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I CINQUEMILA GIORNI DI ICHKERIA – PARTE 5 (AGOSTO – SETTEMBRE 1991)

2 Agosto

CULTURA – Viene costituito a Grozny l’Interclub, una sorta di ambiente comune a disposizione di tutti i cittadini. All’interno di esso viene istituito il centro per lo sviluppo delle culture nazionali, uno spazio a disposizione di tutti i popolo abitanti la Cecenia – Inguscezia dove tenere congressi, manifestazioni e assemblee.

8 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – Il Comitato Esecutivo dell’OKChN emette un appello indirizzato al Segretario Generale dell’ONU, al Segretario dell’Organizzazione dei Popoli Non Rappresentati ed in generale ai governi di tutto il mondo. In esso si legge: ” […] In considerazione del fatto che il Soviet Supremo della Repubblica non solo ha preso la decisione di ignorare la volontà popolare, ma ha anche utilizzato tutti i mezzi per affermare il suo potere ed ha adottato strumenti legislativi e delibere non riconosciutegli dal suo potere in rappresentanza di una repubblica sovrana, il Comitato Esecutivo ha deciso di convocare per l’8 Giugno di quest’anno i suoi deputati per proseguire il lavoro del Congresso come costituente. […] L’intera autorità nel territorio della Repubblica è stata trasferita al Comitato Esecutivo, eletto dal Congresso, fino alla formazione di un nuovo organo legislativo in conformità con le norme giuridiche universalmente riconosciute. […].”

9 Agosto

ASSOCIAZIONI – Viene istituita l’Unione degli Imprenditori della Ceceno – Inguscezia, prima camera associativa della nascente impresa privata nel paese.

Bandiera del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (OKChN)

14 Agosto

POLITICA LOCALE – Nel villaggio di Gekhi la popolazione protesta contro il capo dell’amministrazione locale, K. Gakaev, presidiando il palazzo del governo locale e sventolando drappi verdi. Il Consiglio Comunale stabilisce una sospensione di Gakaev ed il passaggio dell’autorità ad interim ad un altro membro del Consiglio.

15 Agosto

UNIONE SOVIETICA – In vista del 20 Agosto, data prevista per la firma del nuovo Trattato dell’Unione, il Soviet Supremo Ceceno  – Inguscio autorizza la delegazione repubblicana a recarsi a Mosca per presenziare alle cerimonia, ma non la autorizza a firmare alcun documento senza che prima non siano stati garantiti i diritti degli ingusci sul Distretto di Prigorodny. La delegazione, guidata da Doku Zavgaev, si reca nella capitale russa.

19 – 22 Agosto

PUTSCH DI AGOSTO – Un gruppo di politici ed ufficiali della vecchia guardia del PCUS, organizzati in un Comitato di Emergenza tenta di ripristinare il regime sovietico, arrestando Gorbachev con lo scopo di impedire la firma del nuovo Trattato dell’Unione. Durante il suo svolgimento Zavgaev si astiene dal prendere una chiara posizione contro i golpisti. I nazionalisti, invece, manifestano contro il Comitato di Emergenza e chiedono la soppressione del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio, colpevole di non aver prontamente condannato il putsch.

RIVOLUZIONE CECENA – Il 20 Agosto il Partito Democratico Vaynakh tiene una manifestazione contro il colpo di stato. il KGB detiene per alcune ore il leader del partito, Zelimkhan Yandarbiev, poi lo rilascia su pressione dei manifestanti e del Generale Dudaev. Il 22 Agosto il colpo di stato fallisce, i cospiratori vengono arrestati e Gorbachev torna al potere, ma il destino dell’URSS è segnato.

PUTSCH DI AGOSTO – Boris Eltsin legge il proclama di condanna al Comitato di Emergenza davanti alla Casa Bianca, in piedi su un carro armato.

22 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – Nell’ultimo giorno del colpo di stato migliaia di ceceni scendono in piazza mobilitati dal Congresso Nazionale del Popolo Ceceno. Si registrano tafferugli con le forze dell’ordine ed il tentativo di alcuni militanti di impadronirsi degli studi televisivi per trasmettere un messaggio del Generale Dudaev.

