PARTITO COMUNISTA – Il Primo Segretario Doku Zavgaev viene eletto Deputato al Congresso dei Deputati del Popolo dell’URSS e, pochi giorni dopo, Presidente del Soviet Supremo della RSSA Ceceno – Inguscia, assommando in sé la massima carica politica e la massima carica amministrativa della Repubblica. Nessun politico in Cecenia ha mai avuto tanto potere.
MOVIMENTI POLITICI – Vede la luce il movimento nazionalista e confessionale Via Islamica. A guidarlo si pone Bislan Gantamirov, ex dipendente del Ministero degli Affari Interni della RSSA Ceceno – Inguscia.
8 Marzo
IRREDENTISMO INGUSCIO – Una folla di diecimila ingusci si raduna a Nazran, capoluogo dell’Inguscezia, chiedendo il ritorno alla patria del Distretto di Prigorodny. La manifestazione si svolge senza incidenti. Nei giorni seguenti il presidio si ingrosserà fino a raggiungere i quarantamila partecipanti, quasi il 20% dell’intera popolazione inguscia.
Mappa dell’Inguscezia e dei territori rivendicati. Il territorio tratteggiato con linee e puntini è il Distretto di Prigorodny, rivendicato dagli ingusci a margine della Legge sulla Riabilitazione dei Popoli Oppressi.
Aprile
MOVIMENTI POLITICI – Nasce l’Associazione dell’Intellighenzia della Repubblica Ceceno – Inguscia, un’organizzazione professionale, sociale e politica che rappresenta il mondo intellettuale. Di orientamento liberaldemocratico, sostiene la creazione di un sistema parlamentare e multipartitico.
10 Aprile
UNIONE SOVIETICA – Il Soviet Supremo dell’URSS promulga la Legge sui fondamenti economici dell’URSS, dell’Unione e delle Repubbliche Autonome nella quale si riconosce il diritto alla piena autonomia economica dei soggetti dell’Unione.
19 Aprile
MANIFESTAZIONI POLITICHE – Migliaia di persone si radunano ad Achkhoy – Martan chiedendo la sostituzione della Presidenza del Comitato Distrettuale. A guidarla c’è l’avvocato Shepa Gadaev, già membro del Partito. A seguito della sua contestazione egli viene espulso dal PCUS, ma le manifestazioni continuano.
26 Aprile
UNIONE SOVIETICA – Il Soviet Supremo dell’URSS promulga la Legge sulla delimitazione dei poteri tra l’URSS ed i membri della Federazione nella quale si apre alla possibilità, da parte delle repubbliche autonome della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (RSFSR) di acquisire lo Status di repubblica indipendente (al pari di soggetti come Ucraina, Bielorussia, Moldavia ecc…) La legge istituisce uno strumento pericoloso per l’integrità territoriale della Russia, giacchè ognuno delle decine di soggetti facenti parte della RSFSR potrebbe utilizzarlo per dichiarare l’indipendenza.
28 Aprile
MANIFESTAZIONI POLITICHE – Dopo dove giorni di manifestazioni continue la dirigenza del PCUS acconsente alla sostituzione del Presidente del Comitato Distrettuale, reintegrando Shepa Gadaev nel Partito e nominandolo al vertice locale dell’organizzazione.
4 Maggio
MOVIMENTI POLITICI – Si costituisce Grozny il Partito Socialdemocratico Ceceno. Guidato da Ruslan Azimov, tra i suoi esponenti conterà il giornalista Timur Muzayev, autore di numerosi articoli sulla questione cecena, nonché di lunghi e approfonditi “monitoraggi politici” sulla situazione politica e sociale della Repubblica Cecena di Ichkeria.
5 Maggio
MOVIMENTI POLITICI – Membri dell’associazione “Bart” costituiscono a Grozny il Partito Democratico Vaynakh (VDP), di orientamento nazionalista radicale, sostenitore dell’indipendenza. Alla sua guida viene eletto Zelimkhan Yandarbiev.
12 Maggio
PARTITO COMUNISTA – Il giornale del Komsomol, organo giovanile del PCUS inizia le pubblicazioni in lingua cecena e inguscia. Per la prima volta gli organi ufficiali del partito utilizzano la lingua indigena, anziché il russo.
15 Maggio
PARTITO COMUNISTA – Si tiene la conferenza di aggiornamento politico del PCUS locale. La relazione evidenzia la forte tensione sociale e la difficile congiuntura economica, la quale rischia di esacerbare il conflitto tra la popolazione e il partito.
La foto mostra un giovane Zelimkhan Yandarbiev, il cui ritratto è stampato sul retro – copertina di uno dei suoi libri di poesie edito nel 1990.
12 Giugno
UNIONE SOVIETICA – Il Soviet Supremo della RSFSR Russa, diretto da Boris Eltsin, promulga una Dichiarazione di Sovranità nella quale viene sancita la superiorità delle leggi varate dal governo russo su quelle emesse dal Soviet Supremo dell’URSS. In questo modo il potere del Presidente Gorbachev risulta notevolmente ridotto, mentre Eltsin si avvia a prendere il potere effettivo a Mosca.
15 Agosto
CONGRESSO NAZIONALE – Si costituisce il Comitato Organizzatore del Congresso Nazionale Ceceno. Tra i suoi membri figurano esponenti del nazionalismo moderato come Lecha Umkhaev, membri del Soviet Supremo Ceceno – Iguscio come Yusup Elmurzaev ed illustri intellettuali, come Musa Akhmadov. Al Comitato partecipano anche esponenti del nazionalismo radicale, tra i quali il già citato Hussein Akhmadov e l’esponente del VDP Yusup Soslambekov. La carta fondativa, pubblicata quello stesso giorno, cita tra gli obiettivi del Congresso: “Discussione sull’idea di creare una repubblica cecena sovrana basata su principi democratici che integrino la struttura sociale tradizionale”.
Settembre
CULTURA – Il neonato Movimento per il Restauro della Memoria Storica inizia a raccogliere le antiche steli e lapidi scolpite, a suo tempo abbattute dai sovietici a seguito della deportazione e poi utilizzate come materiale da costruzione. In poche settimane gli attivisti del Movimento, tra i quali si conta anche il Capo del Dipartimento Ideologico del PCUS di Urus – Martan, Ruslan Tulikov, raccoglierà circa millecinquecento manufatti.
31 Ottobre
MANIFESTAZIONI POLITICHE – Manifestanti bloccano le strade nei pressi di Mesker – Yurt, impedendo al locale cementificio di consegnare il materiale prodotto. Le forze dell’ordine sgomberano il picchetto e denunciano tre cittadini locali per violazione della legge appena approvata dal Soviet Supremo dell’URSS Sulla responsabilità penale per il blocco delle comunicazioni ed altre azioni illegali che minino la sicurezza e il funzionamento del sistema dei trasporti.
6 Novembre
MOVIMENTI POLITICI – Si costituisce l’Associazione Ceceno – Inguscia delle vittime della repressione politica, Istituita per assistere la riabilitazione delle vittime della repressione politica durante il periodo sovietico, lo studio e la promozione della conoscenza storica sullo stalinismo e sul regime repressivo comunista.
