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LA VOCE DEL NEMICO: L’ICHKERIA SECONDO TROSHEV (PARTE 2)

IL MERCATO DEGLI SCHIAVI

Uno degli argomenti sostenuti con maggior vigore dal governo russo per giustificare la seconda invasione della Repubblica Cecena di Ichkeria era quello relativo al caos imperante negli anni successivi alla fine della Prima Guerra. Gennady Troshev nelle sue memorie circostanzia, citando le sue fonti, il contesto di illegalità diffusa e di connivenza di alcune autorità statali in crimini odiosi come la presa di ostaggi a scopo di riscatto, il traffico di droga ed il furto di petrolio. In questo paragrafo del suo racconto si parla del cosiddetto “Mercato degli schiavi”:

“Gli attacchi armati di banditi alle nostre truppe, anche fuori dalla repubblica, sono diventati regolari. Ma se già questo era un problema, il rapimento e la tratta di persone hanno assunto proporzioni senza precedenti. Senza troppe esagerazioni, possiamo dire che questa industria ha assunto proporzioni di primo piano nell’economia della repubblica. In pianura e sulle montagne, la maggior parte delle famiglie cecene aveva i propri schiavi – la propria forza lavoro gratuita.

Alle soglie del terzo millennio, nel pieno centro di Grozny, nell’area della cosiddetta piazza dei “Tre Bogatiri” per diversi anni, fino all’autunno del 1999, ha funzionato a dovere il più grande mercato di schiavi del Caucaso Settentrionale, dove uno schiavo poteva essere acquistato per tutti i gusti ad un prezzo ragionevole. E la contrattazione qui era abbastanza appropriata. Anche i bambini del posto sapevano che il prodotto più redditizio era un “non ceceno”. […] .

In cima alla scala venivano valutati gli stranieri, giornalisti famosi e politici: per loro si potevano ottenere grandi somme, fino a diversi milioni di dollari. Questi prigionieri erano tenuti in condizioni relativamente normali. Questo tuttavia non riguardava il comportamento della banda di Arbi Barayev, dove si torturavano tutti i prigionieri, anche quelli “super redditizi”. I rapitori più semplici preferivano “lavorare” con specialisti civili, E poiché c’era tensione con loro in Cecenia, gli ostaggi dovevano essere catturati nelle repubbliche vicine Inguscezia, Daghestan, Ossezia del Nord, Cabardino – Balcaria. Per questi non erano necessari i dollari, potevi concordare uno scambio di materiali da costruzione, veicoli, cibo… […].

La moneta più scarsa nel mercato degli schiavi era pagata per un soldato russo. A cause di varie circostanze questo prodotto, dopo Khasavyurt, non era protetto né dal governo federale né dal tesoro. E’ vero, alcune regioni a volte hanno cercato di tirare fuori dalla prigionia i loro connazionali. Ad esempio, l’amministrazione del Territorio di Krasnodar ha pagato cinquantamila dollari per i guardiamarina Soltukov e Moskalev, e per il rilascio di Berezhny e Vatutin i residenti di Krasnodar hanno dato 40 tonnellate di farina. Ma questi fatti sono piuttosto l’eccezione alla regola.

Centinaia di ufficiali e soldati russi, per diversi anni, hanno piegato le spalle ai padroni ceceni. Nei distretti di Vedeno e di Itum – Khale coltivavano tè di montagna; piantagioni di papaveri venivano coltivate vicino al villaggio di Alleroy, bestiame veniva pascolato nel distretto di Nozhay – Yurt e molti altri costruirono una strada per Shatili. Venivano tenuti in condizioni terribili: lavori pesanti dall’alba al tramonto, freddo, fame, percosse… non tutti resisterono a queste prove. Come ha osservato uno dei mercanti di schiavi locali: “I catturati rimarranno in prigione per molto tempo…se, naturalmente, rimarranno vivi.” Queste parole sono state confermate dalle statistiche: in dieci mesi, solo un militare che ha preso parte alle ostilità è stato rilasciato dalla prigionia cecena, mentre gli accordi di Khasavyurt prevedevano l’estradizione di tutti i prigionieri.

Giovani coscritti russi sotto minaccia armata di militanti separatisti

A onore del vero le affermazioni di Troshev, e in particolare quelle relative al fenomeno della cattività dei soldati russi prigionieri, non trovano riscontro nelle statistiche. Se ci fu ricorso a manodopera forzata tra i prigionieri di guerra non restituiti alla Russia, questo fu meno massiccio di quanto riferito dal Generale anche se, certamente, il fenomeno del rapimento per riscatto riguardo molte centinaia di persone, se non migliaia.

ANARCHIA E PULIZIA ETNICA NELLA CECENIA DEL DOPOGUERRA

I due tratti distintivi dell’Ichkeria postbellica furono certamente lo stato di diffusa anarchia che regnava nel paese ed il revanscismo anti – russo, a causa del quale decine di migliaia di cittadini di origine slava furono costretti ad abbandonare la città o ad accettare continue vessazioni. Ecco come Troshev descrive la situazione della Cecenia all’indomani della fine della Prima Guerra:

“Tre anni di “indipendenza” hanno portato la repubblica al disastro: le masse popolari sono stati private del diritto ad una vita dignitosa. L’approvvigionamento della popolazione è praticamente cessato, le scuole sono state chiuse, anche se gli insegnanti sono rimasti nei villaggi. Gli insegnanti non ricevettero alcuno stipendio dopo il 1995. Gli ospedali e le cliniche mancavano delle attrezzature e dei medicinali necessari, e in molti casi non c’era nulla per fornire anche il primo soccorso. Le pensioni venivano emesse in maniera estremamente irregolare. Ad esempio, l’ultima volta che i pensionati ricevettero denaro fu nel Luglio – Agosto 1997 per un importo di 300 – 350 rubli. La già difficile situazione della popolazione era aggravata dalla mancanza di elettricità e gas, che in precedenza venivano forniti dal Daghestan e dal Territorio di Stavropol. La maggior parte delle fabbriche erano inattive. E le merci che vi venivano prodotte, ad esempio, nelle zone di pianura, venivano semplicemente “espropriati” dalle autorità di Grozny.