23 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – La manifestazione del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno continua, ed i manifestanti ottengono il diritto di parlare alla TV di Stato. Dudaev dichiara che lo scopo del Comitato Esecutivo del Congresso è la soppressione del Soviet Supremo e l’indipendenza della repubblica. Ruslan Khasbulatov, Presidente del Soviet Supremo dell’URSS, si reca a parlamentare con Zavgaev e gli intima di dimettersi per sventare il rischio di una rivolta popolare. Poi si intrattiene con Dudaev, con il quale concorda una road map basata sullo scioglimento del Soviet Supremo e la costituzione di un Soviet Supremo Provvisorio, il cui compito sarà quello di portare il paese ad elezioni democratiche.

24 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – Il presidio permanente dell’OKChN si ingrossa fino a raggiungere molte migliaia di persone. Folle di manifestanti bloccano il Ministero degli Affari Interni e la sede del KGB. In serata la statua bronzea di Lenin nella omonima piazza centrale di Grozny viene decapitata. Poi la folla penetra nell’edificio che ospita il Soviet Supremo Ceceno  – Inguscio e lo occupa, mentre altri manifestanti fanno irruzione nel SOVMIN (l’edificio del Consiglio dei Ministri). I lavori del Soviet Supremo si spostano alla Casa dell’Educazione politica. Zavgaev propone a Dudaev una commissione di conciliazione che negozi una soluzione della crisi politica senza il ricorso alla forza. Dudaev risponde chiedendo lo scioglimento del Soviet Supremo e nuove elezioni democratiche.

25 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – La manifestazione del Comitato Esecutivo del Congresso raccoglie ormai decine di migliaia di persone. Miliziani armati si aggirano per Grozny, mentre folle di manifestanti assediano gli edifici del Soviet Supremo, del Consiglio dei Ministri e del KGB, chiedendo le dimissioni di Zavgaev e lo scioglimento del Soviet. Le forze dell’ordine mobilitate dalle autorità non disperdono i manifestanti. Il Presidente del Soviet Supremo Russo, Ruslan Khasbulatov, chiede al Soviet Supremo di sciogliersi ed a Zavgaev di dimettersi, e di Costituire un Soviet Supremo Provvisorio che porti la Cecenia ed elezioni democratiche e multipartitiche.

26 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – Alla riunione del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio intervengono numerosi rappresentanti del potere centrale, come il Presidente della Commissione Parlamentare Aslanbek Aslakhanov ed il Ministro Salambek Hadjiev, entrambi di nazionalità cecena. Hadjiev accusa senza mezzi termini Zavgaev di aver tradito il popolo durante il colpo di Stato. Nel corso della riunione, da Mosca giunge un telegramma del Presidente del Soviet Supremo russo, Ruslan Khasbulatov, nel quale si intima al Soviet Supremo Ceceno – Inguscio di sciogliersi quanto prima e di indire nuove elezioni. Il Soviet respinge le accuse e gli ordini da Mosca, dichiarando che in quanto Stato sovrano la Repubblica Ceceno – Inguscia ha piena facoltà di operare autonomamente.

Nel frattempo in tutta Grozny i militanti del Comitato Esecutivo dell’OKChN occupano edifici pubblici e sezioni del Partito. A mezzogiorno Zavgaev legge alla radio un appello alla popolazione nel quale chiede ai cittadini di non lasciarsi coinvolgere “dagli estremisti”. Nello stesso momento Dudaev interviene alla riunione del Soviet Supremo dichiarano che la sua azione non è volta alla conquista del potere, ma a favore di un cambiamento democratico che tuteli tutte le componenti etniche e sociali della Repubblica. Al Presidium del Soviet Supremo inizia a circolare la proposta di dimissioni generali e nuove consultazioni.

Un manifestante tiene in mano la prima pagina di un quotidiano con la foto del leader della Rivoluzione Cecena, il Maggior Generale dell’aviazione Dzhokhar Dudaev

27 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – La manifestazione di Grozny si estende a tutto il Paese. Miliziani del Comitato Esecutivo del Congresso bloccano le stazioni ferroviarie, l’aereoporto e le vie di uscita dalla città di Grozny, oltre alle stazioni radio ed ai centralini telefonici. Militanti del Congresso ammainano la bandiera della RSSA Ceceno – Inguscia dall’edificio del Soviet Supremo ed innalzano la bandiera verde–bianco-rossa della Cecenia indipendente. Manifestanti fedeli al Soviet Supremo si radunano davanti alla Casa dell’Educazione Politica e tengono una piccola manifestazione a sostegno delle istituzioni. Anche da alcuni collettivi del lavoro giungono messaggi di solidarietà a Zavgaev.

