Qualche giorno fa ho fatto una chiacchierata con i curatori della precedente intervista, ed insieme a loro con Hussein Iskhanov, Deputato al Parlamento della ChRI di Seconda Convocazione ed Aslan Artsuev, Direttore dello Human Rights Centre Ichkeria.
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GLI AMBASCIATORI DI ICHKERIA – quarta parte
LA POLITICA ESTERA DI ASLAN MASKHADOV
1997 – 1999
Convinto di aver archiviato, almeno per il momento, le problematiche interne, il governo ceceno riattivò i contatti con la Russia e programmò una serie di visite internazionali volte ad aprire canali di riconoscimento estero. L’opinione pubblica occidentale aveva simpatizzato per i separatisti durante la guerra, anche se nessun governo aveva mai fatto passi concreti per supportare la Repubblica Cecena di Ichkeria. Le rivendicazioni dei governi dei paesi sviluppati si erano limitate alle violazioni dei diritti umani compiuti dall’esercito federale ed a generiche richieste di interrompere lo stato di guerra. Bill Clinton, allora Presidente degli Stati Uniti, aveva più volte fatto appello ad Eltsin affinché intavolasse negoziati con i separatisti per porre fine ai combattimenti, ma non aveva mai preso seriamente in considerazione la questione politica alla base del conflitto, né aveva mai minacciato sanzioni in cambio del riconoscimento di una Cecenia indipendente. Maskhadov pensò che, ora che la Repubblica Cecena di Ichkeria godeva dell’autogoverno, l’atteggiamento dei governi occidentali avrebbe potuto essere diverso.

A fine luglio Maskhadov si incontrò a Nazran con il nuovo Primo Ministro della Federazione Russa Kirienko. L’incontro non produsse nulla di determinante, ma Kirienko ribadì l’impegno della Russia a partecipare alla ricostruzione del paese. Il primo effetto di questo incontro fu la riapertura di una rotta internazionale dall’aeroporto di Grozny, gestito dalla compagnia privata Ross – Avia. Kirienko promise di trasferire i fondi necessari al completo ripristino dell’aeroporto, pesantemente bombardato durante la guerra. Durante il nuovo round di negoziati Kurin rispose alle critiche rivolte a Mosca dal governo ceceno, secondo le quali i conferimenti promessi sarebbero arrivati in ritardo ed a singhiozzi, impedendone un impiego coerente da parte del governo ceceno. Kurin ripose che non c’era alcun programma credibile di ricostruzione, e che per questo lo stanziamento dei fondi era difficile se non impossibile. Aggiunse anche che la Federazione Russa aveva conferito 800 milioni di rubli al bilancio ceceno tra denaro e rifornimenti di elettricità e gas. 235 milioni di questi erano stati corrisposti in pensioni, 41,3 per il ripristino delle strade. Mosca aveva finanziato la ricostruzione del teatro drammatico e del cementificio di Chiri – Yurt, assegnato 80 abitazioni prefabbricate per i residenti delle aree montane, acquistato attrezzature per il Ministero della Sanità e dell’Istruzione, pagato il trattamento di 1600 malati ceceni nelle cliniche russe, ed il ricovero di 340 bambini. Citò inoltre un decreto del 1° dicembre firmato dal Premier Primakov per lo stanziamento di corposi fondi per il ripristino delle strutture industriali e produttive del paese, la fornitura di macchine agricole e di materiali da costruzione, e la disponibilità di costituire una zona economica “speciale” in Cecenia per attrarvi investimenti. Inoltre confermò l’impegno della Russia a stanziare due miliardi di rubli per l’anno 1999 nel programma di ricostruzione della Cecenia.
GLI IRRIDUCIBILI “REMANO CONTRO”
Dal canto suo, la Cecenia mancava di una politica e di un atteggiamento coerente verso la Russia. Maskhadov ed i suoi plenipotenziari dichiaravano di voler collaborare con Mosca, ma molti esponenti del suo governo si sperticavano in violente dichiarazioni antirusse. Il Direttore del Servizio di Sicurezza Nazionale Khultygov, fratello del defunto predecessore, in una conferenza stampa a Grozny dichiarò che le autorità russe stavano preparando un’esplosione nucleare sotterranea nella ex base militare di Bamut per provocare un terremoto nel paese. Affermazioni del genere, oltre ad essere assurde, alimentavano la polemica tra le due parti, inficiando il buon esito dei negoziati. Alle dichiarazioni incendiarie dei politici ceceni si aggiungeva la Procura della Repubblica, la quale insisteva nel voler citare la Russia per i crimini di guerra durante il conflitto, inondando il Tribunale Internazionale dell’Aja di richieste di apertura di processi contro generali, colonnelli e soldati semplici dell’esercito federale in un momento nel quale, forse, sarebbe stato il caso di fermarli.

Nel frattempo Maskhadov viaggiava all’estero, tentando di conquistarsi il favore di qualche Ministro degli Esteri. Un primo accordo venne raggiunto con gli Emirati Arabi. Riguardava l’apertura di una rotta aerea con un volo charter di linea, in ordine a favorire i pellegrinaggi dei fedeli ceceni nei luoghi santi dell’Islam. Ai primi di Agosto Maskhadov iniziò un giro di visite negli Stati Uniti, in occasione della Seconda Conferenza Internazionale dell’Unità Musulmana, alla quale parteciparono le autorità religiose di 25 paesi islamici. La visita fu un successo, e Maskhadov venne accolto con tutti gli onori, venendo addirittura nominato presidente onorario dell’organizzazione. Il 9 agosto, al termine della conferenza, funzionari della Banca Islamica Mondiale firmarono con Maskhadov un accordo di partenariato per aprire una succursale in Cecenia. A latere della Conferenza il presidente ceceno incontrò alcuni funzionari dell’amministrazione Clinton. Il 7 agosto tenne una conferenza stampa a Washington, dichiarandosi pronto a coinvolgere gli Stati Uniti in un negoziato trilaterale con la Russia. Le visite ripresero in ottobre, con la visita di Maskhadov in Polonia per partecipare alla Conferenza Internazionale sui Diritti Umani. La conferenza, le cui cronache furono trasmesse in tutto il mondo, fu un grande risultato politico per Maskhadov, che incassò il voto quasi unanime di una risoluzione nella quale si concordava sula necessità di riconoscere la piena indipendenza della Repubblica Cecena di Ichkeria. In quell’occasione Maskhadov incontrò il Primo Ministro polacco ed alcuni leader politici e sindacali. A seguito tenne una conferenza stampa nella quale si disse fiducioso di poter costruire la pace con la Russia a partire dal Trattato del maggio 1997.