Il bersaglio principale dei separatisti, storditi dalla permissività, erano gli “stranieri”: trecentocinquantamila russi, abbandonando ciò che avevano acquisito per anni, lasciarono la Cecenia. Chi rimase bevve a pieno il calice amaro. Quante volte abbiamo letto e sentito di massacri di “non ceceni”?

Negli ultimi anni i banditi ceceni hanno sequestrato più di centomila appartamenti e case appartenenti a russi, daghestani e persone di altre nazionalità. Quasi cinquantamila tra i loro vicini furono ridotti in schiavitù dai ceceni. E quanti “schiavi” hanno piegato le spalle alla costruzione di una strada di alta montagna attraverso la cresta principale del Caucaso fino alla Georgia, vagavano nelle raffinerie di petrolio artigianali, nelle piantagioni di papavero e canapa.

Anche in questo caso i numeri citati da Troshev fanno fatica a trovare conferma. La misura di centomila appartamenti e di cinquantamila schiavi è certamente simbolica, e non trova conferma nelle statistiche ufficiali. Certamente il “furto di appartamenti” conseguente alla distruzione dell’archivio di stato durante la guerra fu un problema endemico, e la minoranza russa ne patì i principali effetti.

La scritta “Benvenuti all’inferno” campeggia su un muro in rovina nel centro di Grozny

LA DROGA IN ICHKERIA

L’ultima frase del precedente intervento introduce un altro dei gravi problemi che afflissero il paese all’indomani della pace del 1996: il traffico ed il consumo di droga.

“Uno dei motivi per le rapine in Cecenia era e rimane la droga” ha testimoniato il giordano Khalid Al – Hayad, che è stato tra i combattenti ceceni per diversi mesi, nella banda dello stesso Gelayev. In precedenza al pari delle armi, le droghe venivano vendute nel centro di Grozny. Dopo che i russi hanno preso la città, la droga è diventata molto difficile da reperire ed i prezzi sono saliti alle stelle. I militanti, anche sotto il fuoco dell’aviazione federale e dell’artiglieria, erano pronti a portare al mercato sacchi di merci saccheggiate tutto il giorno, in modo che la sera, avendo venduto le loro cose, potessero procurarsi una siringa con una piccola dose e rilassarsi. Non si può dire che tutti i militanti fossero tossicodipendenti, ma ce n’erano abbastanza. Si iniettavano, fumavano cannabis, usavano qualsiasi cosa per ottenere uno sballo.

[…] La distrutta economia cecena, la disoccupazione ed altre questioni di natura sociale e domestica non potevano non influenzare la psiche di molti, anche di pacifici cittadini ceceni. Inoltre, è ben lungi dall’essere un segreto che nella “Ichkeria libera” la produzione di droga fosse essenzialmente un’attività legale. Un tempo gli stessi Basayev e Khattab ottennero un notevole successo in questo campo. Le piantagioni di papavero e canapa appartenevano a loro e si trovavano a Kurchaloy, nei distretti di Gudermes, Nozhai – Yurt e Vedeno. E il fratello di Shamil Basayev, Shirvani, acquistò proprio per questo motivo l’edificio della scuola numero 40 in Turgenev Street, trasformandolo in un impianto di produzione di droga. Esso venne recintato con filo spinato elettrificato. Tuttavia l’attrezzatura qui era tedesca, e professori e fermacologi indiani fungevano da consulenti […] durante il girono, a fabbrica miracolosa “intitolata ai fratelli Basayev” produceva tre chilogrammi di eroina pura. Sul mercato nero, un grammo di questa droga costa duecento dollari. I signori della droga Basayev aprirono quindi i loro “uffici” a San Pietroburgo, Volgograd, Krasnodar, Ufa, Kaluga. E il denaro scorreva verso di loro come un fiume. Le fabbriche “Ichkeria” per la produzione di oppio e la lavorazione dell’eroina erano situate anche nel sanatorio degli ingegneri energetici nel distretto di Vedeno, nel campo dei pionieri “Zorka” vicino a Shali e in altri luoghi.”

