A seguito della Battaglia di Komsomolskoye (5 – 20 Marzo 2000) Ruslan Gelayev, uno dei più audaci ed agguerriti comandanti dell’esercito della ChRI, riparò in Georgia con i resti delle sue unità, trovando riparo in una piccola gola abitata prevalentemente da Ceceni, la celebre Gola di Pankisi. Qui “L’angelo nero” installò il suo quartier generale, raccogliendo reduci e fuggiaschi ed instaurando una sorta di piccolo potentato personale, dal quale avrebbe più volte avviato campagne militari in Cecenia, in Inguscezia ed in Abkhazia.
Uomini di Gelayev si arrendono ai federali al termine della Battaglia per Komsomolskoye (2000)
Giunto a Pankisi nell’autunno del 2000, Gelayev passò tutto l’anno successivo a ricostituire le sue forze, abbandonando apparentemente il campo di battaglia e subendo, per questo, il biasimo del Presidente Maskhadov, il quale lo privò di tutti i suoi poteri e lo degradò con formale decreto. Fino alla primavera del 2002 il comandante ceceno rimase a Pankisi, studiando il modo migliore per tornare in Cecenia. Il rientro sul campo di battaglia era possibile soltanto attraverso l’Inguscezia (strada che aveva già percorso nel 2000, quando si era ritirato) o tramite la gola di Kerigo, la quale collegava direttamente Pankisi alla cittadina cecena di Baskhoy. Il primo percorso era più agevole, ma anche più pericoloso: durante la ritirata Gelayev aveva perduto decine di uomini, trovandosi spesso in campo aperto sotto il fuoco dell’aereonautica federale ed incalzato dai mezzi blindati di Mosca. Inoltre, una volta arrivati in Cecenia, i gelayeviti avrebbero dovuto aprirsi un varco dalle pianure verso le montagne, rischiando di essere facilmente intercettati e distrutti. Il passaggio montano attraverso Kerigo appariva più sicuro, ma d’altra parte era molto più difficile da affrontare: non esistevano strade carrabili sicure (l’unica strada di una certa portanza era la Itum – Khale / Shatili, stabilmente occupata dai russi fin dalla fine del 1999 – Per approfondire LEGGI QUI) e gli uomini di Gelayev avrebbero dovuto affrontare la traversata a piedi, trasportando in spalla, o a dorso di mulo, tutto ciò che sarebbe servito loro. D’altra parte, una volta sbucati in Cecenia, i Gelayeviti si sarebbero trovati in posizioni più favorevoli, ed avrebbero potuto facilmente ricongiungersi con gli uomini di Maskhadov che ancora combattevano nel sud montagnoso.
Militanti avanzano nella neve
LA VIA DELLE MONTAGNE
A confortare l’ipotesi di un passaggio attraverso le montagne c’era un felice precedente: nell’estate del 2001 un altro comandante di campo, Magomed Tsagaraev, era riuscito a passare da Pankisi alla Cecenia attraverso la Gola dello Sharoargun, poco distante da Kerigo, con un gruppo di 60 uomini. La traversata non era stata facile, e le guardie di frontiera russe avevano intercettato ed ucciso alcuni dei suoi, ma Tsagaraev era comunque riuscito a passare con quasi tutti i suoi effettivi, raggiungendo con successo la zona di combattimento (salvo poi finire ucciso in una sparatoria poche settimane dopo). Gelayev era convinto di poter aprire una vera e propria rotta montana attraverso la quale far affluire alla spicciolata piccoli gruppi di 40/50 militanti per volta, eludendo la debole sorveglianza offerta dai servizi di frontiera federali (i quali avevano grosse difficoltà ad operare efficacemente in quell’area così brulla e frastagliata) e portando centinaia di uomini sulle montagne cecene entro l’inverno.