23 – 25 Novembre
CONGRESSO NAZIONALE – Si tiene a Grozny il I Congresso Nazionale Ceceno. E’ la prima assemblea ecumenica della nazione cecena dall’avvento dell’URSS. Il Congresso è partecipato massicciamente, e vissuto con grande interesse dalla stampa locale. Il documento più importante prodotto dai delegati è una Dichiarazione di Sovranità sulla falsariga di quella emessa da Eltsin in Russia, nella quale si dichiara la Cecenia una repubblica sovrana. Delegati da tutto il paese e da molte parti del mondo partecipano con interventi appassionati, ma la figura che emerge più autorevole è quella del Generale dell’aviazione sovietica Dzhokhar Dudaev, invitato dai nazionalisti radicali e divenuto subito un punto di riferimento assai popolare. Al termine del Congresso viene eletto un Comitato Esecutivo (Ispolkom) che si occupi di portare avanti le istanze del Congresso. Dzhokhar Dudaev viene nominato Presidente, mentre Umkhaev e Yandarbiev sono nominati vicepresidenti. Poco dopo Dudaev torna alla base militare di Tartu, dove è di stanza, mentre i due vicepresidenti innescano una lotta per assicurarsi il controllo del Congresso.
il Generale Dzhokhar Dudaev presenzia al Congresso Nazionale Ceceno, 23/25 Novembre 1990
27 Novembre
POLITICA NAZIONALE – Facendo seguito a quanto accaduto al Congresso Nazionale Ceceno, il Doku Zavgaev convince il Soviet Supremo Ceceno – Inguscio a votare una Dichiarazione di Sovranità ufficiale. In essa non si esclude la possibilità di un nuovo accordo federale con la Russia, anzi, lo si auspica. Tuttavia al punto 14 la Dichiarazione esplicita: “La Repubblica conferma la giusta richiesta degli ingusci per il rispristino della sovranità nazionale e la necessità di risolvere il problema del ritorno dei territori che appartengono loro, sottratti a seguito delle repressioni di Stalin, nel Distretto di Prigorodny ed in parte del territorio del Distretto di Malgobek, così come la riva destra dell’Ordzhonikidze (Valdikavkaz). Il Trattato dell’Unione sarà firmato dalla Repubblica Ceceno – Inguscia dopo che sarà stata risolta la questione del ritorno dei territori alienati all’Inguscezia.”. Tecnicamente, come commenta il giornalista Sherip Asuev in un articolo della ITAR – TASS: “Il quattordicesimo articolo della Dichiarazione significa che prima della firma dei Trattati Federali e dell’Unione la Repubblica Ceceno – Inguscia non fa parte né della Federazione Russa, né dell’Unione Sovietica. In questo modo Zavgaev cerca di ammansire i nazionalisti radicali senza cedere al secessionismo. I nazionalisti radicali sfidano Zavgaev a dar seguito alla Dichiarazione di Sovranità, per bocca di Yandarbiev: “Se il Soviet Supremo continuerà a mostrarsi sostenitore della sovranità statale, se agirà nella direzione di concretizzare il contenuto della Dichiarazione, siamo pronti ad essere i suoi alleati più leali e disinteressati […] Ma se tradirà segretamente o esplicitamente la Dichiarazione adottata, tradendo in tal modo gli interessi del popolo ceceno che ha risposto fiducia in esso, il VDP inizierà la più spietata delle lotte […]”.
Dicembre
RIVOLUZIONE CECENA – I movimenti nazionalisti radicali confluiscono nel Movimento Nazionale Ceceno. Esso si mobiliterà nelle settimane successive a sostegno del dittatore iracheno Saddam Hussein, in quel momento sotto attacco da parte della Coalizione Internazionale nella Guerra del Golfo.
10Dicembre
POLITICA NAZIONALE – Per effetto di una delibera del Presidium del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio, l’aereoporto civile di Grozny viene ribattezzato Sheikh Mansour, in onore dell’eroe nazionale ceceno. Inizia un fitto processo di ridenominazione di vie, strade, piazze e villaggi, in ordine a recuperare la toponomasica indigena o a costruirne una nuova con i riferimenti alla storia, alla cultura ed alle tradizioni locali.
30 Dicembre
MOVIMENTI POLITICI – Si costituisce l’Associazione dei Cosacchi del Terek, una sorta di sindacato etnico guidato da Georgy Galkin. Scopo dell’organizzazione è la riscoperta e la tutela dei valori e delle tradizioni cosacche.
Musa Merzhuyev è stato uno degli uomini più vicini al primo Presidente della Repubblica Cecena di Ichkeria, Dzhokhar Dudaev. Nato nel 1944, trascorse la maggior parte della sua vita nell’esercito sovietico, dal quale si congedò nel 1991 col grado di Tenente Colonnello dell’aviazione. Messosi a disposizione del governo provvisorio rivoluzionario nel Novembre 1991, fu nominato Colonnello del nascente esercito nazionale ceceno, e posto a capo dello Stato Maggiore appena costituito. Nel Febbraio del ’92 tuttavia, fu rimpiazzato da Viskhan Shakhabov, anch’egli proveniente dai ranghi dell’armata rossa, e nell’Aprile del 1993 fu nominato Rappresentante Presidenziale presso le Forze Armate. Rimase in questa posizione fino allo scoppio delle ostilità, dopodiché divenne rappresentante regionale del Presidente, nel 1995. Rimasto ferito, continuò a supportare le attività delle forze armate secessioniste senza tuttavia poter partecipare alle azioni belliche, a causa di una lesione alla spina dorsale che lo costringeva spesso al riposo forzato.
Con la fine delle ostilità si ritirò a vita privata, non partecipando attivamente alla politica dell’Ichkeria postbellica, né alla successiva Seconda Guerra Cecena. L’intervista che segue fu rilasciata da Merzhuyev nel Giugno del 1997 al quotidiano delle forze armate “Difensore della Patria”. In essa è ben presente la consapevolezza che la “vittoria” dei separatisti è soltanto l’inizio di un percorso di rafforzamento dell’indipendenza che rischia di naufragare da un momento all’altro.
Musa Merzhuyev (a sinistra in uniforme) assiste ad una parata militare nell’anniversario dell’indipendenza. In quel momento Merzhuyev ricopriva il ruolo di Rappresentante del Presidente presso lo Stato Maggiore delle Forze Armate.
Musa, com’è iniziata la guerra russo – cecena?
Non si può dire che la guerra russo – cecena sia iniziata nel 1992, quando le unità militari russe hanno marciato attraverso l’Inguscezia, né che sia iniziata il 26 Novembre 1994 o l’11 Dicembre 1994. La guerra russo – cecena va avanti da oltre quattrocento anni. L’8 Novembre 1991 iniziò un altro round (della guerra, ndr.) quando Boris Eltsin inviò un reparto a Khankala, dichiarando lo Stato di Emergenza nella nostra Repubblica. Dzhokhar Dudaev allora agì con decisione, ma con prudenza e prontezza, ed i generali Gafarov e Komissarov valutarono con sobrietà la situazione nella repubblica e si ritirarono. Ecco perché allora non fu versato sangue. Il nostro paese si è poi trasformato in un grande campo militare. Il Presidente introdusse la Legge Marziale in risposta alle azioni di Eltsin.
Dopo aver subito una sconfitta con il ritiro del reparto, Mosca dichiarò alla Cecenia una guerra di propaganda, una guerra economica, politica, dei trasporti, con attacchi terroristici mirati. Il governo centrale allora non aveva un piano per affrontare la guerra: il presidente Dudaev sperava di riuscire a negoziare con Mosca. E’ vero, avevamo abbozzato un piano per la difesa della Repubblica. Ma il presidente non si è mai posto il compito di redigere un piano per condurre una guerra, elaborammo soltanto un piano per la difesa della CRhI in caso di aggressione da parte della Russia. Sapevamo che la Russia aveva iniziato a preparare un piano per la conquista totale della Cecenia. E al Cremlino avevano trovato un motivo conveniente: la restaurazione dell’ordine costituzionale, per la quale erano stati costituiti gruppi d’assalto guidati da Kvashnin. Il compito dei generali russi era quello di intimidire i ceceni con armate di carri armati. Nella fase iniziale l’enfasi era posta tutta sulle colonne corazzate.