Sulla via del ritorno si fermò a Baku per congratularsi con il presidente Aliyev, appena eletto alla carica. Contemporaneamente una delegazione dalla Malesia, dove Maskhadov aveva aperto un ufficio di rappresentanza guidato da suo figlio Anzor, visitò la Cecenia, venendo accolta con tutti gli onori nell’edificio del teatro appena restaurato. Infine il Presidente si recò in Inghilterra. A Londra la delegazione cecena organizzò un ricevimento al quale parteciparono decine di parlamentari della Camera dei Lord e della Camera dei Comuni. Fu un discreto successo, anche se di carattere informale. In particolare fu importante la presenza dell’ex Primo Ministro Margaret Thatcher, che accettò di cenare con Maskhadov. Il suo interesse tuttavia era focalizzato per lo più sulla questione dei rapimenti. In quei mesi si era verificato il rapimento dei quattro tecnici della Granger Telecom di cui abbiamo già parlato, e durante la cena l’argomento tenne banco praticamente sempre. Vatchagaev, che era presente all’incontro, riporta: “Non importa quale argomento introducesse Maskhadov, lei [La Thatcher, ndr] concludeva dicendo: “Deve ammettere, Signor Presidente, che i cittadini della Gran Bretagna devono essere trovati”. […] Salutandosi, si voltò verso Maskhadov con un sorriso e disse: “Il vostro paese è davvero piccolo, sono sicuro che potete trovarli, Signor Presidente.”


LE MISSIONI PARLAMENTARI
Anche il Parlamento di seconda convocazione, costituito a seguito delle elezioni del Gennaio – Febbraio 1997, portò avanti una politica estera attiva, volta a presentare la Repubblica Cecena di Ichkeria come uno Stato funzionante e desideroso di aprire canali diplomatici ufficiali con il mondo occidentale. I principali artefici di questa azione furono il Presidente del Parlamento, l’ex comandante di campo Ruslan Alikhadzhiev, ed il Presidente della Commissione parlamentare Affari Esteri, ex Presidente del Parlamento di prima convocazione, Akhyad Idigov. Delegazioni parlamentari visitarono i paesi baltici, dove si intrattennero con alcune tra le massime autorità dei governi locali, raggiunsero la Polonia, l’Ucraina e la Germania. Da quì Alikhadzhiev giunse ad incontrare le autorità della Regione Autonoma italiana del Trentino Alto Adige, intrattenendo colloqui con l’allora governatore Luis Durnwalder.



DALL’ASSALTO DI NOVEMBRE A BUDENNOVSK: INTERVISTA AD hUSSEIN iSKHANOV
Hussein Iskhanov è forse uno degli ultimi esponenti della Repubblica Cecena di Ichkeria ancora in vita che sostiene attivamente la restaurazione dello Stato separatista. Unitosi ai dudaeviti nel 1992, partecipò alla guerra civile del 1994 dalla parte dei lealisti. Nel 1995 fece parte dello Stato Maggiore della difesa di Grozny, alle dirette dipendenze di Aslan Maskhadov in qualità di suo Aiutante di Campo, guadagnandosi il grado di Colonnello. Eletto deputato al Parlamento della seconda legislatura nel Gennaio del 1997 fece parte del raggruppamento leale a Maskhadov, nel frattempo divenuto Presidente della Repubblica. Dopo lo scoppio della Seconda Guerra Cecena Iskhanov fuggì in Polonia, e da lì in Austria, dove risiede tutt’ora ed anima l’associazione politico – culturale Kultulverein Ichkeria. I passi pubblicati sono estratti da una lunga intervista rilasciata alla testata giornalistica online Small Wars Journal nel Giugno del 1999.

LA GUERRA CIVILE
Sono diventato aiutante di campo di Maskhadov all’inizio della guerra, ed ho ricevuto il grado di Colonnello alla fine. Prima della guerra avevo maturato qualche esperienza combattendo contro le unità di Bislan Gantemirov durante l’operazione del 26 Novembre 1994. […] L’opposizione cecena supportata da 50 carri armati guidati da ufficiali russi della Divisione Taman e da contractors russi entrò a Grozny. In meno di un giorno i carri furono distrutti e 25 ufficiali russi vennero presi prigionieri. Fu l’inizio della guerra. […] L’esercito russo si mosse su Grozny da 3 direzioni. Non avevamo un’aviazione che difendesse i nostri confini. Il primo scontro si ebbe nel villaggio di Lomaz Yurt, nel distretto dell’Alto Terek, dove avevamo installato alcune difese per proteggere la frontiera. Riuscimmo a ritardare l’avanzata dei russi per qualche giorno. I nostri uomini colpirono 2 APC, ma a causa della mancanza di munizioni dovettero ritirarsi. […] Il nostro “esercito” era uno scherzo rispetto all’armata degli invasori. Decidemmo di combattere a Grozny, avevamo già l’esperienza del 26 Novembre ed i loro carri armati non ci spaventavano più. Il morale era alto a quel tempo, grazie agli stessi russi. Ricordo come il 26 Novembre uomini armati di lanciagranate e mukhas, dentro delle Zhiguli avevano fatto a pezzi i carri russi. […] Dopo Lomaz Yurt un’altra battaglia ebbe luogo a Dolinsky: Maskhadov, ex ufficiale di artiglieria, decise di usare i GRAD direttamente contro le colonne russe. Era un metodo inedito di usare i GRAD. Nessuno prima di Maskhadov aveva pensato di usarli in quel modo. Più tardi, quando iniziammo i negoziati nel 1995, i russi ammisero di aver perduto più di duecento uomini a Dolinsky.

La terza battaglia ebbe luogo ad Ermolovka. Là perdemmo alcune apparecchiature. All’inizio della guerra avevamo 18 APC e carri armati T – 76, ma erano vecchi modelli e non avevamo sufficienti munizioni. Avevamo anche qualche howitzer, ma capimmo presto che erano di poca utilità. Il loro effetto era minimo a causa del fatto che le nostre posizioni venivano bombardate dal cielo e noi non avevamo armi antiaeree. I nostri artiglieri non erano addestrati per una simile situazione: una cosa è usare l’artiglieria quando sei posizionato a 10 o 20 km dal tuo obiettivo, un’altra è affrontare una colonna di carri armati da vicino. Era difficile trasportare l’artiglieria sotto il fuoco aereo. Non avevamo abbastanza trattori e motrici. Gli uomini erano occupati ad evacuare le loro famiglie ed a metterle in salvo. Molti dei mezzi di trasporto erano usati per l’evacuazione perché il governo non aveva dichiarato la mobilitazione generale. Avevamo trascurato il fatto che avremmo avuto bisogno di mezzi per trasportare la nostra attrezzatura, e adesso non ne avevamo a disposizione. Abbandonammo il nostro equipaggiamento, tenemmo i mortai montati su ruote perché erano facili da muovere, così come qualche pezzo d’artiglieria. Non furono perdite gravi, giacchè non avevamo munizioni per i pezzi che lasciammo indietro.
Avevamo un’acuta penuria di munizioni fin dall’inizio della guerra. Mancavamo anche di munizioni per i lanciagranate, per gli RPG, per i calibri da 7.62 e per i 5.45 degli AK 74. Ricordo di quando io e Maskhadov eravamo nel seminterrato del Quartier Generale nel Palazzo Presidenziale prima dell’assalto dei russi a Grozny del 31 Dicembre 1994: avevamo due letti e una scrivania, con poca luce fornita da un piccolo motore a diesel. Questo fu distrutto poco dopo durante il bombardamento e così passammo ad un piccolo motore elettrico trasportabile alimentato da petrolio o diesel. Lo usavamo per alimentare le batterie della radio e per l’illuminazione. Quel giorno avevamo 34 proiettili per RPG sotto i nostri letti. Ci sentivamo alla grande, ma c’erano momenti nei quali avevamo appena 3 o 4 proiettili. I combattenti accorrevano continuamente in cerca di munizioni. Siamo stati fortunati, qualcuno è sempre accorso portando munizioni quando ne avevamo più bisogno.
Dopo Ermolovka le nostre unità si ritirarono dentro Grozny. La pressione era molto forte e molti dei combattenti erano volontari inesperti. Avevamo pochi comandanti e ufficiali. Maskhadov decise di richiamare tutte le unità disponibili ed i volontari nel centro della città per usare al meglio l’esperienza del 26 Novembre. Non vedevamo altro modo per mettere su una difesa. Gli edifici avrebbero fornito copertura al fuoco del nemico e noi saremmo stati meglio protetti dal fuoco costante di artiglieria. Costruimmo alcune barriere di cemento su Via Staropromyslovsky, nei pressi della fabbrica Electropribor. Erano primitivi ma speravamo che avrebbero rallentato i carri, sapevamo che non saremmo riusciti a fermarli. Aspettammo che i russi muovessero avanti da Staropromislovsky. Li aspettammo, sperando che passassero di lì, perché quello era uno stretto corridoio circondato da colline e da edifici di cinque piani. Sarebbe stato facile colpirli là dentro. Ma ovviamente loro temevano di finire in un’imboscata e aspettavano a muovere i carri dentro la città. Ricordavano l’esperienza del 26 Novembre. Anziché penetrare subito in città la accerchiarono e usarono l’artiglieria a lungo raggio. Nel frattempo le nostre unità usavano tattiche “attacca e fuggi” e raid notturni.

