAMENTO E SUPPORTO INTERNAZIONALE DURANTE LA SECONDA GUERRA CECENA

Così come durante la Prima Guerra, anche nella Seconda il fronte separatista godette dell’appoggio politico ed economico della diaspora cecena all’estero, assommandovi i non scarsi finanziamenti in arrivo dalle associazioni islamiche radicali di tutto il mondo (interessate più al fronte jihadista in seno alla resistenza, che al nazionalismo ceceno in sé). Troshev descrive citando le sue fonti il fronte di supporto internazionale ai militanti, concentrandosi sull’ala islamista radicale, finanziatrice per lo più delle bande di Khattab e dei suoi successori. Le cifre citate non sono verificate da alcuna fonte da noi reperibile.

“I separatisti che si oppongono alle autorità federali della Russia sul territorio della Repubblica Cecena […] non hanno mai sperimentato una carenza di mercenari, armi e denaro. Come hanno ricevuto e continuano a ricevere assistenza materiale e finanziaria? Fino a poco tempo fa, tale assistenza era fornita da alcune organizzazioni musulmane  (situate principalmente negli Stati Uniti), organizzazioni umanitarie non governative dei paesi arabi del Medio Oriente, servizi speciali di alcuni stati e, naturalmente, la diaspora cecena – sia estera che russa. Ad esempio, molte organizzazioni musulmane sono state create ed operano negli Stati Uniti. La fazione più potente tra loro è il cosiddetto “Supreme Islamic Council of America”. Sotto il suo cappello vi sono organizzazioni militanti radicali come il Circolo Islamico del Nord America, la Comunità Islamica del Nord America e molte altre. Unisce quindici milioni di musulmani che vivono negli Stati Uniti. Secondo le informazioni disponibili, è stata questa organizzazione il canale principale per il trasferimento delle finanze dagli Stati Uniti alla Cecenia, ed ha organizzato regolarmente discorsi filo – ceceni nei media. Una volta, il Consiglio Supremo Islamico d’America ha preso la decisione senza precedenti di fornire assistenza finanziaria alla Cecenia. Ogni musulmano americano fu obbligato a consegnare almeno 100 dollari alla “cassa nera” dei militanti. Così, i leader combattenti ceceni ricevettero almeno 150 milioni di dollari.

Un altro ente di beneficienza non governativo, l’American Muslim Aid (AMA) è stato registrato presso il Dipartimento di Stato Americano. Il suo compito principale è “fornire assistenza ai fratelli musulmani di tutto il mondo”. L’AMA ha fornito assistenza alle comunità islamiche del Caucaso settentrionale, ha condotto un’attiva campagna per screditare le azioni delle autorità russe in Cecenia. All’inizio del 2000, i rappresentanti dell’AMA, su invito di A. Maskhadov, hanno visitato la Cecenia. La Islamic Charitable Foundation, che ha sede anche negli Stati Uniti, ha organizzato regolarmente discorsi sui media a sostegno dei separatisti in Cecenia ed ha condotto un’ampia campagna di propaganda nelle scienze politiche e nei centri di ricerca negli Stati Uniti, ed ha chiesto audizioni al Congresso. Allo stesso tempo , ha coinvolto attivamente il personale dell’amministrazione degli Stati Uniti come consulenti ed esperti.

[…] Le forze dell’ordine russe hanno registrato più di 130 grandi fondazioni, società ed organizzazioni non governative che supportano direttamente o indirettamente i terroristi ceceni provenienti da paesi lontani e della CSI, oltre ad un centinaio di azienda e una dozzina di gruppi bancari.

AKHMAT KADYROV

Una volta distrutti i principali distaccamenti separatisti, il governo federale installò un’autorità locale che si occupasse di consolidare il controllo sul territorio, fornire assistenza alla popolazione civile e reintegrare gradualmente i militanti più indecisi. Il governo ceceno filo – russo doveva guadagnare alla sua causa quanti più ceceni possibile, ragion per cui il Presidente Putin decise di avvalersi del supporto di una delle principali figure religiose del paese, nel frattempo passato dalla causa separatista a quella unionista: il Muftì della Cecenia, Akhmat Kadyrov. La sua figura, politicamente controversa ma anche molto popolare, oggi è mitizzata dal governo in carica (guidato dal figlio di Akhmat Kadyrov, Ramzan) che gli ha dedicato strade, scuole, moschee e addirittura un reggimento di polizia antiterrorismo d’élite. Troshev ne parla approfonditamente nelle sue memorie:

“La gente gli credeva quasi incondizionatamente. […] Ricordo il nostro primo incontro vicino a Gudermes, quando le truppe del mio gruppo orientale circondarono la città. Durante le trattative si comportò con moderazione. Ci chiese di fare tutto il possibile per non distruggere Gudermes. Promise di aiutare a scacciare i banditi. Le sue parola non si discostavano dalle sue azioni. Akhmat – Khadzhi non mi ha mai ingannato, non mi ha permesso di dubitare delle sue intenzioni. E le intenzioni erano queste: fare tutto il possibile perché la pace e l’ordine regnassero nella repubblica, anche con l’aiuto del governo federale.

Ho parlato con Kadyrov per ore. Ci siamo incontrati spesso. Mi piaceva la sua sincerità, la sua onestà. Non a nascosto il fatto di aver combattuto nella prima guerra contro i “federali”, non ha nascosto il suo precedente idealismo, non ha cercato di nascondere informazioni a lui sfavorevoli. Ho visto che Kadyrov stava lottando per la verità (nel senso ampio del termine). Ho visto che c’era un’enorme massa di persone dietro di lui: ceceni di diversi strati della società. Ho visto che era un vero leader, sia spirituale che politico. Ho visto che era nostro alleato.”

