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Assalto al Palazzo Presidenziale – Estratto da “Libertà o Morte! Volume II”

Quello che sarebbe passato alla storia come il “fiasco di Capodanno” fu un disastro per Grachev e un trionfo di Dudaev. Ma soprattutto fu il mito fondativo della resistenza.  Più tardi, alla fine della guerra, il governo indipendentista avrebbe istituito un ordine di medaglie dedicato a coloro che avevano combattuto in quei giorni, l’Ordine del Difensore di Grozny[1]. Mentre i ceceni vivevano la loro prima giornata di gloria, a Mosca Grachev iniziava a prendere coscienza di aver fatto fare ad Eltsin una figuraccia planetaria. Davanti alle telecamere il Ministro della Difesa rimase apparentemente ottimista, al punto da dichiarare che l’operazione era stata un sostanziale successo[2]. Non poteva esserci niente di più falso, e lo sapeva bene, perché ancora il 2 gennaio i russi erano impegnati a salvare i loro reparti rimasti assediati in città, e niente faceva pensare ad una risoluzione veloce della battaglia[3]. Se non altro, comunque, la disfatta costrinse il comando russo a cambiare tattica, a cominciare dall’organigramma delle forze in campo. La responsabilità del fallimento venne addossata ai comandanti sul campo, che vennero in gran parte sostituiti, mentre il Gruppo d’Assalto Nord e Nord – Est vennero fusi in un solo Gruppo d’Assalto Nord al comando del Generale Rochlin, l’unico che avesse salvato la faccia in quell’operazione così maldestramente condotta. Le colonne federali furono riorganizzate in piccoli reparti appoggiati da carri armati ed elicotteri, dotate di maggiore mobilità e più prudenti nell’avanzare verso il centro cittadino. Abbandonata l’idea di un rapido blitz vittorioso, il comando del Raggruppamento delle Forze Unite tornò coi piedi per terra, e prima di tutto si occupò di salvare le unità ancora assediate nel centro cittadino. I rinforzi richiamati da tutti i distretti militari poco prima dell’assalto furono inviati a consolidare le posizioni faticosamente conquistate: nel corso dei primi giorni di Gennaio le unità federali riuscirono a tenere una precaria linea del fronte che dall’ospedale, a Nord, correva fino alla stazione ferroviaria, lambendo la piazza del mercato centrale cittadino. I mezzi corazzati rimasti operativi furono frettolosamente ritirati dalla zona di combattimento e disposti a supporto della fanteria, la quale da quel momento in poi avrebbe avanzato casa per casa. Nessuna azione offensiva fu intrapresa prima che artiglieria ed aeronautica avessero annichilito le posizioni (probabili o effettive) dalle quali i cecchini ed i tiratori di RPG nemici avrebbero potuto colpire. La strategia cambiò radicalmente: anziché puntare tutti verso il centro, i reparti federali avrebbero conquistato i distretti uno ad uno, aprendosi la strada lentamente.

. Il 4 gennaio, dopo 48 ore di incessante bombardamento, l’attacco alla città riprese ed i reparti federali tentarono di sfondare il fronte lungo tutto l’arco compreso tra la stazione ferroviaria (ovest) l’ospedale (nord) e la base di Khankala (est). I bombardamenti si concentrarono sui quartieri residenziali nel centro cittadino, ancora occupati dai dudaeviti. La tragedia umanitaria che l’attacco stava generando ne fu ulteriormente amplificata, e la pressione mediatica su Eltsin cominciò a farsi forte, al punto che questi decise di sospendere i bombardamenti dal 5 Gennaio. Intanto continuavano ad affluire rinforzi dalle basi navali del Baltico e del Pacifico, e numerosi reggimenti di fanteria di marina prendevano posizione nelle retrovie, mentre i difensori schieravano unità fresche, come gli uomini del Battaglione Naursk, i quali erano riusciti a calare dal nord del Paese tra il 3 ed il 4 Gennaio[4]. Tra il 5 ed il 10 gennaio i combattimenti si svilupparono lungo tutta la linea del fronte, fino al bombardamento da parte dell’artiglieria russa di un ospedale psichiatrico dove sembrava che fosse presente un nucleo di combattenti indipendentisti. Il bombardamento provocò lo sdegno della comunità internazionale e mise in imbarazzo Eltsin, che propose pubblicamente una “tregua umanitaria” per permettere lo sfollamento dei civili rimasti in città. Il 9 sembrò che le parti fossero riuscite ad accordarsi per un cessate – il – fuoco di 48 ore, durante il quale poter raccogliere morti e feriti e scambiarsi i prigionieri. 13 Prigionieri russi in mano cecena vennero restituiti alle autorità federali, mentre i dudaeviti approfittavano della tregua per far affluire in città nuovo equipaggiamento. Tuttavia, come le telecamere si furono allontanate, Eltsin rimpiazzò la sua tregua con un “ultimatum” per il disarmo delle milizie, e già dalle prime ore del 10 gennaio l’artiglieria russa ricominciò a bombardare la città[5]. Il Gruppo di Battaglia Est, ribattezzato Gruppo di Battaglia Sud – Est, ebbe l’incarico di chiudere il braccio destro della tenaglia occupando i quartieri meridionali, con l’obiettivo di completare l’accerchiamento e mettere Grozny sotto assedio.

Nel frattempo le unità dispiegate in città avanzavano lentamente, casa per casa dirette verso il quartiere governativo. I centri nevralgici della difesa cecena in quel settore erano costituiti dall’edificio del Parlamento (ex Consiglio dei Ministri della RSSA Ceceno – Inguscia, il cosiddetto “SovMin”) dal Palazzo Presidenziale, dall’istituto pedagogico[6] e dall’Hotel Kavkaz. Il quartiere era protetto ad est dal Sunzha, mentre a sud era coperto dalla imponente struttura del circo cittadino, che gli indipendentisti utilizzavano come una sorta di bunker. L’unico modo per approcciare le posizioni cecene senza rischiare di finire in trappola era avanzando da Nord. Questo accesso era protetto dall’Istituto Petrolifero di Grozny, un imponente complesso di tre palazzi al centro del quale svettava un corpo centrale di dodici piani, soprannominato “Candela”[7]. Il 7 Gennaio elementi del 45° Reggimento Aviotrasportato, giunti da pochi giorni in supporto alle unità di prima linea, assaltarono l’edificio. La battaglia infuriò a fasi alterne per tre giorni, durante i quali l’edificio fu preso, poi riperso, poi ripreso nuovamente. Consapevoli che la perdita dell’Istituto Petrolifero avrebbe aperto la strada ai federali per la conquista dell’intero quartiere, gli indipendentisti reagirono rabbiosamente, alternando contrattacchi in massa a fitti bombardamenti con i mortai. Fu in uno di questi bombardamenti che perse la vita il primo di numerosi alti ufficiali russi caduti in questa guerra. Centrato da un colpo di mortaio cadde il Generale Viktor Vorobyov (omonimo del già citato Edvard Vorobyov) mentre, al comando di un’unità OMON del Ministero degli Interni, si apprestava a costituire un posto di blocco dietro al grande edificio principale. Dopo essersi assicurati il controllo delle rovine dell’Istituto Petrolifero i federali arrestarono l’avanzata, lasciando spazio ad un imponente bombardamento aereo e di artiglieria non soltanto sulla guarnigione a difesa della città, ma lungo tutto il fronte, comprese le retrovie a Sud e sui centri montani del paese. 

artiglieria federale in azione

I difensori si trincerarono all’interno dei fatiscenti edifici del quartiere governativo, supportati da contingenti provenienti dall’altra sponda del Sunzha che all’occorrenza intervenivano a bloccare gli sporadici attacchi dell’esercito federale[8]. La sera del 12 gennaio il Generale Rochlin, ordinò l’assalto al Sovmin[9]. Nella notte un reparto di paracadutisti della 98a Divisione Aviotrasportata riuscì a raggiungere la base dell’edificio. La struttura era stata pesantemente bombardata, e per i ceceni era stato quasi impossibile rifornire le unità a difesa dell’edificio nelle 48 ore precedenti. Alle 5:30 del mattino gli attaccanti assaltarono il palazzo, ma i ceceni asserragliati ai piani superiori reagirono prontamente, riuscendo a bloccare l’assalto e provocando tra i paracadutisti numerosi morti e feriti. Nel frattempo Maskhadov richiamava da Sud tutte le forze disponibili per respingere l’attacco: qualora il Sovmin fosse caduto, il Palazzo Presidenziale avrebbe potuto essere colpito direttamente, e non sarebbe stato più possibile rifornire la guarnigione che vi era asserragliata[10]. Dall’edificio, infatti, era possibile tenere sotto tiro il grande ponte sul Sunzha che collegava il Quartier Generale alla parte orientale di Grozny.

Nella tarda mattinata del 13 i paracadutisti russi iniziarono ad essere supportati da consistenti reparti corazzati, affiancati dalla fanteria ordinaria e dai fanti di marina del 33° reggimento, appena giunto sul campo di battaglia. Le unità raccolte da Basayev in Piazza Minutka ed inviate di rinforzo verso il Palazzo Presidenziale tentarono inutilmente di sloggiare i federali, lanciando violenti attacchi fino al 19 Gennaio, in uno scontro casa per casa e stanza per stanza senza esclusione di colpi[11].  Nel corso dei giorni, tuttavia, le controffensive cecene si esaurirono, man mano che i reparti federali assalivano gli edifici circostanti il Sovmin, come l’Ispettorato di Polizia Fiscale, subito ad est dell’edificio, aumentando così la copertura delle unità poste alla sua difesa[12]. I federali riuscirono ad aver ragione dei contrattacchi dei ceceni soltanto dopo alcuni giorni di intensi combattimenti. Il 19 gennaio, fallita l’ultima controffensiva cecena, Rochlin potè dichiarare di aver preso il Sovmin. Da questa posizione i russi potevano facilmente assediare il Palazzo Presidenziale. Nel corso dei giorni precedenti questo era stato colpito incessantemente dall’artiglieria e dall’aeronautica, al ritmo di un colpo al secondo, e due potenti bombe a detonazione ritardata erano penetrate fin nei sotterranei dell’edificio, dove si trovavano i centri di comunicazione, il comando e l’ospedale da campo, sventrando il palazzo.  A complicare ulteriormente la posizione dei difensori occorse, all’alba del 19, la conquista dell’Hotel Kavkaz e la cattura del vicino ponte sul Sunzha. I pochi reparti della Guardia Presidenziale ancora operativi, asserragliati tra le imponenti rovine del Reskom, non avrebbero potuto resistere a lungo. Già alcuni giorni prima la squadra speciale della Guardia (i cosiddetti “Leoni di Dudaev”), al comando di Apti Takhaev, era stata distrutta in un contrattacco nel distretto di Boronovka, a nordovest del Quartier Generale[13]. Se voleva salvare i resti delle sue forze d’élite, Maskhadov avrebbe dovuto tirarle fuori da quella che stava diventando ogni giorno di più una bara di cemento. Così il comandante ceceno. che non aveva mai abbandonato la posizione, si decise ad andarsene sfruttando l’ultimo corridoio aperto in mezzo alle unità federali. Basayev coordinò efficacemente il ritiro della maggior parte dei reparti combattenti sulla sponda destra del Sunzha, organizzando una solida linea di difesa[14]. Il giorno successivo i soldati di Eltsin innalzarono sul pennone la bandiera russa[15]. La presa del Palazzo fu poco più che un successo politico. Per prenderlo i russi avevano sacrificato più di un migliaio di uomini, centinaia di mezzi corazzati, sparato decine di migliaia di proiettili d’artiglieria ed impiegato una marea di aerei ed elicotteri. E alla fine, a dirla tutta, lo avevano preso perché erano stati i ceceni ad abbandonarlo. La battaglia per la presa della sponda occidentale del Sunzha aveva richiesto l’impiego di quasi la totalità delle forze federali, dando il tempo a Dudaev di organizzare una solida linea a sud della capitale.