Ovunque i russi si trovassero al calar del buio, immediatamente si trinceravano ed interravano i loro cannoni ed i loro carri. Quello era il miglior momento per attaccarli. Usavamo la nostra conoscenza del territorio e la nostra esperienza durante il servizio militare contro i russi. Sapevano come i russi preparavano le loro difese. Conoscevamo le abitudini dei russi ed il loro linguaggio. I raid causavano grande panico ma la reazione dei russi era interessante: loro si rifiutavano di ingaggiare le nostre unità. Anziché respingere gli attaccanti puntavano le loro armi contro Grozny o Argun e spazzavano i quartieri residenziali. Ovviamente lo facevano nella speranza che la popolazione si rivoltasse contro di noi. Molte delle vittime civili furono dovute a questi bombardamenti indiscriminati.
L’ASSALTO A GROZNY
Poi iniziò l’assalto a Grozny. I russi si mossero lentamente verso il centro della città. Non avevamo forze sufficienti a fermare la loro armata. Secondo i nostri dati preliminari loro avevano schierato 600 tra carri armati ed APC e un grosso contingente di fanteria. La 131° Brigata fu la prima a muovere. Sfondò all’altezza della stazione ferroviaria, circa 500 metri dal Palazzo Presidenziale. I russi pensavano che una volta preso il Palazzo la nostra resistenza avrebbe avuto fine e ci saremmo ritirati. Ho controllato il diario che tenevamo nel 1995: secondo i nostri dati, avevamo 350 uomini a difesa di Grozny, all’inizio del 1995. Questo è il numero di coloro che erano registrati al Quartier Generale. Aggiungerei altri 150 uomini che non si erano registrati da noi o dai comandanti, uomini che erano venuti a sparare per un paio d’ore e poi erano tornati a casa. Avevamo non più di 500 persone a difesa di Grozny.
Come ho detto prima, usammo la nostra conoscenza dei russi. Avevamo anche lo stesso sistema di comunicazione radio. Il nostro capo delle comunicazioni, Colonnello Taimaskhanov [ucciso poco dopo l’inizio della guerra] aveva servito come ufficiale addetto alle comunicazioni nell’esercito sovietico. Conosceva perfettamente il suo lavoro. Il Generale Babichev minacciò di impiccare Taimaskhanov al primo lampione non appena lo avesse preso. Avevamo una stanza speciale per i radio operatori nel Palazzo Presidenziale. Ogni volta che avevamo un momento andavamo a “parlare” con i russi. Ascoltavamo le loro chiamate, aspettavamo il momento in cui passavano gli ordini e, una volta compreso chi fosse in comando e chi il subordinato, intervenivamo, dando ordini differenti con un approccio amichevole, fornendo false informazioni e così via. Come risultato i russi patirono più perdite all’inizio della guerra a causa del fuoco amico che a causa del nostro[…].

La 131a Brigata Maikop era sotto il comando dello sfortunato Babichev. Egli è l’ufficiale responsabile di aver mandato a morte gli uomini della Maikop. Praticamente tutta la brigata fu distrutta in una notte tra il 31 Dicembre 1994 ed il 1 Gennaio 1995, anche se alcuni combattimenti continuarono fino al 2 di Gennaio. I russi dichiararono che 100 uomini sopravvissero ma io non ci credo perché noi stessi catturammo l’equipaggio dell’ultimo APC della brigata. Il comandante della Brigata fu ucciso ed il suo secondo in comando fu catturato con l’ultimo APC ed il suo equipaggio, 10 o 12 uomini in tutto. […] Più avanti durante i negoziati con il Generale Romanov a Khankala, il Tenente Generale Shumov (dell’MVD) mi chiese quanti uomini avessimo perso in guerra. I risposti “circa 2000”. Erano le mie stime per le nostre perdite dall’inizio della guerra fino ai negoziati del 1996. Gli chiesi delle loro perdite. Egli rispose che secondo le stime ufficiali preliminari loto avevano perduto 1800 uomini. Gli chiesi allora: “Dove avete nascosto la Brigata Maikop e l’81esimo Samarski?” Lui rise ma non aggiunse altro. I russi hanno sempre dissimulato le loro perdite. […].
I COMBATTIMENTI PER GROZNY NEL 1995
Le battaglie campali ebbero luogo dall’inizio di Gennaio del 1995. I russi continuavano ad avanzare verso il Palazzo Presidenziale dall’aereoporto lungo Via Pervomaiskaia. Lasciammo che i russi penetrassero, poi distruggemmo il primo APC della colonna, l’ultimo ed un paio nel mezzo. I russi furono schiacciati perché era difficile manovrare i carri armati e gli APC in città, la visibilità era pessima, gli autisti non riuscivano a vedere dove stavano andando. Li circondammo e distruggemmo quasi un intero reggimento. Prendemmo anche dei prigionieri. Fu allora che l’81° Reggimento Samarski venne distrutto. Secondo le nostre stime loro persero tra i 4000 ed i 5000 uomini tra la Brigata Maikop ed il Reggimento Samarski. I russi persistevano con un attacco diretto sul Palazzo Presidenziale. Nello stesso momento bombardavano gli ospedali e le strutture educative, le scuole, i centri culturali, le biblioteche e così via. Piano piano giunsero in prossimità del Palazzo. Il loro successo costò loro caro. Intorno alla metà di Gennaio i combattimenti infuriavano a 100 – 200 metri dal Palazzo. I russi occuparono un palazzo di cinque piani davanti al Palazzo e l’edificio dell’Archivio Nazionale dall’altra parte della strada. Questa era la situazione al 18 Gennaio.
Nelle prime due settimane di Gennaio usammo prevalentemente cecchini. A causa della carenza di munizioni, ordinammo di usare i fucili automatici come fucili a colpo singolo. Ricordo la distribuzione delle munizioni: fornivo 3 proiettili di 7 – 62 o 5 caricatori di munizioni con trenta proiettili ciascuno per ogni AK 74. Con questo i nostri uomini avrebbero dovuto affrontare l’esercito russo. Avevamo anche un altro handicap: gli uomini erano riluttanti all’inizio ad usare proiettili traccianti perché temevano di rivelare la loro posizione. Li esortai ad immaginare la paura del soldato russo: lui vedeva il proiettile e sapeva che lo avrebbe colpito. Gradualmente i nostri uomini iniziarono ad abituarsi all’idea. Quando i russi sentivano colpi singoli, credevano che fossero colpi di cecchino. Avevamo fucili da cecchino ma erano davvero pochi, li avevamo presi dagli APC e dai carri armati che avevamo colpito. Avevamo anche trasformato le armi ausiliarie dei carri russi in modo che potessimo usarle a mano. La maggior parte delle munizioni che ottenemmo le conquistammo sul campo durante le operazioni. Nello stesso modo prendemmo molte delle armi automatiche. Non ce n’erano così tante in giro prima di Dicembre 1994. Una volta armammo un’unità con 12 lanciagranate. Per i nostri standard quella era da considerarsi un’unità veramente potente. Di norma un gruppo di dieci uomini aveva un solo lanciagranate. La nostra unità standard era composta da 10 – 20 persone. Non potevamo armare unità più grandi perché il Quartier Generale non era nella posizione di rifornirle e di nutrirle. In ogni caso sarebbe stato difficile per grossi gruppi muoversi agilmente in città.