Gennady Troshev (a destra) con Akhmat Kadyrov (a sinistra). Dietro di loro il figlio di Akhmat, Ramzan, oggi Presidente della Repubblica Cecena.

IL REFERENDUM DEL 2003

Uno dei punti di svolta nella cosiddetta “cecenizzazione” del secondo conflitto russo – ceceno fu il referendum costituzionale del 2003, con il quale la popolazione approvò una nuova Carta Fondamentale, nella quale la Cecenia tornava ad essere un soggetto federale. Troshev salutò l’evento come l’inizio di una nuova era nella storia delle relazioni russo  – cecene, o quantomeno la fine politica dell’esperienza separatista.

“Per la prima volta nella loro storia, gli stessi ceceni determinarono volontariamente il loro destino. Nessuno aveva chiesto loro niente del genere, prima. Ne’ venti né trent’anni fa, quando il partito pubblicava circolari e concetti come “l’ingresso volontario” né centocinquant’anni fa, quando il Caucaso fu sottomesso, né all’inizio degli anni ’90, quando Dudaev proclamò “l’Ichkeria indipendente”. I risultati del referendum hanno sbalordito molti. Molti, ma non gli stessi ceceni. Gli abitanti della repubblica fecero la loro scelta a favore della pace, non della guerra.

[…] Nel libro “La mia guerra”, in uno dei capitoli dal titolo “Alleati inaspettati”, ho parlato di come le truppe del gruppo orientale hanno liberato Gudermes, Argun, Shali dai banditi…ceceni. Ricordo ancora con gratitudine i fratelli Yamadayev, Dzhabrail e Khalid, Supyab Taramov e altri. Sono stati tra i prmi a distruggere i banditi spalla a spalla con  “federali”.

L’AMBIGUITA’ DELLA GEORGIA

L’unico confine internazionale della Cecenia è quello meridionale. Lungo quel confine dalla Cecenia si passa in Georgia, una repubblica che fin dai primi anni ’90 si è confrontata con la Russia, tentando di tenere il Cremlino lontano dai suoi affari, mentre Mosca tentava di tutelare le minoranze filo  – russe in Abkhazia e Ossezia del Sud. Il passaggio dalla Cecenia alla Georgia è difficilmente praticabile, e soltanto tra il 1997 ed il 1999 il governo separatista tentò di aprire una strada carrabile che dalla cittadina montana di Itum – Khale giungesse al piccolo villaggio georgiano di Shatili, aprendosi così una “via d’uscita dall’assedio”. Durante i due conflitti russo – ceceni la Georgia funse sia da via di comunicazione per uomini, merci e risorse finanziarie, sia da base di retroguardia per i reparti separatisti in fuga, o desiderosi di ricomporre i ranghi prima di tornare in battaglia. Troshev parla diffusamente dell’ambiguo atteggiamento tenuto dal governo di Tbilisi nei confronti dei separatisti ceceni, e delle basi su territorio georgiano nelle quali i militanti poterono ricostituire le loro forze durante la Seconda Guerra. In particolare Troshev parla della Gola di Pankisi, una stretta valle abitata da una popolazione di etnia Vaynakh, molto vicina geograficamente e culturalmente alla Cecenia. In questa valle si raccolsero a più riprese centinaia di miliziani, tanto che per un certo periodo di tempo la valle fu considerata una sorta di “terra franca” del terrorismo internazionale.

“Nel Settembre 2002 il Presidente russo V.V. Putin ha presentato serie accuse contro la leadership georgiana. Ha rimproverato le autorità del paese vicino per connivenza con le bande di terroristi internazionali ed ha avvertito Eduard Shevardnadze e il Consiglio di Sicurezza dell’ONU che la Federazione Russa si sarebbe riservata il diritto di autodifesa in caso di minaccia alla sua sicurezza da banditi ceceni e stranieri dislocati su territorio georgiano, a Pankisi…

[…] Ci sono prove documentali che un certo numero di comandanti di campo ceceno hanno utilizzato la gola di Pankisi come base per la convalescenza, la ricreazione e la riorganizzazione dei militanti, nonché per il trasferimento di armi e munizioni in Cecenia. Ad esempio, è stato recentemente pubblicato l’appello di Shamil Basayev ai membri delle formazioni armate illegali cecene situate in Georgia, il quale contiene istruzioni per condurre attività sovversive contro la Russia, compiti per addestrare militanti e fornire loro armi.

La gola di Pankisi. Oltre quell’alta catena di montagne c’è la Cecenia

[…] Nei primi mesi dopo l’attacco al Daghestan, la collaborazione dei leader georgiani con i comandanti di campo è stata appena nascosta. A Tbilisi iniziarono ad essere pubblicati tre giornali, finanziati in tutto o in parte con il denaro dei militanti, apparve un centro di informazione ceceno e, soprattutto, fu creato il cosiddetto “ufficio di rappresentanza” dei separatisti ceceni, che un tempo contava fino a un centinaio di dipendenti, cioè incomparabilmente più grande dell’ambasciata russa. Nonostante le proteste di Mosca, le strutture ufficiali della Georgia, per non parlare dei media privati, l’anno definita niente di più che un “ufficio di rappresentanza della Cecenia” o “un ufficio di rappresentanza della Repubblica di Ichkeria”. Lo stesso rappresentante, Khizir Aldamov, è diventato una vera star dello schermo televisivo, ha ottenuto il favore della leadership georgiana ed ha incontrato direttamente ministri e capi dipartimento.