Nei mesi precedenti il comandante ceceno inviò parecchie pattuglie in ricognizione, con lo scopo di mappare la posizione delle guardie di frontiera e seguire i loro spostamenti. Durante una di queste ricognizioni una pattuglia di Gelayev fu intercettata dai federali: i militanti si qualificarono come cacciatori, ma il fatto che fossero armati con fucili mitragliatori rese chiaro quale fosse lo scopo delle loro “battute di caccia”. I federali ebbero così piena consapevolezza che Gelayev stesse organizzando qualcosa, ed intensificarono la sorveglianza. Ciononostante l’Angelo Nero decise di procedere ugualmente, e nei primi giorni di Luglio guidò il primo distaccamento sulle montagne. La presenza dei gelayeviti non passò inosservata, ed il 21 Luglio i ceceni furono avvistati: con loro portavano armi da guerra, lanciagranate e perfino armi portatili terra – aria. Il 27 Luglio un primo reparto federale composto da una ventina di uomini, agli ordini del Maggiore Popov, intercettò una pattuglia avanzata cecena e si mosse a neutralizzarla. Il comando federale supportò l’azione inviando elicotteri da combattimento, e nel giro di poche ore combattimenti si accesero in tutta la gola. Popov aveva sottostimato l’entità delle forze nemiche, pensando di trovarsi davanti al massimo una decina di militanti, ma il rabbioso fuoco di risposta che ricevette, diretto anche contro gli elicotteri, rese presto chiaro che Gelayev aveva portato con sé svariate decine di uomini.
Ruslan Gelayev (al centro, in nero) circondato dai suoi uomini
LA BATTAGLIA
Non potendo procedere oltre per via della accanita resistenza dei militanti, Popov, optò per assumere una posizione difensiva e chiamare rinforzi: nel giro di alcune ore giunsero sul campo di battaglia alcune unità di mortaio che presero a bombardare le posizioni tenute dai gelayeviti. Il bombardamento fu efficace, e nel giro di poche ore produsse lo sbandamento della forza cecena. I russi presero ad avanzare, raggiunsero le posizioni nemiche e le assaltarono, prendendo cinque prigionieri e rinvenendo i resti di parecchi militanti. I prigionieri confermarono che la loro unità, composta da una venticinquina di uomini era l’avanguardia di un gruppo più corposo. I federali catturarono parecchie armi di ottima fattura, tra le quali 5 MANPADS.
Era chiaro che il reparto che era stato attaccato e distrutto dai russi non era né l’unico, né il più consistente, così le truppe federali continuarono ad affluire in zona, tentando di intercettare gli altri. Stavolta, tuttavia, le bande di Gelayev erano penetrate nei boschi circostanti la gola, e per stanarli sarebbe servita una lunga caccia all’uomo senza la copertura dell’artiglieria e dell’aereonautica. Reparti russi e ceceni si scontrarono nelle ore seguenti, in un complesso gioco di imboscate e sganciamenti durante il quale i reparti avversari giunsero a scontrarsi a distanza molto ravvicinata. In uno di questi scontri lo stesso Maggiore Popov rimase ucciso, probabilmente da un colpo di cecchino. Al calar del sole, Gelayev capì che anche se fosse riuscito ad aver ragione delle truppe federali (le quali, comunque continuavano ad affluire copiosamente) non avrebbe avuto alcuna possibilità di uscire dalla gola. Avendo perduto l’effetto sorpresa, e non potendo competere con i federali in campo aperto, decise quindi di far ritorno a Pankisi.
Mitragliere di Gelayev
Al termine della battaglia giacevano sul campo di battaglia almeno 25 militanti. Per parte sua l’esercito di Mosca aveva patito 8 morti e 7 feriti. Nei giorni seguenti i russi tentarono di intercettare i gelayeviti in ritirata, e secondo quanto dichiarato dal comando federale un altro contingente ceceno fu individuato, attaccato e distrutto prima che riuscisse ad attraversare il confine. Il fallimento dell’operazione convinse Gelayev a rientrare in Cecenia attraverso l’Inguscezia.