28 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – Il Soviet Supremo emette una risoluzione di condanna al Comitato Esecutivo del Congresso ed al Partito Democratico Vaynakh, esortando la popolazione a non aderire ai tentativi insurrezionali.

29 Agosto

TENSIONI SOCIALI – La colonia penale di Naursk entra in agitazione. Circa 400 detenuti si ribellano, dando alle fiamme le torri di guardia e costringendo il personale ad evacuare la struttura. A fine serata una cinquantina di criminali controlla ancora parte della prigione.

29 Agosto

PARTITO COMUNISTA – A seguito del Putsch di Agosto il Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) viene “sospeso” a tempo indeterminato in tutta l’URSS. Le sue strutture iniziano a dissolversi.

30 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – Il Soviet Supremo conferma piena fiducia a Doku Zavgaev ma accetta di dimettersi quasi integralmente. Restano ai loro posti soltanto Zavgaev ed i due vicepresidenti del Presidium.

31 Agosto

RIVOLUZIONE CECENA – La Guardia Nazionale, formazione volontaria armata dal Comitato Esecutivo, eregge barricate in tutta Grozny. Le forze dell’ordine del Ministero degli Interni rimangono acquartierate nelle caserme.

1 – 2 Settembre

RIVOLUZIONE CECENA – Durante la terza sessione del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno il Comitato Esecutivo assume pieni poteri e da il suo sostegno alla creazione di un Soviet Provvisorio di tredici membri composto da esponenti del vecchio regime e da uomini di fiducia del Congresso.

3 Settembre

RIVOLUZIONE CECENA – Zavgaev dichiara lo Stato di Emergenza in Ceceno – Inguscezia. Le forze dell’ordine, tuttavia, non danno seguito alle direttive del governo e non intervengono a disperdere i manifestanti. Zavgaev è politicamente isolato e incapace di difendere la sua posizione.

Il palazzo del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio in una foto degli anni ’70. L’edificio fu occupato dai manifestanti separatisti, i quali costrinsero Zavgaev ed i suoi seguaci a rassegnare le dimissioni.

6 – 7 Settembre

RIVOLUZIONE CECENA – Militanti del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno, guidati da Yusup Soslambekov, irrompono in una sessione del Soviet Supremo Ceceno Inguscio, sciogliendolo con la forza. Il segretario locale del Partito, Vitali Kutsenko, cade dal terzo piano dell’edificio. Spirerà poche ore dopo in ospedale senza che si sappia se è morto a causa di una fatalità o se è stato deliberatamente defenestrato. Molti altri esponenti del partito rimangono contusi. Dopo aver firmato un “atto di rinuncia” Zavgaev fugge da Grozny e riesce a mettersi in salvo nell’Alto Terek.

Il Comitato Esecutivo istituisce un Comitato per la Gestione Operativa dell’Economia (COFEC) che si occupi di mantenere in funzione il sistema produttivo della Repubblica durante la transizione tra il Soviet Supremo ed un governo democraticamente eletto. A guidarlo viene chiamato il giovane imprenditore Yaragi Mamodaev, finanziatore del Comitato Esecutivo e molto vicino al Generale Dudaev.

NEGOZIATI RUSSO/CECENI – Il Segretario di Stato russo Barbulis, ed il Ministro della Stampa e dell’Informazione, Poltoranin tengono un primo negoziato con Dudaev, non riuscendo tuttavia a raggiungere alcuna intesa con il Generale.

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L’ECONOMIA AGRICOLA DELLA CHRI – SECONDA PARTE

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DALLA RIVOLUZIONE ALLA GUERRA

Il 1° Luglio 1989 Doku Zavgaev, già Ministro dell’Agricoltura, fu eletto Primo Segretario del Partito. Fu il primo ceceno dai tempi della deportazione del 1944 a ricoprire una carica di vertice nella RSSA Ceceno – Inguscia, e non era certo un caso che fosse proprio un Ministro dell’Agricoltura: questo dato, forse più di ogni altro, dimostra come il sistema di “apartheid socioeconomica” applicato nel Paese fosse rodato.  L’elezione di Zavgaev fu vista dai ceceni come l’opportunità per accorciare la distanza con la minoranza russa, cui fino ad allora erano state riservate le migliori opportunità lavorative e politiche. Il nuovo leader ceceno cercò di ammansire i più esagitati, senza tuttavia cedere al nazionalismo: del resto egli era ben cosciente che la componente russa della repubblica costituiva la stragrande maggioranza della popolazione culturalmente e professionalmente qualificata, e sapeva che se questa fosse di colpo venuta a mancare la Repubblica si sarebbe trovata in pessime acque.