LA VOCE DEL NEMICO: L’ICHKERIA SECONDO TROSHEV (PARTE 2)

IL MERCATO DEGLI SCHIAVI

Uno degli argomenti sostenuti con maggior vigore dal governo russo per giustificare la seconda invasione della Repubblica Cecena di Ichkeria era quello relativo al caos imperante negli anni successivi alla fine della Prima Guerra. Gennady Troshev nelle sue memorie circostanzia, citando le sue fonti, il contesto di illegalità diffusa e di connivenza di alcune autorità statali in crimini odiosi come la presa di ostaggi a scopo di riscatto, il traffico di droga ed il furto di petrolio. In questo paragrafo del suo racconto si parla del cosiddetto “Mercato degli schiavi”:

“Gli attacchi armati di banditi alle nostre truppe, anche fuori dalla repubblica, sono diventati regolari. Ma se già questo era un problema, il rapimento e la tratta di persone hanno assunto proporzioni senza precedenti. Senza troppe esagerazioni, possiamo dire che questa industria ha assunto proporzioni di primo piano nell’economia della repubblica. In pianura e sulle montagne, la maggior parte delle famiglie cecene aveva i propri schiavi – la propria forza lavoro gratuita.

Alle soglie del terzo millennio, nel pieno centro di Grozny, nell’area della cosiddetta piazza dei “Tre Bogatiri” per diversi anni, fino all’autunno del 1999, ha funzionato a dovere il più grande mercato di schiavi del Caucaso Settentrionale, dove uno schiavo poteva essere acquistato per tutti i gusti ad un prezzo ragionevole. E la contrattazione qui era abbastanza appropriata. Anche i bambini del posto sapevano che il prodotto più redditizio era un “non ceceno”. […] .

In cima alla scala venivano valutati gli stranieri, giornalisti famosi e politici: per loro si potevano ottenere grandi somme, fino a diversi milioni di dollari. Questi prigionieri erano tenuti in condizioni relativamente normali. Questo tuttavia non riguardava il comportamento della banda di Arbi Barayev, dove si torturavano tutti i prigionieri, anche quelli “super redditizi”. I rapitori più semplici preferivano “lavorare” con specialisti civili, E poiché c’era tensione con loro in Cecenia, gli ostaggi dovevano essere catturati nelle repubbliche vicine Inguscezia, Daghestan, Ossezia del Nord, Cabardino – Balcaria. Per questi non erano necessari i dollari, potevi concordare uno scambio di materiali da costruzione, veicoli, cibo… […].

La moneta più scarsa nel mercato degli schiavi era pagata per un soldato russo. A cause di varie circostanze questo prodotto, dopo Khasavyurt, non era protetto né dal governo federale né dal tesoro. E’ vero, alcune regioni a volte hanno cercato di tirare fuori dalla prigionia i loro connazionali. Ad esempio, l’amministrazione del Territorio di Krasnodar ha pagato cinquantamila dollari per i guardiamarina Soltukov e Moskalev, e per il rilascio di Berezhny e Vatutin i residenti di Krasnodar hanno dato 40 tonnellate di farina. Ma questi fatti sono piuttosto l’eccezione alla regola.

Centinaia di ufficiali e soldati russi, per diversi anni, hanno piegato le spalle ai padroni ceceni. Nei distretti di Vedeno e di Itum – Khale coltivavano tè di montagna; piantagioni di papaveri venivano coltivate vicino al villaggio di Alleroy, bestiame veniva pascolato nel distretto di Nozhay – Yurt e molti altri costruirono una strada per Shatili. Venivano tenuti in condizioni terribili: lavori pesanti dall’alba al tramonto, freddo, fame, percosse… non tutti resisterono a queste prove. Come ha osservato uno dei mercanti di schiavi locali: “I catturati rimarranno in prigione per molto tempo…se, naturalmente, rimarranno vivi.” Queste parole sono state confermate dalle statistiche: in dieci mesi, solo un militare che ha preso parte alle ostilità è stato rilasciato dalla prigionia cecena, mentre gli accordi di Khasavyurt prevedevano l’estradizione di tutti i prigionieri.

Giovani coscritti russi sotto minaccia armata di militanti separatisti

A onore del vero le affermazioni di Troshev, e in particolare quelle relative al fenomeno della cattività dei soldati russi prigionieri, non trovano riscontro nelle statistiche. Se ci fu ricorso a manodopera forzata tra i prigionieri di guerra non restituiti alla Russia, questo fu meno massiccio di quanto riferito dal Generale anche se, certamente, il fenomeno del rapimento per riscatto riguardo molte centinaia di persone, se non migliaia.

ANARCHIA E PULIZIA ETNICA NELLA CECENIA DEL DOPOGUERRA

I due tratti distintivi dell’Ichkeria postbellica furono certamente lo stato di diffusa anarchia che regnava nel paese ed il revanscismo anti – russo, a causa del quale decine di migliaia di cittadini di origine slava furono costretti ad abbandonare la città o ad accettare continue vessazioni. Ecco come Troshev descrive la situazione della Cecenia all’indomani della fine della Prima Guerra:

“Tre anni di “indipendenza” hanno portato la repubblica al disastro: le masse popolari sono stati private del diritto ad una vita dignitosa. L’approvvigionamento della popolazione è praticamente cessato, le scuole sono state chiuse, anche se gli insegnanti sono rimasti nei villaggi. Gli insegnanti non ricevettero alcuno stipendio dopo il 1995. Gli ospedali e le cliniche mancavano delle attrezzature e dei medicinali necessari, e in molti casi non c’era nulla per fornire anche il primo soccorso. Le pensioni venivano emesse in maniera estremamente irregolare. Ad esempio, l’ultima volta che i pensionati ricevettero denaro fu nel Luglio – Agosto 1997 per un importo di 300 – 350 rubli. La già difficile situazione della popolazione era aggravata dalla mancanza di elettricità e gas, che in precedenza venivano forniti dal Daghestan e dal Territorio di Stavropol. La maggior parte delle fabbriche erano inattive. E le merci che vi venivano prodotte, ad esempio, nelle zone di pianura, venivano semplicemente “espropriati” dalle autorità di Grozny.