truppe russe nei pressi delle rovine del Palazzo Presidenziale

Il Presidente ceceno si ritirò senza fretta a Shali, dove pose la capitale provvisoria della Repubblica. In città rimase Basayev, ormai divenuto una leggenda vivente, con l’ordine di rallentare i federali quanto più possibile. Maskhadov si ritirò ad Argun, ponendovi il suo Quartier Generale[16]. A Mosca, la notizia della cattura del Palazzo Presidenziale fu accolta con grande ottimismo: Eltsin tenne un discorso pubblico nel quale associò la presa del Palazzo Presidenziale alla imminente cessazione delle ostilità. La realtà era ben diversa: l’esercito federale era riuscito a prendere a malapena un terzo della città, giacché il grosso di Grozny si estende oltre la sponda orientale del fiume. E dall’altra parte c’era Basayev, con una nutrita guarnigione di almeno 1.500 uomini (cui si aggiungevano altre centinaia di volontari) deciso a tirare avanti la difesa della città il tempo necessario a far sì che Maskhadov potesse completare il dispiegamento del fronte meridionale. Il successo di cui parlava Eltsin (costato comunque tra i 500 e i 1000 morti e tra i 1.500 ed i 5.000 feriti) non era sufficiente neanche a dichiarare di aver preso Grozny, tantomeno di aver prodotto la cessazione delle ostilità. La maggior parte del territorio ceceno rimaneva saldamente nelle mani degli indipendentisti, e la vittoria sul campo era ancora ben lontana da venire[17].


[1] Il lettore che volesse approfondire il tema dei premi di stato della ChRI può consultare la sezione Premi della Repubblica sul sito www.ichkeria.net.

[2] Il 2 Gennaio, Grachev dichiarò alla stampa che l’operazione per la presa della città si sarebbe conclusa in non più di cinque, sei giorni. Il 9 Gennaio, quando ormai era chiaro che le sue ottimistiche previsioni non stavano trovando riscontro nella realtà sul campo, parlando ad una conferenza stampa ad Alma – Ata, il Ministro della Difesa ebbe a dichiarare che L’operazione per prendere la città era stata preparata in tempi molto brevi, ed è stata eseguita con perdite minime […] E le perdite, voglio dirvelo francamente, si sono verificate solo perché una parte dei comandanti di grado inferiore ha vacillato. Si aspettavano una vittoria facile e poi, semplicemente, avevano ceduto sotto pressione […]. Un cambio di prospettiva apparentemente minimo, ma che rivelava la presa d’atto che il blitz fosse fallito, e che la conquista della città avrebbe richiesto tempi e sforzi molto maggiori.

[3] Come ebbe a dire successivamente il Generale Rokhlin, che da questo momento in poi avrebbe avuto l’onere principale nella conquista di Grozny: Il piano operativo, sviluppato da Grachev e da Kvashnin, divenne di fatto un piano per la morte delle truppe. Oggi posso dire con assoluta certezza che questo non fu suffragato da alcun calcolo operativo – tattico. Un piano del genere ha un nome molto preciso: una scommessa. E considerando che come risultato della sua attuazione sono morte centinaia di persone, fu un gioco d’azzardo criminale.

[4] Secondo quanto riportatomi da Apti Batalov in una delle nostre conversazioni, il Battaglione, forte di 97 uomini, raggiunse prima Gudermes, dove fu accolto dal Prefetto locale Salman Raduev e sistemato nella Casa dei Ferrovieri, poi si diresse verso il Palazzo Presidenziale, sfruttando la tregua appena dichiarata, e raggiungendo la posizione nella tarda serata del 5.

[5] Secondo quanto ricordò Aslan Maskhadov nel suo libro elettorale L’Onore è più caro della vita: Una volta, nel Gennaio 1995, Dudaev mi disse di essere d’accordo con Chernomyrdin di cessare le ostilità per 48 ore. “Prendi contatto con Babichev” mi disse “e concorda sulla rimozione dei cadaveri ed il salvataggio dei feriti gravi”. Contattai Babichev e gli ripetei che questa era la volontà di Dudaev e di Chernomyrdin. Babichev mi disse che mi avrebbe ricontattato entro 30 minuti. Poi mi chiamò e abbastanza seriamente, con la voce di un presentatore televisivo, disse: “Le condizioni sono le seguenti. Una bandiera bianca viene appesa al Palazzo Presidenziale, i capispalla vengono rimossi, le armi non vengono portate con voi, uscite con le mani alzate e dirigetevi verso Via Rosa Luxembourg…” Ho ascoltato con difficoltà queste chiacchiere, come i deliri di un pazzo, e moto educatamente l’ho mandato dove di solito ti mandano i contadini russi. A quanto pare neanche Babichev gradì la mia risposta, ed il fuoco più intenso di tutte le armi fu aperto sul Palazzo Presidenziale.

[6] In questo edificio, secondo quanto riportatomi da Apti Batalov, si era asserragliato il Battaglione Naursk. Secondo i suoi ricordi, i suoi uomini tennero la posizione fino al 19 Gennaio.

[7] L’Istituto Petrolifero di Grozny era una vera e propria istituzione non soltanto in Cecenia, ma in tutta la Russia. Fondato nel 1920, era stato per decenni il punto di riferimento negli studi tecnici relativi all’estrazione ed alla produzione di idrocarburi. Presso le sue strutture si erano formati circa cinquantamila studenti, tra i quali illustri personaggi politici dell’URSS. La costruzione, alta e massiccia, fu utilizzata dai indipendentisti per difendere da posizione favorevole il quartiere governativo, e la sua cattura avrebbe provvisto i federali di un’ottima posizione di osservazione e di tiro sulle difese cecene. Per questo motivo il complesso fu al centro degli scontri per la presa della città, finendo completamente distrutto prima dai bombardamenti, poi dai violenti scontri combattutisi al suo interno.

[8] Un episodio degno di nota esplicativo della situazione strategica al 10 Gennaio 1995 è riportato da Dodge Billignsley nel suo Fangs of the lone wolf. Il 10 Gennaio i reparti avanzati federali occupavano l’edificio del Servizio di Sicurezza Nazionale (ex KGB) e sparavano dalla piazza del mercato direttamente contro il Reskom (nome originale del Palazzo Presidenziale). Altri mezzi corazzati stazionavano nei pressi dell’Hotel Kavkaz, a pochi metri dal principale ponte sul Sunzha (il ponte su Via Lenin, oggi Putin Avenue), coprendo l’avanzata della fanteria che stava tentando di occupare l’edificio. Al di là del ponte si trovava un drappello di indipendentisti intenzionato a portare supporto a Maskhadov, attaccando i carri appostati all’Hotel Kavkaz. Il piccolo reparto si divise in due: metà avrebbe continuato ad occupare la posizione, l’altra metà avrebbe attraversato il fiume a nuoto, avrebbe attaccato i carri e si sarebbe nuovamente ritirata. L’azione ebbe successo, uno dei due veicoli fu colpito dagli RPG e saltò in aria, mentre l’altro si ritirò velocemente al coperto. In questo modo l’azione offensiva russa subì un certo rallentamento, costringendo i federali a tenersi alla larga dagli argini del fiume onde evitare di finire nuovamente sotto attacco da parte degli incursori ceceni. Azioni di questo tipo si susseguirono fino al 18 Gennaio quando, caduto il Sovmin, la difesa del Palazzo Presidenziale perse di senso strategico e gli indipendentisti si ritirarono al di là del fiume.

[9] Lo spettacolo che i russi si trovarono davanti quando giunsero ai piedi dell’edificio fu straziante, secondo quanto riporta lo stesso Rochlin: “Alla vigilia dell’assalto i militanti avevano appeso i cadaveri dei nostri soldati alle finestre […] Nei primi giorni dell’assalto scoprimmo una fossa comune piena di paracadutisti, i cui cadaveri erano stati decapitati. Successivamente trovarono cadaveri dei nostri soldati con lo stomaco strappato, pieno di paglia, con le membra recise e tracce di altre profanazioni. I dottori, esaminando i cadaveri, hanno affermato che stavano martoriando persone ancora vive.”

[10] Come abbiamo detto il Palazzo Presidenziale non era soltanto un edificio simbolico per gli indipendentisti. Nel bunker al di sotto dell’imponente struttura si trovava il Quartier Generale ceceno, e da lì Maskhadov diramava gli ordini alle unità che difendevano il quartiere governativo.

[11] Lo scontro assunse caratteri di inaudita ferocia, tale da far saltare i nervi ai soldati. Il  Tenente Colonnello Victor Pavlov, Vicecomandante del 33° Reggimento Fanti di Marina, scrisse nelle sue memorie: Il personale del gruppo d’assalto, che teneva la difesa del Consiglio dei Ministri […]si è rivolto al comandante del gruppo, Maggiore Cherevashenko, chiedendo di poter lasciare la posizione […] con enormi sforzi Cherevashenko riuscì a impedirlo […] i soldati giacevano negli scantinati del Consiglio dei Ministri, non mangiavano né bevevano, si rifiutavano persino di portar fuori i loro compagni feriti. Ci sono stati casi di esaurimento psicologico tra i soldati. Quindi il soldato G. […] ha dichiarato che non poteva più tollerare una situazione del genere ed ha minacciato di sparare a tutti […].

[12] Il 16 Gennaio, alle ore 5:20, i canali radio registrarono una conversazione tra Ruslan Gelayev (in codice “Angel  – 1”) e Maskhadov (in codice “Ciclone”). In essa il Capo di Stato Maggiore ceceno confessava all’altro di aver appena assistito alla prima battaglia perduta.

[13] Le circostanze della morte di Apti Takhaev mi sono stare riportate dall’attuale Segretario di Stato della ChRI, Abdullah Ortakhanov.

[14] Secondo quanto riferitomi da Ilyas Akhmadov, il ritiro delle forze cecene sulla sponda destra del fiume fu anche frutto di un “effetto domino” determinato dalla peculiare organizzazione delle forze combattenti: Il tempismo della nostra ritirata da una sponda all’altra del Sunzha è stato in parte non intenzionale. Avremmo potuto resistere ancora un po’. C’erano molti gruppi diversi che correvano sparando a qualsiasi nemico potessero vedere. Alcune di queste unità non provenivano dalla città ed erano venute a combattere per 3-4 giorni, per poi ritirarsi nelle loro case e riposare una settimana nel loro villaggio. Quando un’unità schierata stabilmente in città chiedeva dove stavano andando, era imbarazzante dire “stiamo andando a casa”, quindi i volontari rispondevano: “abbiamo un ordine di Maskhadov di ritirarci”. Senza alcun modo per verificarlo e senza motivo di dubitare della loro spiegazione, anche l’altra unità si ritirava attraverso il Sunzha. Questo ha accelerato il passaggio sull’altra sponda.

[15] Non si sa se per coincidenza o per scelta, la squadra che salì sul tetto del Palazzo Presidenziale per issarvi il tricolore russo apparteneva al 33° Reggimento Motorizzato, la stessa unità che aveva issato la bandiera rossa sulle rovine del Reichstag alla fine della Battaglia di Berlino.

[16] Là lo raggiunse un giovane laureato in Scienze Politiche, che per qualche tempo aveva servito al Ministero degli Esteri, e che ora si metteva a disposizione della resistenza armata: Ilyas Akhmadov. Di lui parleremo approfonditamente più avanti e nei prossimi volumi di quest’opera.