Gennady Troshev è stato uno dei protagonisti delle due guerre russo – cecene: comandò le forze federali durante il primo conflitto, guidò la difesa del Daghestan dall’invasione islamista dell’Agosto 1999 e poi di nuovo la seconda invasione della Cecenia. Su questa esperienza ha scritto tre libri: “La mia guerra: Diario di un Generale in Trincea” (2001) “Recidiva Cecena: Note del Comandante” (2003) e “Pausa Cecena: Diari e Ricordi (2008). Si tratta di raccolte di documenti, resoconti, riflessioni, che fanno somigliare i tre libri più ad un diario personale che ad un memoriale organico.
Troshev fu uno dei più accaniti oppositori della Repubblica Cecena di Ichkeria. Le sue memorie, come vedremo, lasciano trasparire in maniera chiara il suo punto di vista non soltanto come militare, ma anche come funzionario leale alla causa della Federazione Russa, fiero oppositore del secessionismo ceceno e implacabile critico dei suoi leaders. Le sue parole non sono quelle dello storico, o dell’analista politico: forse proprio per questo spiegano in maniera più efficace (in quanto non – neutrale) le ragioni di chi prese le armi contro la ChRI.
Lo slideshow mostra le copertine dei tre libri scritti da Troshev
SERVIZI SEGRETI
Troshev ebbe fin dall’inizio una pessima opinione di Dudaev. Lo considerava come una sorta di “gangster in divisa”, e biasimava il governo russo per averlo indirettamente favorito rispetto a Zavgaev, del quale apprezzava il pragmatismo e la visione di prospettiva. Secondo lui Dudaev aveva avuto più di un alleato “non convenzionale”: il neonato governo Eltsin, come dicevamo, ma anche i servizi segreti di molti paesi, desiderosi a vario titolo di indebolire la posizione della Russia.
“E’ anche assolutamente indiscutibile che molti servizi segreti stranieri abbiano “ereditato” la Cecenia. Soprattutto quelli mediorientali. Sotto la “copertura” di varie compagnie, hanno svolto il loro lavoro praticamente alla luce del sole, con lo scopo non tanto di raccogliere informazioni, quanto di preparare il conflitto militare tra la Cecenia e la Russia. Ciò è dimostrato da numerose intercettazioni di informazioni di intelligence e dalle testimonianze degli stessi agenti. Mosca ha reagito lentamente a queste circostanze. Come mi ha detto a Grozny uno degli alti rappresentanti delle forze dell’ordine russe, questa passività è stata associata alla corruzione dei vertici del governo federale ed all’instabilità della situazione politica nel paese nel suo complesso.”
La guerra, quindi, fu procurata secondo Troshev anche dall’intervento di forze esterne intenzionate ad aumentare l’attrito tra i nazionalisti ceceni ed il governo federale.
Dzokhar Dudaev in abito
IMPREPARAZIONE DELL’ESERCITO FEDERALE
Troshev fu inviato a guidare le unità dell’esercito federale poco dopo l’ingresso delle truppe in Cecenia. Come comandante dovette confrontarsi fin da subito con la carenza organizzativa e morale dell’esercito che era stato inviato a guidare.
“l’operazione [l’assalto a Grozny, ndr.] è iniziata il 31 dicembre 1994. Secondo alcuni generali l’iniziativa per l’assalto “festivo” di Capodanno sarebbe stata ideata da persone appartenenti alla cerchia ristretta del Ministero della Difesa, desiderose di far coincidere la cattura della città con il compleanno di Pave Sergeevich [Grachev, Ndr.]. Non so quanto ci sia di vero qui, ma il fatto che l’operazione sia stata davvero preparata in fretta, senza una reale valutazione delle forze e dei mezzi del nemico è un dato di fatto. Non si fece in tempo neanche a dare un nome all’operazione.