D’altra parte Zavgaev era anche assai desideroso di aumentare e mantenere il suo potere personale, cosicché si mise a puntellare la sua posizione con una profusione di nomine clientelari e familiari, sfruttando poi le alleanze conseguite con questa politica per farsi eleggere Presidente del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio. In questo modo egli assommò su di sé la suprema carica politica e la suprema carica amministrativa della Repubblica: essendo ancora in vigore il sistema del partito unico, ciò significava acquisire un potere quasi illimitato. Questa escalation fu sancita in maniera ancora più netta quando, a seguito degli eventi innescati dal Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (ne abbiamo scritto profusamente QUI) Zavgaev si risolse a deliberare la Dichiarazione di Sovranità, con la quale fu sancita la predominanza delle leggi varate in Cecenia su quelle dell’URSS.

Questa repentina assunzione di potere garantì a Zavgaev una libertà di manovra senza precedenti, ma d’altro canto lo privò dell’appoggio che il regime sovietico poteva fornirgli qualora i nazionalisti radicali avessero preso il controllo della piazza. Ciò fu chiaro nell’Agosto del 1991, quando a seguito del cosiddetto “Putsch di Agosto” i secessionisti al seguito del Generale Dudaev presero il controllo delle istituzioni e lo estromisero dal governo in quella che fu chiamata “Rivoluzione Cecena” (Agosto – Novembre 1991). Zavgaev abbandonò il Paese sotto minaccia di morte, lasciandolo nelle mani di Dudaev.

Doku Zavgaev. Ex Ministro dell’Agricoltura, venne eletto alla guida del PCUS locale nel 1989 . Nel Marzo 1990 fu eletto anche Presidente del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio, assommando su di sè le massime cariche politiche del partito e dello Stato.

I

L GOVERNO RIVOLUZIONARIO

Il composito fronte politico che acquisì il controllo delle istituzioni cecene nel Novembre 1991 era tutt’altro che concorde sull’idea di cosa si dovesse fare per costruire la “nuova Cecenia”. Tra i rivoluzionari c’erano i moderati, per lo più di estrazione intellettuale e borghese, che volevano negoziare con la Russia un nuovo trattato federativo in cambio di laute concessioni economiche e politiche, c’erano i secessionisti laici, sostenitori di una trasformazione del paese in una democrazia parlamentare di stampo occidentale, ed i secessionisti radicali, fautori di un sistema politico fortemente incentrato sulla tradizione islamica del Paese. Anche sotto il profilo economico il rassemblement rivoluzionario era diviso tra i sostenitori della liberalizzazione, rappresentanti dal capo del “gabinetto degli imprenditori” Yaragi Mamodaev ed i fautori del “socialismo islamico”, contrari alla privatizzazione delle terre e disposti ad accettare l’introduzione della proprietà privata soltanto a condizione che la direzione dell’economia rimanesse subordinata all’autorità statale. Questi ultimi erano i seguaci di Zelimkhan Yandarbiev, leader del Partito Democratico Vaynakh (il principale movimento nazionalista radicale) ed intimo confidente del nuovo Presidente della Repubblica, Dzhokhar Dudaev.

Concentriamoci su questi ultimi, giacché fu la fazione dei radicali a vincere la battaglia per il potere. Il Partito Democratico Vaynakh era nato dallo sforzo di alcuni intellettuali (tra i quali lo stesso Yandarbiev) ma si rivolgeva prima di tutto alle masse popolari rurali, e in particolar modo proprio a quelle “eccedenze” delle quali abbiamo parlato nell’articolo precedente. Si trattava di persone che vivevano ai margini del sistema, e per questo se ne sentivano escluse. Il sentimento più forte in loro era il nazionalismo revanscista, tipico delle masse colonizzate desiderose di riappropriarsi del potere politico e invidiose del benessere delle élite al quale non partecipavano. Dal loro punto di vista lo stato ceceno doveva tornare nelle loro mani, così come tutti i mezzi di produzione dell’economia. Lo Stato avrebbe dovuto garantire casa e lavoro ai ceceni, se necessario sacrificando le componenti “estranee” all’etnia Vaynakh, ed avrebbe dovuto salvaguardare le ricchezze del Paese dalla privatizzazione selvaggia che stava aggredendo tutte le repubbliche dell’impero sovietico.