Blindato delle forze armate separatiste schierato davanti al Palazzo Presidenziale
Il presidente Dudaev aveva dato l’ordine di costituire un esercito efficiente, ma per ragioni oggettive un tale obiettivo non era raggiungibile. C’erano troppe persone che volevano una poltrona. E questo era pericoloso. Il presidente Dudaev scommetteva sulla possibilità che le contraddizioni tra la Russia e la Repubblica Cecena sarebbero state risolte con mezzi pacifici. Questo è un tratto nazionale del popolo ceceno. Anche il partito filorusso di Zavgayev voleva questa guerra, e quanto ad Avturkhanov e Khadzhiev, loro erano semplici esecutori della volontà del partito della guerra. Il 26 novembre le truppe russe portate da Avturkhanov e Gantemirov, che erano usate come scudo dai servizi speciali russi, condussero un’incursione in forze, con l’obiettivo di catturare la Capitale e rovesciare il legittimo presidente della ChRI. Dopo il fallimento dell’assalto, la Russia emise un ultimatum chiedendo ai ceceni di deporre le armi e riconoscere la Costituzione della Federazione Russa. Ma ancora a questo punto Dudaev sperava nella pace ed accettò di tenere negoziati con il Ministro della Difesa russo, Pavel Grachev, e con la delegazione russa a Vladikavkaz. Il 26 Novembre 1994 le unità russe entrarono a Lomaz – Yurt, ma ancora una volta Dudaev sperò nella pace. Ma il Cremlino la pensava diversamente: il problema ceceno doveva essere risolto con la forza.
L’invasione del nostro paese è stata effettuata da tre lati (o direzioni): Mozdok, Khasvyurt, Nazran. Era previsto che il gruppo ausiliario si sarebbe spostato dal lato di Stavropol attraverso le regioni di Shelkovsky e di Naursk. Ma con l’inizio delle ostilità fu il fronte di Khasavyurt a diventare ausiliario, mentre quello di Shalkovsky – Naursk divenne il principale.
Sarebbe interessante conoscere le tue valutazioni riguardo l’ultima guerra…
Durante la Guerra Russo – Cecena, tutte le operazioni furono sviluppate da Aslan Maskhasov e io ero, per così dire, di riserva. E’ vero, ho cercato di fornire assistenza in modo indipendente al Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate della ChRI. Ma l’intero fardello del lavoro ricadde su Aslan Maskhadov e sul Comandante del Comando Centrale, Valid Taymaskhanov. E’ da notare che lo Stato Maggiore delle Forze Armate della ChRI svolse un ruolo di primo piano nel consolidamento di tutti i distaccamenti delle milizie popolari. Aslan Maskhadov si dimostrò un talentuoso organizzatore ed un combattente senza paura. Durante la guerra, ho subito una lesione alla colonna vertebrale, fui impegnato nella costituzione del quartier generale del Fronte Sud – Occidentale (comandante, Ruslan Gelayev) per conto del Presidente fino al 6 Marzo 1995, dopodiché fui evacuato per curarmi. Al mio ritorno, e fino al nuovo insorgere della malattia operai a Bamut, ma non potei fornire aiuto pratico a causa del mio stato di salute.
Riguardo Dudaev?
Dzhokhar Dudaev aveva un talento eccezionale come organizzatore, aveva la capacità di infiammare le persone, di far loro capire quanto era giusto fare quello che chiedeva. Nei tempi difficili non si perse mai d’animo. Si fidava di Maskhadov, di Gelayev, di Basayev, conosceva bene le qualità di ciascuno di loro.
L’ultima volta che ho visto il Presidente è stato nell’Ottobre 1995 a Starye Achkhoy, ma rimasi in contatto con lui tramite intermediari fino al Marzo 1996, quando tramite un messaggero gli inviai un rapporto sull’assegnazione dei fondi per le cure mediche. Non ebbi risposta, per le ragioni note a tutti.
Dzhokhar Dudaev (sinistra) e Aslan Maskhadov (destra) nel 1995
Riguardo ai mercenari?
Nella Guerra Russo – Cecena non un solo mercenario ha combattuto dalla parte del popolo ceceno, non c’erano “calzamaglie bianche”. C’erano volontari che difendevano la nostra indipendenza. Non c’erano molti tagiki, karakalpak, tartari, cabardini, abkhazi, daghestanu, kharachais, ucraini, baltici. Un fatto che racconto adesso è rimasto inosservato: vicino a Mozdok circa 300 ragazzi cabardini disarmarono i russi e si mossero per aiutarci, ma non riuscirono a passare. Furono circondati dai russi e fatti prigionieri. Ad oggi, il loro destino è sconosciuto. Alcuni cabardini, azeri e karachais presero parte alla Battaglia per Bamut.
Tutto il popolo ceceno ha combattuto contro il nemico. Una volta un anziano abitante di Gekhi portò tre figlie e sua sorella con sé. Il villaggio di Gekhi è noto in tutto il nostro paese per il fatto che a metà del XIX secolo la coraggiosa ragazza Taimaskha comandò un distaccamento di combattenti contro le truppe zariste.
L’Operazione Jihad
L’operazione del 6 Agosto 1996 è stata organizzata al massimo livello. Piccoli distaccamenti di milizie hanno bloccato la guarnigione di Grozny. Nella storia della guerra e dell’arte militare questa operazione non ha eguali. Fu il coronamento delle capacità di leadership militare di Maskhadov e dei suoi associati Shamil Basayev, Ruslan Gelayev e molti altri coraggiosi e intrepidi comandanti delle forze armate della ChRI. Nella sua organizzazione venne presa in considerazione la mentalità del combattente ceceno. Agli occhi del nemico, ogni soldato ceceno si è trasformato in mille uomini.
Quali sono le lezioni impartite dalla Guerra Russo – Cecena?
Dire che in questa guerra abbiamo sconfitto la Russia è impossibile, è un autoinganno. Non puoi mentire alla tua gente. Non possiamo illuderci. La Russia, dopo aver ricevuto un duro colpo, sta traendo le sue conclusioni e riorganizzando le forze, cosa che noi, invece, non stiamo ancora facendo. Se vogliamo ottenere e rafforzare l’indipendenza, dobbiamo creare un esercito regolare, mettendo particolare attenzione alle difese antiaeree e anticarro.
In questa guerra il soldato russo, invasore, ha mostrato le sue qualità più vili, mentre il combattente ceceno, difensore e liberare, le sue qualità più nobili. I soldati del nostro esercito devono coltivare proprio queste qualità di alto umanesimo.
Miliziani separatisti festeggiano la presa di Grozny (Agosto 1996)
Il modo in cui i soldati russi si sono comportati con prigionieri e civili è noto a tutto il mondo. I soldati russi hanno persino trasformato i cimiteri in latrine, costruire strutture difensive dentro le chiese. Hanno bruciato e ucciso prigionieri e civili, scaricato cadaveri e feriti dagli elicotteri. I regolamenti militari dovrebbero tenere conto sia del passato che del presente, fare affidamento sui tratti spirituali e nazionali del popolo ceceno. Gli ufficiali possono e devono essere formati nel nostro paese, ma anche negli Stati Uniti, in Germania, Francia, Cina. E della questione deve occuparsi lo Stato Maggiore delle Forze Armate della ChRI. L’armamento del nostro esercito non dovrebbe dipendere dalla fornitura di armi estere. Non dobbiamo dipendere dalla fornitura di armi dall’esterno. Dobbiamo creare una nostra industria militare, solo allora il nostro esercito sarà pronto per il combattimento e veramente indipendente del condurre operazioni militari.
Proseguiamo la nostra rassegna sulla politica estera della Repubblica Cecena di Ichkeria (QUI LA PRIMA PARTE). Come abbiamo visto, tra il 1991 ed il 1992 il principale attore nella politica estera repubblicana fu il Presidente Dudaev. Egli intese fin da subito il suo ruolo come centrale nell’azione di difesa dell’indipendenza cecena. Questo atteggiamento “protagonista” si tradusse in azioni politiche spesso al di là dei suoi limiti “di protocollo istituzionale” alienandogli il favore sia del primo Ministro degli Esteri della Repubblica, Shamil Beno (il quale si dimise, in polemica con il Presidente, nel Settembre 1992) sia del Parlamento, il quale intendeva portare avanti una politica meno provocatoria nei confronti di Mosca e più orientata ai “piccoli passi”, evitando di alzare la tensione tramite sterili visite ufficiali che non avrebbero certamente portato al riconoscimento della ChRI, ma che invece avrebbero messo in imbarazzo Mosca, allontanando la prospettiva di una secessione “negoziata” con la Russia.