Il bersaglio principale dei separatisti, storditi dalla permissività, erano gli “stranieri”: trecentocinquantamila russi, abbandonando ciò che avevano acquisito per anni, lasciarono la Cecenia. Chi rimase bevve a pieno il calice amaro. Quante volte abbiamo letto e sentito di massacri di “non ceceni”?

Negli ultimi anni i banditi ceceni hanno sequestrato più di centomila appartamenti e case appartenenti a russi, daghestani e persone di altre nazionalità. Quasi cinquantamila tra i loro vicini furono ridotti in schiavitù dai ceceni. E quanti “schiavi” hanno piegato le spalle alla costruzione di una strada di alta montagna attraverso la cresta principale del Caucaso fino alla Georgia, vagavano nelle raffinerie di petrolio artigianali, nelle piantagioni di papavero e canapa.

Anche in questo caso i numeri citati da Troshev fanno fatica a trovare conferma. La misura di centomila appartamenti e di cinquantamila schiavi è certamente simbolica, e non trova conferma nelle statistiche ufficiali. Certamente il “furto di appartamenti” conseguente alla distruzione dell’archivio di stato durante la guerra fu un problema endemico, e la minoranza russa ne patì i principali effetti.

La scritta “Benvenuti all’inferno” campeggia su un muro in rovina nel centro di Grozny

LA DROGA IN ICHKERIA

L’ultima frase del precedente intervento introduce un altro dei gravi problemi che afflissero il paese all’indomani della pace del 1996: il traffico ed il consumo di droga.

“Uno dei motivi per le rapine in Cecenia era e rimane la droga” ha testimoniato il giordano Khalid Al – Hayad, che è stato tra i combattenti ceceni per diversi mesi, nella banda dello stesso Gelayev. In precedenza al pari delle armi, le droghe venivano vendute nel centro di Grozny. Dopo che i russi hanno preso la città, la droga è diventata molto difficile da reperire ed i prezzi sono saliti alle stelle. I militanti, anche sotto il fuoco dell’aviazione federale e dell’artiglieria, erano pronti a portare al mercato sacchi di merci saccheggiate tutto il giorno, in modo che la sera, avendo venduto le loro cose, potessero procurarsi una siringa con una piccola dose e rilassarsi. Non si può dire che tutti i militanti fossero tossicodipendenti, ma ce n’erano abbastanza. Si iniettavano, fumavano cannabis, usavano qualsiasi cosa per ottenere uno sballo.

[…] La distrutta economia cecena, la disoccupazione ed altre questioni di natura sociale e domestica non potevano non influenzare la psiche di molti, anche di pacifici cittadini ceceni. Inoltre, è ben lungi dall’essere un segreto che nella “Ichkeria libera” la produzione di droga fosse essenzialmente un’attività legale. Un tempo gli stessi Basayev e Khattab ottennero un notevole successo in questo campo. Le piantagioni di papavero e canapa appartenevano a loro e si trovavano a Kurchaloy, nei distretti di Gudermes, Nozhai – Yurt e Vedeno. E il fratello di Shamil Basayev, Shirvani, acquistò proprio per questo motivo l’edificio della scuola numero 40 in Turgenev Street, trasformandolo in un impianto di produzione di droga. Esso venne recintato con filo spinato elettrificato. Tuttavia l’attrezzatura qui era tedesca, e professori e fermacologi indiani fungevano da consulenti […] durante il girono, a fabbrica miracolosa “intitolata ai fratelli Basayev” produceva tre chilogrammi di eroina pura. Sul mercato nero, un grammo di questa droga costa duecento dollari. I signori della droga Basayev aprirono quindi i loro “uffici” a San Pietroburgo, Volgograd, Krasnodar, Ufa, Kaluga. E il denaro scorreva verso di loro come un fiume. Le fabbriche “Ichkeria” per la produzione di oppio e la lavorazione dell’eroina erano situate anche nel sanatorio degli ingegneri energetici nel distretto di Vedeno, nel campo dei pionieri “Zorka” vicino a Shali e in altri luoghi.”

Shirvani Basayev, fratello minore di Shamil Basayev. Secondo Troshev, era uno dei signori della droga in Cecenia

Anche in questo caso le affermazioni di Troshev vanno prese con le dovute cautele. Sicuramente il consumo di eroina divenne endemico nella Cecenia del dopoguerra: molti militanti ne abusarono durante il conflitto, dove la terribile sostanza serviva a curare il dolore fisico delle ferite ed a placare lo stress della battaglia. Molti comandanti di campo ne divennero produttori e distributori, e la piaga della tossicodipendenza falcidiò lo stesso esercito separatista durante la Seconda Guerra.

per approfondire queste ed altre questioni relative ai conflitti russo – ceceni leggi “Libertà o morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” acquistabile QUI

LA VOCE DEL NEMICO: L’ICHKERIA SECONDO TROSHEV (PARTE 1)

Gennady Troshev è stato uno dei protagonisti delle due guerre russo – cecene: comandò le forze federali durante il primo conflitto, guidò la difesa del Daghestan dall’invasione islamista dell’Agosto 1999 e poi di nuovo la seconda invasione della Cecenia. Su questa esperienza ha scritto tre libri: “La mia guerra: Diario di un Generale in Trincea” (2001) “Recidiva Cecena: Note del Comandante” (2003) e “Pausa Cecena: Diari e Ricordi (2008).  Si tratta di raccolte di documenti, resoconti, riflessioni, che fanno somigliare i tre libri più ad un diario personale che ad un memoriale organico.