Una volta preso il potere, Dudaev iniziò a dar forma al nuovo stato partendo dalle posizioni dei radicali: a differenza di quanto stava accadendo in Russia, dove la proprietà pubblica stava venendo parcellizzata e privatizzata in maniera veloce e brutale, il governo rivoluzionario si rifiutò di svendere il patrimonio pubblico, opponendo un secco rifiuto alle proposte avanzate da Mamodaev e dal suo “Gabinetto degli imprenditori”. Una particolare rigidità riguardo questo tema fu dimostrata nel caso della privatizzazione delle aziende agricole di stato, detentrici dei più vasti e produttivi appezzamenti di terreno, nonché della maggior parte dei sistemi meccanizzati. Dudaev si oppose dal primo all’ultimo giorno alla vendita delle fattorie collettive, senza tuttavia avere le risorse per mantenerle: come abbiamo visto, infatti, l’agricoltura cecena era fortemente sovvenzionata dal governo sovietico, e gravata da una mole di debiti gigantesca. L’ostinatezza con la quale il governo separatista si mise di traverso a qualsiasi privatizzazione lasciò queste aziende esposte all’insolvenza ed al fallimento nel giro di pochi mesi dalla proclamazione dell’indipendenza. Le proprietà pubbliche, abbandonate a sé stesse, finirono saccheggiate, o furono occupate abusivamente e lavorate come fossero proprietà private.

Come riportato nel nostro saggio “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” (Acquistabile QUI):

La situazione, nel complesso, era piuttosto tragica: nel novembre del 1991 il 40% dei ceceni in età da lavoro non possedeva un’occupazione stabile, e le cosiddette “eccedenze rurali” riuscivano a sopravvivere soltanto tramite i lavori stagionali all’estero la cui richiesta, come abbiamo detto, era quasi sparita. Questa massa di “disoccupati militanti” non aveva letteralmente di che sopravvivere, ed alla dichiarazione di indipendenza si dette al saccheggio delle proprietà statali. Non si trattò di un processo organizzato: fu piuttosto un “effetto collaterale”, nel quale l’euforia della ribellione si confuse con una corsa alla “privatizzazione fai da te” dei beni e dei macchinari agricoli delle fattorie collettive. Dalle aziende di stato sparirono animali, prodotti agricoli, trattori, utensili e macchine di ogni tipo, che riapparirono nei campi delle famiglie private. Molte aziende rimasero senza braccianti e senza patrimonio, andando in malora, mentre la mancanza di agronomi qualificati produsse danni enormi alla produzione agricola. Il giornalista Timur Muzaev, uno dei più attenti osservatori della situazione sociopolitica cecena in quegli anni, riportò nel suo periodico “monitoraggio politico” del paese la progressiva spoliazione delle proprietà pubbliche. Giusto per citarne un esempio, nei distretti settentrionali del paese:

“La dissoluzione delle ex strutture economiche ha portato al sequestro del bestiame delle fattorie collettive. […] Le informazioni ricevute su ciò che sta accadendo nel vicino distretto di Naursk possono, a nostro avviso, chiarire il quadro generale: delle 153.000 pecore che erano nelle fattorie statali nel 1990, solo 49.000 sono rimaste entro la fine dell’ultimo inverno [1992 – 1993] il numero di suini è diminuito di 8 volte e quello del bestiame di 3 volte. […] La popolazione […] si è rivelata impreparata a prendersi cura delle mandrie. Il raccolto è stato coltivato su centinaia di ettari nell’estate del 1992, ma i bovini randagi lo hanno quasi completamente distrutto, calpestando riso e mais pronti per la raccolta. Tutto il lavoro investito dalle persone è stato distrutto sul nascere. […] Vi è un rapido saccheggio del parco agricolo delle aziende collettive. Di conseguenza, anche dove arrivano le forniture di benzina, il lavoro sul campo non viene eseguito, perché le attrezzature vengono saccheggiate, ed i sequestratori chiedono un riscatto alle amministrazioni locali per restituirle. Le fattorie collettive “Chervlennaya”, “Kavkaz” e Vinogradny” sono rimaste senza macchine agricole. Secondo alcuni esperti, in Cecenia nel 1992 non è stato seminato grano. […] Le difficoltà economiche sono aggravate dal crimine dilagante da un lato, dal caos istituzionale delle autorità locali dall’altro.”