OGNUNO PER SE’, DUDAEV PER TUTTI
Mentre Dudaev svolgeva il suo “gran tour” nei paesi mediorientali ed occidentali, una delegazione parlamentare guidata dal Vicepresidente dell’Assemblea, Magomed Gushakayev, intesseva fitti rapporti con i paesi baltici, ed in particolare con la Lituania. Qui il Presidente del Consiglio Supremo, Vyautas Landsbergis, si era dimostrato molto sensibile alle istanze dei ceceni, ed accolse con entusiasmo una rappresentanza del parlamento nell’Ottobre 1992. I deputati di Grozny parlarono all’assemblea parlamentare lituana, auspicando ad un riconoscimento ufficiale da parte di questa. In quell’occasione Gushakayev garantì che la stragrande maggioranza dei ceceni era favorevole all’indipendenza, e che le discussioni politiche non vertevano sul “cosa” fare, ma sul “come” farlo:
“[…] non c’è, e non esiste, una sola organizzazione socio – politica [in Cecenia, ndr.] che non sostenga l’indipendenza della Cecenia. La discrepanza è solo nella tattica per raggiungere questo obiettivo. L’esperienza lituana nel raggiungimento dell’indipendenza statale è molto importante per noi. E’ stato per questo che siamo venuti a Vilnius. La Lituania è stata e rimane un faro per la Cecenia sulla via dell’indipendenza dello Stato.”
Le tre principali autorità del Parlamento di Prima Convocazione della ChRI. Da sinistra a destra: Bektimar Mezhidov, Hussein Akhmadov, Magomed Gushakayev
IL TOUR DIPLOMATICO DEL 1993
L’atteggiamento moderato e prudente del Parlamento cozzava con quello ardimentoso e radicale di Dudaev, il quale, non appena rientrato dal suo giro di visite diplomatiche, ne organizzò subito un altro per i primi mesi del 1993. Il 29 Gennaio egli volò in Lettonia, proprio dove si erano recati i parlamentari pochi mesi prima. Accolto dal solito Landsbergis, Dudaev tenne un colloquio con il Presidente della piccola repubblica baltica, Seimas Cheslovas Yurshenas. I due parlarono di come impostare un rapporto di partnership economica e culturale, di come realizzare un programma di scambio universitario e di come sostenere vicendevolmente le rispettive economie utilizzando la Lituania come “porta per l’occidente” della Cecenia, e la Cecenia come “petroliera” della Lituania. L’incontro rimase, tuttavia, soltanto un’esperienza informale, e la Lituania non procedette a riconoscere ufficialmente la secessione cecena.
Dopo un altro giro di visite “locali” in Azerbaijan ed Armenia, teso a consolidare i rapporti tra il suo governo (ormai sul punto di diventare un vero e proprio regime dittatoriale) e gli stati più vicini, Dudave partì per la Francia, dove svolse una visita a metà tra l’ufficiale ed il privato tra il 13 ed il 16 Giugno 1993. Secondo Eduard Khachukaev, all’epoca Capo del Dipartimento per il Commercio Estero (il quale accompagnò il Presidente in quasi tutti i suoi viaggi) L’invito era giunto da rappresentanti del Ministero della Difesa francese, i quali si occuparono di organizzare l’arrivo del presidente ceceno all’aereoporto di Beauvais e di organizzare un incontro volto a concludere un contratto di consulenza militare relativamente alla difesa terrestre della repubblica. Secondo quanto riferito da Khachukaev i funzionari francesi, sapendo che Dudaev era un pilota, lo invitarono alla basa aerea di Orange e gli presentarono il loro nuovo caccia Mirage 2000, permettendogli addirittura di guidarne uno. Non si sa molto altro di questo viaggio, na certamente le prospettive auspicate da Dudaev riguardo una collaborazione militare tra Francia e Cecenia non si concretizzarono mai.
AMBASCIATORI NON AUTORIZZATI
L’approccio disinvolto e pragmatico di Dudaev alla politica estera si concretizzava anche nel frequente ricorso a “testimonial internazionali” alla causa cecena. Impegnato nella costante ricerca di un riconoscimento politico per il suo paese, e disposto a qualsiasi cosa pur di farsi conoscere dall’opinione pubblica mondiale, il presidente non si risparmiò il ricorso alla nomina di “ambasciatori” non riconosciuti dai paesi nei quali avrebbero dovuto operare. Fu il caso ad esempio di Berkan Yashar, nominato Viceministro degli Esteri nel 1992 e poi “Ambasciatore in Turchia” (nonostante la Turchia non avesse riconosciuto la Cecenia). Berkan era un personaggio torbido, quasi sicuramente un agente reclutato dalla CIA, e a quanto pare curò più di un affare sporco per conto di Dudaev (secondo quanto dichiarò molti anni dopo, giunse perfino ad incontrare il terrorista internazionale Osama Bin Laden in un appartamento a Grozny – ma di questo parleremo in un articolo ad hoc dedicato alle “covert operations” della ChRI – ). Nello stesso modo l’americano David Christian, giunto in visita a Grozny nel 1993, fu nominato “Ambasciatore negli Stati Uniti” pur non avendò né la cittadinanza cecena, né il riconoscimento in tale ruolo da parte delle autorità statunitensi.
Dzhokhar Dudaev discute con David Christian durante la sua visita a Grozny nel 1993
Certamente la pratica di nominare “rappresentanti della repubblica” e “consoli onorari” di origine straniera ovunque ci fosse qualcuno disposto a fregiarsi di questo titolo divenne una delle principali attività diplomatiche dei presidenti della “ChRI”, pratica in vigore ancora oggi presso il governo separatista in esilio. Ad oggi abbiamo raccolto un elenco di 77 “rappresentanti” nominati tra il 1991 ed il 2020 in numerosi paesi, così come presso alcune importanti organizzazioni internazionali.
DIPLOMAZIA DI GUERRA
Lo scoppio della Prima Guerra Cecena impedì alla ChRI di portare avanti una politica estera ufficiale. Costretti ad operare in clandestinità, i secessionisti (e Dudaev in particolare) cercarono di sfruttare i canali aperti tra il 1992 ed il 1994 per garantire il costante approvvigionamento di risorse economiche, volontari ed armamenti necessari a sostenere la resistenza armata. Non ci soffermeremo su questo punto in questa sede: l’argomento richiede una trattazione molto lunga e dettagliata, e rimandiamo la questione ad articoli successivi. Chi volesse approfondire il tema della politica estera della ChRI durante la Prima Guerra Cecena può trovare informazioni utili nel libro “Libertà o morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”, acquistabile QUI.
L’ERA YANDARBIEV
Il 21 Aprile 1996, pochi mesi prima che la guerra avesse fine con la vittoria tattica dei separatisti e gli accordi di Khasavyurt, il Presidente Dudaev morì ucciso da un missile teleguidato russo. Gli successe il suo amico, ideologo e vicepresidente, Zelimkhan Yandarbiev. A differenza di Dudaev, Yandarbiev era ben disposto all’idea di aprire contatti concreti con i movimenti islamici radicali, dei quali apprezzava la dedizione, lo spirito combattivo e non ultimo le importanti disponibilità economiche necessarie, secondo lui, a consolidare le conquiste della Rivoluzione Cecena ed a far ripartire la sgangherata economia del Paese. Tali contatti, tuttavia, avrebbero certamente alienato alla Cecenia le simpatie del mondo occidentale, e gettato sul movimento separatista il turpe alone del fondamentalismo. Per questo motivo contatti ufficiali tra la ChRI ed i movimenti jihadisti non furono mai portati avanti, neanche sotto la presidenza Yandarbiev, fino allo scoppio della Seconda Guerra Cecena.