Troshev fu uno dei più accaniti oppositori della Repubblica Cecena di Ichkeria. Le sue memorie, come vedremo, lasciano trasparire in maniera chiara il suo punto di vista non soltanto come militare, ma anche come funzionario leale alla causa della Federazione Russa, fiero oppositore del secessionismo ceceno e implacabile critico dei suoi leaders. Le sue parole non sono quelle dello storico, o dell’analista politico: forse proprio per questo spiegano in maniera più efficace (in quanto non – neutrale) le ragioni di chi prese le armi contro la ChRI.

Lo slideshow mostra le copertine dei tre libri scritti da Troshev

SERVIZI SEGRETI

Troshev ebbe fin dall’inizio una pessima opinione di Dudaev. Lo considerava come una sorta di “gangster in divisa”, e biasimava il governo russo per averlo indirettamente favorito rispetto a Zavgaev, del quale apprezzava il pragmatismo e la visione di prospettiva. Secondo lui Dudaev aveva avuto più di un alleato “non convenzionale”: il neonato governo Eltsin, come dicevamo, ma anche i servizi segreti di molti paesi, desiderosi a vario titolo di indebolire la posizione della Russia.

“E’ anche assolutamente indiscutibile che molti servizi segreti stranieri abbiano “ereditato” la Cecenia. Soprattutto quelli mediorientali. Sotto la “copertura” di varie compagnie, hanno svolto il loro lavoro praticamente alla luce del sole, con lo scopo non tanto di raccogliere informazioni, quanto di preparare il conflitto militare tra la Cecenia e la Russia. Ciò è dimostrato da numerose intercettazioni di informazioni di intelligence e dalle testimonianze degli stessi agenti. Mosca ha reagito lentamente a queste circostanze. Come mi ha detto a Grozny uno degli alti rappresentanti delle forze dell’ordine russe, questa passività è stata associata alla corruzione dei vertici del governo federale ed all’instabilità della situazione politica nel paese nel suo complesso.”

La guerra, quindi, fu procurata secondo Troshev anche dall’intervento di forze esterne intenzionate ad aumentare l’attrito tra i nazionalisti ceceni ed il governo federale.

Dzokhar Dudaev in abito

IMPREPARAZIONE DELL’ESERCITO FEDERALE

Troshev fu inviato a guidare le unità dell’esercito federale poco dopo l’ingresso delle truppe in Cecenia. Come comandante dovette confrontarsi fin da subito con la carenza organizzativa e morale dell’esercito che era stato inviato a guidare.

“l’operazione [l’assalto a Grozny, ndr.] è iniziata il 31 dicembre 1994. Secondo alcuni generali l’iniziativa per l’assalto “festivo” di Capodanno sarebbe stata ideata da persone appartenenti alla cerchia ristretta del Ministero della Difesa, desiderose di far coincidere la cattura della città con il compleanno di Pave Sergeevich [Grachev, Ndr.]. Non so quanto ci sia di vero qui, ma il fatto che l’operazione sia stata davvero preparata in fretta, senza una reale valutazione delle forze e dei mezzi del nemico è un dato di fatto. Non si fece in tempo neanche a dare un nome all’operazione.

Sulla base dei dati operativi sul gruppo a difesa della città, era necessario avere almeno 50/60 mila persone per l’assalto. Questi calcoli hanno una propria logica, dimostrata dall’esperienza storica. […] Al 3 Gennaio non c’erano più di cinquemila persone a Grozny e, lasciatemelo ricordare, c’erano il doppio dei militanti!

Le comunicazioni radio nelle unità che assaltavano Grozny erano quasi paralizzate a causa della confusione che regnava nell’aria. Non c’era praticamente alcuna integrazione tra le unità, l’inesperienza affliggeva la maggior parte dei guidatori dei carri armati e dei veicoli da combattimento per fanteria. […] Colonne miste (automobili e mezzi blindati) si allungavano su strade strette senza margini di manovra. Di conseguenza, fanteria ed equipaggiamento furono colpiti dagli edifici a bruciapelo. I comandanti, a partire dal comandante di battaglione a seguire, in realtà non avevano una mappa di Grozny, da qui le frequenti “interruzioni” del percorso, e la perdita di orientamento. E se qualcuno aveva le mappe, erano nella migliore delle ipotesi modelli del 1980, molto obsoleti e mancanti di interi microdistretti.

I numeri citati da Troshev riguardo la consistenza delle unità attaccanti non devono essere mal interpetati: per lui erano da considerarsi unità combattenti soltanto gli uomini inquadrati nell’esercito, e tra questi soltanto i reparti che guidarono il primo assalto alla città. L’opinione del Generale qui è sostanzialmente quella sostenuta dalla maggior parte degli analisti militari: l’invasione della Cecenia e l’assalto a Grozny furono improvvisati e guidati dalla convinzione che una semplice prova di forza sarebbe bastata a far fuggire i separatisti.