Shirvani Basayev, fratello minore di Shamil Basayev. Secondo Troshev, era uno dei signori della droga in Cecenia

Anche in questo caso le affermazioni di Troshev vanno prese con le dovute cautele. Sicuramente il consumo di eroina divenne endemico nella Cecenia del dopoguerra: molti militanti ne abusarono durante il conflitto, dove la terribile sostanza serviva a curare il dolore fisico delle ferite ed a placare lo stress della battaglia. Molti comandanti di campo ne divennero produttori e distributori, e la piaga della tossicodipendenza falcidiò lo stesso esercito separatista durante la Seconda Guerra.

per approfondire queste ed altre questioni relative ai conflitti russo – ceceni leggi “Libertà o morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” acquistabile QUI

LA VOCE DEL NEMICO: L’ICHKERIA SECONDO TROSHEV (PARTE 1)

Gennady Troshev è stato uno dei protagonisti delle due guerre russo – cecene: comandò le forze federali durante il primo conflitto, guidò la difesa del Daghestan dall’invasione islamista dell’Agosto 1999 e poi di nuovo la seconda invasione della Cecenia. Su questa esperienza ha scritto tre libri: “La mia guerra: Diario di un Generale in Trincea” (2001) “Recidiva Cecena: Note del Comandante” (2003) e “Pausa Cecena: Diari e Ricordi (2008).  Si tratta di raccolte di documenti, resoconti, riflessioni, che fanno somigliare i tre libri più ad un diario personale che ad un memoriale organico.

Troshev fu uno dei più accaniti oppositori della Repubblica Cecena di Ichkeria. Le sue memorie, come vedremo, lasciano trasparire in maniera chiara il suo punto di vista non soltanto come militare, ma anche come funzionario leale alla causa della Federazione Russa, fiero oppositore del secessionismo ceceno e implacabile critico dei suoi leaders. Le sue parole non sono quelle dello storico, o dell’analista politico: forse proprio per questo spiegano in maniera più efficace (in quanto non – neutrale) le ragioni di chi prese le armi contro la ChRI.

Lo slideshow mostra le copertine dei tre libri scritti da Troshev

SERVIZI SEGRETI

Troshev ebbe fin dall’inizio una pessima opinione di Dudaev. Lo considerava come una sorta di “gangster in divisa”, e biasimava il governo russo per averlo indirettamente favorito rispetto a Zavgaev, del quale apprezzava il pragmatismo e la visione di prospettiva. Secondo lui Dudaev aveva avuto più di un alleato “non convenzionale”: il neonato governo Eltsin, come dicevamo, ma anche i servizi segreti di molti paesi, desiderosi a vario titolo di indebolire la posizione della Russia.

“E’ anche assolutamente indiscutibile che molti servizi segreti stranieri abbiano “ereditato” la Cecenia. Soprattutto quelli mediorientali. Sotto la “copertura” di varie compagnie, hanno svolto il loro lavoro praticamente alla luce del sole, con lo scopo non tanto di raccogliere informazioni, quanto di preparare il conflitto militare tra la Cecenia e la Russia. Ciò è dimostrato da numerose intercettazioni di informazioni di intelligence e dalle testimonianze degli stessi agenti. Mosca ha reagito lentamente a queste circostanze. Come mi ha detto a Grozny uno degli alti rappresentanti delle forze dell’ordine russe, questa passività è stata associata alla corruzione dei vertici del governo federale ed all’instabilità della situazione politica nel paese nel suo complesso.”

La guerra, quindi, fu procurata secondo Troshev anche dall’intervento di forze esterne intenzionate ad aumentare l’attrito tra i nazionalisti ceceni ed il governo federale.

Dzokhar Dudaev in abito

IMPREPARAZIONE DELL’ESERCITO FEDERALE

Troshev fu inviato a guidare le unità dell’esercito federale poco dopo l’ingresso delle truppe in Cecenia. Come comandante dovette confrontarsi fin da subito con la carenza organizzativa e morale dell’esercito che era stato inviato a guidare.

“l’operazione [l’assalto a Grozny, ndr.] è iniziata il 31 dicembre 1994. Secondo alcuni generali l’iniziativa per l’assalto “festivo” di Capodanno sarebbe stata ideata da persone appartenenti alla cerchia ristretta del Ministero della Difesa, desiderose di far coincidere la cattura della città con il compleanno di Pave Sergeevich [Grachev, Ndr.]. Non so quanto ci sia di vero qui, ma il fatto che l’operazione sia stata davvero preparata in fretta, senza una reale valutazione delle forze e dei mezzi del nemico è un dato di fatto. Non si fece in tempo neanche a dare un nome all’operazione.

Sulla base dei dati operativi sul gruppo a difesa della città, era necessario avere almeno 50/60 mila persone per l’assalto. Questi calcoli hanno una propria logica, dimostrata dall’esperienza storica. […] Al 3 Gennaio non c’erano più di cinquemila persone a Grozny e, lasciatemelo ricordare, c’erano il doppio dei militanti!

Le comunicazioni radio nelle unità che assaltavano Grozny erano quasi paralizzate a causa della confusione che regnava nell’aria. Non c’era praticamente alcuna integrazione tra le unità, l’inesperienza affliggeva la maggior parte dei guidatori dei carri armati e dei veicoli da combattimento per fanteria. […] Colonne miste (automobili e mezzi blindati) si allungavano su strade strette senza margini di manovra. Di conseguenza, fanteria ed equipaggiamento furono colpiti dagli edifici a bruciapelo. I comandanti, a partire dal comandante di battaglione a seguire, in realtà non avevano una mappa di Grozny, da qui le frequenti “interruzioni” del percorso, e la perdita di orientamento. E se qualcuno aveva le mappe, erano nella migliore delle ipotesi modelli del 1980, molto obsoleti e mancanti di interi microdistretti.