18 GENNAIO 1995
La situazione non era facile al Palazzo Presidenziale. Il 5 o il 6 Gennaio il quarto ed il quinto piano del Palazzo presero fuoco. […] Il 18 Gennaio il Palazzo patì un massiccio bombardamento aereo e d’artiglieria. Contammo che il palazzo venne colpito al ritmo di un colpo al secondo. Era un bersaglio facile, perché spiccava bene tra gli edifici circostanti. Alla fine il Palazzo fu colpito da una bomba di profondità, la quale attraversò 11 piani e distrusse il soffitto dell’ospedale da campo, situato nelle cantine. Fortunatamente non c’era nessuno nell’ospedale in quel momento. A causa dei danni non riuscimmo a capire quante persone rimasero uccise. Era una bomba di precisione, esplose a venti metri dal Quartier Generale di Maskhadov. I russi avrebbero potuto avere informazioni precise riguardo la posizione del Quartier Generale da chiunque – c’erano molte persone nel Palazzo in quel momento, lasciavamo entrare giornalisti, deputati della Duma, madri dei prigionieri di guerra russi. Una compagnia esplorativa aveva occupato un hotel vicino alla stazione ferroviaria. I nostri uomini li assediarono all’ultimo piano, il dodicesimo. La situazione era in stallo ed iniziammo a negoziare con loro. L’ufficiale comandante, un capitano, fu portato al Palazzo. Era stupido, ma la gente allora era davvero naïve. Lui andò alla radio e contattò Babichev dal Palazzo. Babichev e Maskhadov si incontrarono all’hotel.
Ormai non avevamo niente di utilizzabile intorno al Palazzo, non avevamo veicoli corazzati o da trasporto, tutto era stato distrutto, anche se l’unità di Shamil Basayev, oltre il Sunzha, possedeva ancora armamenti pesanti. I russi inviarono un APC per prenderci e portarci ai negoziati. Discutemmo la questione dei 65 prigionieri di guerra che tenevamo nel Palazzo. Accettammo di rilasciarli ma di tenerci le loro armi. Maskhadov invitò i russi a riprendere i corpi dei loro caduti, loro offrirono un cessate – il – fuoco di 2 o 3 ore. Noi avevamo il timore delle epidemie, non potevi muoverti senza pestare un cadavere. Ogni APC colpito aveva una media di 10 – 11 cadaveri. Questi giacevano intorno alla carcassa mezzi bruciati o mangiati dai cani. Ma al comando russo non fregava niente. Maskhadov provò ad appellarsi ai loro sentimenti più nobili, chiedendo loro come avrebbero potuto guardare in faccia le madri dei soldati se non avessero seppellito i loro figli. Ma questo non funzionò, i generali furono inamovibili. Babichev se ne andò, noi rilasciammo i prigionieri di guerra come avevamo promesso, così come il capitano degli scout che si trovava al Quartier Generale. Fu lui che probabilmente dette la posizione del Quartier Generale, anche se c’era una gran quantità di spie nel Palazzo.
Riguardo alle due bombe di profondità di cui parlavo prima, per la verità ne esplosero due. Ero sulla piattaforma del primo piano quando successe, in contatto radio con le unità arroccate nel Sovmin e nell’Hotel Kavkaz dall’altra parte della piazza (non potevamo comunicare dal basamento perché la nostra antenna sul tetto del Palazzo era stata distrutta. Senza un trasmettitore i Motorola avevano un raggio di appena 500 – 600 metri). Vidi un aereo scendere in picchiata e mi aspettai un missile, non una bomba. L’uomo che era con me era appena rientrato dentro. Ci fu una grossa esplosione. La gente urlava in cerca di aiuto. Mi precipitai di sotto per controllare il Quartier Generale. Era buio. Non riuscivo a vedere niente. Mettemmo fazzoletti sulle nostre facce per respirare normalmente. In serata prendemmo la decisione di andarcene. Era diventato troppo pericoloso: un altro attacco del genere e saremmo stati tutti uccisi. Lasciammo il Palazzo nella notte in piccoli gruppi. I giornalisti scrissero che eravamo fuggiti attraverso dei tunnel, che il Palazzo era costruito come un bunker militare. Credimi, ho esplorato tutto il palazzo e non c’erano tunnel. Il Palazzo non era costruito come un Bunker. Il tetto era composto da lastre di cemento ordinarie.