CRIMINI DI GUERRA

La Prima Guerra Cecena vide la Russia sconfitta prima di tutto sul fronte dell’informazione. Impreparati a gestire la mediaticità dei nuovi conflitti, i comandi russi si trovarono a doversi proteggere da un fuoco di critiche, essendo incapaci di seguire un’efficace strategia comunicativa. Il fulcro della propaganda separatista furono i costanti resoconti delle atrocità commesse dall’esercito federale, ma soprattutto dalla polizia OMON, sui civili ceceni. Nelle sue memorie Troshev racconta una sua versione dei crimini di guerra compiuti dai separatisti, dei quali i media e l’opinione pubblica sembravano, a suo parere, non curarsi:

“Uno degli spettacoli preferiti dai militanti della prima guerra erano i combattimenti tra schiavi. Penso che valga la pena menzionare anche questo. I militanti spesso organizzavano qualcosa di simile ai combattimenti di gladiatori: se vinci vivrai, se perdi, tu stesso avrai scelto la morte. Per salvarsi la vita alcuni dei prigionieri hanno accettato di convertirsi all’Islam. Successivamente i “convertiti” hanno affermato nelle interviste che essere musulmani significava servire la verità, che la Russia era un aggressore che stava compiendo un’ingiusta azione in Cecenia, e che i ceceni (cioè i banditi) erano giusti, stavano conducendo una guerra santa contro gli infedeli. […] L’adozione dell’Islam era cosparsa di sangue: prima di accettare l’Islam il prigioniero doveva sparare o pugnalare il suo compagno di prigionia […].

Anche rispetto agli eccessi compiuti dai militari russi, Troshev aveva una sua idea piuttosto chiara: i “suoi” uomini si comportarono sempre piuttosto bene, e laddove ci furono crimini, questi furono compiuti essenzialmente dalle unità dipendenti dal Ministero degli Interni, e dalla Polizia OMON:

“La prolungata presenza di truppe federali nei punti di schieramento, la passività nel disarmo dei gruppi di banditi e l’aumento del numero delle cosiddette perdite non combattenti hanno avuto un effetto deprimente sul personale. I casi di saccheggi sono diventati più frequenti, sempre più spesso si è cominciato a licenziare “soldati a contratto” per ubriachezza… […] Di quali standard etici possiamo parlare se i residenti di alcuni insediamenti classificano le forze federali a modo loro “per gradi”? Il primo scaglione combatte principalmente i banditi e condivide pane e cibo in scatola con i civili (si tratta principalmente di uomini dell’esercito). Il secondo scaglione fa una “pulizia”, non condivide nulla, ma non entra in casa finchè non lancia una granata per ogni evenienza, schiacciando tutto ciò che gli sta intorno (truppe interne). Il terzo “scaglione” passa per il villaggio con grandi borse in spalla e ruba tutto ciò che ha valora dai residenti locali (questa è principalmente la polizia). Questo “scaglionamento”, ripeto, non è stato inventato da me o dal quartier generale delle forze federali. Questa è la terminologia dei civili in Cecenia. Non voglio denigrare i rappresentanti delle truppe interne e della polizia (sono nostri fratelli d’armi) ma non ho nemmeno il diritto di chiudere gli occhi su tali fatti, poiché queste rapine possono in un attimo annullare enormi sforzi e vittorie di tutte le forze federali, compreso il Ministero degli Affari Interni, ottenute nelle battaglie con i banditi.”

Militari russi posano davanti ad una abitazione data alle fiamme.

ORGANIZZAZIONE MILITARE DEI SEPARATISTI

A dispetto dell’immagine descritta a posteriore dai separatisti, secondo la quale l’esercito dei difensori era poco più che un’accozzaglia di giovani volontari armati alla meno peggio e animati soltanto dal sacro dovere di resistere, Troshev descrive quanto invece, secondo lui, il fronte militare avversario forze forte e ben organizzato (nonché fiancheggiato da migliaia di mercenari), e di quanto difficile sarebbe stato per qualsiasi esercito piegarlo in battaglia:

Al 1° Marzo 1995 il numero totale del personale dei gruppi armati illegali, escluse le potenziali riserve nelle zone montuose, raggiungeva più di novemila persone, tra le quali più di tremilacinquecento erano mercenari e volontari provenienti dall’estero, vicino e lontano. Erano armati con più di 20 carri armati, 35 veicoli blindati per il trasporto della fanteria, 40 cannoni e mortai, 5 – 7 installazioni GRAD, 20 sistemi antiaerei. Allo stesso tempo, nel solo mese di Febbraio, il numero dei veicoli corazzati è raddoppiato a seguito delle riparazioni avviate nelle rimesse di Shali e Gudermes, ed anche la fornitura di armi attraverso Azerbaijan e Georgia è aumentata. I dudaeviti continuarono a raggruppare le loro forze ed i loro mezzi, preparandosi per le future battaglie. L’attenzione principale era posta al rafforzamento della difesa dei fronti di Gudermes e Shali. I gruppi militanti, qui, sono diventati i principali, poiché il baricentro della resistenza alle truppe federali si era spostato nelle regioni orientali e sudorientali della Repubblica. […] I militanti avevano preparato le basi con armi, munizioni, medicinali e cibo in anticipo, il che permise loro di condurre operazioni di combattimento in autonomia per lungo tempo. Nell’Est della Repubblica spiccavano le unità di difesa di Argun, Shali e Gudermes. La posizione geografica militarmente favorevole e la presenza di barriere d’acqua ramificate […] rafforzava i già potenti centri di resistenza. Ad esempio, la piazzaforte di Shali includeva due linee di difesa ben separate. La prima, su entrambe le rive del fiume Argun, sul lato di Chechen – Aul, Starye Atagi e Belgatoy. La seconda dentro Shali e nei sobborghi più vicini, con una rete sviluppata di strade di accesso che consentiva al nemico, se necessario, di manovrare prontamente con uomini e mezzi. Secondo le nostre informazioni qui erano concentrati fino a 1700 militanti, carri armati, artiglieria e mortai, oltre a diversi lanciarazzi. Non era escluso che da un momento all’altro potessero essere supportati da distaccamenti di militanti (fino a 500 persone) con attrezzatura provenienti dalla regione di Vedeno e dagli insediamenti di Kurchaloy e Avtury.