Zelimkhan Yandarbiev discute con Boris Eltsin durante i negoziati del 1996 a Mosca
In campo internazionale l’impegno del nuovo presidente fu monopolizzato dalla gestione dei negoziati con la Federazione Russa, con la quale era necessario giungere ad un’intesa per la smilitarizzazione del Paese e la sua ricostruzione post – bellica. Fu Yandarbiev a portare avanti i negoziati che portarono al ritiro delle truppe federali entro il 31/12/1996, supportato in questo dall’autorevole Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Aslan Maskhadov, destinato a succedergli nel Febbraio 1997 alla Presidenza della Repubblica.
Aslan Maskhadov fu Capo di Stato Maggiore dell’esercito ceceno dalla primavera del 1994 al Settembre del 1996, quando fu nominato capo del Governo Provvisorio post – bellico. Eletto Presidente della Repubblica nel Gennaio 1997, guidò la ChRI fino alla sua morte, nel 2005.
Durante la Prima Guerra Cecena fu l’ideatore delle strategie di difesa e di attacco per tutto il corso del conflitto: organizzò la difesa di Grozny nei primi mesi del ’95, la guerra di posizione fino al Maggio dello stesso anno, la guerra di movimento sulle montagne ed i due riusciti raid su Grozny, l’ultimo dei quali, passato alla storia come Operazione Jihad, condussero alla vittoria cecena ed agli Accordi di Khasavyurt.
Di seguito riportiamo un’intervista rilasciata da Maskhadov nel Giugno 1999 alla testata “Small Wars Journal”:
Aslan Maskhadov
IL FIASCO DI CAPODANNO
I russi non intrapresero una guerra correttamente, erano preparati soltanto a subire perdite enormi ed a distruggere tutto. Non valorizzavano i loro soldati, mentre noi consideravamo ognuno dei nostri uomini. Per esempio: la Battaglia di Grozny del 31 Dicembre 1994. C’erano rumorosi e vanagloriosi annunci del Ministro della Difesa russo, Pavel Grachev, secondo i quali la città avrebbe potuto essere presa con un reggimento di forze speciali. I russi entrarono in Cecenia con circa 3 – 4 divisioni. Erano posizionati nella valle di Dolinsky, a Tolstoy Yurt, ad Argun e ad Achkoy – Martan. Avevano truppe d’elite e commandos, reggimenti corazzati.
Il nostro primo problema fu quello di evitare la ritirata ed ingaggiare i russi in battaglia. La prima battaglia che combattemmo si svolse letteralmente alle porte del Palazzo Presidenziale. Il mio Quartier Generale era nel basamento del palazzo. La 131° Brigata Motorizzata, il 31° Reggimento Corazzato Samara ed altre unità furono in grado di entrare dentro Grozny senza opposizione. Non avevamo un esercito regolare che potesse opporsi alle forze russe, soltanto alcune piccole unità che cercavano di tenere varie posizioni nella città. I russi piombarono dentro Grozny sui loro APC e carri armati senza usare la fanteria, come fossero ad una parata. Circondarono il Palazzo Presidenziale, la città fu riempita di carri. Ero nel mio Quartier Generale, circondato dai carri russi. Decisi che avremmo dato battaglia. Detti il comando a tutte le piccole unità che avevamo in giro per la città di lasciare lo loro posizioni e di dirigersi al Palazzo Presidenziale. Loro non sapevano che ero circondato ma io sapevo che quando fossero arrivate avrebbero affrontato il nemico.
Video contenente filmati originali della Battaglia di Grozny. L’audio è in russo.
Le nostre unità iniziarono ad arrivare, videro le posizioni russe e la battaglia iniziò, i russi non se l’aspettavano. Erano seduti ai loro posti, molte delle loro truppe erano posizionate come in una parata intorno al Palazzo e sulla piazza di fronte alla stazione ferroviaria. I loro APC furono distrutti in meno di quattro ore. I russi fuggirono, cacciati, attraverso Grozny, inseguiti dalle nostre unità armate di lanciagranate, anche da ragazzi con bottiglie molotov. Questo durò per 3 giorni: tutte le apparecchiature russe, 400 tra carri e APC che entrarono a Grozny, furono distrutti. La città si riempì di cadaveri di soldati russi. Fu un tremendo successo.
LANCIAGRANATE CONTRO CARRI ARMATI
Una delle ragioni del nostro successo fu l’operazione del 26 Novembre, quando l’opposizione cecena attaccò la città con 50 veicoli corazzati. Gli ufficiali e gli equipaggi erano contractors russi. Raggiunsero il Palazzo Presidenziale, dove il primo carro fu distrutto. Dopo tre ore tutto l’equipaggiamento era in fiamme o catturato, inclusi 11 carri armati. Questa battaglia fu una sorta di prova. La gente perse il timore dei carri russi: erano semplici scatole di fiammiferi. Questo primo successo dette fiducia ai nostri uomini: il 31 Dicembre, quando vedevano un carro armato, consideravano un loro compito distruggerlo. In alcuni casi divenne una competizione: “lasciami questo carro, è mio”.
Quando tutti i mezzi russi furono distrutti intorno al Palazzo Presidenziale, la mia decisione successiva fu quella di difendere il Palazzo. Combattenti e volontari iniziarono arrivare dai quattro angoli della Cecenia. Li registrai e dissi loro “questa è una casa, avete 40 uomini, difendetela e non muovetevi da lì”. Così un poco alla volta venne organizzata la difesa intorno al Palazzo Presidenziale. La divisione commando del Generale Babichev, che stazionava nei pressi di Achkoy Martan si mosse lungo la cresta montuosa e si affacciò su Grozny, altre unità russe furono richiamate, la battaglia si accese intorno al Palazzo per ogni casa, ogni quartiere della città. Le nostre unità si comportarono bene, respinsero ogni attacco. I russi erano riluttanti ad usare la fanteria. Ebbi l’impressione che fossero impauriti, tutto quello che volevano era trincerarsi in posizione difensiva, nascondere i loro carri, ma era impossibile in queste condizioni: al contrario era più pericoloso. Così i carri e gli APC bruciarono ed i soldati perirono all’interno. Non ci fu nessun tentativo di difendere o coprire i carri, o di accompagnarli con la fanteria. Semplicemente loro avanzavano in massa, e come avanzavano venivano distrutti. Più tardi la battaglia si accese intorno all’edificio del Consiglio dei Ministri, all’Hotel Kavkaz, ed al vecchio Istituto Petrolifero, dove avevamo 12 combattenti. L’edificio fu circondato da carri armati, i quali iniziarono a sparare senza sosta. I miei uomini mi chiesero aiuto, ma non potevo provvedere a loro. “Allah vi aiuterà” dissi loro. Un’ora più tardi fecero fuori un carro, poi un altro. AI russi saltarono i nervi e si ritirarono. Fu così che combattemmo.
Miliziani combattono tra le carcasse di mezzi blindati russi messi fuori combattimento.
DAL PALAZZO PRESIDENZIALE A PIAZZA MINUTKA
Difendemmo il Palazzo per 18 giorni. Dopo un costante fuoco di mortaio rimase soltanto il guscio dell’edificio, tutti gli alberi di fronte al palazzo furono spazzati via. Vicino, nel quartiere dell’Archivio Nazionale, a 20 metri dal Palazzo, le unità Alfa e Beta tentarono di irrompere intorno al 5/6 Gennaio (1995). Occuparono l’edificio che si trovava all’angolo con il Palazzo Presidenziale. Mi aspettavo un attacco da quella direzione, e tenni le mie migliori unità su quel lato. Loro provarono molte volte ad irrompere ma non riuscirono a coordinare un attacco frontale completo. Poi intorno al 18 Gennaio l’aviazione russa lanciò bombe di profondità sul Palazzo Presidenziale. Tre bombe colpirono il basamento dove avevamo il nostro Quartier Generale – una colpì il corridoio, un altra l’infermeria, ed una porta sul retro. Fortunatamente il giorno precedente le donne ed i dottori erano stati evacuati, ed erano rimasti soltanto i soldati e la Guardia Presidenziale.