I numeri citati da Troshev riguardo la consistenza delle unità attaccanti non devono essere mal interpetati: per lui erano da considerarsi unità combattenti soltanto gli uomini inquadrati nell’esercito, e tra questi soltanto i reparti che guidarono il primo assalto alla città. L’opinione del Generale qui è sostanzialmente quella sostenuta dalla maggior parte degli analisti militari: l’invasione della Cecenia e l’assalto a Grozny furono improvvisati e guidati dalla convinzione che una semplice prova di forza sarebbe bastata a far fuggire i separatisti.

CRIMINI DI GUERRA

La Prima Guerra Cecena vide la Russia sconfitta prima di tutto sul fronte dell’informazione. Impreparati a gestire la mediaticità dei nuovi conflitti, i comandi russi si trovarono a doversi proteggere da un fuoco di critiche, essendo incapaci di seguire un’efficace strategia comunicativa. Il fulcro della propaganda separatista furono i costanti resoconti delle atrocità commesse dall’esercito federale, ma soprattutto dalla polizia OMON, sui civili ceceni. Nelle sue memorie Troshev racconta una sua versione dei crimini di guerra compiuti dai separatisti, dei quali i media e l’opinione pubblica sembravano, a suo parere, non curarsi:

“Uno degli spettacoli preferiti dai militanti della prima guerra erano i combattimenti tra schiavi. Penso che valga la pena menzionare anche questo. I militanti spesso organizzavano qualcosa di simile ai combattimenti di gladiatori: se vinci vivrai, se perdi, tu stesso avrai scelto la morte. Per salvarsi la vita alcuni dei prigionieri hanno accettato di convertirsi all’Islam. Successivamente i “convertiti” hanno affermato nelle interviste che essere musulmani significava servire la verità, che la Russia era un aggressore che stava compiendo un’ingiusta azione in Cecenia, e che i ceceni (cioè i banditi) erano giusti, stavano conducendo una guerra santa contro gli infedeli. […] L’adozione dell’Islam era cosparsa di sangue: prima di accettare l’Islam il prigioniero doveva sparare o pugnalare il suo compagno di prigionia […].

Anche rispetto agli eccessi compiuti dai militari russi, Troshev aveva una sua idea piuttosto chiara: i “suoi” uomini si comportarono sempre piuttosto bene, e laddove ci furono crimini, questi furono compiuti essenzialmente dalle unità dipendenti dal Ministero degli Interni, e dalla Polizia OMON:

“La prolungata presenza di truppe federali nei punti di schieramento, la passività nel disarmo dei gruppi di banditi e l’aumento del numero delle cosiddette perdite non combattenti hanno avuto un effetto deprimente sul personale. I casi di saccheggi sono diventati più frequenti, sempre più spesso si è cominciato a licenziare “soldati a contratto” per ubriachezza… […] Di quali standard etici possiamo parlare se i residenti di alcuni insediamenti classificano le forze federali a modo loro “per gradi”? Il primo scaglione combatte principalmente i banditi e condivide pane e cibo in scatola con i civili (si tratta principalmente di uomini dell’esercito). Il secondo scaglione fa una “pulizia”, non condivide nulla, ma non entra in casa finchè non lancia una granata per ogni evenienza, schiacciando tutto ciò che gli sta intorno (truppe interne). Il terzo “scaglione” passa per il villaggio con grandi borse in spalla e ruba tutto ciò che ha valora dai residenti locali (questa è principalmente la polizia). Questo “scaglionamento”, ripeto, non è stato inventato da me o dal quartier generale delle forze federali. Questa è la terminologia dei civili in Cecenia. Non voglio denigrare i rappresentanti delle truppe interne e della polizia (sono nostri fratelli d’armi) ma non ho nemmeno il diritto di chiudere gli occhi su tali fatti, poiché queste rapine possono in un attimo annullare enormi sforzi e vittorie di tutte le forze federali, compreso il Ministero degli Affari Interni, ottenute nelle battaglie con i banditi.”

Militari russi posano davanti ad una abitazione data alle fiamme.

ORGANIZZAZIONE MILITARE DEI SEPARATISTI

A dispetto dell’immagine descritta a posteriore dai separatisti, secondo la quale l’esercito dei difensori era poco più che un’accozzaglia di giovani volontari armati alla meno peggio e animati soltanto dal sacro dovere di resistere, Troshev descrive quanto invece, secondo lui, il fronte militare avversario forze forte e ben organizzato (nonché fiancheggiato da migliaia di mercenari), e di quanto difficile sarebbe stato per qualsiasi esercito piegarlo in battaglia:

Al 1° Marzo 1995 il numero totale del personale dei gruppi armati illegali, escluse le potenziali riserve nelle zone montuose, raggiungeva più di novemila persone, tra le quali più di tremilacinquecento erano mercenari e volontari provenienti dall’estero, vicino e lontano. Erano armati con più di 20 carri armati, 35 veicoli blindati per il trasporto della fanteria, 40 cannoni e mortai, 5 – 7 installazioni GRAD, 20 sistemi antiaerei. Allo stesso tempo, nel solo mese di Febbraio, il numero dei veicoli corazzati è raddoppiato a seguito delle riparazioni avviate nelle rimesse di Shali e Gudermes, ed anche la fornitura di armi attraverso Azerbaijan e Georgia è aumentata. I dudaeviti continuarono a raggruppare le loro forze ed i loro mezzi, preparandosi per le future battaglie. L’attenzione principale era posta al rafforzamento della difesa dei fronti di Gudermes e Shali. I gruppi militanti, qui, sono diventati i principali, poiché il baricentro della resistenza alle truppe federali si era spostato nelle regioni orientali e sudorientali della Repubblica. […] I militanti avevano preparato le basi con armi, munizioni, medicinali e cibo in anticipo, il che permise loro di condurre operazioni di combattimento in autonomia per lungo tempo. Nell’Est della Repubblica spiccavano le unità di difesa di Argun, Shali e Gudermes. La posizione geografica militarmente favorevole e la presenza di barriere d’acqua ramificate […] rafforzava i già potenti centri di resistenza. Ad esempio, la piazzaforte di Shali includeva due linee di difesa ben separate. La prima, su entrambe le rive del fiume Argun, sul lato di Chechen – Aul, Starye Atagi e Belgatoy. La seconda dentro Shali e nei sobborghi più vicini, con una rete sviluppata di strade di accesso che consentiva al nemico, se necessario, di manovrare prontamente con uomini e mezzi. Secondo le nostre informazioni qui erano concentrati fino a 1700 militanti, carri armati, artiglieria e mortai, oltre a diversi lanciarazzi. Non era escluso che da un momento all’altro potessero essere supportati da distaccamenti di militanti (fino a 500 persone) con attrezzatura provenienti dalla regione di Vedeno e dagli insediamenti di Kurchaloy e Avtury.

DOPO BUDENNOVSK

Il Raid su Budennovsk fu l’evento che determinò una svolta radicale nel primo conflitto ceceno. L’azione, ideata a portata a termine da Basayev e dai suoi luogotenenti, costrinse il governo federale a negoziare un cessate – il – fuoco, creando le premesse di quella “strana guerra” che, trascinandosi fino all’autunno del 1995, avrebbe permesso ai separatisti di riorganizzarsi e di preparare la riscossa del 1996.

“Avendo abbandonato il confronto diretto e utilizzando un accordo su un cessate il fuoco reciproco, i militanti hanno fatto affidamento sulle tattiche di guerriglia, del sabotaggio e delle attività terroristiche. Molti uomini ceceni ripresero nuovamente le armi. In montagna di formarono gruppi per compiere sabotaggi, vennero create nuove basi dei militanti, dove venivano addestrati i sabotatori. In particolari, “scuole” simili erano situate nelle vicinanze di Bamut, di Orekhov, di Roshni – Chu. Un centro di formazione operava sul territorio della vicina Inguscezia – presso il dipartimento regionale degli affari interni della regione di Dzheyrakh, nell’edificio del sanatorio “Armkhi”. Durante la moratoria, il comando dei militanti provenienti da distaccamenti sparsi e demoralizzati è riuscito a riunire quattro gruppi relativamente grandi, rifornirli di “volontari”, armi e munizioni, ripristinare il sistema di controllo e dispiegare un nuovo sistema di comunicazione cellulare.

Alla fine di Agosto i gruppi di banditi, fino a cinquemila, si erano concentrati in quattro regioni principali: est, sud, ovest e centro. Erano armati con 10 carri armati, 12/14 veicoli da combattimento per la fanteria e veicoli blindati, 15/16 cannoni e mortai, diversi lanciarazzi a lancio multiplo, due dozzine di sistemi missilistici antiaerei. Attrezzature e armi arrivavano dall’estero attraverso Azerbaijan, Georgia e Inguscezia. La comunicazione tra i posti di controllo dei gruppi armati illegali era garantita da un sistema ad onde ultracorte a sette frequenze fisse, utilizzando stazioni radio della società Motorola. Per garantire la segretezza, il comando militare cambiò i nominativi degli ufficiali e dei comandanti sul campo che lavoravano nella rete radio del controllo operativo.

Mentre le nostre truppe erano sulle montagne, il nemico iniziò a ritirare le sue truppe nella pianure, inclusa Grozny. Gli attacchi con armi leggere, mortai e lanciagranate ai posti di blocco e alle basi dei federali non si fermava, La “guerra contro le mine” si svolgeva su larga scala. Anche nel processo di consegna delle armi da parte della popolazione, i militanti cercavano di ottenere il massimo beneficio per loro stessi: portavano per lo più armi vecchie o difettose e ricevevano una discreta ricompensa in denaro per ogni carico. Poi persone fidate dei militanti compravano armi nuove ai bazar con questo denaro. Questa è una scena abbastanza tipica. Si capiva sempre più chiaramente che gli accordi firmati con i capi delle formazioni di banditi erano una formalità, e non venivano praticamente rispettati.

Da sinistra a destra: Isa Madae (con il basco)v, Gennady Troshev (con il cappello), Aslan Maskhadov

IL SUPPORTO DELLA DIASPORA ALLA RESISTENZA CECENA

Contrariamente a quanto affermato dai separatisti, Troshev valutava come “determinante” l’appoggio fornito dai sostenitori esterni alla resistenza armata. Si riferiva certamente non soltanto alle donazioni volontarie dei ceceni all’estero, ma anche al supporto interessato dei governi in attrito con la Russia, e dai loro servizi segreti. In questo passo Troshev parla delle organizzazioni appartenenti alla diaspora Vaynakh che sostenevano i dudaeviti durante la Prima Guerra Cecena e della resistenza durante la Seconda:

“Caratteristiche distintive dei membri delle diaspore cecene sia nei pasi della CSI che nel lontano estero sono il pregiudizio anti  -russo, tradizioni storiche e religiose comuni, idee ed obiettivi nazionalisti, il che determina il loro sostegno al movimento separatista in Cecenia. La diaspora cecena in Turchia, ad esempio, è una delle più numerose, contando oltre trentamila persone, alcune delle quali occupano posizioni di rilievo nei più alti organi statali e nelle forze armate. Secondo le stime circa 50.000 Vaynakh si trovano in Giordania, Siria ed Iraq. Una colonia cecena di diverse decine di migliaia di persone risiede permanentemente negli Emirati Arabi Uniti. Ci sono circa 2.000 ceceni in Israele. Nelle aree nelle quali la loro presenza è più massiccia i ceceni dimostrano un alto livello di coesione nazionale con i loro compatrioti nella loro terra natale. Subito dopo l’inizio della seconda campagna militare cecena, diversi milioni di dollari sono stati inviati solo dall’Arabi Saudita ai “fratelli della fede”: Un altro tipo di assistenza è il reclutamento di mercenari tra i rappresentanti delle diaspore negli stati del Vicino e Medio Oriente.

Le diaspore cecene sono le più influenti e organizzate nelle repubbliche che facevano parte dell’ex Unione Sovietica. I loro rappresentanti in Bielorussia, Ucraina, Moldavia e Kazakistan mantengono legami con la Cecenia. Queste connessioni sono spesso di natura criminale. In particolare, i “nuovi ceceni” forniscono assistenza finanziaria a gruppi armati illegali. Secondo le forze dell’ordine, una delle fonti di reddito per i “gruppi ceceni” sono i contributi degli imprenditori locali. Anche durante il conflitto armato del 1994 – 1996, le comunità cecene della CSI hanno pagato la cosiddetta “tassa volontaria sugli aiuti ai fratelli belligeranti”. In Kazakistan, ad esempio, questa ha raggiunto il 10% del reddito della diaspora nazionale. Secondo alcuni rapporti, dal 25 al 50 percento dei profitti delle attività degli uomini d’affari ceceni sarebbero stati inviati in Cecenia.

In Russia la diaspora cecena conta circa cinquecentomila persone. Non è un segreto che la maggior parte dei suoi rappresentanti sia coinvolta nel business criminale. Controllano il commercio dei prodotti petroliferi, i servizi ai consumatori, la ristorazione pubblica e la lavorazione dei prodotti agricoli. In alcune regione della Russia, addirittura, controllano completamente l’attività del prestito, ed in alcuni casi influenzano i rappresentanti delle autorità locali. Ci sono prove che nella stessa Russia ci siano banche e aziende che sono state impegnate in transazioni fraudolente nel settore monetario.

Uno  dei partecipanti al finanziamento illegale dei gruppi armati illegali era la Transcreditbank, con sede a Mosca. Secondo la Direzione principale per la Lotta alla Criminalità Organizzata del Ministero degli Affari Interni della Federazione Russa, la direzione della banca ha partecipato alle attività di legalizzazione dei proventi criminali, incassando fondi e incanalandoli verso i combattenti ceceni. Secondo il GUBOP, ogni giorno sono stati incassati fino a cinque milioni di dollari attraverso società appositamente create. E questo è tutt’altro che un esempio isolato.

Alexander Lebed ed Aslan Maskhadov si scambiano una stretta di mano a seguito degli Accordi Di Khasavyurt

GLI ACCORDI DI KHASAVYURT

Troshev fu molto critico verso l’approccio accomodante assunto dal governo federale nei confronti dei Ceceni, durante le trattative che portarono alla firma degli Accordi di Khasavyurt. Nelle sue memorie il Generale russo riporta un aneddoto e le sue riflessioni:

“Gli accordi di Khasavyurt hanno stretto ancora di più il nodo dei problemi caucasici. Difficilmente Alexander Lebed, mettendo la sua firma, avrebbe potuto credere che i militanti si sarebbero disarmati ed avrebbero fermato le loro attività illegali. Le nostre unità militari erano ancora sul territorio della Cecenia, ed i leader di Ichkeria avevano già iniziato a ricostruire il loro esercito, svolgendo l’addestramento dei futuri terroristi in apposite scuole e campi di sabotaggio.

A metà del 1997 in un campo di addestramento di Grozny si consegnarono i “diplomi”. Salman Raduev si rivolse ai diplomati. Cito quasi integralmente il suo discorso, perché è molto simbolico ed ha un carattere programmatico.

“Fratelli, oggi lasciate le mura della nostra scuola. Per quattro mesi i vostri insegnanti vi hanno insegnato l’arte del sabotaggio, della corruzione, della diffusione di voci e molto altro. Avete preso tutti parte alla guerra, santa per l’indipendenza di Ichkeria, e non importa che tra voi non ci siano solo ceceni e musulmani, Ichkeria è diventata comunque la loro vera patria, hanno versato il loro sangue nella lotta per la libertà, vivono secondo le leggi della Sharia, sono nostri fratelli.

Ora Mosca sta cercando di convincere tutti che ci darà il mondo. Non ci credo, così come né Shamil [Basayev, ndr] né Aslan [Maskhadov, ndr] ne molti altri, che hanno guadagnato l’indipendenza con le armi in pugno, ci credono. Tutte le promesse di Mosca sui finanziamenti non sono altro che chiacchiere per stupidi. Il denaro trasferito attraverso le banche russe finirà nelle tasche dei funzionari. Aslan è fantastico. Tiene Eltsij per il naso e, probabilmente, riuscirà ad ottenere i soldi per la nostra banca nazionale. E anche se non ci riuscisse, va bene. Non abbiamo bisogno dei soldi russi. Ci verranno dati da alcuni paesi europei, oltre a Pakistan, Afghanistan e Iran. Da loro riceveremo denaro, armi ed equipaggiamento militare per armare il nostro esercito. Si, e tra i più alti funzionari russi ce ne sono molti pronti a venderci armi, cibo, uniformi […].