DOPO BUDENNOVSK

Il Raid su Budennovsk fu l’evento che determinò una svolta radicale nel primo conflitto ceceno. L’azione, ideata a portata a termine da Basayev e dai suoi luogotenenti, costrinse il governo federale a negoziare un cessate – il – fuoco, creando le premesse di quella “strana guerra” che, trascinandosi fino all’autunno del 1995, avrebbe permesso ai separatisti di riorganizzarsi e di preparare la riscossa del 1996.

“Avendo abbandonato il confronto diretto e utilizzando un accordo su un cessate il fuoco reciproco, i militanti hanno fatto affidamento sulle tattiche di guerriglia, del sabotaggio e delle attività terroristiche. Molti uomini ceceni ripresero nuovamente le armi. In montagna di formarono gruppi per compiere sabotaggi, vennero create nuove basi dei militanti, dove venivano addestrati i sabotatori. In particolari, “scuole” simili erano situate nelle vicinanze di Bamut, di Orekhov, di Roshni – Chu. Un centro di formazione operava sul territorio della vicina Inguscezia – presso il dipartimento regionale degli affari interni della regione di Dzheyrakh, nell’edificio del sanatorio “Armkhi”. Durante la moratoria, il comando dei militanti provenienti da distaccamenti sparsi e demoralizzati è riuscito a riunire quattro gruppi relativamente grandi, rifornirli di “volontari”, armi e munizioni, ripristinare il sistema di controllo e dispiegare un nuovo sistema di comunicazione cellulare.

Alla fine di Agosto i gruppi di banditi, fino a cinquemila, si erano concentrati in quattro regioni principali: est, sud, ovest e centro. Erano armati con 10 carri armati, 12/14 veicoli da combattimento per la fanteria e veicoli blindati, 15/16 cannoni e mortai, diversi lanciarazzi a lancio multiplo, due dozzine di sistemi missilistici antiaerei. Attrezzature e armi arrivavano dall’estero attraverso Azerbaijan, Georgia e Inguscezia. La comunicazione tra i posti di controllo dei gruppi armati illegali era garantita da un sistema ad onde ultracorte a sette frequenze fisse, utilizzando stazioni radio della società Motorola. Per garantire la segretezza, il comando militare cambiò i nominativi degli ufficiali e dei comandanti sul campo che lavoravano nella rete radio del controllo operativo.

Mentre le nostre truppe erano sulle montagne, il nemico iniziò a ritirare le sue truppe nella pianure, inclusa Grozny. Gli attacchi con armi leggere, mortai e lanciagranate ai posti di blocco e alle basi dei federali non si fermava, La “guerra contro le mine” si svolgeva su larga scala. Anche nel processo di consegna delle armi da parte della popolazione, i militanti cercavano di ottenere il massimo beneficio per loro stessi: portavano per lo più armi vecchie o difettose e ricevevano una discreta ricompensa in denaro per ogni carico. Poi persone fidate dei militanti compravano armi nuove ai bazar con questo denaro. Questa è una scena abbastanza tipica. Si capiva sempre più chiaramente che gli accordi firmati con i capi delle formazioni di banditi erano una formalità, e non venivano praticamente rispettati.

Da sinistra a destra: Isa Madae (con il basco)v, Gennady Troshev (con il cappello), Aslan Maskhadov

IL SUPPORTO DELLA DIASPORA ALLA RESISTENZA CECENA

Contrariamente a quanto affermato dai separatisti, Troshev valutava come “determinante” l’appoggio fornito dai sostenitori esterni alla resistenza armata. Si riferiva certamente non soltanto alle donazioni volontarie dei ceceni all’estero, ma anche al supporto interessato dei governi in attrito con la Russia, e dai loro servizi segreti. In questo passo Troshev parla delle organizzazioni appartenenti alla diaspora Vaynakh che sostenevano i dudaeviti durante la Prima Guerra Cecena e della resistenza durante la Seconda:

“Caratteristiche distintive dei membri delle diaspore cecene sia nei pasi della CSI che nel lontano estero sono il pregiudizio anti  -russo, tradizioni storiche e religiose comuni, idee ed obiettivi nazionalisti, il che determina il loro sostegno al movimento separatista in Cecenia. La diaspora cecena in Turchia, ad esempio, è una delle più numerose, contando oltre trentamila persone, alcune delle quali occupano posizioni di rilievo nei più alti organi statali e nelle forze armate. Secondo le stime circa 50.000 Vaynakh si trovano in Giordania, Siria ed Iraq. Una colonia cecena di diverse decine di migliaia di persone risiede permanentemente negli Emirati Arabi Uniti. Ci sono circa 2.000 ceceni in Israele. Nelle aree nelle quali la loro presenza è più massiccia i ceceni dimostrano un alto livello di coesione nazionale con i loro compatrioti nella loro terra natale. Subito dopo l’inizio della seconda campagna militare cecena, diversi milioni di dollari sono stati inviati solo dall’Arabi Saudita ai “fratelli della fede”: Un altro tipo di assistenza è il reclutamento di mercenari tra i rappresentanti delle diaspore negli stati del Vicino e Medio Oriente.

Le diaspore cecene sono le più influenti e organizzate nelle repubbliche che facevano parte dell’ex Unione Sovietica. I loro rappresentanti in Bielorussia, Ucraina, Moldavia e Kazakistan mantengono legami con la Cecenia. Queste connessioni sono spesso di natura criminale. In particolare, i “nuovi ceceni” forniscono assistenza finanziaria a gruppi armati illegali. Secondo le forze dell’ordine, una delle fonti di reddito per i “gruppi ceceni” sono i contributi degli imprenditori locali. Anche durante il conflitto armato del 1994 – 1996, le comunità cecene della CSI hanno pagato la cosiddetta “tassa volontaria sugli aiuti ai fratelli belligeranti”. In Kazakistan, ad esempio, questa ha raggiunto il 10% del reddito della diaspora nazionale. Secondo alcuni rapporti, dal 25 al 50 percento dei profitti delle attività degli uomini d’affari ceceni sarebbero stati inviati in Cecenia.