Sulla base dei dati operativi sul gruppo a difesa della città, era necessario avere almeno 50/60 mila persone per l’assalto. Questi calcoli hanno una propria logica, dimostrata dall’esperienza storica. […] Al 3 Gennaio non c’erano più di cinquemila persone a Grozny e, lasciatemelo ricordare, c’erano il doppio dei militanti!
Le comunicazioni radio nelle unità che assaltavano Grozny erano quasi paralizzate a causa della confusione che regnava nell’aria. Non c’era praticamente alcuna integrazione tra le unità, l’inesperienza affliggeva la maggior parte dei guidatori dei carri armati e dei veicoli da combattimento per fanteria. […] Colonne miste (automobili e mezzi blindati) si allungavano su strade strette senza margini di manovra. Di conseguenza, fanteria ed equipaggiamento furono colpiti dagli edifici a bruciapelo. I comandanti, a partire dal comandante di battaglione a seguire, in realtà non avevano una mappa di Grozny, da qui le frequenti “interruzioni” del percorso, e la perdita di orientamento. E se qualcuno aveva le mappe, erano nella migliore delle ipotesi modelli del 1980, molto obsoleti e mancanti di interi microdistretti.
I numeri citati da Troshev riguardo la consistenza delle unità attaccanti non devono essere mal interpetati: per lui erano da considerarsi unità combattenti soltanto gli uomini inquadrati nell’esercito, e tra questi soltanto i reparti che guidarono il primo assalto alla città. L’opinione del Generale qui è sostanzialmente quella sostenuta dalla maggior parte degli analisti militari: l’invasione della Cecenia e l’assalto a Grozny furono improvvisati e guidati dalla convinzione che una semplice prova di forza sarebbe bastata a far fuggire i separatisti.
CRIMINI DI GUERRA
La Prima Guerra Cecena vide la Russia sconfitta prima di tutto sul fronte dell’informazione. Impreparati a gestire la mediaticità dei nuovi conflitti, i comandi russi si trovarono a doversi proteggere da un fuoco di critiche, essendo incapaci di seguire un’efficace strategia comunicativa. Il fulcro della propaganda separatista furono i costanti resoconti delle atrocità commesse dall’esercito federale, ma soprattutto dalla polizia OMON, sui civili ceceni. Nelle sue memorie Troshev racconta una sua versione dei crimini di guerra compiuti dai separatisti, dei quali i media e l’opinione pubblica sembravano, a suo parere, non curarsi:
“Uno degli spettacoli preferiti dai militanti della prima guerra erano i combattimenti tra schiavi. Penso che valga la pena menzionare anche questo. I militanti spesso organizzavano qualcosa di simile ai combattimenti di gladiatori: se vinci vivrai, se perdi, tu stesso avrai scelto la morte. Per salvarsi la vita alcuni dei prigionieri hanno accettato di convertirsi all’Islam. Successivamente i “convertiti” hanno affermato nelle interviste che essere musulmani significava servire la verità, che la Russia era un aggressore che stava compiendo un’ingiusta azione in Cecenia, e che i ceceni (cioè i banditi) erano giusti, stavano conducendo una guerra santa contro gli infedeli. […] L’adozione dell’Islam era cosparsa di sangue: prima di accettare l’Islam il prigioniero doveva sparare o pugnalare il suo compagno di prigionia […].