Le nostre richieste: completa indipendenza politica di Ichkeria. La Russia, in quanto parte sconfitta in guerra, è obbligata a pagare un’indennità. Ogni centesimo. Senza condizione. Di coloro che hanno sostenuto Mosca nella guerra, ci occuperemo con la Legge della Shari […].

Già domani alcuni di voi inizieranno a svolgere i loro incarichi. Il vostro compito è seminare terrore mortale tra coloro che hanno venduto Allah. Devono sentire la mano fredda della morte ogni ora. Tra tutti i militari che sono ancora sul nostro territorio è necessario seminare confusione e paura. Prendete in ostaggio, e uccideteli. Allah perdonerà tutto, non prestate attenzione alle grida dei politici: questa non è altro che una cortina sonora.

Un compito speciale per chi si stabilisce in Russia e negli stati limitrofi. Il vostro compito è infiltrarvi nelle strutture di potere, negli organi amministrativi e finanziari. Il vostro compito e destabilizzare la situazione, l’economia e le finanze. Create basi, selezionate persone, non dovrete aspettare  a lungo. Se Ichkeria non riceverà la completa libertà e indipendenza entro la primavera, colpiremo quasi tutte le grandi città industriali.

[…] Dovete gettare fango su quei russi che sono patriottici. E’ molto facile accusarli di fascismo, antisemitismo e nazionalismo. Quelli tra i Gentili che vogliono stare sotto al Sacra Bandiera del Profeta devono essere battezzati con il sangue. Allora non avranno modo di tornare indietro. […].

ITUM KALE – SHATILI: USCIRE DALL’ASSEDIO

La Cecenia è una regione incuneata all’interno della Federazione Russa: essa infatti confina a Nord con il Kraj di Stavropol, ad Est con il Daghestan e ad Ovest con L’Inguscezia, tutti e tre soggetti federati con la Russia. L’unico confine internazionale del paese è quello meridionale, che la separa dalla Georgia. Si tratta di un confine molto difficile da attraversare, perché è costituito dalla catena montuosa del Caucaso, che all’altezza della frontiera tra Cecenia e Georgia raggiunge la ragguardevole altitudine di 4493 metri. In quella regione l’attraversamento è assicurato a stento da qualche mulattiera praticabile soltanto in estate, a causa dell’abbondante coltre di neve e ghiaccio che copre i sentieri durante la stagione invernale.

Il villaggio di Shatili, capolinea previsto della strada ceceno – georgiana

Quando i nazionalisti dichiararono l’indipendenza, il problema di come uscire da questo “assedio geografico” della Russia si pose quasi subito. Per la dirigenza separatista la questione divenne presto di cruciale importanza: il 29 Gennaio 1992, infatti, la Federazione Russa impose un blocco economico sulla Cecenia, iniziando un assedio strisciante con l’obiettivo di costringere Dudaev ad arrendersi. Malgrado il blocco fosse ampiamente eluso (sia grazie all’utilizzo dell’aeroporto di Grozny come “porto franco”, sia grazie alle connivenze di molti funzionari russi) il tema di come riuscire ad apire un varco sul confine georgiano rimase di primaria importanza. Il governo dell’Ichkeria mise in agenda un ambizioso piano di investimenti per realizzare una strada carrabile lungo le pendici della gola dell’Argun, che collegasse l’ultimo villaggio ceceno attraversato da una strada, Itum – Kale, con il primo insediamento oltre il confine georgiano, il paesino di Shatili. Si trattava di un percorso di non più di 40 chilometri, ma completamente scavato nella roccia: un’opera ambiziosa per un qualsiasi paese ricco, figuriamoci per la piccola Cecenia, appena nata e già in grosse difficoltà economiche. Se l’impresa fosse riuscita la Cecenia avrebbe aperto una “backdoor” di importanza strategica, attraverso la quale far passare merci, persone e, all’occorrenza, armi. Dall’altra parte del versante, infatti, risiedeva una popolazione di origine cecena, i Kist, da sempre legati ai loro “fratelli” dell’Ichkeria. I Kist abitavano principalmente la Gola di Pankisi, un’angusta valle piuttosto isolata, a un tiro di schioppo da Shatili. In caso di necessità sarebbero stati certamente solidali con i ceceni, ed avrebbero dato il loro apporto alla resistenza.

LA COSTRUZIONE DELLA STRADA

Lo scoppio della Prima Guerra Cecena interruppe i lavori poco dopo l’apertura del cantiere. Tra il 1994 ed il 1996 le ostilità impedirono al governo separatista di portare avanti il progetto,  ma questo tornò in agenda non appena i russi si ritirarono dal Paese. Il nuovo Presidente della Repubblica, Aslan Maskhadov, considerò l’apertura della strada come una priorità nazionale, e non badò a spese pur di realizzarla. Con l’aereoporto di Grozny ridotto in macerie e la compagnia aerea di bandiera distrutta al suolo era impossibile per l’Ichkeria ripetere quanto fatto prima della guerra, quando l’assedio russo era stato violato facendo ricorso alle vie aeree. Adesso l’unico modo per garantire al paese un qualche margine di libertà finanziaria era più che mai necessario realizzare la strada. Tra il 1997 ed il 1998 i ceceni si aprirono letteralmente una via d’uscita nella roccia, facendo saltare i contrafforti sulla riva sinistra dell’Argun e spianando un percorso carrabile, quasi interamente privo di ponti.