Rimanemmo con il cielo sopra le nostre teste e decidemmo di lasciare il Palazzo. Pianificai la ritirata nella notte, intorno alle 22. Tutti i nostri combattenti che erano circondati in città o che stazionavano più lontano in periferia dovettero ritirarsi per primi oltre il fiume Sunzha. Quelli che coprivano la ritirata e la Guardia Presidenziale furono gli ultimi ad andarsene, alle 23. Yandarbiev ed io ce ne andammo alle 22 in direzione del Sunzha. Avevamo 4 uomini con me. Basayev ci stava aspettando oltre il Sunzha, dove installammo un altro Quartier Generale. Tutti quelli che riuscirono a ritirarsi dalla città attraversarono il Sunzha: i russi ovviamente non se ne accorsero. Continuarono a bombardare il Palazzo Presidenziale per tre giorni, chiaramente non intenzionati ad avanzare le loro truppe.
Militari russi attraversano le rovine di Piazza Minutka
La decisione successiva fu quella di mettere tutte le truppe disponibili lungo una linea di difesa sul Sunzha. Mentre i russi ancora bombardavano il Palazzo, prendemmo rapidamente posizione e costruimmo difese su ogni ponte sul Sunzha che divide la città in due. Potevamo assegnare soltanto 5 o 10 uomini ad ogni ponte. Installai il mio Quartier Generale nell’ospedale cittadino numero 21. Rafforzammo le nostre posizioni con nuove truppe fresche appena arrivate. Riuscimmo a tenere la posizione per un altro mese, con attacchi e ritirate, attacchi e ritirate. Dall’altra parte del Sunzha i russi rasero al suolo ogni edificio, ma non portarono i loro carri oltre i ponti per via delle nostre difese. Alla fine riuscirono ad aprirsi una breccia alla stazione dei tram, attaccandoci da dietro. Eravamo virtualmente accerchiati. Fu in quel momento che decisi, contro ogni logica militare, di contrattaccare […] costringemmo i carri a ritirarsi. Come fu possibile? I nostri uomini non sapevano come scavare trincee, lo consideravano umiliante, ma non c’era scelta – le case erano troppo piccole e fragili, non avrebbero retto ad un attacco corazzato. Così costituimmo una linea tra il Sunzha e (Piazza) Minutka, scavammo trincee, e con circa 40/50 uomini avanzammo metro per metro, scavando ancora trincee finché non ci trascinavamo vicino ai carri e li bruciavamo. Li pressavamo finché non si ritiravano, poi scavavamo ancora e avanzavamo. Era una guerra di trincea altamente non convenzionale!
Nel frattempo nuovi sviluppi pericolosi stavano avvenendo nella direzione del Ponte Voykovo (un ponte sospeso). I carri lungo il fiume stavano coprendo la fanteria che tentava di passare il ponte. I russi avanzarono fino a 200 metri dal mio Quartier Generale. Lanciai tutte le forze disponibili contro di loro ma non riuscii a fermare l’offensiva. Avevano già raggiunto Piazza Minutka. Decidemmo di muovere il Quartier Generale indietro e di abbandonare le nostre posizioni sul Sunzha. La ritirata fu organizzata nella stessa maniera in cui era stata messa in atto la ritirata dal Palazzo Presidenzale – ogni unità sapeva in quale ordine ed a quale ora ritirarsi. La nostra retroguardia era nel 12° distretto, comandata da Shamil Basayev. Alle 18 ci eravamo tutti ritirati alla nostra terza linea di difesa nel 30° e nel 56° distretto lungo la cresta montuosa.
I resti del quartiere governativo di Grozny, Febbraio 1995
DA SHALI A VEDENO
Quanto tenevamo Grozny vivevamo una sensazione di euforia. Invece temevamo che se avessimo abbandonato la città saremmo stati vulnerabili nelle pianure. Non avevamo unità corazzate e non potevamo sopravvivere lì. Qualunque cosa fosse successo sarebbe stato più facile combattere in città, così combattemmo casa per casa. Tenemmo duro per circa due settimane. Ci lasciai Shamil Basayev e spostai il mio comando a Shali, posizionando le difese lungo il fiume Argun. Vi portammo tutto quello che avevamo, qualche carro e qualche cannone. Tenemmo ancora per un po’, poi dovemmo abbandonare Shali ed Argun, non volevamo combattere la come avevamo fatto a Grozny, avremmo condannato quelle città. Quando i russi attraversarono l’Argun ci ritirammo sulle montagne. Sapere che avevamo le montagne dietro di noi ci dette una certa sicurezza. Non difendemmo i villaggi tra Shali e le montagne per evitare distruzioni inutili. Le montagne erano la nostra ultima speranza. Organizzammo le nostre difese a Serzhen Yurt, Bamut, Agishty, lungo le gole delle montagne. Tenemmo duro per un paio di mesi perché i russi non erano intenzionati a muovere un’offensiva nel sud, anche se i bombardamenti aerei continuarono per tutto il tempo.
Nel Maggio 1995 dovemmo ritirarci da Vedeno. Fu lì che fummo traditi. Stavamo tenendo le cime sopra il Canyon Vashtary – è una gola così stretta che due uomini con i lanciagranate avrebbero potuto fermare un’intera divisione. Avevo cento uomini ed ero sicuro al cento per cento che i carri non sarebbero passati quando, improvvisamente, 400 carri mossero su Mekhketi alle nostre spalle. Questa fu la situazione più difficile che affrontammo durante la guerra. Non potevamo capire come questo potesse essere successo. Ancora non conosciamo com’è andata quel giorno. Fummo costretti ad abbandonare Vedeno.
Soldati delle forze armate della ChRI si sfidano in un torneo sportivo a Vedeno, poco prima che la città venga occupata dai russi. A fare da arbitro Shamil Basayev,
BUDENNOVSK E IL NUOVO CORSO DELLA GUERRA
Budennovsk fu seguita da negoziati per un cessate – il – fuoco che ci dette un po’ di respiro. L’accordo per il cessate – il – fuoco fu un moderato successo, anche se Dudaev non ne fu soddisfatto. I russi avevano tentato di marginalizzare la resistenza spingendola sulle montagne. Tuttavia insistei durante i negoziati affinché fosse istituita una forza di “autodifesa” di 20/30 uomini in ogni villaggio, città o insediamento in Cecenia. Il Generale Kulikov fu d’accordo. Tre mesi più tardi, quando divenne ovvio che il cessate – il – fuoco stava venendo violato, si lamentò con me: “non vi abbiamo disarmato, ma riarmato!”. Prima avevo cinque, seimila combattenti. Con le unità di autodifesa portai i membri delle nostre forze armate a dieci, dodicimila. Ma la cosa più importante era che ancora una volta eravamo padroni nelle nostre città e villaggi. I villaggi più piccoli fornivano compagnie, i più grandi battaglioni e reggimenti, ogni distretto aveva i suoi comandanti, i nostri numeri crescevano. Così tutto quello che i russi avevano precedentemente conquistato era andato perduto per loro.
Dopo l’attentato dinamitardo al Generale Romanov i combattimenti ripresero. I russi lanciarono un’offensiva politica con la pretesa di disarmare e pacificare i villaggi, e di installare un’amministrazione – fantoccio. Come ci riuscirono? Per esempio nel caso di Gerzel, circondarono il villaggio con 400 carri armati. Avevamo soltanto 30 combattenti nel villaggio. Il nostro ordine fu che questi non difendessero il villaggio ma vi si nascondessero dentro. Se i russi fossero entrati nel villaggio loro avrebbero dovuto distruggere quanti più carri ed APC avessero potuto, per poi ritirarsi. I russi dettero un ultimatum. Generalmente non si arrischiavano ad entrare nel villaggio quando sapevano che c’erano dei combattenti al suo interno, ma si mantenevano alla periferia. Poi uno o due dei loro uomini della milizia apparivano e facevano delle fotografie, fingendo che si stessero svolgendo negoziati per il disarmo del paese. Questi scenari vennero ripetuti in molti posti.