Anche rispetto agli eccessi compiuti dai militari russi, Troshev aveva una sua idea piuttosto chiara: i “suoi” uomini si comportarono sempre piuttosto bene, e laddove ci furono crimini, questi furono compiuti essenzialmente dalle unità dipendenti dal Ministero degli Interni, e dalla Polizia OMON:
“La prolungata presenza di truppe federali nei punti di schieramento, la passività nel disarmo dei gruppi di banditi e l’aumento del numero delle cosiddette perdite non combattenti hanno avuto un effetto deprimente sul personale. I casi di saccheggi sono diventati più frequenti, sempre più spesso si è cominciato a licenziare “soldati a contratto” per ubriachezza… […] Di quali standard etici possiamo parlare se i residenti di alcuni insediamenti classificano le forze federali a modo loro “per gradi”? Il primo scaglione combatte principalmente i banditi e condivide pane e cibo in scatola con i civili (si tratta principalmente di uomini dell’esercito). Il secondo scaglione fa una “pulizia”, non condivide nulla, ma non entra in casa finchè non lancia una granata per ogni evenienza, schiacciando tutto ciò che gli sta intorno (truppe interne). Il terzo “scaglione” passa per il villaggio con grandi borse in spalla e ruba tutto ciò che ha valora dai residenti locali (questa è principalmente la polizia). Questo “scaglionamento”, ripeto, non è stato inventato da me o dal quartier generale delle forze federali. Questa è la terminologia dei civili in Cecenia. Non voglio denigrare i rappresentanti delle truppe interne e della polizia (sono nostri fratelli d’armi) ma non ho nemmeno il diritto di chiudere gli occhi su tali fatti, poiché queste rapine possono in un attimo annullare enormi sforzi e vittorie di tutte le forze federali, compreso il Ministero degli Affari Interni, ottenute nelle battaglie con i banditi.”
Militari russi posano davanti ad una abitazione data alle fiamme.
ORGANIZZAZIONE MILITARE DEI SEPARATISTI
A dispetto dell’immagine descritta a posteriore dai separatisti, secondo la quale l’esercito dei difensori era poco più che un’accozzaglia di giovani volontari armati alla meno peggio e animati soltanto dal sacro dovere di resistere, Troshev descrive quanto invece, secondo lui, il fronte militare avversario forze forte e ben organizzato (nonché fiancheggiato da migliaia di mercenari), e di quanto difficile sarebbe stato per qualsiasi esercito piegarlo in battaglia:
Al 1° Marzo 1995 il numero totale del personale dei gruppi armati illegali, escluse le potenziali riserve nelle zone montuose, raggiungeva più di novemila persone, tra le quali più di tremilacinquecento erano mercenari e volontari provenienti dall’estero, vicino e lontano. Erano armati con più di 20 carri armati, 35 veicoli blindati per il trasporto della fanteria, 40 cannoni e mortai, 5 – 7 installazioni GRAD, 20 sistemi antiaerei. Allo stesso tempo, nel solo mese di Febbraio, il numero dei veicoli corazzati è raddoppiato a seguito delle riparazioni avviate nelle rimesse di Shali e Gudermes, ed anche la fornitura di armi attraverso Azerbaijan e Georgia è aumentata. I dudaeviti continuarono a raggruppare le loro forze ed i loro mezzi, preparandosi per le future battaglie. L’attenzione principale era posta al rafforzamento della difesa dei fronti di Gudermes e Shali. I gruppi militanti, qui, sono diventati i principali, poiché il baricentro della resistenza alle truppe federali si era spostato nelle regioni orientali e sudorientali della Repubblica. […] I militanti avevano preparato le basi con armi, munizioni, medicinali e cibo in anticipo, il che permise loro di condurre operazioni di combattimento in autonomia per lungo tempo. Nell’Est della Repubblica spiccavano le unità di difesa di Argun, Shali e Gudermes. La posizione geografica militarmente favorevole e la presenza di barriere d’acqua ramificate […] rafforzava i già potenti centri di resistenza. Ad esempio, la piazzaforte di Shali includeva due linee di difesa ben separate. La prima, su entrambe le rive del fiume Argun, sul lato di Chechen – Aul, Starye Atagi e Belgatoy. La seconda dentro Shali e nei sobborghi più vicini, con una rete sviluppata di strade di accesso che consentiva al nemico, se necessario, di manovrare prontamente con uomini e mezzi. Secondo le nostre informazioni qui erano concentrati fino a 1700 militanti, carri armati, artiglieria e mortai, oltre a diversi lanciarazzi. Non era escluso che da un momento all’altro potessero essere supportati da distaccamenti di militanti (fino a 500 persone) con attrezzatura provenienti dalla regione di Vedeno e dagli insediamenti di Kurchaloy e Avtury.