Per effetto di questo meccanismo di “esproprio proletario”, il sistema agricolo Ceceno si avviò su un “doppio binario” assolutamente peculiare: da una parte c’erano le aziende collettive, formalmente detentrici della maggior parte delle terre, che tuttavia erano improduttive a causa della mancanza di fondi e venivano spogliate di tutte le loro proprietà dai privati cittadini affamati e senza lavoro. Dall’altra c’era la piccola e piccolissima impresa agricola, quasi sempre sommersa, molto spesso dedita ad un’economia familiare di sussistenza e priva delle risorse per mandare avanti un vero e proprio business, che deteneva la stragrande maggioranza della ricchezza reale del settore agricolo pur non avendone i diritti ed il riconoscimento statale. Si trattava, in sostanza, di un meccanismo totalmente abusivo il quale, senza controlli, spogliava il legittimo sistema di produzione pubblico, trasformandolo in un guscio vuoto. Giusto per citare qualche numero, dieci anni dopo gli eventi della Rivoluzione Cecena nel paese erano formalmente attive 722 imprese agricole registrate, detentrici del 75,5% dei terreni agricoli le quali tuttavia amministravano appena il 14% del bestiame presente nella repubblica, mentre le 436 cooperative contadine (anch’esse società di origine socialista) ne contavano appena il 2,40%. L’83,5% del bestiame era distribuito tra la popolazione rurale, che ne faceva per lo più un uso familiare.

Si può dire che la privatizzazione dell’agricoltura cecena fu fatta dai contadini nonostante lo Stato, e non grazie ad esso, e fu fatta per regressione, non cioè affidando la terra ad investitori intenzionati a sfruttarla per profitto, ma lasciando che i contadini se ne appropriassero come se fosse un open field, un “campo aperto” di medievale memoria. Il Ministro dell’Economia di allora, Taymaz Abubakarov ricorda nel suo libro di memorie “Il Regime di Dzokhar Dudaev” che già nel 1992, attraverso il sequestro spontaneo delle terre, circa centomila ettari di campi arabili erano scomparsi dalla disponibilità delle aziende pubbliche, e di come queste fossero oggetto di un vivace mercato fondiario illegale.

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Isa Akyadov, futuro Commissario alle Dogane della Repubblica Cecena di Ichkeria, posa sui resti della statua di Lenin, abbattuta dai rivoluzionari nell’autunno del 1991.

GLI EFFETTI ECONOMICI

Gli effetti economici di questo progressivo deterioramento del sistema agricolo furono evidenti fin dal 1992: a metà dell’anno la produzione di carne era diminuita dell’82,5%, quella degli insaccati dell’81,2%, e quella dei prodotti lattiero – caseari del 75,1%. Il meccanismo economico si era di fatto inceppato, e la situazione aggravava ulteriormente la già critica situazione dei prezzi di mercato, che dal gennaio 1992 erano stati lasciati liberi di fluttuare, raggiungendo talvolta incrementi dell’800%. Per cercare di calmierare i prezzi Dudaev aveva introdotto una serie di garanzie statali sull’acquisto dei beni alimentari di base, come il pane: lo Stato avrebbe garantito l’acquisto del pane al costo fisso e simbolico di 1 rublo al chilo, come meglio spiegato nel libro “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” (Acquistabile QUI). Ne riportiamo un breve passo:

Una conseguenza del sentimento socialista di Dudaev era l’interventismo economico a favore delle fasce deboli. Il primo intervento in politica economica di Dudaev fu la creazione di Comitato dei Prezzi che sovrintendesse alla calmierazione delle tariffe. “Il prezzo non può essere spontaneo, dovrebbe essere adeguato alla possibilità della gente” ripeteva. Per questo motivo Dudaev decretò che il pane venisse venduto alla cifra simbolica di 1 rublo al chilo. Lo Stato si sarebbe fatto carico della spesa. Nel giro di 12 mesi il bilancio pubblico non avrebbe potuto più sopportare un simile meccanismo assistenziale, che fra l’altro generava una fortissima speculazione (i ceceni prendevano il pane ad un rublo al chilo ed andavano a rivenderlo all’estero, o al mercato nero, a prezzi maggiorati).