L’INIZIO DELLA RITIRATA DA GROZNY
La nostra linea di difesa successiva era oltre il fiume Sunzha. Tentammo di distruggere i ponti come potevamo ma non riuscimmo a buttare giù quello principale, perché non avevamo sufficiente esplosivo. La linea del fronte fu posta lungo il Sunzha. Passammo quasi un mese confrontandoci sul fiume. Controllavamo la sponda destra, mentre i russi tenevano la sinistra. Non c’erano combattimenti ravvicinati, usavamo principalmente fucili da cecchino. Il Sunzha forniva una buona protezione perché i russi avevano paura di attraversare il fiume con i loro APC. Per qualche tempo le loro forze rimasero concentrate intorno al Palazzo Presidenziale, dove loro celebravano la loro vittoria. Per inciso, osarono entrare nel Palazzo soltanto 3 o 4 giorni dopo che lo avevamo abbandonato. Erano posizionati a cento metri davanti al Palazzo ma non avevano realizzato che ce n’eravamo andati.
Non tutti gli uomini armati combattevano. Molti erano nascosti nel distretto di Minutka. Forse davano sicurezza agli abitanti di Minutka, ma a noi non erano utili. Erano una seccatura perché passando per combattenti, su di loro erano deviati i rifornimenti di cibo e munizioni. […] Molti per vari motivi non raggiunsero mai la linea del fronte. Passarono una settimana o due nei seminterrati e poi tornarono a casa raccontando alle loro mogli di quanto erano stati coraggiosi. C’erano anche persone di questo tipo, non tutta la nazione stava combattendo. Ti darò un esempio: all’inizio di Gennaio del 1995 Maskhadov mi inviò a Minutka per raccogliere volontari. Quando arrivai lì, radunai le persone, tenni un discorso, inviai un gruppo a Salamov in aiuto al Presidente Dudaev. Loro percorsero la ferrovia, attraversarono il ponte Belikovski perché era pericoloso attraversare il ponte principale, i russi avevano appena raggiunto l’Istituto Petrolifero e c’erano combattimenti sul ponte principale. Dopo averli inviati, raccolsi un altro gruppo di 70 uomini. Li guidai verso il Palazzo Presidenziale attraverso il ponte principale. Quando raggiungemmo il ponte iniziò un fitto bombardamento di mortai. Dissi agli uomini che dovevamo aspettare 15 minuti che il fuoco calasse di intensità e poi passare il ponte in gruppi di 4 o 5. Dopo 20 minuti ero rimasto con un solo uomo. Tutti questi coraggiosi combattenti della resistenza se ne erano andati. Rimandai l’uomo a Minutka ma non riuscì a riportare indietro nessuno. Tornai al Palazzo Presidenziale da solo.
I COMBATTIMENTI AL TRAMPARK
Dopo esserci ritirati dal Palazzo, muovemmo il Quartier Generale al cinema “Gioventù” vicino al tunnel di Viale Lenin. Rimanemmo la per 3 giorni ma il tiro dei mortai russi ed il fuoco dell’artiglieria era così pesante che rimanere la divenne pericoloso. Per evitare perdite ci muovemmo più lontano dal centro verso Minutka. Ero responsabile di scegliere l’edificio per il Quartier Generale e decisi per l’Ospedale Cittadino numero 2. La mia scelta fu determinata dal fatto che l’edificio aveva un piano interrato dove potevamo vivere e proteggere gli accessi. L’ospedale era un grande edificio circondato da case di un piano. Era in rovina, ma la cantina era utilizzabile. Per la prima volta dopo un mese di combattimenti la fanteria mosse dal centro cittadino all’Università, a 60 metri da Viale Lenin. Se la fanteria fosse riuscita a raggiungere il viale le nostre unità rimaste sull’altra riva del fiume vicino al Palazzo sarebbero state circondate. Immediatamente inviammo rinforzi al Trampark (il parco dei tram). Per la prima volta dall’inizio della guerra riuscimmo a respingere il nemico spingendolo oltre il cerchio stradale esterno, nel Microraion. Devo confessare che non avevamo armi anticarro, non avevamo artiglieria, soltanto lanciagranate, mortai ed armi leggere. Fu la nostra prima offensiva. Questo ci dette coraggio e sicurezza.

Sfortunatamente accadde l’ovvio: un’unità di osservazione cecena che stazionava sul Sunzha se ne andò senza avvisare il Quartier Generale. I russi riuscirono ad attraversare il Sunzha, e penetrarono nel distretto senza essere notati, seguendo la riva de fiume. I russi osservavano attentamente i movimenti ceceni ed immediatamente occuparono le posizioni che le nostre unità avevano abbandonato. La carenza di professionalità e disciplina fu un grosso handicap all’inizio della guerra. C’erano circa 100 APC al Trampark. Il combattimento fu pesante. I russi usarono fuoco di mortaio, da 80 e da 122 mm. Le nostre posizioni sulla riva destra si allungavano fino al ponte ferroviario. Era conveniente, perché oltre quello non c’erano altri ponti. Dovevamo difendere quel ponte perché avevamo fallito nel distruggerlo completamente (un lato era collassato ma un APC poteva ancora attraversarlo). Una divisione del DGB (il Dipartimento di Sicurezza dello Stato) comandato da Geliskhanov stava a guardia del ponte di Voikov, vicino alla Casa della Cultura Krupskaya. Dopo essere stata bombardata, la divisione di Geliskhanov se ne andò senza avvisare il Quartier Generale. La fanteria russa fu in grado di attraversare il fiume e di entrare in Via Saikhanov, avvicinandosi alla nostra posizione. Realizzammo quanto era successo soltanto quando la fanteria russa era a 200/300 metri dal Quartier Generale. Cercammo di respingerla richiamando molte unità in soccorso. La prima ad arrivare fu la Guardia Presidenziale, che era rimasta con Dudaev. Ma presto perdemmo i contatti. Provai a chiamarli per tutta la notte ma non riuscii a prendere contatto radio. In mattinata giunsero la notizia che erano stati circondati o catturati. L’informazione era falsa. Inviammo altre unità in soccorso ed i combattimenti si accesero in Via Saikhanov. Sapemmo più tardi che la Guardia Presidenziale si era persa da qualche parte nei pressi della Stazione dei Bus. Gli Okhrana (guardie del corpo) dello Stato Maggiore, che avevano combattuto bene nel Novembre del 1994, vennero schierati successivamente. Anche loro si persero. Maskhadov mi mandò da Basaev per raccogliere rinforzi ed andò egli stesso a Minutka a cercare volontari. Raccogliemmo tutti gli uomini che potemmo per rafforzare la linea del fronte. La battaglia fu feroce. Mumadi Saidaev fu lasciato a capo della difesa. Fece del suo meglio per organizzare la linea del fronte. Sostituì il Tenente Colonnello Isa Ayubov come vicecomandante in capo. Ayubov era morto, fatto a pezzi da una granata mentre proteggeva un’infermiera con il suo corpo.
Ottenemmo alcuni successi moderati – in alcuni punti i russi si ritirarono, Avevano raggiunto la scuola di Via Saikhanov. Per poterli sloggiare da lì dovevamo usare i carri armati. Avevamo ancora 3 carri ma c’era un problema: i nostri equipaggi temevano di venire colpiti dalle nostre stesse unità[…] Durante la battaglia muovemmo il Quartier Generale in un altro ospedale vicino, lasciando i feriti con una squadra medica ed un’unità a protezione. L’unità era sotto il comando di un uomo di nome Andi, di Novogroznensky. Per qualche ragione egli abbandonò i suoi uomini e tornò a casa. Gli uomini non organizzarono il servizio di vedetta. Al calare del sole gli informatori ceceni portarono i russi all’ospedale. Questi occuparono il piano terra. Il personale medico ed i feriti erano nel seminterrato. Due uomini uscirono per fumare e si trovarono faccia a faccia con i russi. Ne venne fuori una sparatoria. Un uomo morì, l’altro rimase ferito. Un’unità di 10/20 uomini che passava da quelle parti sentì gli spari e corse in aiuto, sloggiò i russi e portò feriti e medici al Quartier Generale.