DOPO BUDENNOVSK
Il Raid su Budennovsk fu l’evento che determinò una svolta radicale nel primo conflitto ceceno. L’azione, ideata a portata a termine da Basayev e dai suoi luogotenenti, costrinse il governo federale a negoziare un cessate – il – fuoco, creando le premesse di quella “strana guerra” che, trascinandosi fino all’autunno del 1995, avrebbe permesso ai separatisti di riorganizzarsi e di preparare la riscossa del 1996.
“Avendo abbandonato il confronto diretto e utilizzando un accordo su un cessate il fuoco reciproco, i militanti hanno fatto affidamento sulle tattiche di guerriglia, del sabotaggio e delle attività terroristiche. Molti uomini ceceni ripresero nuovamente le armi. In montagna di formarono gruppi per compiere sabotaggi, vennero create nuove basi dei militanti, dove venivano addestrati i sabotatori. In particolari, “scuole” simili erano situate nelle vicinanze di Bamut, di Orekhov, di Roshni – Chu. Un centro di formazione operava sul territorio della vicina Inguscezia – presso il dipartimento regionale degli affari interni della regione di Dzheyrakh, nell’edificio del sanatorio “Armkhi”. Durante la moratoria, il comando dei militanti provenienti da distaccamenti sparsi e demoralizzati è riuscito a riunire quattro gruppi relativamente grandi, rifornirli di “volontari”, armi e munizioni, ripristinare il sistema di controllo e dispiegare un nuovo sistema di comunicazione cellulare.
Alla fine di Agosto i gruppi di banditi, fino a cinquemila, si erano concentrati in quattro regioni principali: est, sud, ovest e centro. Erano armati con 10 carri armati, 12/14 veicoli da combattimento per la fanteria e veicoli blindati, 15/16 cannoni e mortai, diversi lanciarazzi a lancio multiplo, due dozzine di sistemi missilistici antiaerei. Attrezzature e armi arrivavano dall’estero attraverso Azerbaijan, Georgia e Inguscezia. La comunicazione tra i posti di controllo dei gruppi armati illegali era garantita da un sistema ad onde ultracorte a sette frequenze fisse, utilizzando stazioni radio della società Motorola. Per garantire la segretezza, il comando militare cambiò i nominativi degli ufficiali e dei comandanti sul campo che lavoravano nella rete radio del controllo operativo.
Mentre le nostre truppe erano sulle montagne, il nemico iniziò a ritirare le sue truppe nella pianure, inclusa Grozny. Gli attacchi con armi leggere, mortai e lanciagranate ai posti di blocco e alle basi dei federali non si fermava, La “guerra contro le mine” si svolgeva su larga scala. Anche nel processo di consegna delle armi da parte della popolazione, i militanti cercavano di ottenere il massimo beneficio per loro stessi: portavano per lo più armi vecchie o difettose e ricevevano una discreta ricompensa in denaro per ogni carico. Poi persone fidate dei militanti compravano armi nuove ai bazar con questo denaro. Questa è una scena abbastanza tipica. Si capiva sempre più chiaramente che gli accordi firmati con i capi delle formazioni di banditi erano una formalità, e non venivano praticamente rispettati.