Il tentativo di Dudaev di bloccare la regressione dell’economia cecena verso un sistema di autosostentamento medievale cozzava contro la cronica insolvenza del bilancio statale, il quale poteva fare affidamento su poche, magre entrate, sufficienti a mala pena al pagamento degli stipendi dell’esoso e pervasivo comparto statale di epoca sovietica. Nel giro di pochi mesi i negozi pubblici deputati alla distribuzione di generi alimentari rimasero vuoti, con i prodotti che raramente riuscivano a resistere sugli scaffali per più di qualche ora dall’apertura.  La popolazione, in assenza di sicurezza, si dedicò alla coltivazione degli orti ed all’allevamento di piccole quantità di animali da cortile, per avere di che sfamarsi.

Per cercare di frenare l’anarchia del comparto agricolo, che come abbiamo visto stava producendo nefasti effetti sulla produttività e sui prezzi, Dudaev intervenne alla fine del 1992 con una sorta di “esproprio generale” delle proprietà pubbliche e cooperative, e con la loro irregimentazione in un “supeministero” dell’Agricoltura responsabile della gestione delle aziende collettive, degli impianti di produzione di materiali e macchinari, e persino delle banche, per le quali fu istituito l’obbligo di accorpare i flussi di cassa a quello della neonata Banca Nazionale Cecena. Tutti i proventi delle attività pubbliche non necessari al funzionamento delle aziende avrebbero dovuto essere versati sul fondo governativo ivi istituito, dal quale il governo avrebbe poi diretto la distribuzione delle risorse al fine di razionalizzare le spese e riprendere il controllo della produzione nazionale.

Il vantaggio gestionale acquisito da questa radicale presa di posizione, la quale per certi versi superava lo stesso meccanismo socialista reintroducendo una sorta di “economia pianificata di guerra” venne tuttavia presto dilapidato dalla politica dudaevita di supporto alle fasce deboli della popolazione, con l’intestardito ricorso alla calmierazione dei prezzi del pane, il quale divorava una significativa parte del budget repubblicano ed avvantaggiava l’acquisto per speculazione sul mercato nero. In sostanza, il sistema del sovvenzionamento sovietico al settore agricolo fu sostituito da un sovvenzionamento indiretto da parte dello stato secessionista, il quale continuò ad acquistare prodotti agricoli dalle aziende pubbliche a costo di mercato ed a distribuirlo alla popolazione a prezzi di gran lunga inferiori, accumulando ulteriore debito e mantenendo le casse dello Stato in un continuo stato di insolvenza.

Col tempo, data la scarsità di risorse economiche (e in certi momenti addirittura di cartamoneta) il governo iniziò ad utilizzare la stessa produzione agricola come moneta alternativa al pagamento di stipendi e pensioni, ritirando direttamente dalle aziende pubbliche il prodotto agricolo e distribuendolo ai beneficiari come contropartita per il salario che non era in grado di corrispondere. Mentre Dudaev e Abubakarov tentavano di mantenere il controllo della produzione agricola, i direttori delle aziende agricole portavano avanti un vivace mercato sommerso, sfruttando il diritto concesso loro dal governo di vendere parte della produzione per il pagamento degli stipendi prendendosi sovente la libertà di vendere quote ben superiori, intascando i proventi e facendoli sparire. Gli stessi generi alimentari di base, calmierati per legge, venivano regolarmente contrabbandati in Russia sfruttando la scarsa capacità del governo di controllare i confini. Sherip Asuev, corrispondente della ITAR – TASS e autore del libro “Così è stato” (una raccolta di bollettini giornalistici che ripercorre giorno per giorno gli anni 1992 – 1994 scaricabile QUI ) scriveva nel 1992:

Il congelamento artificiale dei prezzi sta già creando molti problemi nella repubblica. Da qui i prodotti da forno vengono trasportati in sacchi e la benzina con le autocisterne. Si presume che il controllo doganale ai confini della repubblica sarà rafforzato.”