[17] Per visualizzare la Battaglia di Grozny, vedi la carta tematica E.

Memorie di Guerra: Francesco Benedetti intervista Akhmed Zakayev (Parte 2)

Quella che segue è la trascrizione della seconda parte dell’intervista tra Francesco Benedetti ed Akhmed Zakayev realizzata da Inna Kurochkina per INEWS (alleghiamo il link al video originale, che presto sarà accompagnato da sottotitoli in inglese ed italiano)

Il 6 marzo 1996 le forze armate della ChRI hanno lanciato la loro prima grande azione offensiva del conflitto: la cosiddetta Operazione Retribution. Secondo quanto mi disse Huseyn Iskhanov, allora Rappresentante di Stato Maggiore, il piano fu concepito a Goiskoye e vide la sua partecipazione, oltre a quella del Capo di Stato Maggiore, Maskhadov, e del Vice Capo di Stato Maggiore, Saydaev. Si ricorda come fu pianificata questa operazione?

Sì, certo che me lo ricordo. Questo, in linea di principio, è venuto fuori dall’operazione che abbiamo effettuato per bloccare la città di Urus-Martan al fine di impedire le elezioni. Dopo questa operazione, io e il mio capo di stato maggiore Dolkhan Khozhaev ci siamo incontrati con Dzhokhar Dudayev. E abbiamo suggerito l’opzione di fare qualcosa del genere. Abbiamo capito che di fronte a qualsiasi nostra azione, per tentare di cambiare questa situazione, i russi avevano bisogno di almeno tre giorni, in teoria. Abbiamo iniziato a parlare della possibilità di bloccare più distretti contemporaneamente. E poi Dzhokhar Dudayev ha detto: “Vedi com’è bello quando una squadra lavora!” Io, dice, ero con questi pensieri e ho pensato al modo migliore e al tipo di operazione da eseguire. Fu allora che nacque l’idea di eseguire questa operazione nella città di Grozny, che in futuro si sarebbe chiamata Città di Dzhokhar. Lo stesso giorno, è stato deciso di invitare Aslan Maskhadov, capo di stato maggiore, a chiamarlo al nostro fianco, e da quel momento, quasi due o tre giorni dopo averne discusso con Dzhokhar Dudayev, abbiamo iniziato i preparativi su questa operazione. In pratica, avevamo la nostra intelligence a Grozny, sapevamo dove era concentrata ogni unità russa, abbiamo svolto un lavoro aggiuntivo e identificato tutti i punti in cui si trovano le unità russe. Dove sono i posti di blocco, gli uffici del comandante, le unità militari. Sì, Umadi Saidaev, il defunto Umadi Saidaev, era il capo del quartier generale operativo, e poi, in seguito, è arrivato lì Aslan Maskhadov, e insieme ai comandanti delle direzioni che avrebbero dovuto prendere parte, abbiamo sviluppato questa operazione.

Tornando di nuovo all’operazione Retribution, questo è stato un successo che la leadership ChRI ha scelto di utilizzare più simbolicamente che strategicamente. Nella sue memorie ricorda che all’epoca la decisione di ritirarsi da Grozny, nonostante fosse sotto il vostro controllo, non le piacque, e che ancora oggi lei ritiene che quanto realizzato nell’agosto successivo, con l’Operazione Jihad, avrebbe potuto essere raggiunto con Operazione Retribution. Infine, lei afferma: Nel marzo del 1996 probabilmente abbiamo avuto l’opportunità di concludere vittoriosamente la guerra, e in quel caso gran parte della nostra storia recente sarebbe potuta andare diversamente. Cosa intende con questa frase? Allude al fatto che Dudayev era ancora vivo, o al fatto che le elezioni presidenziali russe non si erano ancora svolte? O ancora, a qualcos’altro?

Ho pensato alle elezioni in Russia per ultima cosa, perché lì non ci sono mai state elezioni. Sì, il fatto stesso che Dzhokhar fosse vivo in quel momento avrebbe potuto essere di grande importanza, e il corso della storia sarebbe potuto essere completamente diverso se la guerra fosse finita con Dzhokhar Dudayev vivo. I russi hanno fatto ogni sforzo per eliminare Dzhokhar Dudayev e successivamente per cercare la pace. Per quanto riguarda questa operazione, ne sono proprio sicuro. Sì, allora abbiamo programmato l’operazione perché durasse tre o quattro giorni, ma non c’è stata una decisione concreta, secondo la quale ci saremmo dovuti ritirare in tre giorni. Quando Dzhokhar Dudayev è arrivato a Grozny, si sistemò nel mio quartier generale nella città di Grozny, nel mio settore della difesa, in quella parte della città in cui combattevano le unità sotto il mio comando, è arrivato lì, e la sera precedente eravamo insieme al Quartier Generale. Ricordo la reazione di Dzhokhar Dudayev quando ha saputo che c’era un ordine di lasciare la città, che alcune unità avevano già iniziato a lasciare Grozny. Non era d’accordo con questo, perché puoi davvero valutare la situazione quando vedi la situazione nel processo, come cambia, e sulla base di ciò devi trarre conclusioni e prendere decisioni. Dzhokhar Dudayev era a Grozny per la prima volta dall’occupazione russa, abbiamo viaggiato con lui di notte, a Grozny di notte, siamo andati alla stazione degli autobus, ha assistito a tutta questa distruzione e quando siamo tornati al quartier generale, alcuni dei nostri le unità avevano già iniziato a partire. Ha detto: “Bene, se c’è un ordine, è necessario eseguirlo”. E ci siamo ritirati. E poi ci ho ripensato, perché ad Agosto non abbiamo fatto niente di più di quello che avevamo fatto a marzo. Questa operazione è stata ripetuta nello stesso modo, e con le stesse forze e mezzi. E quindi, sono sicuro che se fossimo rimasti a Grozny … (beh … la storia non tollera il congiuntivo). Quello che doveva succedere è successo. Ma rimango della mia opinione che avrebbe potuto essere diverso. Questo è già dall’area del “potrebbe”. E non è successo.

Nel marzo 1996 lei ha affrontato, come comandante, quella che forse è stata la più grande battaglia difensiva combattuta dall’esercito ceceno nel 1996. Mi riferisco alla battaglia di Goiskoye. Ho letto pareri contrastanti sulla scelta di affrontare i russi in quella posizione. Alcuni sostengono che la difesa del villaggio fosse insensata, provocando numerose vittime ingiustificate per le forze cecene. Altri sostengono che se Goiskoye fosse caduto troppo presto mani federali, l’intero sistema di difesa ceceno avrebbe potuto andare in frantumi. Dopo tutti questi anni, cosa ne pensa?

Impedire al nemico di raggiungere le colline pedemontane, bloccarlo nel villaggio di Goyskoe, questa è stata, dal punto di vista strategico, militarmente una decisione assolutamente corretta. Questa decisione è stata presa dal Comando supremo delle forze armate della Repubblica cecena di Ichkeria. Sì, so anche che esiste una dichiarazione del genere, ma sulla base di perdite reali, non abbiamo subito perdite gravi durante la difesa di Goiskoye. Sì, c’erano morti, diverse persone che sono morte sono rimaste ferite, ma non ci sono state perdite del genere. Non c’è guerra senza perdita. Ebbene, in senso strategico, la protezione e la difesa di Goiskoye hanno permesso di mantenere la linea del fronte, che si sviluppava da Bamut ad Alkhazurovo. Alkhazurov era caduta sotto il controllo russo, ed anche Komsomolskoye era caduta sotto il controllo russo. Ma a Goyskoye non li abbiamo lasciati andare oltre. Abbiamo impedito il passaggio dei russi fino alle pendici. E così abbiamo mantenuto il fronte e la linea del fronte. E questo era di importanza strategica, tanto più sullo sfondo del fatto che i russi avevano iniziato a parlare di negoziati, di tregua. Nel caso di una tregua finalizzata ad un dialogo politico, naturalmente, la conservazione di un certo territorio che controllavamo, era di grande importanza, e in relazione a questo, Dzhokhar Dudayev ha preso la decisione di proteggere Goiskoye . Sì, siamo durati un mese e mezzo. E solo più tardi, dopo la morte di Dzhokhar Dudayev, quando Bamut era già caduta, si decise di lasciare Goiskoye. Ma finché Achkhoy e Bamut erano in mano nostra, mantenemmo la linea di difesa anche a Goyskoye. Quando lì il fronte fu interrotto, a quel punto fu inutile continuare a tenere posizione e perdere i nostri combattenti. E così si decise di ritirare le nostre unità in montagna. Successivamente, ci distribuimmo più vicino alla città e iniziammo a prepararci per l’operazione di agosto.

Dopo la morte di Dudayev, il potere è stato trasferito al vicepresidente Yandarbiev, che è entrato in carica come presidente ad interim. La decisione di trasferirgli il potere è stata unanime? O ci sono state discussioni a riguardo?

In linea di principio non ci sono state discussioni, solo un voto era contrario, il resto si espresse a favore del riconoscimento di Zelimkhan Yandarbiyev come vicepresidente. Era in linea con la nostra costituzione, con le disposizioni presidenziali, ed è stata accettata. E Zelimkhan Yandarbiev ha iniziato a fungere da presidente.

Dopo che Yandarbiev ha assunto i poteri presidenziali, l’ha nominata assistente presidenziale alla sicurezza. Quali erano i suoi doveri in questa posizione?

SÌ. Mi ha nominato Assistente del Presidente per la Sicurezza Nazionale. E allo stesso tempo, sono stato contemporaneamente nominato Comandante della Brigata Speciale Separata. Cioè, l’unità che ho comandato, che all’epoca era Terzo Settore, è stata elevata allo status di Brigata sotto il Presidente della Repubblica cecena di Ichkeria. Fondamentalmente, questo è stato necessario perché Zelimkhan Yandarbiyev (dopo essere rimasto con noi  all’interno del Palazzo Presidenziale fino all’ultimo momento, fino a quando non abbiamo lasciato la città) non è stato più coinvolto in operazioni militari nell’anno e mezzo successivo, e in quel periodo erano state create nuove unità e nuove persone sono apparse nella gerarchia militare. E naturalmente, Zelimkhan aveva bisogno di una persona che conoscesse militarmente l’intero sistema. Abbiamo lavorato con lui e nel periodo successivo Zelimkhan è stato introdotto in tutte le direzioni, nei fronti e nelle nostre unità, e poi come comandante supremo, ha iniziato a gestire personalmente questi processi. Il mio compito era quello di raccordo [tra lui e gli ufficiali, NDR]. Poi, terminate le operazioni militari, è diventato quello di “Segretario del Consiglio di sicurezza”. Fino a prima delle elezioni, in linea di principio, svolgevo queste funzioni.

Memorie di Guerra: Francesco Benedetti intervista Akhmed Zakayev (Parte 1)

Quella che segue è la trascrizione della prima parte dell’intervista tra Francesco Benedetti ed Akhmed Zakayev realizzata da Inna Kurochkina per INEWS (alleghiamo il link al video originale, che presto sarà accompagnato da sottotitoli in inglese ed italiano)

1. Il 6 dicembre 1994, pochi giorni prima che l’esercito federale invadesse la Cecenia, una delegazione nominata da Dudayev si recò a Vladikavkaz per conferire con il ministro russo per le Nazionalità, Mikhailov. Nelle sue memorie lei dice che un certo numero di imprenditori petroliferi si è unito alla delegazione guidata dal ministro dell’Economia Abubakarov. Quale pensa fosse lo scopo della loro presenza? È possibile che tra le proposte che la delegazione avrebbe dovuto presentare ci fosse un accordo sullo sfruttamento del petrolio ceceno o sullo sfruttamento delle raffinerie cecene?