Aslan Maskhadov e Shamil Basayev
Decidemmo di contrattaccare a Novogroznensky nel Dicembre del 1995. Combattemmo la per una settimana. All’inizio la nostra tattica fu quella di ingaggiare i russi, poi ritirarsi e prendere posizione tra i villaggi e lungo le strade, colpirli lungo le vie di comunicazione, poi attaccare di nuovo le posizioni russe nelle città, e ancora ritirarci. Più tardi lanciammo operazioni di commando per tagliare le linee di comunicazione. Nella primavera del 1996 fummo ancora una volta spinti verso sud nelle montagne. I russi occuparono Dargo, Benoy, Shatoy, Bamut. Dovemmo ritirarci fino ad Itum Khale. Più tardi iniziarono i negoziati di Nazran, nei quali entrambe le parti si accordarono per interrompere le azioni militari. Tuttavia i russi non avevano intenzione di rispettare questi accordi. Quando tornai da Nazran con la mia delegazione, fummo attaccati tre volte sulla strada principale. Praticamente tutte le strade erano minate, fu un miracolo se riuscimmo a tornare indietro vivi.
Il 9 Giugno ci incontrammo nel Quartier Generale di Mechkey con un rappresentante di Lebed (Kharlamov). Dopo l’incontro ci furono pesanti attacchi aerei su tutte le mie basi. Unità di commando vennero trasportati via elicottero ed occuparono le creste montuose. Fu un ultimo disperato tentativo da parte dei russi di prendere l’iniziativa. Eravamo circondati, schiacciati contro le montagne sotto il fuoco dell’artiglieria e dell’aereonautica. Riuscii ad attraversare i passi di montagna a piedi ed a ritirarmi attraverso Uluskert. Shamil Basayev sfondò attraverso Sharoy. Attraversammo il fiume Argun, superammo Dasho Borzoy e raggiungemmo Nizhny Atagi. Sfuggimmo per miracolo. A quel punto fu chiaro che non ci sarebbe stata pace, che tutto stava ricominciando di nuovo. Fu allora che prendemmo la decisione di riprendere Grozny.
Maskhadov esorta i suoi sostenitori, Luglio 1995
OPERAZIONE JIHAD
Avevamo iniziato a preparare questa operazione sei mesi prima. Avevo sempre pensato che la guerra sarebbe finita con la riconquista di Grozny. Avevo pensato a questo continuamente, fatto alcune prove radio, provocando gli ufficiali russi. Studiavo sulle mappe la posizione di ogni unità russa, gli accessi, quali rotte avrebbero dovuto seguire i comandanti, eccetera. Avevo tutto pronto. Organizzammo un incontro con i nostri comandanti, i quali ci fecero i loro rapporti, condivisero le informazioni, e fecero ricognizioni lungo i percorsi. Conoscevamo le posizioni dei russi a Grozny, i loro numeri, dove si trovavano i blocchi stradali. Il 3 Agosto 1996 detti l’ordine di muovere sulla città. In quel momento i russi erano ovunque, anche a Dargo. Ci muovemmo attraverso le loro posizioni da tutte le direzioni, anche da oltre il Terek. Intendevamo entrare a Grozny il 5 Agosto. Incredibilmente quel giorno i media russi annunciarono che i ceceni sarebbero entrati a Grozny. Ero impensierito perché c’erano due aree nel 56° Distretto di Grozny dove era facile prendere in un’imboscata le nostre truppe, ma era troppo tardi per fermare l’attacco. 820 uomini presero parte all’operazione. Detti ordine che ogni comandante guidasse i suoi uomini, sia che avesse con sé 20 combattenti sia che ne avesse 200. Avrebbero dovuto essere in prima linea. Lo considerai la cosa più importante. Se fossero morti, saremmo morti tutti.
L’attacco iniziò alle 5 di mattina del 6 Agosto. Tutti i nostri obiettivi furono centrati. Fu un successo. I nostri uomini entrarono in città attraverso diverse rotte per raggiungere i loro obiettivi )presidi, basi, commissariati, la guarnigione di Khankala) e li presero di sorpresa, poi proseguirono tagliando le rotte e facendo si che nessuno le attraversasse, disponendo qualche cecchino ed un mitragliere. Ogni unità sapeva precisamente in quale sezione avrebbe dovuto operare. In pochissimo tempo tutte le strade furono bloccate fino all’aeroporto di Severny ed i russi furono immobilizzati. Quando le colonne russe tentarono di penetrare in città dall’esterno era troppo tardi. Tutte le basi erano state catturate o disarmate. Non riuscimmo a prendere il palazzo del governo e quello del Ministero degli Interni, e decidemmo di distruggerli. Il giorno successivo apparve Lebed, inaspettatamente, alle 2 di mattina, a Starye Atagi. Offrì l’apertura di un negoziato. […] Mi disse: “Se lasciate la città vi do la mia parola di ufficiale che presto non ci sarà un solo soldato russo sul suolo ceceno.” La mia risposta fu “non lascerò mai la città, è inutile, anche se volessi farlo non sarei autorizzato a farlo – parliamo in un altro modo”. Suggerii lui che i russi avrebbero potuto ritirare le loro truppe dalle montagne alle pianure. Per ogni reggimento che avessero ritirato io avrei ritirato una delle mie unità, ed avremmo potuto stabilire una commissione militare congiunta. Lui non poteva essere d’accordo: “Il presidente mi ha affidato un compito”. Ci lasciò, nel panico. A questo seguì l’ultimatum di Pulikovsky: avremmo dovuto ritirarci o lui avrebbe raso al suolo la città. Fu probabilmente un’iniziativa di Lebed. Poi mi incontrai con Pulikovsky (venne ad Atagi). Era in uno stato terribile, molto nervoso. “Che cosa avete fatto, ci sono donne e bambini a Grozny, come avete potuto fare una cosa così terribile?” Ci confrontammo per due ore. Gli dissi che era lui l’aggressore, che era entrato nella mia capitale con la sua armata, e che io la stavo liberando dai barbari russi. Questa discussione andò avanti per 30 minuti. Lui capì, alla fine. Gli ripetei che non ci saremmo mossi da Grozny. La conversazione era surreale: Pulikovsky era sconvolto dal fatto che non intendessi ubbidire agli ordini del Presidente russo. Io gli feci notare che se fossi stato disposto ad ubbidire agli ordini di Eltsin non ci sarebbe stata la guerra. Ci lasciammo senza aver raggiunto un accordo. Quando il termine dell’ultimatum scadde riapparve Lebed, dichiarando che “i ragazzi hanno fatto una dichiarazione avventata, senza essersi consultati con le alte autorità, ecc.” Pulikovskoy fu rimpiazzato da Tikhomirov. Lebed accondiscese alle nostre condizioni. Firmammo un cessate – il – fuoco. I russi iniziarono a ritirare le loro truppe dalle montagne, Shatoy, Benoy. Poi scegliemmo i distretti cittadini dai quali avrebbero dovuto ritirarsi. Istituimmo una commissione congiunta. Lebed commentò: “La città è vostra, se una commissione ha soltanto due ceceni, è sufficiente per essere nelle vostre mani”. Lo rassicurai: “Non preoccuparti, darò ordine ai miei uomini di non bullizzare i suoi soldati”.