I combattimenti continuavano lungo Via Saikhanov. Secondo me avevamo rafforzato le nostre posizioni abbastanza per contrattaccare e costringere i russi a ritirarsi sulle loro vecchie posizioni oltre il Sunzha. C’era un forte reparto di 40 uomini ben armati vicino al ponte non lontano dalla posizione di Basaev. Chiesi loro di rinforzarla ma loro si rifiutarono, dichiarando che il loro comandante era assente e che avevano bisogno del suo consenso. Se ne andarono, ed i sempre vigili russi mossero i loro carri attraverso il ponte per supportare la fanteria su Via Saikhanov. Divenne difficile difendere l’area. Se avessimo fallito nel fermare l’attacco russo avremmo rischiato di rimanere tagliati fuori. I russi avevano sfondato attraverso il villaggio di Gikalo e nel Microraion. C’erano combattimenti nei sobborghi. La strata per Atagi da Gikalo era stata tagliata, così come l’autostrada Rostov – Baku. L’unica via d’uscita da Grozny era attraverso Chernorechie lungo Via Pavel Musor, nel 12° Distretto. Prendemmo la decisione di abbandonare la difesa del Trampark e di ritirare le nostre forze, circa 400 uomini. Passammo due o tre giorni nel 12° Distretto ma era impossibile costruire delle difese perché le case erano troppo piccole. I russi occuparono la maggior parte della città. Non aveva senso continuare a combattere a Grozny ora che il centro era stato catturato. Basayev fu lasciato a Chernorechie a proteggere la ritirata. Il Quartier Generale fu spostato ad Argun.
L’EVACUAZIONE
Basaev si ritirò una settimana più tardi. Evacuammo chiunque fosse in grado di farlo. I feriti furono inviati ad Atagi, dove installammo un ospedale da campo, i prigionieri a Shali. Maskhadov se ne andò a fare rapporto a Dudaev. Io e Saidaev evacuammo il Quartier Generale attraverso Starie Atagi. Avevamo un piccolo APC per caricare tutte le poche riserve che avevamo. Maskhadov ci disse che Zelimkhan Yandarbiev ci avrebbe aiutato ad evacuare, essendo Starie Atagi il suo villaggio natale. […] Arrivammo a notte fonda. Mi aspettavo che accorresse ad accoglierci. Dopo tutto avevamo combattuto per due mesi! Quando arrivammo il villaggio era meravigliosamente quieto, avevamo dimenticato cosa fossero la pace ed il silenzio. Eravamo affamati e stanchi. Chiesi di Yandarbiev. Lui venne e ci incontrammo per strada. Promise di inviare un camion per portarci ad Argun. Aspettammo seduti tutta la notte in un capannone con un solo pezzo di pane che avevamo trovato da qualche parte. Nessuno ci invitò a casa sua. Il giorno seguente aspettai fino all’ora di pranzo, poi inviai delle persone da Yandarbiev affinché gli comunicassero di arrivare quanto prima. Ma erano promesse ma nient’altro. Inviati uno dei nostri combattenti a fermare un camion Kamaz. Il primo che si fermò trasportava patate. L’autista acconsentì ad aiutarci con grande convinzione. Caricammo tutto sul camion, montammo un mortaio da 122mm e partimmo per Argun.

ARGUN
Argun era rimasta relativamente tranquilla durante la Battaglia per Grozny. […] Avevamo predisposto le nostre difese ad Argun mentre combattevamo per Grozny. Le trincee erano già scavate. Il fiume Argun era una barriera naturale. Il letto del fiume era facilmente attraversabile, ma una sponda è più ripida dell’altra. I russi non avrebbero potuto attraversare il fiume senza essere scoperti e non avrebbero potuto lanciare attacchi di sorpresa.Trovai un posto per il Quartier Generale dopo una giornata di ricerche. Il Quartier Generale doveva essere sufficientemente vicino alla linea del fronte, se fosse stato troppo lontano il panico avrebbe prodotto voci secondo le quali lo Stato Maggiore fosse scappato, ma neanche troppo vicino da finire sotto il fuoco di artiglieria. Scelsi la fabbrica “Krasnyi Molot”. Era ben rinforzata contro gli attacchi aerei e in una posizione comoda ai margini della città. Io e Maskhadov riuscimmo a uscire vivi da Argun per pura fortuna. Era il 3 di marzo, il giorno di Uraza. Ci erano rimasti 3 carri. Quegli idioti dell’equipaggio, probabilmente su di giri, sparavano sui russi dal Quartier Generale. I russi individuarono la nostra posizione ed iniziarono un bombardamento di artiglieria. […] Maskhadov stava andando da qualche parte. Eravamo in un’auto con una guardia del corpo. Io ero alla guida. Maskhadov mi ordinò di rimanere al Quartier Generale e di inviargli un altro autista. Mentre aspettava, un missile esplose a sei metri da noi. Fu un miracolo che non rimanessimo feriti. Corremmo dentro l’edificio mentre un altro missile colpiva direttamente l’auto. Un uomo rimase ucciso e molti feriti. Rimanemmo ad Argun, se ricordo bene, fino alla fine di Marzo del 1995. Ci difendemmo bene. I comandanti erano Khunkarpasha Israpilov ed il suo vice, Aslanbek Ismailov. […]
Quando i russi sfondarono le difese di Argun, successe come sempre a causa della nostra scarsa attenzione. Un’unità posizionata nel 5° Sovkhoz se ne andò senza avvisare, permettendo ai russi di muovere i loro APC all’interno del nostro dispositivo. Dovemmo ritirarci a Shali. La ritirata da Argun fu effettuata in buon ordine. Il Quartier Generale fu spostato prima a Shali, poi a Serzhen Yurt. Non rimanemmo a lungo a Shali. Ciò era dovuto al nostro campanilismo. Fino ad allora i russi avevano diretto i loro attacchi sul nostro Quartier Generale. Le truppe russe stazionanti in Inguscezia e ad Achkhoy Martan non erano ancora state impegnate in operazione. Era prima che scoppiassero i combattimenti a Bamut e Samashki. In quei giorni la gente combatteva soltanto per difendere il proprio villaggio o città. Grozny era un’eccezione, era la capitale, apparteneva a tutti noi. Ognuno voleva essere parte dell’azione. Successivamente i comandanti furono riluttanti a organizzare posizioni difensive nei loro villaggi, a causa delle pressioni familiari. Preferivano combattere lontani dai loro villaggi. Shali fu accerchiata senza combattere nonostante da lì provenissero molti dei comandanti che si sarebbero fatti un nome nel proseguo della.
SULLE MONTAGNE
Fummo costretti a ritirarci nelle montagne. La linea del fronte era rotta. Combattevamo nei canyon delle montagne: a Serzhen Yurt il “Fronte Centrale” era comandato da Shamil Basaev, ad Agishty da Alikhadzhiev. Il distretto di Nozhai Yurt era quieto. Gudermes fu circondata senza combattere, Salman Raduev era incapace di organizzare una difesa a causa dei politici locali. Con il fronte diviso in due sezioni dopo la nostra ritirata da Shali, i russi iniziarono una massiccia offensiva su due fronti. I combattimenti iniziarono a Bamut. Le unità di Gelayev erano posizionate sulla strada principale per Shatoy (il comando del Fronte Sudoccidentale era organizzato da Mumadi Saidaev perché Gelayev era stato ferito più volte ed aveva dovuto smettere di combattere. Il collegamento tra il Sudest ed il Sudovest era interrotto. Per tutta la guerra i collegamenti con il Sudovest rimasero difficili. Quando ci ritirammo da Serzhen Yurt a Vedeno inviammo un operatore, Kurgan Tagir, al Fronte Sudoccidentale. Lui raggiunse Shatoy per installare una trasmittente proprio quando Shatoy fu presa. Poi giunse la ritirata da Vedeno. Occorse un fraintendimento: le unità di Gelayev avrebbero dovuto proteggere il canyon del fiume nella direzione di Shatoy da Duba Yurt mentre Alikhandzhiev avrebbe dovuto proteggere l’altro lato, da Selmenthausen. Ma loro non si trovavano nelle loro posizioni. I russi con l’aiuto di una guida locale riuscirono ad attraversare quella stretta gola, la quale non era minata perché la usavamo frequentemente. Era il collegamento principale tra il Quartier Generale ed il Fronte Sudoccidentale. Era utile perché potevano guidare jeeps, camion ed addirittura bus lungo il letto del fiume.