E ancora

“La legge sulla responsabilità amministrativa per alcuni tipi di reati presuppone una punizione rigorosa per il tentativo di esportare illegalmente beni di consumo, prodotti industriali, attrezzature e macchinari dalla repubblica. E’ inoltre vietata l’esportazione di tutti i tipi di alimenti. Multe salate, o arresti da uno a tre mesi, minacciano i lavoratori che hanno cercato di nascondere beni e prodotti o di venderli in modi illeciti. A molte persone, a quanto pare, piaceranno queste misure, ma è improbabile che garantiscano abbondanza sugli scaffali. Nel commercio statale ora a Grozny e nelle zone rurali della Repubblica è possibile acquistare solo pane e verdura in scatola. E nei mercati i prezzi aumentano letteralmente di ora in ora. Un pacchetto di sigarette sovietiche costa 20 rubli. Puoi comprare patate, carote, cavoli solo per un pezzo d’oro al chilogrammo. Il Consiglio degli Anziani della Repubblica ha vietato di aumentare il prezzo della carne oltre i 25 rubli. Naturalmente nessuno la venderà ad un prezzo del genere e la carne è praticamente scomparsa dai mercati.[…]”.

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Una donna cerca di vendere qualche salsiccia in un mercato di Grozny, praticamente vuoto.

IL SISTEMA COLLASSA

Le misure di contenimento adottate dal governo Dudaev tra il 1992 e il 1993 non produssero risultati tangibili, un po’ per via della crisi economica che attanagliava l’intera zona – rublo, un po’ a causa della scarsa capacità di controllo del governo centrale, nel frattempo finito ostaggio delle bande militari che lo sostenevano. Esasperato, Dudaev giunse nel Dicembre del 1993 a vietare a qualsiasi struttura commerciale ed agli stessi cittadini di cuocere il pane senza una specifica licenza statale, ed  a vietare completamente la vendita dei prodotti da forno da parte di qualsiasi impresa o cittadino privato che non fossero autorizzati dal governo. Le pene per la violazione di tale obbligo furono elevate al sequestro di tutte le materie prime e dei mezzi di produzione, e alla condanna penale fino a due anni. In ordine ad evitare una “fuga del pane” a scopi speculativi, venne proibita la vendita dei prodotti da forno a coloro che non fossero cittadini della Repubblica.

Nel frattempo la produzione agricola continuava a calare a ritmi vertiginosi, man mano che le attrezzature si deterioravano o venivano deliberatamente saccheggiate, per essere rivendute fuori dalla Cecenia. Il ricercatore S.A. Lipina, nel suo “Repubblica Cecena: potenziale economico e sviluppo strategico” scriveva nel 1998:

Rispetto al 1991, il parco macchine è diminuito di quattro volte. La fornitura di trattori al settore agricolo è diminuita di 3,3 volte, le mietitrici di cereali 4 volte, i camion 4,2 volte, una situazione simile si registra con le altre macchine agricole. Sfortunatamente non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente. L’attrezzatura tecnica dei lavoratori agricoli è estremamente carente, il lavoro agricolo viene svolto in violazione dei protocolli di qualità, il che a sua volta porta naturalmente a perdite significative durante la raccolta.

L’esiguità delle risorse a disposizione dei lavoratori agricoli impediva un utilizzo costante di fertilizzanti e prodotti fitosanitari, riducendo ulteriormente la già scarsa produttività dei terreni. Così, al netto della crisi economica che attanagliava tutto lo spazio post sovietico, le perdite di produttività del settore agricolo ceceno raggiunsero tra il 1993 e il 1994 numeri spaventosi. Mettendo a confronto lo stato della produzione agricola in Russia tra il 1991 ed il 1994 (rispetto al periodo 1986 – 1990) con il medesimo dato ceceno, notiamo che mentre l’agricoltura russa era ancora in grado di produrre circa il 90% di quanto prodotto nel periodo pre – collasso politico, l’agricoltura cecena riusciva a mala pena a raggiungere la metà del prodotto (53%) in un momento in cui la produzione agricola era pressochè l’unica attività, dopo il petrolio, in grado di tenere in piedi l’economia del paese.

Miliziano separatista trasporta filoni di pane sequestrato

Lo stato di prostrazione economica si acuì ulteriormente nel corso del 1994, quando il fronte antigovernativo passò dall’opposizione politica alla lotta armata, innescando una vera e propria guerra civile. Questa esplose nell’estate del 1994, protraendosi a fasi alterne fino al Dicembre dello stesso anno quando, dopo che l’opposizione armata fu sconfitta sul campo dalle forze lealiste, la Federazione Russa invase il paese dando avvio alla Prima Guerra Cecena.

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