Foto delle strada ai giorni nostri. Notare come il costone di roccia sulla sinistra sia stato scavato per alloggiare la carreggiata.

La costruzione della strada richiese un impegno gigantesco per le sconquassate finanze della Repubblica Cecena di Ichkeria, tanto che iniziò a circolare voce che per risparmiare sul bilancio Maskhadov stesse utilizzando prigionieri di guerra ed ostaggi come schiavi. Tali voci non giravano soltanto sui giornali russi, ma anche tra alcuni alti ufficiali dell’esercito federale. Secondo il Generale Gennady Troshev, futuro comandante in capo delle forze russe in Cecenia, la strada fu costruita grazie all’apporto di “centinaia di schiavi”. Secondo quanto emerso dagli interrogatori svolti dagli inquirenti russi dopo la riconquista della Cecenia, tali voci sembrano essere artefatte: nessuno dei prigionieri liberati nelle vicinanze di Itum – Kale dichiarò di aver mai lavorato alla strada, mentre numerosi residenti locali affermarono di aver svolto il lavoro con mezzi propri o messi a disposizione dal governo (vedi questo articolo del giornale russo Kommersant).

Nell’estate del 1997 Maskhadov portò avanti negoziati con il governo georgiano tentando di assicurarsi il suo impegno a realizzare il raccordo della strada sul proprio versante. Si trattava di meno di cinque chilometri di strada, certamente più agevole da costruire rispetto alla sua controparte cecena. Il governo di Tbilisi prima si disse pronto, poi chiese tempo, infine tolse i lavori dall’agenda. A tale proposito nel 1999 il Ministro degli Esteri georgiano, Irakli Menagarishvili dichiarò: “la leadership georgiana in questa fase non sta considerando la possibilità di aprire la strada” e ancora “questa questione può essere messa all’ordine del giorno solo se le relazioni politiche tra Cecenia e Russia saranno definitivamente chiarite.” I georgiani temevano di scatenare la reazione dei russi, con i quali i rapporti erano già sufficientemente tesi, oltre al fatto che, se fosse caduta l’Ichkeria, quella strada sarebbe stata una porta d’accesso ideale per i carri armati russi. Per questo il tratto georgiano della strada non fu mai realizzato.

Il video mostra alcuni tratti della strada lungo la gola dell’Argun

OPERAZIONE “ARGUN”

Allo scoppio della Seconda Guerra Cecena il comando federale considerò prioritario interrompere qualsiasi tipo di comunicazione tra i separatisti ed il mondo esterno. Per questo il Generale Troshev, nominato al comando delle forze di Mosca, organizzò un’operazione volta al conquistare e mettere fuori uso la strada. Dall’Ottobre del 1999 i cacciambombardieri federali iniziarono a martellare il percorso, tentando di craterizzarlo al punto dal renderlo impraticabile. Tuttavia la maggior parte della pista era letteralmente scavata nella roccia, non c’erano ponti da distruggere e la pavimentazione era costituita da sabbia e ghiaia, il che rendeva estremamente facile per i miliziani che presidiavano la strada effettuare riparazioni d’emergenza. Così, dopo alcune settimane di azioni infruttuose, Troshev decise di procedere ad un’azione aviotrasportata. Fu così che i russi misero in atto la cosiddetta “Operazione Argun”.

Postazione di tiro russa sulla strada Itum – Kale / Shatili

Il 17 dicembre i primi plotoni aviotrasportati presero possesso delle alture prospicenti il segmento finale della strada. I militanti posti di guardia alle alture, colti di sorpresa, si dettero alla fuga. Per il 21 dicembre centinaia di uomini erano in posizione, e nelle settimane seguenti il contingente venne rafforzato da unità avanzanti da Nord. La reazione dei militanti ceceni inizialmente fu violenta, ed i reparti federali rimasero inchiodati nel villaggio di Baskhoy, a pochi chilometri dal capoluogo del distretto e porta d’accesso alla strada per la Georgia, Itum – Kale. Man mano che il presidio federale si accresceva, tuttavia, la capacità dei separatisti di contenere l’azione dei federali venne meno, e a partire dalla fine di Gennaio le truppe di Mosca iniziarono ad avanzare verso Itum – Khale, difesa da un centinaio di miliziani agli ordini del comandante arabo Ibn Al Khattab. I separatisti offrirono un’accanita resistenza, ma quando i russi iniziarono a bombardare il villaggio, riducendolo in macerie, dovettero abbandonare la posizione e rifugiarsi in profondità nella gola dell’Argun, ultimo ridotto della difesa cecena.

Filmato ripreso dai militari russi durante lo svolgimento dell’Operazione Argun

La strada rimase in funzione ancora per alcuni mesi, durante i quali migliaia di profughi riuscirono ad evacuare verso la Gola di Pankisi o altre aree della Georgia. Al termine del conflitto, tuttavia, la strada fu abbandonata e si ridusse progressivamente a poco più che un sentiero. Oggi la Itum – Kale / Shatili è meta di escursionisti e curiosi, ed i negoziati per una sua riapertura sembrano ancora molto acerbi.