Dopo che i russi entrarono nel Canyon le nostre unità si ritirarono. L’offensiva russa su Vedeno, superata Elistanzhi, acquisì slancio. Cercammo di fermarli, inviando il battaglione di Batalov da Nozhai Yurt, ma fallimmo nel chiudere la breccia, schiacciati dal numero di carri armati ed elicotteri. Nonostante avessimo combattuto una guerra di posizione per quasi sei mesi, non eravamo preparati a combattere in quelle condizioni in quel preciso momento. Richiamammo le unità che difendevano Agishty e Serzhen Yurt e ci ritirammo a Dargo. Nel 1995 durante i negoziati con i russi, Maskhadov parlò con il generale che aveva comandato l’offensiva sul canyon di Agishty. Il generale si lamentava riguardo alla carenza di equipaggiamento ed alle difficili condizioni durante le operazioni. Egli chiese a Maskhadov: “dimmi, quanti uomini avevate là?” Maskhadov rispose: “non ricordo il numero esatto, avevamo 30 o 40 uomini”. Dopo aver lasciato Agishty, il loro ultimo rifugio fu la foresta.
L’ultimo ad abbandonare Vedeno fu Shamil Basaev. Era il suo territorio. Minò le strade per evitare che i russi lo inseguissero. Ma era poco probabile che lo facessero, perché la strada tagliava attraverso le montagne e le foreste, con poco spazio di manovra per i carri armati. In ogni caso gli elicotteri ci inseguirono durante la ritirata. Da Dargo, Maskhadov ordinò che il Quartier Generale fosse spostato a Benoy. Dargo era la casa di alcuni membri dell’opposizione antidudaevita, tra i quali Khadzhiev. La gente era divisa e spaventata, non voleva operazioni militari nel proprio villaggio. Un famoso bandito, Allaudi Khamzatov (che fu ucciso più tardi) era con noi. (aveva connessioni con Ruslan Labazanov prima, ma si mostrò valoroso fin dall’inizio della guerra). Allaudi aveva una brutta reputazione, poteva uccidere un uomo senza alcuna provocazione. Egli disse alla popolazione locale “Se non siete soddisfatti riguardo la presenza di unità militari, prenderò 3 uomini uno dalla periferia del villaggio, uno dal centro un altro dall’altra parte del villaggio, e li ucciderò. Ed ucciderò tutti coloro che oseranno squittire. Puntò il cannone di uno dei due carri armati che eravamo riusciti a ritirare da Vedeno contro la casa di un membro dell’opposizione molto conosciuto. Nessuno disse una parola. Dargo è molto bella, forse gli abitanti volevano preservare quella bellezza. Ma rimasi sorpreso: Dargo aveva una tradizione eroica e gloriosa, quella tradizione avrebbe dovuto ispirare la popolazione. In questa guerra Dargo non ha niente di cui andare fiera. Quando Basayev installò la sua base qui, nel 1996, la popolazione non osò opporsi. La maggior parte della popolazione ci era fedele. In ogni caso quando fummo sospinti sulle montagne dopo Vedeno e Dargo, iniziammo ad avere problemi a Benoy ed a Nozhai Yurt. La gente pensò che avevamo fallito, che la guerra era perduta. L’attitudine della popolazione divenne ambigua. La gente iniziò a guardarci con sospetto, tentava di spiarci. Iniziarono a dire che stavamo creando un problema alla nazione che avremmo dovuto perire o ritirarci sulle montagne, e lasciarli vivere le loro vite indisturbati. Fu un periodo difficile. Tutto cambiò quando Basaev prese la decisione di marciare su Budennovsk.

DOPO BUDENNOVSK
Fino a Budennovsk avevamo le schiene alle montagne, non c’erano più villaggi oltre. Il nemico era vicino 5 o 6 km. I russi sparavano con i GRAD da Vedeno su Benoy. Il raid di Basayev cambiò il corso della guerra. Guadagnammo tempo. Durante molti mesi di negoziati a Grozny la nostra sicurezza crebbe. L’approccio della popolazione cambiò, ancora una volta venimmo accolti ovunque. Quando ci dirigemmo per la prima volta a Grozny con Maskhadov una grossa folla ci circondò per congratularsi con noi a Novogroznensky, tutti volevano toccarci, neanche fossimo santi! Secondo me i russi fecero un errore quando insisterono per svolgere a Grozny i negoziati, anziché in un territorio neutrale, come Argun o Urus – Martan. Arrivammo a Grozny come un’orda di Mongoli. All’inizio Maskhadov ebbe autorizzazione a varcare i checkpoint con 12 guardie del corpo in 5 auto, ed il reparto avrebbe dovuto essere armato secondo uno specifico protocollo. All’inizio rispettammo queste condizioni, ma presto le cose cambiarono. Iniziammo a conoscere i militari nei posti di blocco lungo la strada. I nostri combattenti iniziarono a mostrare il loro disprezzo per loro. Entravano nei posti di guardia, scattavano fotografie. Presti iniziarono a superare i posti di blocco senza fermarsi. A Grozny incontrai l’Aiutante di Campo del Generale Romanov. Diventammo amici. Mi dava spesso dei lasciapassare in bianco. (penso che fu ucciso più tardi, fu un peccato, era un bravo ragazzo). Ordinai attraverso amici a Mosca una copia del sigillo dell’Alto Comando russo, lo usavamo talvolta per portare i nostri uomini dentro Grozny, ma più spesso utilizzavamo i nostri contatti personali con i russi. Le nostre unità iniziarono ad infiltrarsi dentro Grozny da tutte le direzioni. Grozny era piena di nostri uomini.
12/12/1994 – LA BATTAGLIA DI DOLINSKY