Da sinistra a destra: Isa Madae (con il basco)v, Gennady Troshev (con il cappello), Aslan Maskhadov
IL SUPPORTO DELLA DIASPORA ALLA RESISTENZA CECENA
Contrariamente a quanto affermato dai separatisti, Troshev valutava come “determinante” l’appoggio fornito dai sostenitori esterni alla resistenza armata. Si riferiva certamente non soltanto alle donazioni volontarie dei ceceni all’estero, ma anche al supporto interessato dei governi in attrito con la Russia, e dai loro servizi segreti. In questo passo Troshev parla delle organizzazioni appartenenti alla diaspora Vaynakh che sostenevano i dudaeviti durante la Prima Guerra Cecena e della resistenza durante la Seconda:
“Caratteristiche distintive dei membri delle diaspore cecene sia nei pasi della CSI che nel lontano estero sono il pregiudizio anti -russo, tradizioni storiche e religiose comuni, idee ed obiettivi nazionalisti, il che determina il loro sostegno al movimento separatista in Cecenia. La diaspora cecena in Turchia, ad esempio, è una delle più numerose, contando oltre trentamila persone, alcune delle quali occupano posizioni di rilievo nei più alti organi statali e nelle forze armate. Secondo le stime circa 50.000 Vaynakh si trovano in Giordania, Siria ed Iraq. Una colonia cecena di diverse decine di migliaia di persone risiede permanentemente negli Emirati Arabi Uniti. Ci sono circa 2.000 ceceni in Israele. Nelle aree nelle quali la loro presenza è più massiccia i ceceni dimostrano un alto livello di coesione nazionale con i loro compatrioti nella loro terra natale. Subito dopo l’inizio della seconda campagna militare cecena, diversi milioni di dollari sono stati inviati solo dall’Arabi Saudita ai “fratelli della fede”: Un altro tipo di assistenza è il reclutamento di mercenari tra i rappresentanti delle diaspore negli stati del Vicino e Medio Oriente.
Le diaspore cecene sono le più influenti e organizzate nelle repubbliche che facevano parte dell’ex Unione Sovietica. I loro rappresentanti in Bielorussia, Ucraina, Moldavia e Kazakistan mantengono legami con la Cecenia. Queste connessioni sono spesso di natura criminale. In particolare, i “nuovi ceceni” forniscono assistenza finanziaria a gruppi armati illegali. Secondo le forze dell’ordine, una delle fonti di reddito per i “gruppi ceceni” sono i contributi degli imprenditori locali. Anche durante il conflitto armato del 1994 – 1996, le comunità cecene della CSI hanno pagato la cosiddetta “tassa volontaria sugli aiuti ai fratelli belligeranti”. In Kazakistan, ad esempio, questa ha raggiunto il 10% del reddito della diaspora nazionale. Secondo alcuni rapporti, dal 25 al 50 percento dei profitti delle attività degli uomini d’affari ceceni sarebbero stati inviati in Cecenia.
In Russia la diaspora cecena conta circa cinquecentomila persone. Non è un segreto che la maggior parte dei suoi rappresentanti sia coinvolta nel business criminale. Controllano il commercio dei prodotti petroliferi, i servizi ai consumatori, la ristorazione pubblica e la lavorazione dei prodotti agricoli. In alcune regione della Russia, addirittura, controllano completamente l’attività del prestito, ed in alcuni casi influenzano i rappresentanti delle autorità locali. Ci sono prove che nella stessa Russia ci siano banche e aziende che sono state impegnate in transazioni fraudolente nel settore monetario.
Uno dei partecipanti al finanziamento illegale dei gruppi armati illegali era la Transcreditbank, con sede a Mosca. Secondo la Direzione principale per la Lotta alla Criminalità Organizzata del Ministero degli Affari Interni della Federazione Russa, la direzione della banca ha partecipato alle attività di legalizzazione dei proventi criminali, incassando fondi e incanalandoli verso i combattenti ceceni. Secondo il GUBOP, ogni giorno sono stati incassati fino a cinque milioni di dollari attraverso società appositamente create. E questo è tutt’altro che un esempio isolato.