In quel momento e durante quel periodo, la presenza in questa delegazione del Ministro dell’Economia e delle Finanze Abubakarov, e del Vice Primo Ministro Amaliyev, non era associata ad alcun possibile accordo sul funzionamento delle raffinerie di petrolio. Erano i nostri rappresentanti e delegati di Dzhokhar Dudayev. Non solo hanno “aderito”, ma sono stati inclusi in questa delegazione. E da lì sono andati da Kizlyar a Mosca, per approfondire la questione della prevenzione dell’aggressione militare dalla Russia, per prevenire una guerra. Dzhokhar ha fatto tutto il possibile per prevenire lo scoppio delle ostilità in Cecenia. E praticamente la nostra delegazione era a Mosca, guidata da Tyushi Amaliyev, con Abubakarov, il ministro delle finanze e dell’economia, quando la Russia ha iniziato a bombardare Grozny. L’11 dicembre, nonostante tutto, Eltsin ha firmato un decreto sull’introduzione delle truppe e l’inizio di una campagna militare. Quindi, in quel momento e in quel periodo, non si trattava del funzionamento dei pozzi petroliferi, o meglio, dell’utilizzo delle raffinerie di petrolio, o del petrolio ceceno che si produceva in quel momento.

2. Allo scoppio della guerra lei si è messo al servizio del presidente Dudayev e nel giro di pochi mesi le è stato affidato il compito di allestire un fronte autonomo. All’epoca lei era Ministro della Cultura, di certo nessuno si aspettava che prendesse le armi e facesse la guerra. Perché ha deciso di arruolarsi?

(ride)

Il fatto è che non sono andato al servizio di Dudayev. Sono stato nominato ministro della cultura della Repubblica cecena di Ichkeria con decreto di Dudayev. Nessuno ha servito nessuno. Abbiamo lavorato per il nostro stato e Dzhokhar Dudayev, in qualità di presidente, aveva l’autorità di nominare e revocare. La mia nomina fu in ottobre, quando Dzhokhar Dudayev mi ha offerto di lavorare nella sua squadra. L’ho accettata nonostante tutto quello che è successo. Dico solo nel mio libro che per me non c’era differenza, era assolutamente ovvio che ci sarebbe stata una guerra. E ho detto a Dzhokhar: “Dzhokhar, non fa differenza per me in quale veste difenderò la nostra patria, il mio posto è qui, con la mia gente. Come un bidello, o come un ministro .. ” Dzhokhar ha poi detto, ricordo le sue parole, ne ho appena scritto. Egli ha detto: “No, non ci sarà nessuna guerra. Il mondo non lo permetterà. Non lo permetterò. Non ci sarà la guerra, dobbiamo fare un lavoro creativo. E il tuo posto è esattamente in questa direzione. E quindi devi accettare la mia offerta. Ho accettato questa offerta. Sono tornato nella repubblica e già il primo giorno, il 18 novembre, sono andato ufficialmente a lavorare e il 26 novembre è iniziata la guerra.

In linea di principio, questa è la prima invasione delle truppe russe con il pretesto della ‘”opposizione cecena” nella città di Grozny, dove furono sconfitte. E ora per la seconda parte della domanda. Il fatto è che secondo la nostra legislazione, penso che sia lo stesso in Italia, i membri del governo, se inizia una guerra, diventano responsabili del servizio militare, indipendentemente dalla loro posizione. Cultura, o arte, non importa, tutti diventano responsabili del servizio militare. Io, in linea di principio, prima di essere nominato comandante del settimo fronte, mi sono unito alla milizia popolare. Ricordo quel giorno, il 28 dicembre, quando fu bombardato il mio ufficio del Ministero della Cultura, nel palazzo del Sindaco, e lo stesso giorno io… C’era gente in piazza che si arruolava volontaria nella milizia popolare. Mi sono iscritto alla milizia e solo l’11 gennaio Dzhokhar mi ha richiamato dalla carica di ministro della Cultura, perché era prevista una riunione del governo. E sono tornato dalle mie posizioni alla riunione del governo l’11 gennaio. E in questo giorno Dzhokhar mi ha affidato un altro compito, ne ho scritto anche nelle mie memorie, e poi, già a marzo, quando la città è stata abbandonata e ci siamo ritirati a piedi, a quel tempo Dzhokhar firmò il Decreto sulla creazione del Settimo Fronte e mi nominò Comandante. Cioè, abbiamo iniziato a formare questo fronte, in generale, da zero.

3. Dopo la caduta di Grozny in mano russa, e il ritiro delle forze cecene sulla linea di difesa della montagna, il governo è stato riorganizzato per sopperire alle defezioni di alcuni alti funzionari, ma anche per funzionare in modo più snello in un contesto di guerra totale. Questo “governo di guerra” ha continuato a funzionare per tutto il durata del conflitto, e superò la morte di Dudayev, mettendosi a disposizione del Presidente ad interim, Yandarbiev. Come ha operato questo governo, e come è riuscito a incontrarsi, a tenersi in contatto con il Presidente?

Il Governo Militare, quello che tu chiami il Governo Militare, era il Comitato di Difesa dello Stato, formatosi con Decreto Presidenziale quando iniziò l’aggressione militare. E questo corpo era l’organo supremo dello Stato. Il Parlamento ha interrotto la sua attività legislativa. Il governo era già stato trasferito su una base militare e il Comitato di difesa dello Stato era stato formato come Organo supremo del potere statale. Comprendeva membri del Governo, membri del Parlamento, il Comando Militare Principale rappresentato dallo Stato Maggiore Generale, i Comandanti di Fronti e Direzioni. E questo governo ha funzionato per tutto questo periodo. Come sono stati gli incontri? Naturalmente, sapevamo tutti dove si trovava il comandante in capo supremo, in quale parte della repubblica. E periodicamente convocava una riunione del Comitato per la difesa dello Stato, e discutevamo questioni relative alla continuazione della resistenza. Sono state discusse questioni di natura militare in relazione alla preparazione di operazioni militari o attacchi al territorio nemico. Tutti questi punti sono stati discussi durante la riunione del Comitato per la difesa dello Stato, che ha funzionato in modo molto efficace. Era un piccolo numero di persone, ma erano persone direttamente coinvolte in tutti i processi: questioni politiche, militari, economiche. Questi compiti non erano gli unici che avevamo, perché dovevamo anche fornire alle unità le disposizioni necessarie, anche questo era di competenza del Comitato per la difesa dello Stato. E tutte queste questioni sono state discusse e hanno funzionato in modo molto efficace proprio per il fatto che Dzhokhar Dudayev non è andato sottoterra, nelle foreste, nelle montagne, dove sarebbe stato impossibile rintracciarlo, ma ha tenuto incontri personali con tutte le unità, no solo con il Comitato di Difesa dello Stato ma anche con le unità militari. È andato in prima linea, al fronte, ha incontrato soldati ordinari. E tutta la nostra difesa e tutti i nostri combattenti della resistenza, hanno assunto un atteggiamento molto responsabile perché dietro di loro c’era Dzhokhar Dudayev. Voglio dire, lungo la linea del fronte, dove si svolgevano le ostilità attive, i soldati sapevano che dietro di loro, dietro le loro spalle, c’era già il quartier generale del comandante supremo.

Quando [Dudaev] attraversava l’Argun, andando dall’altra parte, le Forze Armate [che operavano lì] hanno annunciato con orgoglio che il Comandante Supremo era ora dalla loro  parte del fronte. C’era un’atmosfera molto amichevole. Quando ricordo questi tempi, questo periodo, noto che nonostante tutte le difficoltà che abbiamo vissuto allora, c’era una guerra, ma le persone erano diverse. Eravamo diversi. I ceceni erano completamente diversi. Erano diversi dai ceceni di oggi, quelli che vivono nel territorio e quelli che sono fuori. E tutto ciò era collegato, credo, al fatto che siamo stati sotto l’occupazione sovietica per settant’anni e per la prima volta abbiamo avuto la possibilità di costruire il nostro stato. Stato indipendente. E il leader di questo movimento e dello stato, e in seguito il leader della Difesa e il leader del movimento di liberazione nazionale, ha ispirato in molti modi e non solo i combattenti, ma l’intero popolo ceceno a resistere e respingere l’aggressione. Erano tempi semplicemente fantastici nella storia del popolo ceceno, quando l’intero popolo ha effettivamente compiuto un’impresa. È stato grazie all’impresa del popolo ceceno che siamo riusciti a preservare le strutture di potere che ciò che stavamo costruendo. E fondamentalmente a vincere.

4. Tra marzo e maggio 1995, secondo quanto lei riferisce nelle sue memorie, lei si è occupato di allestire, a tempo di record e con mezzi pressoché inesistenti, il cosiddetto “Settimo fronte” a sud di Urus – Martan, che avrebbe dovuto essere il punto di contatto tra la roccaforte di Bamut e il resto dello schieramento ceceno. Nel suo libro racconta di come è nato il Settimo Fronte. Potrebbe spiegarci come si è sviluppato, quali unità lo componevano e quali operazioni ha svolto fino al giugno 1995?

Questo è successo a marzo, Dzhokhar Dudayev ha firmato un decreto. A questo punto tutte le nostre unità si erano spostate ai piedi delle montagne, perchè la parte pianeggiante era già principalmente sotto il controllo degli aggressori russi, e rimanevano i contrafforti, a partire da Bamut e ad Alkhazurovo, in questa direzione, e lì più in alto, verso la regione di Grozny, a Chishki, a Dacha Borzoi. Questa parte non era ancora occupata dai russi, ed era necessario creare una difesa unificata in questa direzione, da Bamut ad Alkhazurovo. E lo scopo del Settimo Fronte, il compito del Settimo Fronte, era proprio questo. Questo è il cosiddetto distretto di Urus – Martanovsky. Si credeva che quest’area fosse fedele alla Russia, agli aggressori russi, perché lì funzionava il regime di occupazione, le strutture del potere di occupazione, guidate da Yusup Elmurzaev, l’allora prefetto, che fu nominato dalle autorità di occupazione. Il compito principale  di questo fronte era la creazione di basi militari in tre gole: Martan Chu, Tangi Chu, Roshni Chu. Fu in queste tre gole che in pochi mesi formammo tre basi militari. Sebbene al momento della firma del decreto, non vi fossero praticamente unità militari (c’erano solo milizie, persone che facevano parte della milizia popolare, ma non c’era un comando centralizzato) noi in breve tempo, da quelle unità, da quelle milizie popolari che erano allora in questa regione, creammo questo Settimo Fronte, e un’unità militare centralizzata, sotto il comando del Comandante in Capo Supremo Dzhokhar Dudayev. Successivamente, questo Settimo Fronte fu trasformato in Settori del Fronte Sud-Occidentale: Il Primo, il Secondo, e ilTerzo Settore. Questi settori erano sotto la mia responsabilità. Successivamente sono stato responsabile del Terzo Settore del Fronte Sudoccidentale. Citando i cognomi, questi sono, in linea di massima, i nostri giovani comandanti di medio livello, Dokka Makhaev, Dokka Umarov, Khamzat Labazanov, Isa Munaev, questi ragazzi …

Akhyad (non lo chiamerò con il suo cognome, perché è vivo ed è sul territorio), Khusein Isabaev, erano questi ragazzi l’anello intermedio dei comandanti che guidavano questi settori e questa direzione. Sebbene fosse già un’unica unità militare, che faceva parte delle Forze Armate ed era già stata strutturata nello Stato Maggiore delle Forze Armate della CRI.