Miliziani separatisti caricano le loro armi, Grozny, 1996
LEZIONI DI GUERRA
Lo spirito è il fattore più importante. Per esempio: come comandante delle unità di resistenza, dico ai miei uomini: “restate in questa casa e non muovetevi”. Loro considerano umiliante rimanere semplicemente seduti ad aspettare. Dopo due o tre giorni non rimarrebbero ancora a lungo, farebbero automaticamente una sortita, proverebbero a distruggere qualcosa. Successivamente mi spiegherebbero la loro tattica militare. Io risponderei: la Russia ha migliaia e migliaia di carri. Il fatto che avete bruciato 10 APC non farà alcuna impressione. Inoltre è l’unico esercito che non conta la sue vittime. Per questo vi prego, rimanete nelle vostre posizioni per tutto il tempo che vi ordino. Se ve ne andate almeno fatemelo sapere”. In ogni caso era difficile tenerli sulle loro posizioni per più di 3 giorni – erano iperattivi! Ogni ceceno è un generale, uno stratega ed un tattico, ognuno ha un piano per sconfiggere la Russia! Per questo dovevo lasciare una certa libertà di iniziativa. Questa fu la premessa del nostro successo. Fu grazie alla mentalità ed al carattere della nostra gente.
C’era anche il fattore religioso. Come militare conoscevo le capacità dell’esercito russo. Quando una colonna russa avanzava e non ti erano rimaste munizioni adeguate e stavi aspettando che si muovessero di 200 o 300 metri per distruggerli, e questo ti riusciva – questi erano miracoli. Fu in quel momento che il fattore religioso iniziò ad avere gioco. Cominciavi a credere che il destino fosse nelle mani di Dio. Ricordo di essermi sentito così a Vedeno, nel Maggio 1995, quando i bombardieri russi arrivavano come uno sciame di mosche. Anche ad Argun, dove avevo il mio Quartier Generale: alcuni anziani vennero per lamentarsi dei bombardamenti intorno ai loro villaggi. Ero furioso e mi rifiutai di riceverli nel mio Quartier Generale. Uscii fuori dal mio seminterrato, c’era una Zhiguli, aprii la portiera e due missili caddero a dieci metri di distanza. Gli uomini furono fatti a pezzi ma io non ricevetti nemmeno un graffio. Ci furono molte altre situazioni nelle quali sopravvissi miracolosamente, cacciato dagli aerei da caccia […].
Sostenitore dell’indipendenza sventola la bandiera della ChRI ad una manifestazione a favore del ritiro delle truppe federali. Grozny, primavera del 1996.
C’era un altro fattore. Gli analisti affermavano che avevamo cinquemila/diecimila combattenti, ma noi sapevamo che era importante mostrare che tutta la nazione stesse combattendo. Mancavamo di tutto, ma ogni casa era un rifugio. In ogni luogo eravamo rifocillati e potevamo riposarci. Ovviamente era pericoloso per le persone, ma nessuno si rifiutò di darci rifugio. Ogni proprietario di casa aveva della riserve. I ceceni sono ricchi perché hanno sempre riserve, non vivono alla giornata. Chiedemmo alle persone di tenere dimostrazioni, bloccare la strade, eccetera. Questa era la lotta di tutta la nazione.
Il resto era irrilevante. Sono stato spesso criticato e consigliato che avremmo dovuto passare alla guerra partigiana. Dudaev consigliò delle tattiche “afghane” “attacca e fuggi”. Queste erano le tattiche dei volontari stranieri. Ero contrario perché in un piccolo territorio come il nostro se avessimo usato tali tattiche saremmo stati spinti in profondità sulle montagne in meno di una settimana. Durante tutta la guerra tenemmo una linea di difesa, nella città come nelle montagne avevamo un territorio nel quale ritirarsi. All’inizio le nostre tattiche erano puramente difensive, poi passammo a manovre offensive, più tardi a tattiche di commando ed alla guerra sulle linee di comunicazione. Non sono mai stato entusiasta riguardo a raid come quelli su Budennovsk o Pervomaskoye (Klizyar, ndr). Dovevamo combattere con onore, per mostrare non soltanto il coraggio ma anche le qualità del nostro popolo. Le leggi di guerra dovevano essere seguite nonostante i nostri piccoli numeri
Volevo mostrare la superiorità del nostro codice d’onore al pari delle nostre abilità militari. Penso che ci riuscii. Non approvai operazioni come quella di Pervomaikoye (di nuovo, Klyziar, ndr) – sapevo che l vittoria sarebbe stata nostra in ogni caso. Budennovsk fu più importante: costrinse i russi al tavolo dei negoziati. Fu la prima volta che la gente in Russia si rese conto che c’era una guerra. Era molto importante psicologicamente – i russi non potevano credere che i civili potessero essere uccisi alla luce del giorno in “tempo di pace”. Che tipo di pace era questa? Loro non credevano che ci fosse la guerra. Era importante dimostrare che le persone potevano essere uccise anche in Russia. Budennovsk aprì gli occhi al russo medio.
A Vedeno giunse un gruppo di 30 madri, parlai con loro, le rassicurai quando un massiccio attacco aereo ci colpì. Ero arrabbiato, mentre ero gentile con queste donne che avevano mandato i loro figli ad uccidere i miei fratelli, questi barbari ci colpirono. Le madri capirono che ero furioso e se ne andarono. Fino ad allora non avevano preso sul serio la guerra, anche se volevano proteggere i loro figli.
Aslan Maskkhadov ed Alexander Lebed firmano i protocolli di Khasavyurt
EDUCAZIONE MILITARE
Come ufficiale ceceno, dovevo ri – regolare tutti i concetti, diventare professionale in un altro modo. Tutti gli uomini erano volontari, non potevo neanche dar loro un fucile mitragliatore o una pistola. Ognuno aveva la sua idea riguardo la tattica, come dicevo prima. Era impossibile dar loro ordini, era necessaria più diplomazia. Quando gli uomini mi spiegavano come combattere, dovevo ascoltarli diplomaticamente per 30 minuti, far loro i complimenti, poi imporre il mio volere. Era un approccio differente rispetto all’esercito russo.
Ti darò un esempio: un giorno Dzhokhar venne da me al Quartier Generale. I comandanti si raggrupparono e lo attaccarono: “che tipo di guerra è questa? Non abbiamo niente!” Lui li guardò e disse loro “Dunque, che cosa posso darvi se non abbiamo niente?” Mi sentii veramente dispiaciuto per lui. Lui si alzò e disse: “Vi ho ordinato di combattere? Siete venuti di vostra spontanea volontà. State combattendo per Allah” e se ne andò. Se avesse promesso qualcosa sarebbe stato più difficile. Sapevamo di non avere nulla, sapevamo che non potevamo aspettarci alcun aiuto nonostante il mondo esterno parlasse di mercenari stranieri, arabi, “tuniche bianche”, afghani. Ma ce n’erano così pochi di questi, qualche dozzina al massimo. Le armi che riuscivamo ad ottenere dall’esterno erano poche quasi nessuna. Le migliori risorse erano i magazzini di rifornimento russi.
I nostri uomini divennero ingegneri piuttosto esperti sapevano come costruire le loro difese. Il tiro dei GRAD non li impressionava più di tanto e la fanteria russa non aveva il morale per combattere. I Russi circondarono Pervomaiskoye con un triplo anello e pensavano che non ci fosse bisogno di un attacco di fanteria. Spostai il mio Quartier Generale a Novogroznensky e portai tutti i miei rifornimenti. Da lì facemmo una diversione in direzione di Sovenskoye per aiutare gli uomini a Pervomaiskoye, e richiamammo il fuoco dell’anello esterno su di noi. A quel punto aprimmo uno stretto corridoio dall’altra parte, lungo il Terek, dal lato del distretto di Shelkovsky, mentre i russi pensavano che avremmo tentato di salvarli da Sovetskoye. Loro si portarono dietro tutti gli ostaggi ed i prigionIeri. Se i miei uomini fossero stati russi avrebbero spinto i prigionieri in avanti sul campo minato, ma al contrario loro stavano guidando la sortita. Tre o quattro ostaggi perirono. Noi perdemmo 90 uomini. L’operazione fu un errore, loro furono ingannati muovendosi verso Pervomaiskoye. Avrebbero dovuto rimanere a Klizyar.
Aslan Maskhadov ad altri alti funzionari della ChRI (Abusupyan Mosvaev alla sua destra, Akhmed Zakayev dietro col cappello nero) pregano di fronte alle rovine del Palazzo Presidenziale