In Russia la diaspora cecena conta circa cinquecentomila persone. Non è un segreto che la maggior parte dei suoi rappresentanti sia coinvolta nel business criminale. Controllano il commercio dei prodotti petroliferi, i servizi ai consumatori, la ristorazione pubblica e la lavorazione dei prodotti agricoli. In alcune regione della Russia, addirittura, controllano completamente l’attività del prestito, ed in alcuni casi influenzano i rappresentanti delle autorità locali. Ci sono prove che nella stessa Russia ci siano banche e aziende che sono state impegnate in transazioni fraudolente nel settore monetario.

Uno  dei partecipanti al finanziamento illegale dei gruppi armati illegali era la Transcreditbank, con sede a Mosca. Secondo la Direzione principale per la Lotta alla Criminalità Organizzata del Ministero degli Affari Interni della Federazione Russa, la direzione della banca ha partecipato alle attività di legalizzazione dei proventi criminali, incassando fondi e incanalandoli verso i combattenti ceceni. Secondo il GUBOP, ogni giorno sono stati incassati fino a cinque milioni di dollari attraverso società appositamente create. E questo è tutt’altro che un esempio isolato.

Alexander Lebed ed Aslan Maskhadov si scambiano una stretta di mano a seguito degli Accordi Di Khasavyurt

GLI ACCORDI DI KHASAVYURT

Troshev fu molto critico verso l’approccio accomodante assunto dal governo federale nei confronti dei Ceceni, durante le trattative che portarono alla firma degli Accordi di Khasavyurt. Nelle sue memorie il Generale russo riporta un aneddoto e le sue riflessioni:

“Gli accordi di Khasavyurt hanno stretto ancora di più il nodo dei problemi caucasici. Difficilmente Alexander Lebed, mettendo la sua firma, avrebbe potuto credere che i militanti si sarebbero disarmati ed avrebbero fermato le loro attività illegali. Le nostre unità militari erano ancora sul territorio della Cecenia, ed i leader di Ichkeria avevano già iniziato a ricostruire il loro esercito, svolgendo l’addestramento dei futuri terroristi in apposite scuole e campi di sabotaggio.

A metà del 1997 in un campo di addestramento di Grozny si consegnarono i “diplomi”. Salman Raduev si rivolse ai diplomati. Cito quasi integralmente il suo discorso, perché è molto simbolico ed ha un carattere programmatico.

“Fratelli, oggi lasciate le mura della nostra scuola. Per quattro mesi i vostri insegnanti vi hanno insegnato l’arte del sabotaggio, della corruzione, della diffusione di voci e molto altro. Avete preso tutti parte alla guerra, santa per l’indipendenza di Ichkeria, e non importa che tra voi non ci siano solo ceceni e musulmani, Ichkeria è diventata comunque la loro vera patria, hanno versato il loro sangue nella lotta per la libertà, vivono secondo le leggi della Sharia, sono nostri fratelli.

Ora Mosca sta cercando di convincere tutti che ci darà il mondo. Non ci credo, così come né Shamil [Basayev, ndr] né Aslan [Maskhadov, ndr] ne molti altri, che hanno guadagnato l’indipendenza con le armi in pugno, ci credono. Tutte le promesse di Mosca sui finanziamenti non sono altro che chiacchiere per stupidi. Il denaro trasferito attraverso le banche russe finirà nelle tasche dei funzionari. Aslan è fantastico. Tiene Eltsij per il naso e, probabilmente, riuscirà ad ottenere i soldi per la nostra banca nazionale. E anche se non ci riuscisse, va bene. Non abbiamo bisogno dei soldi russi. Ci verranno dati da alcuni paesi europei, oltre a Pakistan, Afghanistan e Iran. Da loro riceveremo denaro, armi ed equipaggiamento militare per armare il nostro esercito. Si, e tra i più alti funzionari russi ce ne sono molti pronti a venderci armi, cibo, uniformi […].

Le nostre richieste: completa indipendenza politica di Ichkeria. La Russia, in quanto parte sconfitta in guerra, è obbligata a pagare un’indennità. Ogni centesimo. Senza condizione. Di coloro che hanno sostenuto Mosca nella guerra, ci occuperemo con la Legge della Shari […].

Già domani alcuni di voi inizieranno a svolgere i loro incarichi. Il vostro compito è seminare terrore mortale tra coloro che hanno venduto Allah. Devono sentire la mano fredda della morte ogni ora. Tra tutti i militari che sono ancora sul nostro territorio è necessario seminare confusione e paura. Prendete in ostaggio, e uccideteli. Allah perdonerà tutto, non prestate attenzione alle grida dei politici: questa non è altro che una cortina sonora.

Un compito speciale per chi si stabilisce in Russia e negli stati limitrofi. Il vostro compito è infiltrarvi nelle strutture di potere, negli organi amministrativi e finanziari. Il vostro compito e destabilizzare la situazione, l’economia e le finanze. Create basi, selezionate persone, non dovrete aspettare  a lungo. Se Ichkeria non riceverà la completa libertà e indipendenza entro la primavera, colpiremo quasi tutte le grandi città industriali.

[…] Dovete gettare fango su quei russi che sono patriottici. E’ molto facile accusarli di fascismo, antisemitismo e nazionalismo. Quelli tra i Gentili che vogliono stare sotto al Sacra Bandiera del Profeta devono essere battezzati con il sangue. Allora non avranno modo di tornare indietro. […].