5. Nella primavera del 1995 lei poteva considerarsi uno dei principali ufficiali dell’esercito della ChRI, ed era sicuramente monitorato dall’FSB e dall’intelligence dell’esercito russo. In che modo le forze federali hanno cercato di impedire a lei e ad altri alti ufficiali di partecipare alla resistenza? E come siete riusciti a eluderle?

Prima di tutto, Dio ci ha protetti. E, in secondo luogo, sono stati i ceceni e il popolo ceceno. Eravamo a casa. Eravamo nei nostri villaggi nativi, nei nostri insediamenti nativi. E, naturalmente, il popolo ceceno era la principale protezione di coloro che erano allora nelle forze armate. E il presidente Dzhokhar Dudayev, sai, la repubblica è piccola, per tutto questo tempo è stato tra i ceceni, era in diversi insediamenti, in ogni villaggio dove i combattenti si sono fermati, anche se c’erano anche persone di mentalità opposta e codarde. Ma in generale, i nostri sostenitori, sostenitori e indipendenza, e coloro che hanno sostenuto il nostro movimento di liberazione nazionale, erano molto più forti ed erano molto più numerosi. Riuscirono a sventare sia i tentativi di assassinio che quegli agguati che tesero non solo me, ma anche coloro che allora furono coinvolti ed erano inseriti nei ranghi, come hai detto, nella più alta composizione del Comando. Tutti erano protetti dal Popolo ceceno. E, naturalmente, non tutto era sotto il controllo né dell’FSB né dei russi. La vita e la morte sono nelle mani di Dio. E quelle ragioni, quelle azioni che sono state intraprese da noi per sopravvivere, e cosa hanno fatto i ceceni con noi, il popolo ceceno, proteggendo i loro comandanti, le persone che hanno difeso la loro patria, la loro patria e se stesse.

Da Mosca a Nazran (estratto dal secondo volume)

Oggi pubblichiamo un secondo estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”, nel quale si parla della genesi degli Accordi di Nazran del Giugno 1996.

DA MOSCA A NAZRAN

Il 16 aprile 1996, pochi giorni prima che Dudaev fosse ucciso, si era tenuto un congresso delle principali anime politiche della Cecenia. Si erano riuniti 26 movimenti e 12 partiti politici, ed al congresso avevano partecipato Maskhadov in veste ufficiale per il governo della Repubblica di Ichkeria ed i rappresentanti di Khasbulatov per l’opposizione antidudaevita. Il documento che ne era venuto fuori conteneva la proposta di una moratoria sulle azioni militari, l’apertura di negoziati ai massimi livelli tra Russia e Cecenia, lo svolgimento di nuove elezioni parlamentari. Zavgaev fu volutamente escluso dagli inviti, non partecipò alle attività dell’assemblea e venne considerato come un semplice funzionario di Mosca. Eltsin aveva bisogno proprio di un documento del genere in quel momento. I ceceni capirono che incoraggiare Elstin avrebbe potuto portare ad una effettiva fine delle ostilità, e Yandarbiev dichiarò di essere disposto a iniziare negoziati formali, a condizione che sul piatto fosse posto il ritiro delle forze russe. Come segno di buona volontà il nuovo presidente ordinò il rilascio di 40 prigionieri, catturati durante l’Operazione Retribution. Altri 32 furono rilasciati una settimana dopo. Per parte sua, Maskhadov sostenne la posizione di Yandarbiev, dichiarando di essere disposto ad intavolare immediatamente trattative con il Generale Tikhomirov riguardanti un effettivo cessate – il – fuoco. In un primo momento la leadership dell’esercito federale, rappresentata in primo luogo proprio da Tikhomirov, non sembrò mostrarsi ricettiva: avendo avuto notizia che Eltsin si sarebbe presto recato in Cecenia, e volendo mostrare al presidente di avere la situazione  militare sotto controllo, l’alto ufficiale russo ordinò una serie di rabbiosi attacchi contro il villaggio di Goiskoye e gli insediamenti alla periferia di Urus  – Martan, provocando ampie distruzioni e ulteriori perdite da entrambe le parti, senza tuttavia ottenere risultati concreti: anzi, il 10 Maggio forze cecene tesero un’imboscata ad una colonna blindata nei pressi di Mesker – Yurt, alla periferia meridionale di Argun, costringendola ad un repentino ripiegamento. Più fortunate furono le operazioni lanciate contro le roccaforti occidentali: nel corso della seconda metà di Maggio caddero Starye Achkhoy, Yandi e Bamut (di queste battaglie parleremo più avanti). Questi parziali successi spinsero Tikhomirov a dichiarare, con ingiustificata pomposità, che non ci fossero più grandi sacche di resistenza delle formazioni armate di Dudayev e che tale evidenza avrebbe favorito negoziati senza alcuna condizione[1].

Zelimkhan Yandarbiev

Il 23 maggio, finalmente, fu annunciato che Yandarbiev era stato invitato a Mosca per porre fine alla guerra. Il 27 Yandarbiev raggiunse l’aereoporto inguscio di Sleptovskaya accompagnato da una nutrita scorta armata, e da qui volò fino alla capitale russa. Insieme a lui c’erano Akhmed Zakayev, Khozh – Akhmed Yarikhanov e, Movladi Ugudov, oltre ad altri funzionari[2], tra i quali alcuni rappresentanti dell’OSCE. Quando la delegazione cecena raggiunse il Cremlino, Yandarbiev ed i suoi entrarono nella sala del negoziato da una porta laterale, trovandosi faccia a faccia con la rappresentanza del governo filorusso, Zavgaev in testa, che stava entrando dalla parte opposta. Quando entrambe le delegazioni furono una di fronte all’altra, dalla porta centrale apparve Eltsin. Era chiaro che questi intendeva presentarsi alle parti come il “mediatore” che avrebbe risolto un “conflitto interno” alla repubblica cecena. Eltsin si sedette a capotavola, invitando le parti a sedersi sui lati del tavolo. Ma Yandarbiev si rifiutò di assecondarlo, finché Eltsin non avesse accondisceso a prendere il posto di Zavgaev, riconoscendosi come una parte in causa e non come un giudice super partes. Davanti al folto gruppo di inviati accorsi a riprendere l’evento, il Presidente ad interim della Repubblica Cecena di Ichkeria dichiarò: Sono venuto ad incontrare il Presidente russo, non alla riunione di una commissione. Avete capito?  Eltsin oppose resistenza, rispondendo: Mettiamoci a parlare: non siamo pari a lei, indicando una sedia alla sua sinistra. Avvicinatosi fin quasi a toccarlo, Yandarbiev rispose: Anche se non siamo pari, dobbiamo decidere, rimanendo in piedi davanti al presidente russo, il quale, sempre più stizzito, insisteva: Si sieda! Si sieda! All’ordine di Eltsin il presidente ceceno rispose: Boris Nikolaevic, se lei usa questo tono con me, io non mi siederò! Messo l’avversario sulla difensiva, Yandarbiev riprese: Parliamo a tu per tu! Al rifiuto di Eltsin, tra gli sguardi imbarazzati dei funzionari del Cremlino, e nel silenzio della delegazione del governo Zavgaev, il leader indipendentista rispose: Allora non parleremo affatto. Io non mi siedo. Basta! E poi, volgendogli le spalle: Non tollero azioni del genere. Di fronte all’imbarazzo dei russi, Yandarbiev chiese che Zavgaev ed i suoi delegati abbandonassero il tavolo. Eltsin replicò: ci sono documenti da firmare, li firmerà lui, indicando Zavgaev. L’altro, prontamente, rispose: se non ci troveremo d’accordo, non firmeremo alcun documento. Il presidente russo rispose che un documento doveva assolutamente essere firmato: bisogna mettere termine allo spargimento di sangue, bisogna porre fine alla guerra. In questo modo palesò all’altro il suo assoluto bisogno di chiudere quell’incontro con la firma di un documento politico. E a quel punto fu chiaro a Yandarbiev che il suo avversario era sul punto di cedere. Io voglio parlare con lei. Lo incalzò. Penso che sarà lei a trarne vantaggio. Dopo alcuni minuti di confusione, Eltsin si alzò dal capotavola, si sedette dal lato di Zavgaev ed invitò Yandarbiev a sedersi. I ceceni l’avevano spuntata: ora il negoziato sarebbe stato tra Russia ed Ichkeria.

Yandarbiev discute con Eltsin il 27 Maggio 1996

La scena fu ripresa dalle TV di tutto il mondo, e fu piuttosto imbarazzante per il Presidente russo. Sul momento questi incassò il colpo, ma il suo piano aveva appena iniziato a svilupparsi: mentre i colloqui sul cessate il fuoco andavano avanti, Eltsin volò a Grozny, lasciando il Primo Ministro, Chernomyrdin, alle prese con un ignaro Yandarbiev. I negoziati portarono alla firma congiunta di un documento che impegnava le parti a cessare tutte le operazioni dalla mezzanotte del 1 Giugno 1996 e ad organizzare un nuovo round di negoziati nella capitale del Daghestan, Makhachkala. Nel frattempo, mentre il presidente ceceno ed il premier russo firmavano un accordo di pace, il Presidente russo si mostrò nella capitale cecena per una fugace visita elettorale di quattro ore, proclamando la vittoria delle forze russe, e dichiarando che ben presto le poche unità indipendentiste rimaste sarebbero state liquidate. Poi, durante il viaggio di ritorno, dichiarò che la sua visita era servita a dimostrare che la Cecenia è parte della Russia, e di nient’altro. Fu una vigliaccata che Yandarbiev non gli perdonò, oltre che una inutile e pomposa menzogna. Di fatto Yandarbiev si trovò ad essere l’ostaggio dietro al quale Eltsin poté volare in Cecenia garantendosi l’incolumità personale[3]. Ad ogni modo, il 2 Giugno il Comitato di Difesa dello Stato confermò gli Accordi di Mosca, modificando unicamente la sede del secondo ciclo di colloqui da Makhachkala a Nazran, in Inguscezia. Il 6 Giugno questi ripresero sotto il patrocinio del presidente inguscio Ruslan Aushev. Capi delle rispettive delegazioni erano il Ministro delle Nazionalità russo, Mikhailov, ed il Capo di Stato Maggiore delle forze armate cecene, Maskhadov, accompagnato da Said – Khasan Abumuslimov, nuovo Vicepresidente della Repubblica Cecena di Ichkeria, appena nominato da Yandarbiev[4].