La Battaglia di Dolinsky fu il primo scontro in campo aperto della Prima Guerra Cecena. Esso occorse tra il 12 ed il 22 Dicembre 1994, e vide contrapposte le forze avanzanti dell’esercito federale (elementi della 106a Divisione e della 56a Brigata d’Assalto aviotrasportate) ed i reparti del Fronte Nord – Occidentale della ChRI. Lo scontro si risolse in una vittoria tattica delle forze cecene, le quali costrinsero i nemici ad interrompere l’avanzata ed a schierarsi in posizione difensiva, interrompendo l’avanzata verso Grozny ed impegnandosi in una distruttiva battaglia di logoramento di dieci giorni, permettendo allo Stato Maggiore ceceno di predisporre un’efficace difesa di Grozny.
RALLENTARE IL NEMICO
Dopo il fallimento dell’Assalto di Novembre (26/11/1994) e la dissoluzione delle milizie cecene antidudaevite, il Presidente russo Boris Eltsin ordinò l’intervento armato diretto contro il regime di Dudaev. Il 1 Dicembre 1994 l’aereonautica federale portò a termine la distruzione al suolo dell’aereonautica cecena, e dall’11 Dicembre i reparti armati del Raggruppamento delle Forze Unite (il corpo di spedizione federale) iniziarono a penetrare in territorio ceceno, con l’obiettivo di raggiungere Grozny in 48 ore. Lo Stato Maggiore ceceno, impegnato fino alla fine di Novembre contro le milizie antigovernative, non aveva ancora finito di predisporre un efficace dispositivo di difesa dentro Grozny, che con ogni evidenza sarebbe stato il centro di gravità dell’azione bellica. Per guadagnare tempo prezioso e completare la disposizione delle unità dentro la capitale, Maskhadov costituì una linea difensiva esterna alla città lungo il cosiddetto “Terek Ridge”, la cresta di colline che sovrasta Grozny da Nord e che separa la Cecenia centrale dai distretti settentrionali del paese. Cardini della linea difensiva furono i villaggi di Petropavlovskaya ad Est e Dolinsky ad Ovest. Il comando della parte occidentale del fronte fu affidato all’ex Capitano di Polizia e Deputato del Parlamento separatista Vakha Arsanov, promosso Generale di Brigata per assolvere al compito. Per sostenere le azioni di disturbo e rallentamento necessarie, Arsanov fu fornito di alcuni mezzi corazzati T – 72 del Reggimento Corazzato Shali ed almeno 4 sistemi lanciarazzi BM – 21 “Grad”, conosciuti nella cultura popolare con il nomignolo di “Organi di Stalin”. Si trattava di dispositivi mobili capaci di lanciare salve di 40 razzi esplosivi in contemporanea, capaci di distruggere intere colonne motorizzate con un singolo attacco. Al ritiro dell’esercito sovietico nel Giugno del 1992 l’esercito ceceno era riuscito a mettere le mani su 16 di questi, e su almeno un migliaio di proiettili. Questi sarebbero stati poco utili in un combattimento urbano, ma certamente potevano svolgere un eccellente servizio nelle pianure settentrionali del paese, se opportunamente manovrate. Arsanov sistemò i suoi mezzi nei pressi della prigione del villaggio di Dolinsky, ed organizzò una linea di difesa elastica lungo le alture sovrastanti. Poi inviò alcuni suoi uomini in abiti civili lungo le direttrici di avanzata delle truppe federali, in modo che gli riferissero i loro movimenti e gli permettessero di agire al momento opportuno.

L’IMBOSCATA
La sera dell’11 Dicembre uno degli scout di Arsanov riferì che elementi della 106a Divisione e della 56a Brigata d’Assalto aviotrasportate dell’esercito federale erano in arrivo dal villaggio di Kalaus, e che avrebbero raggiunto Dolinsky nella giornata successiva. Arsanov dispose le sue batterie dentro il perimetro di una grande raffineria a nord del villaggio. Si trattava di un intricato sistema di edifici, oleodotti e condutture metalliche all’interno del quale un mezzo come il BM – 21 “Grad” avrebbe potuto facilmente mimetizzarsi. Inoltre la raffineria era situata su di un’altura sovrastante il percorso che i russi avrebbero dovuto seguire per raggiungere le porte del villaggio. Quando la colonna nemica raggiunse il punto prestabilito Arsanov ordinò di far fuoco su di essa. Una salva di quattro razzi investì in pieno la colonna, e solo il fatto che questa fosse molto allungata fece sì che l’imboscata non si trasformasse in una tragedia. L’attacco produsse comunque la distruzione di svariati mezzi blindati e da trasporto, ed il danneggiamento di numerosi altri. Perirono 6 militari russi, ed altri 13 furono ricoverati con ferite gravi. Le truppe federali, trovatesi improvvisamente sotto il tiro dell’artiglieria nemica, chiesero il pronto intervento dell’aereonautica per individuare le batterie cecene e metterle a tacere, ma quando fu chiaro che queste sparavano dalla raffineria il comando ordinò che questa non intervenisse, giudicando l’azione contraria alle regole di ingaggio previste. L’intervento federale, infatti, era considerato sostanzialmente un’operazione di polizia, e non si prevedeva l’utilizzo di armamenti pesanti contro obiettivi industriali e civili. Per questo motivo i ceceni poterono continuare a bersagliare la colonna russa con altre due salve, danneggiando altri veicoli e costringendola ad assumere una posizione difensiva. I coscritti che componevano il reparto avanzante ebbero così un primo assaggio di cosa questa operazione fosse in realtà: non un’operazione di polizia contro bande di briganti semi – disarmati, ma una vera e propria battaglia campale contro un esercito armato di artiglieria pesante e mezzi corazzati. Il filmato dei “Grad” ceceni che tormentano le avanguardie russe, girato da un corrispondente dell’emittente NTV e mandato in onda nei giorni successivi scioccò l’opinione pubblica russa: Eltsin aveva parlato di “qualche centinaio di estremisti disperati”, ed il Ministro della Difesa Pavel Grachev aveva assicurato che il “ripristino dell’ordine costituzionale” avrebbe richiesto l’impiego di qualche brigata di paracadutisti in una breve operazione militare.


LA BATTAGLIA DI DOLINSKY
Anche i due carri T – 72 a disposizione di Arsanov entrarono presto in azione, impegnando i federali in una estenuante battaglia e tenendo a distanza gli elicotteri giunti in soccorso con le loro mitragliatrici di bordo. Le forze di Arsanov continuarono ad attaccare le truppe federali per quattro giorni poi assunsero una posizione difensiva, subendo il contrattacco federale e resistendo fino al 22 Dicembre tra le rovine di Dolinsky. Al termine dello scontro il comando delle Forze Unite dichiarò di aver eliminato 60 “militanti” e di aver distrutto tutti i mezzi a loro disposizione (2 carri armati, 3 lanciamissili “grad” ed un veicolo blindato per il trasporto della fanteria) affermando di aver perduto 6 soldati. La versione del comando ceceno fu molto diversa, ed in un’intervista successiva il comandante del reparto agli ordini di Arsanov, Colonnello Hussein Iskhanov, dichiarò che le perdite russe tra morti e feriti sfiorarono le duecento unità. La caparbia difesa di Dolinsky da parte delle forze cecene imbarazzò i comandi militari russi, ed il Ministro Grachev si affrettò a rimuovere il comandante sul campo, Generale Mityukhin, sostituendolo dapprima con il Colonnello Generale Voroybov, il quale tuttavia si rifiutò di accettare l’incarico, poi con il Tenente Generale Anatoly Kvashnin il quale riprese prontamente le azioni militari ed iniziò a comprimere la difesa cecena, costringendola ad arroccarsi nel villaggio di Pervomayskaya, alle porte di Grozny.