Alexander Lebed ed Aslan Maskhadov si scambiano una stretta di mano a seguito degli Accordi Di Khasavyurt
GLI ACCORDI DI KHASAVYURT
Troshev fu molto critico verso l’approccio accomodante assunto dal governo federale nei confronti dei Ceceni, durante le trattative che portarono alla firma degli Accordi di Khasavyurt. Nelle sue memorie il Generale russo riporta un aneddoto e le sue riflessioni:
“Gli accordi di Khasavyurt hanno stretto ancora di più il nodo dei problemi caucasici. Difficilmente Alexander Lebed, mettendo la sua firma, avrebbe potuto credere che i militanti si sarebbero disarmati ed avrebbero fermato le loro attività illegali. Le nostre unità militari erano ancora sul territorio della Cecenia, ed i leader di Ichkeria avevano già iniziato a ricostruire il loro esercito, svolgendo l’addestramento dei futuri terroristi in apposite scuole e campi di sabotaggio.
A metà del 1997 in un campo di addestramento di Grozny si consegnarono i “diplomi”. Salman Raduev si rivolse ai diplomati. Cito quasi integralmente il suo discorso, perché è molto simbolico ed ha un carattere programmatico.
“Fratelli, oggi lasciate le mura della nostra scuola. Per quattro mesi i vostri insegnanti vi hanno insegnato l’arte del sabotaggio, della corruzione, della diffusione di voci e molto altro. Avete preso tutti parte alla guerra, santa per l’indipendenza di Ichkeria, e non importa che tra voi non ci siano solo ceceni e musulmani, Ichkeria è diventata comunque la loro vera patria, hanno versato il loro sangue nella lotta per la libertà, vivono secondo le leggi della Sharia, sono nostri fratelli.
Ora Mosca sta cercando di convincere tutti che ci darà il mondo. Non ci credo, così come né Shamil [Basayev, ndr] né Aslan [Maskhadov, ndr] ne molti altri, che hanno guadagnato l’indipendenza con le armi in pugno, ci credono. Tutte le promesse di Mosca sui finanziamenti non sono altro che chiacchiere per stupidi. Il denaro trasferito attraverso le banche russe finirà nelle tasche dei funzionari. Aslan è fantastico. Tiene Eltsij per il naso e, probabilmente, riuscirà ad ottenere i soldi per la nostra banca nazionale. E anche se non ci riuscisse, va bene. Non abbiamo bisogno dei soldi russi. Ci verranno dati da alcuni paesi europei, oltre a Pakistan, Afghanistan e Iran. Da loro riceveremo denaro, armi ed equipaggiamento militare per armare il nostro esercito. Si, e tra i più alti funzionari russi ce ne sono molti pronti a venderci armi, cibo, uniformi […].
Le nostre richieste: completa indipendenza politica di Ichkeria. La Russia, in quanto parte sconfitta in guerra, è obbligata a pagare un’indennità. Ogni centesimo. Senza condizione. Di coloro che hanno sostenuto Mosca nella guerra, ci occuperemo con la Legge della Shari […].
Già domani alcuni di voi inizieranno a svolgere i loro incarichi. Il vostro compito è seminare terrore mortale tra coloro che hanno venduto Allah. Devono sentire la mano fredda della morte ogni ora. Tra tutti i militari che sono ancora sul nostro territorio è necessario seminare confusione e paura. Prendete in ostaggio, e uccideteli. Allah perdonerà tutto, non prestate attenzione alle grida dei politici: questa non è altro che una cortina sonora.
Un compito speciale per chi si stabilisce in Russia e negli stati limitrofi. Il vostro compito è infiltrarvi nelle strutture di potere, negli organi amministrativi e finanziari. Il vostro compito e destabilizzare la situazione, l’economia e le finanze. Create basi, selezionate persone, non dovrete aspettare a lungo. Se Ichkeria non riceverà la completa libertà e indipendenza entro la primavera, colpiremo quasi tutte le grandi città industriali.
[…] Dovete gettare fango su quei russi che sono patriottici. E’ molto facile accusarli di fascismo, antisemitismo e nazionalismo. Quelli tra i Gentili che vogliono stare sotto al Sacra Bandiera del Profeta devono essere battezzati con il sangue. Allora non avranno modo di tornare indietro. […].