Mandatory Credit: Photo by Yuri Kochetkov/EPA/Shutterstock (8489593a) Ingush President Ruslan Aushev

I negoziati non iniziarono nel migliore dei modi, giacché subito dopo il loro inizio la cittadina di Shali fu oggetto di un attacco, durante il quale furono catturati 14 tra funzionari e poliziotti del governo filorusso. Non è chiaro cosa successe precisamente, fatto sta che il Generale Shamanov, al comando delle unità schierate in quel settore, pose sotto assedio la cittadina. Per rappresaglia, i ceceni assediarono un avamposto della milizia dipendente dal Ministero dell’Interno presso il villaggio di Shuani, catturando 27 militari. Di nuovo si materializzò l’impasse che aveva fatto naufragare i negoziati l’anno precedente, e nonostante le delegazioni giunte a Nazran avessero già concordato un cessate – il – fuoco permanente ed il progressivo ritiro delle truppe federali entro la fine di Agosto, la parte russa dichiarò di non essere intenzionata a portare avanti il ritiro a causa della scarsa collaborazione offerta dalla parte cecena. Ci vollero un paio di giorni prima che il clima si distendesse a sufficienza da far riprendere i negoziati, i quali proseguirono sul blocco delle questioni politiche. Maskhadov chiese, ed ottenne, la promessa che entro il 1 Luglio le forze federali abbandonassero il paese, e che Mosca accettasse la costituzione di un governo di unità nazionale che traghettasse il paese a nuove elezioni. A tal proposito, Mikhailov si impegnò a garantire che nessuna consultazione elettorale si sarebbe tenuta finché le forze di Mosca non avessero completato il loro ritiro. Questo tema era considerato fondamentale dagli indipendentisti, ed era tanto più caldo in quanto il premier filorusso, Zavgaev, che a Mosca, durante le trattative tra Yandarbiev ed Eltsin, era stato pubblicamente degradato a fantoccio dei Russi, intendeva consolidare la sua posizione con un nuovo voto popolare, ed aveva indicato per il 16 Giugno la data della nuova consultazione, in contemporanea con le elezioni presidenziali russe, il cui appuntamento era stato il principale motore della riapertura dei negoziati da parte di Eltsin. Qualora le elezioni si fossero svolte prima del ritiro, Zavgaev avrebbe avuto più chances di mettere in angolo i nazionalisti i quali, molto probabilmente, avrebbero boicottato la tornata. La vittoria elettorale avrebbe permesso al Capo della Repubblica Cecena di presentarsi alle parti come l’unico in grado di costituire un governo di unità nazionale, potendo così amministrare il passaggio di consegne tra Mosca e Grozny e tenere lontani dal potere Yandarbiev e Maskhadov. Una convincente tornata elettorale, infine, avrebbe dissipato le sempre più minacciose nubi che si addensavano sul suo esecutivo, sempre più nel mirino degli inquirenti a causa di certi ammanchi finanziari dei quali, al momento, Zavgaev non sapeva rendere conto. Da tempo infatti la procura federale portava avanti indagini sui flussi che dalle casse dello Stato transitavano attraverso numerose banche commerciali, e da queste finivano nelle disponibilità dei dicasteri ceceni deputati alla ricostruzione del paese, in particolare nelle mani dell’ex sindaco di Grozny, Bislan Gantamirov. Su di lui pesavano le accuse di aver dirottato miliardi di rubli destinati alla ricostruzione verso il riarmo della propria milizia personale. Come abbiamo visto, Gantamirov era già stato sindaco della città una prima volta, quando era allineato sulle posizioni degli indipendentisti, tra il 1991 ed il 1993, ed anche in quell’occasione era finito sotto l’occhio della magistratura per malversazione di quote petrolifere. Le accuse della procura federale sembravano ricalcare in maniera speculare quelle rivoltegli a suo tempo dalla procura repubblicana. Un’elezione popolare avrebbe forse attenuato il crescente astio che montava tra la popolazione di Grozny verso il suo governo, già di per sé debole a causa della presenza pervasiva dell’esercito federale, e ora accusato apertamente di essere corrotto. I dudaeviti ovviamente contestavano la proposta di Zavgaev, ed a Nazran Maskhadov dichiarò che i suoi non avrebbero preso parte alle elezioni e che non le avrebbero in alcun modo riconosciute ma anzi, che qualora esse non fossero state annullate entro il 12 Giugno, avrebbero ripreso le ostilità contro le truppe federali ancora presenti in Cecenia.

Aslan Maskhadov (Photo by Oleg Nikishin/Getty Images)

Il 10 giugno Maskhadov ed il Comando militare russo giunsero ad un accordo, che Mikhailov non esitò a definire l’ultima possibilità e, forse, l’unica opportunità di pace[5]: i federali avrebbero tolto l’assedio ai villaggi sotto attacco entro il 7 Luglio, ed in cambio i ceceni avrebbero consegnato le loro armi entro il 7 Agosto. Al termine della demilitarizzazione, prevista per il 31 agosto, le forze federali avrebbero definitivamente lasciato la Cecenia. Nel frattempo i due fronti si sarebbero scambiati i prigionieri ancora nelle rispettive mani. Furono costituiti gruppi di lavoro congiunti, incaricati di redigere le liste dei prigionieri da scambiare, e commissioni militari che organizzassero la demilitarizzazione dei villaggi. La firma dei protocolli militari portò ad un primo ritiro delle unità schierate a ridosso delle cittadine di Vedeno e Shatoy, l’11 Giugno 1996. Quello tuttavia fu l’unico effetto pratico dell’accordo giacché, il giorno successivo, Zavgaev confermò che il 16 si sarebbero tenute regolarmente le elezioni[6]. Eltsin, che proprio quel giorno avrebbe dovuto affrontare la prova elettorale più difficile della sua vita politica, non aveva intenzione di infangare la sua immagine con un intervento riguardo la Cecenia, e liquidò le elezioni come un affare interno alla piccola repubblica, non appoggiandole esplicitamente, ma neanche condannandole[7], e considerandole come un “tampone” in attesa che il ritiro fosse completato e si potesse procedere a nuove elezioni. Zavgaev, da parte sua, smentì questa posizione, dichiarando che le elezioni che erano in procinto di tenersi avrebbero costituito il corpo legislativo dello stato almeno fino al 1998, escludendo a priori qualsiasi margine di trattativa politica con gli indipendentisti.

In questo modo mentre gli occhi di tutto il mondo erano puntati sul Cremlino, a Grozny ed in qualche altro distretto ancora sotto il controllo federale si tennero le elezioni – farsa di cui Zavgaev aveva bisogno[8]. Si trattò di una consultazione priva di rappresentatività, poco partecipata e boicottata dagli indipendentisti, al termine della quale Zavgaev uscì, come previsto, vincitore. Alla Camera dei Rappresentanti, uno dei due nuovi organi previsti da Zavgaev,  venne eletto l’ex membro del Presidium del Soviet Supremo Amin Osmaev, mentre la Camera Legislativa elesse presidente l’ex Capo del Governo di Rinascita Nazionale, l’organo costituito nell’estate del 1994 dal Consiglio Provvisorio, Ali Alavdinov. L’OSCE, che aveva avuto modo di verificare quanto poco trasparenti fossero state le elezioni, giudicò la consultazione illegittima, pubblicando una nota nella quale la certificava come non allineata agli standard minimi di legalità, oltre a contraddire lo spirito del protocollo sul cessate il fuoco e sulla risoluzione del conflitto armato firmato il 19 Giugno a Nazran[9].  Il primo risultato delle elezioni fu una recrudescenza delle azioni militari: gli indipendentisti risposero alla presa di posizione di Zavgaev chiedendo l’annullamento della consultazione, le dimissioni del governo Zavgaev e la ricostituzione della delegazione russa in modo che questa non includesse personaggi gravati dalla responsabilità di aver scatenato la guerra[10],  lanciando una serie di attacchi alle truppe federali, alle quali i russi risposero con uguale ferocia: nel corso delle prime tre settimane di giugno i ceceni attaccarono le posizioni russe almeno 350 volte, ed altrettante furono le azioni di rappresaglia compiute dalle forze federali[11].

Doku Zavgaev

L’effimera vittoria politica ottenuta da Zavgaev con le sue elezioni, non portò al leader ex – sovietico alcun vantaggio tangibile. Anzi, contribuì ad isolarlo sia rispetto alla popolazione cecena, che ormai lo odiava, sia rispetto al Cremlino, che non poteva più spenderlo come candidato credibile alla guida di un governo di unità nazionale, malgrado questi ribadisse di aver ottenuto tale investitura con il voto appena conclusosi. La leadership indipendentista continuò a pretendere che i negoziati si svolgessero esclusivamente tra i suoi rappresentanti e quelli della Russia, relegando Zavgaev al ruolo di mero collaborazionista delle forze di occupazione. I russi, per parte loro, avevano come unico obiettivo quello di porre fine alle operazioni militari, e di presentare la Cecenia “pacificata” e non avevano più alcuna intenzione di perdere tempo e risorse nel puntellare il potere di Zavgaev. Prova di questo fu l’arresto, operato dalla stessa polizia federale, dell’ex sindaco di Grozny, nel frattempo diventato Vice Primo Ministro, Bislan Gantamirov, fermato a Mosca con l’accusa di appropriazione indebita di 7 miliardi di rubli dai fondi destinati alla ricostruzione della Cecenia, e di frode[12]


[1] Stanislav Dmitrevsky, Bogdan Gvraeli, Oksana Chelysheva – Tribunale Internazionale per la Cecenia.

[2] Insieme ai delegati sopra citati presenziarono alle trattative gli assistenti presidenziali Movlen Salamov ed Hussein Bybulatov ed il Viceministro degli Esteri Yaragi Abdulaev.

[3] Tale considerazione fu condivisa anche dai media russi. In un articolo di Kommersant del 29/05/1996 si leggeva: Il viaggio di quattro ore del presidente non poteva rivelarsi un fallimento, come molti scettici avevano previsto. Né poteva finire tragicamente: la delegazione degli indipendentisti ceceni, rimasta a Mosca fino al ritorno di Eltsin, si è fatta garante della sua incolumità.

[4] Said – Khasan Abumuslimov: Nato in Kazakistan il 01/02/1953, professore presso l’Università Statale Cecena, era stato uno dei principali ideologi dell’indipendentismo ceceno ed uno dei suoi primi attivisti avendo partecipato alla fondazione, nel 1988, della rivista Bart, dalla quale sarebbe sorto il Partito Democratico Vaynakh. Membro del Comitato Esecutivo del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (Ispolkom) era stato eletto deputato alle elezioni popolari dell’Ottobre 1991. Nel Giugno 1993 aveva sostenuto Dudaev, rimanendo in Parlamento fino allo scoppio delle ostilità.

[5] Kommersant, 13/06/1996.

[6] In una nota pubblicata dal quotidiano russo Kommersant il 13/06/1996, il portavoce di Zavgaev dichiarò: L’annullamento delle elezioni significherebbe la sconfitta davanti agli indipendentisti e che la dirigenza cecena non intendeva essere condizionata da una manciata di ricattatori.

[7] Uno dei membri della delegazione russa a Nazran, Vladimir Zorin, commentò: le elezioni per il rinnovo del parlamento ceceno non sono una priorità, perché non rientrano nel quadro degli accordi firmati a Mosca. Tra il 10 ed il 16 Giugno i delegati russi difesero blandamente l’idea delle elezioni, cercando di convincere Yandarbiev che queste non avessero a che fare con il ben più importante tema della risoluzione del conflitto, e che la tornata elettorale sarebbe stata comunque cancellata da nuove elezioni non appena terminato il ritiro delle truppe russe dal paese. Sergei Stephasin rassicurò sui media che lo svolgimento dell’attuale votazione non annulla le future elezioni democratiche, le quali si svolgeranno dopo il ritiro definitivo delle truppe e la smilitarizzazione della repubblica mentre il rappresentante presidenziale Emil Pain dichiarò che le elezioni avevano l’unico scopo di costituire un corpo legislativo democratico che assicurasse una transizione che fosse più breve possibile (Kommersant, 15/06/1996).

[8] Secondo quanto riportato in The War in Chechnya: Anche il rappresentante del Quartier Generale Russo, Tenente Generale Andrei Ivanov, fu costretto ad ammettere indirettamente che considerare “svolte” le elezioni era possibile soltanto con un discreto sforzo di fantasia. Le elezioni non si tennero affatto in tutta la regione di Khuchaloy, né nei territori circostanti Bachi – Yurt, Alleroy, Tsentoroi, Gudermes, Vedeno, Shelkovsky e Shali. Furono parzialmente tenute nelle regioni di Kalinovskaya e Sovetskoye, e solo in alcune comunità nelle regioni di Nozhai – Yurt ed Achkhoy – Martan.

[9] La posizione assunta dall’OSCE, e più volte ribadita dall’inviato dell’organizzazione in Cecenia, Tim Guldiman, irritò non poco Zavgaev, il quale, secondo quanto riportato da Kommersant, giudicò la condotta del diplomatico svizzero unilaterale e minacciò di chiedere la sua rimozione.

[10] Quest’ultima richiesta era riferita alla presenza di Sergei Stephasin, all’epoca dell’inizio della guerra Direttore dell’FSK – FSB.

[11] Secondo quanto riportato in The War in Chechnya le azioni di guerriglia nel mese di Giugno portarono alla morte di 30 militari russi, ed al ferimento di un centinaio, oltre alla perdita di un elicottero da combattimento e due veicoli blindati. La parte cecena soffrì la perdita di 25 uomini ed il ferimento di altri 75.

[12] Il Governo filorusso si affrettò a dichiarare sé stesso e Gantamirov estranei a qualsiasi addebito, rimbalzando l’accusa sullo stesso governo russo. Il Vicepremier Bugaev dichiarò: la distribuzione dei fondi di bilancio è completamente controllata dal centro di Mosca. Il governo della repubblica e, in particolare, Gantamirov, non hanno niente a che fare con questi soldi. Anche il sindaco successore di Gantamirov, Yakub Deniyev, sostenne l’innocenza del primo: La notizia dell’arresto di Gantamirov ha causato sconcerto e rammarico in città. Ha gettato un’ombra su uno dei più tenaci combattenti contro Dzhokhar Dudaev. Il processo contro Gantamirov si sarebbe protratto fino al 1999, quando il Tribunale di Mosca lo avrebbe condannato a 6 anni di reclusione. Tuttavia nel giro di 6 mesi sarebbe uscito di carcere tramite un provvedimento di grazia concessogli da Eltsin in concomitanza con l’inizio della Seconda Guerra Cecena, durante la quale Gantamirov sarebbe stato nominato Capo del Consiglio di Stato del governo filorusso (Vedi il Volume IV di quest’opera).

Ieri Bamut, oggi Bakhmut. Indietro al 1995, un’altra fortezza che non si arrese ai russi

L’assonanza è soltanto fonetica, ma il significato storico è impressionante, se si considera che la Bamut del 1995, così come la Bakhmut del 2023, segnò l’arresto di una avanzata che sembrava inarrestabile, imbarazzò l’esercito russo di fronte al mondo e ispirò tutta la nazione (cecena allora, ucraina oggi) a resistere all’invasione. Quello che segue è un estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”.

Bamut


Mentre il Gruppo di Combattimento Sever prendeva Argun, Gudermes e Shali e respingeva i dudaeviti verso il ridotto montano, ad Ovest ilGruppo di Combattimento Jug avanzava verso gli obiettivi designati. Di fronte aveva i reparti ceceni organizzati nel Fronte di Bamut, un’unità composita ma combattiva al comando di Ruslan Khaikhoroev. Il reparto era inizialmente composto da circa 200 volontari, ma per la fine di marzo, con l’arrivo del Reggimento Galachozh al comando di Khizir Khachukayev, si era già ingrossato giungendo a toccare i quattrocento miliziani. Alla metà di marzo 1995 ancora nessuno degli obiettivi prefissati per il Gruppo Jug era stato raggiunto, malgrado l’artiglieria avesse martellato quasi tutte le cittadine al fronte. La posizione cecena era favorevole, ancorché defilata rispetto alla linea principale delle operazioni. Il villaggio di Bamut, infatti, giaceva all’imbocco di una stretta gola, sovrastata ad est e ad ovest da ripide alture boscose. Ad occidente le posizioni cecene confinavano con l’Inguscezia, paese relativamente “amico”, dove gli indipendentisti potevano trovare supporto materiale ed umano. A poca distanza dal villaggio poi, su un’altura denominata “444.4” e chiamata dagli abitanti locali “Monte Calvo”, si trovava una base missilistica sovietica, in grado di resistere efficacemente sia ai bombardamenti di artiglieria che a quelli dell’aeronautica. I ceceni l’avevano occupata, trincerandola ulteriormente. In quest’area erano affluiti tutti gli equipaggiamenti pesanti a disposizione del Fronte Occidentale, oltre ad un discreto arsenale di mine antiuomo ed anticarro che Kachukhaev aveva fatto sistemare all’imbocco dell’unica strada carrabile verso la base, proveniente da Assinovskaya e diretta a Bamut. Il

18 Aprile i russi tentarono di prendere il villaggio. Una brigata si affacciò sull’abitato all’alba, ma finì ben presto sotto il tiro delle armi pesanti cecene. Nel tentativo di manovrare, i russi finirono dapprima in un campo minato, poi tra le strade del villaggio, anch’esse minate con ordigni antiuomo. Numerosi veicoli blindati ed alcuni carri da battaglia rimasero distrutti. Una volta impantanata tra le rovine, la brigata si trovò sotto il tiro dei cecchini, che falcidiarono la fanteria. Al termine dell’azione, conclusasi con il ritiro dei federali, si contarono decine tra morti e feriti. Un tentativo di alleggerimento della pressione, operato da un distaccamento delle forze speciali, finì in un fiasco, con la morte di 10 “Spetnatz” ed il ferimento di altri 17. L’esercito federale dovette così organizzare un metodico assedio delle posizioni cecene, impiegando il grosso delle forze a disposizione.

La mappa mostra l’offensiva russa in Cecenia tra il Marzo ed il Giugno 1995. A sinistra si può notare la fortezza di Bamut, che resisté alle offensive russe e rimase sotto assedio per più di un anno, fino al 24 Maggio 1996


Dopo aver schierato le truppe in assetto di battaglia, il 24 marzo Babichev riuscì a penetrare ad Achkhoy – Martan, occupandola per breve tempo prima che un contrattacco ceceno costringesse i russi a ripiegare. Il 7 aprile l’intero fronte occidentale venne investito da una violenta offensiva. Quel giorno vennero attaccate contemporaneamente
Samashki, Davydenko, Achkhoy Martan, Novy Sharoy e Bamut. L’offensiva produsse la conquista di Samashki, Davydenko e Novy Sharoy, le roccaforti più esterne, al costo di centinaia tra morti e feriti. Scontri particolarmente violenti si registrarono nei dintorni di Samashki,
dove i reparti di Mosca vennero investiti da una violenta controffensiva cecena e lasciarono sul campo una settantina di uomini. Nonostante la fiera resistenza dei militanti la preponderanza di uomini e mezzi a vantaggio dei russi era tale che la difesa della posizione non avrebbe mai
potuto produrre una controffensiva. Kachukhaev si organizzò quindi per una resistenza ad oltranza, richiamando tutti i combattenti che non avevano fatto in tempo a raggiungere il ridotto montano, o che operavano ancora in pianura. La maggior parte delle unità che giunse a portare soccorso erano milizie volontarie non inquadrate, mal coordinate tra loro, molte delle quali tentarono di raggiungere gli assediati attraverso la strada di collegamento tra Starye Achkhoy e Achkhoy – Martan, finendo intercettate dalle avanguardie russe. Altri gruppi, provenienti dal villaggio inguscio di Arshty, furono intercettati dall’aeronautica federale e dispersi. I rinforzi che riuscirono a raggiungere Bamut furono quelli che, faticosamente, si fecero largo tra le montagne passando da Sud, raggiungendo il fiume Martanka dietro Bamut e risalendolo fino alle posizioni dei difensori.

I ritardi nel concentramento dei reparti fecero sì che le unità che effettivamente raggiunsero Bamut fossero in numero grandemente inferiore alle aspettative, nonché esauste per la lunga marcia a piedi. Molti miliziani ebbero appena un paio di giorni per recuperare le forze in attesa del grande scontro. Man mano che i reparti raggiungevano la base, Kachukhaev schierava le unità lungo il perimetro difensivo sulla base della loro grandezza e della supposta capacità operativa. In tutto furono
schierate sulla linea del fronte dalle 100 alle 300 unità, cui si aggiunsero
nei giorni successivi alcune decine di volontari provenienti dall’Inguscezia, inquadrati nel cosiddetto Battaglione Inguscio. La linea difensiva correva lungo i resti del centro abitato, addossata agli edifici e organizzata in un mosaico di piccole trincee a zig zag, in ordine a contrastare le unità russe avanzanti senza offrire bersagli estesi all’artiglieria. Dietro la prima linea di trincee ne era stata scavata una seconda, così che le unità combattenti potessero agilmente cambiare posizione ed alleggerire la pressione, per poi rioccupare le posizioni avanzate alla fine dei bombardamenti d’artiglieria. Le vie d’accesso erano bloccate dai detriti delle abitazioni distrutte, ed il materiale di risulta era stato impiegato per costruire piccoli guadi attraverso i quali le unità combattenti avrebbero potuto attraversare agevolmente il Martanka, per sottarsi a combattimenti troppo pesanti o per effettuare manovre di aggiramento sulle colonne corazzate federali.

Soldati russi avanzano verso le posizioni cecene

Le truppe russe si posizionarono a circa un chilometro e mezzo da quelle cecene, a una distanza sufficiente da evitare di essere bersagliate dagli RPG, ed iniziarono a bombardare la linea di difesa di Bamut. La linea russa correva ora lungo l’argine settentrionale di un canale che, da ovest, disegnava un semicerchio a nord di Bamut per gettarsi nel fiume, che correva sul fianco orientale del villaggio. Da lì l’artiglieria iniziò a martellare la prima linea cecena. I difensori si ritirarono, lasciando ai russi soltanto una serie di trincee vuote da bombardare, ed al termine del martellamento tornarono ad occupare le posizioni avanzate. I federali, convinti di aver piegato la resistenza cecena, iniziarono a muovere in avanti: una colonna si diresse verso il villaggio attraverso la strada principale, la quale corre parallela al Martanka. Questa azione avrebbe dovuto attirare il grosso dei nemici, mentre una seconda colonna avanzava da Nordovest, varcando il canale e dirigendo direttamente verso il centro del villaggio. I ceceni tuttavia avevano fiutato la trappola, e pur mantenendo una fiera difesa della via principale
lungo il Martanka, non sguarnirono le posizioni Nordoccidentali. Conscio della natura del suo piccolo esercito, costituito più come un arcipelago di piccole unità autonome che come una forza unitaria, Kachukhaev lasciò ai comandanti locali l’onere di organizzare autonomamente la loro strategia, mantenendo come unico imperativo quello di non spostarsi dal proprio settore senza autorizzazione. Questo fece sì che i russi non riuscissero a capire quante e quali unità avessero davanti, e non avessero un’idea chiara di quale fosse il fronte della battaglia. Decine di piccoli scontri locali si accesero lungo tutta la linea di difesa, incendiando l’intero settore per tutto il primo giorno di battaglia. Le unità indipendentiste, dotate di grande mobilità, colpivano con gli RPG i veicoli blindati, li assaltavano e cambiavano immediatamente posizione, impedendo ai russi di tracciarle e di annichilirle con l’artiglieria. In questo modo i reparti che difendevano il fianco sinistro dello schieramento ceceno furono in grado di accerchiare i russi avanzanti, provocando loro gravi perdite e costringendo la colonna federale prima ad arrestarsi, poi a fare marcia indietro.

Combattenti ceceni del Battaglione Galanchozh a difesa di Bamut


Anche il fronte orientale riuscì a fermare l’attacco russo. Allorchè la pressione dei federali si fece troppo forte, Kachukhaev ordinò alle prime linee di minare le trincee e di ritirarsi sulla seconda linea. Non appena le truppe russe ebbero preso il controllo, Kachukhaev ordinò che fossero fatte brillare, uccidendo coloro che le occupavano. Persa la maggior parte delle unità di fanteria, i corazzati russi non avrebbero potuto avanzare da soli, o sarebbero finiti sotto una pioggia di RPG. Così gli attaccanti decisero di ritirarsi, vanificando i progressi ottenuti a caro prezzo in quella prima giornata di battaglia. L’artiglieria federale ora conosceva le coordinate della seconda linea difensiva cecena, ed iniziò a bombardarla, ma ancora una volta senza successo: i reparti ceceni, infatti, utilizzarono i guadi approntati nei giorni precedenti per disperdersi tra le colline intorno a Bamut, per poi tornare ad occupare le loro posizioni una volta che il bombardamento fu terminato. Quando i russi tornarono all’attacco, il giorno successivo, si trovarono davanti un dispositivo difensivo di tutto rispetto, e nel giro di una mezz’ora il comando russo ordinò di interrompere nuovamente le operazioni. La notte successiva un reparto esplorativo fu inviato ad individuare le posizioni cecene per un attacco d’artiglieria notturno. L’operazione fu un disastro: il reparto esplorante fu intercettato e finì sotto una pioggia di proiettili. 10 degli 11 componenti la squadra furono uccisi, e l’unico sopravvissuto fu fatto prigioniero. Interrogato sulla consistenza delle forze federali di fronte a loro egli riferì che gli attaccanti disponevano ancora di troppe unità perché Kachukhaev potesse capitalizzare il successo con un contrattacco, così il comandante ceceno decise di mantenere un atteggiamento difensivo, preferendo impegnare gli uomini nella ricostruzione delle trincee e nell’approntamento di nuovi sbarramenti.

31/12/1994 – 03/01/1995: Il fiasco di Capodanno

Quello che segue è un estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte!” Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria. Lo pubblichiamo nell’anniversario della Battaglia per Grozny,

Nella notte tra il 30 ed il 31 dicembre 1994 l’artiglieria federale iniziò un bombardamento a tappeto su Grozny. Migliaia di colpi d’artiglieria sventrarono i quartieri residenziali della periferia settentrionale. Il mattino seguente l’aeronautica continuò l’opera scaricando sulla città una pioggia di bombe e razzi. Per far sì che il bombardamento fosse continuo erano stati assegnati due equipaggi ad ogni velivolo, cosicché i cacciabombardieri federali potevano effettuare le loro missioni senza sosta[1]. Ciononostante, a causa del maltempo l’attività dei bombardieri non sortì grandi effetti sulle difese cecene, mentre generò il panico tra la popolazione e produsse grandi distruzioni nei quartieri centrali della città, abitati massicciamente da russi[2]. Dopo 24 ore di bombardamenti le truppe di terra iniziarono ad avanzare. Il grosso dell’operazione era, come abbiamo visto, assegnato ai Gruppi d’Assalto Nord e Nord-ovest le cui punte di lancia erano costituite dall’81° Reggimento Motorizzato e dalla 131a Brigata Motorizzata. Le due unità iniziarono ad avanzare verso il centro cittadino alle prime luci dell’alba del 31 dicembre. Il piano prevedeva che la 131a avanzasse in profondità fino alla stazione ferroviaria, dove avrebbe costituito una testa di ponte per le unità del Gruppo d’Assalto Ovest, mentre l’81° avrebbe aperto la strada verso il Palazzo Presidenziale.

L’avanzata della 131a incontrò una resistenza piuttosto accanita. Quando l’unità raggiunse Viale Majakovsky, una sorta di anello stradale che circonda tutto il settore occidentale della città, il plotone di ricognizione in testa alla colonna venne investito da un violento fuoco incrociato. Il primo carro T – 72 della colonna saltò in aria, ed i veicoli che lo seguivano rimasero danneggiati. Nel corso della marcia la colonna si era allungata, e quando i superstiti del plotone di ricognizione fecero marcia indietro si scontrarono contro il resto del convoglio che avanzava in direzione opposta. All’altezza dell’ingorgo c’era una scuola elementare, dalla quale un gruppo d’assalto ceceno aprì il fuoco contro i russi in confusione. Soltanto l’intervento dell’artiglieria semovente ed un bombardamento aereo che riuscì a centrare in pieno la scuola permisero all’unità di riprendere l’avanzata. All’altezza della Casa della Stampa, a poca distanza dal complesso industriale Krasnij Molot (“Martello Rosso”) i russi incontrarono l’accanita resistenza di alcuni reparti a difesa del centro urbano[3]. L’81°, per parte sua, si trovò a combattere per aprirsi la strada fin dal primo ponte sul Sunzha a nord della città (il Ponte Zukhov). Con i mezzi blindati incolonnati e impossibilitati a manovrare, il reggimento subì numerosi attacchi a colpi di lanciagranate, a seguito dei quali riportò la perdita di cinque veicoli corazzati. Nel frattempo, le unità che seguivano l’81° raggiunsero l’avanguardia, aumentando l’ingorgo e rendendo ancor più difficile il dispiegamento sull’asse di marcia. La situazione fu ulteriormente complicata dal fatto che il piano d’attacco non era sufficientemente dettagliato da individuare più vie d’accesso al quartiere governativo, così le unità avanzanti procedettero incolonnate seguendo uno schema caotico e disorganizzato. All’ingorgo si aggiunsero progressivamente elementi di altre unità, reparti sciolti e veicoli che, a causa di guasti lungo il tragitto, avevano dovuto fermarsi e adesso stavano recuperando terreno, cercando di riunirsi ai loro comandi. In breve, i reparti si confusero tra loro, perdendo la capacità di coordinarsi. Per ridurre la congestione della colonna l’81° venne diluito attraverso vie secondarie, delle quali i capireparto non possedevano mappe aggiornate.  Giunti a pochi isolati dal Palazzo Presidenziale, i russi si trovarono nel bel mezzo di un’imboscata. I reparti a difesa dell’anello difensivo interno si attivarono improvvisamente, sommergendo i russi sotto una pioggia di proiettili.  Basayev aveva atteso che l’81° Reggimento si fosse ben addentrato nel dedalo di strade che convergevano sul Palazzo Presidenziale, e una volta che le colonne federali si furono allungate sufficientemente fece attaccare i carri in testa ed in coda, paralizzando i tronconi centrali e scagliandogli contro i gruppi d’assalto armati di lanciagranate. Quei pochi reparti che riuscirono a manovrare si trovarono isolati e privi del supporto della fanteria, che era rimasta bloccata dal tiro dei cecchini. Impossibilitati a rispondere al fuoco proveniente dai piani alti degli edifici, i veicoli superstiti tentarono di chiudersi in un perimetro di difesa, ma finirono sotto una pioggia di RPG e vennero completamente distrutti. Le retrovie del Gruppo da Battaglia Nord, che arrivavano alla spicciolata, si trovarono davanti un brulicare di soldati terrorizzati che cercavano rifugio dietro alle carcasse incendiate dei loro veicoli. Il gruppo venne investito in pieno dalla controffensiva cecena. Alcuni reparti riuscirono a barricarsi nel quartiere ospedaliero, a qualche centinaio di metri a nord del Palazzo Presidenziale, ma per molti altri non ci fu scampo: privi della copertura aerea e del supporto dei mezzi corazzati, dovettero uscire allo scoperto e tentare la fuga, diventando facili bersagli per i cecchini. Entro sera i russi avevano già perduto una settantina di mezzi, e centinaia tra morti e feriti.

Anche la 131a Brigata, che fino alle 13:00 era avanzata senza incontrare forti resistenze, venne investita da un improvviso e violento contrattacco non appena raggiunse il suo obiettivo[4]. Alle 15:00 in punto la Stazione Ferroviaria divenne il bersaglio del tiro di centinaia di armi da fuoco e lanciagranate. Nel giro di 60 minuti i federali persero tredici carri armati e numerosi mezzi blindati. Il comandante della Brigata, Ivan Savin, guidò il ripiegamento delle unità all’interno della stazione, venendo ferito ad entrambe le gambe. Una volta dentro, Savin ordinò ai suoi uomini di trincerarsi, e chiamò in soccorso la riserva della brigata, che ancora non era entrata a Grozny e stazionava nei sobborghi a nord della città, agli ordini del Colonnello Andrievski. Nel frattempo la difesa cecena si attivava in tutti i settori nei quali erano penetrati i nemici. A metà del pomeriggio il caos si era impadronito dalla città, ormai trasformata in campo di battaglia[5].

Per tutta la notte i reparti superstiti dell’81° Reggimento e della 131a Brigata rimasero isolati, asserragliati nei loro ricoveri di fortuna. Il Ministro Grachev venne richiamato precipitosamente mentre stava festeggiando il suo quarantasettesimo compleanno. Giunto alla base di Mozdok, si rese conto del pasticcio che aveva combinato: non soltanto i suoi gruppi d’assalto non avevano effettuato il blitz, ma erano addirittura finiti in trappola. Alle 6:00 del 1° gennaio la retroguardia della 131a Brigata tentò un’incursione per liberare i compagni assediati. Una colonna di una quarantina di veicoli tentò di raggiungere la stazione, ma l’intenso fuoco ceceno impose ai russi di muoversi ai margini del centro abitato, lungo Via Majakovskij, nel tentativo di intercettare i binari e procedere parallelamente a questi, tenendo almeno un fianco al coperto. Non appena giunta nei pressi della linea ferroviaria, tuttavia, la colonna fu bloccata dall’esplosione dei veicoli di testa. Il Colonnello Adrievski fece appena in tempo ad invertire la rotta, prima che anche la coda della colonna finisse distrutta. Decise così di tornare indietro e percorrere una delle strade secondarie che correvano parallelamente ai binari, sperando di riuscire a superare il fuoco che i ceceni gli stavano vomitando addosso dai tetti dei palazzi e dagli scantinati. Giunto con i resti della sua unità all’incrocio antistante il piazzale della stazione, il reparto cadde in una seconda imboscata, durante la quale una granata colpì il veicolo del Colonnello Andrievski, uccidendolo. Privi di un comandante, i suoi uomini si trovarono immobilizzati mentre i ceceni facevano saltare il carro in testa e quello in coda, e procedevano poi a distruggere tutte le unità intrappolate all’interno. La fanteria, rimasta senza protezione, fu sterminata. Soltanto due carri, i cui equipaggi erano riusciti a divincolarsi tra le carcasse degli altri veicoli, riuscirono ad uscire dall’imboscata sfrecciando a tutta velocità verso la stazione ferroviaria, dove i carristi si barricarono insieme ai commilitoni che avrebbero dovuto soccorrere. Un altro carro, che era riuscito a guadagnare un’uscita sul lato opposto, finì contro gli argini del Sunzha e si inabissò.

Il piano di recupero era fallito in tragedia, ed il comando russo ordinò un secondo tentativo. Un distaccamento della 19a Divisione Motorizzata, avanguardia del Gruppo d’Assalto Ovest, tentò di raggiungere la stazione nella tarda mattinata, ma non riuscì a prendere contatto né con la prima colonna di soccorso, ormai distrutta, né con i resti della 131a. Finalmente alle 13:00 del 1 gennaio il comandate della Brigata Ivan Savin ottenne il permesso di tentare una sortita, mentre un terzo gruppo di soccorso, composto da reparti della 106a e della 76a Divisione Paracadutisti (il resto del Gruppo d’Assalto Ovest) avrebbe tentato di rompere l’accerchiamento. L’azione, già difficilissima di per sé a causa dei più di 60 feriti che Savin avrebbe dovuto trasportare mentre tentava la fuga, fu resa più difficoltosa dal fatto che al pari di tutti gli altri ufficiali, Savin non possedeva mappe dettagliate del quartiere circostante la stazione. Nel giro di un’oretta i fuggiaschi si persero, sbagliarono direzione ed invece che muoversi verso il Gruppo Ovest si lanciarono a tutta velocità verso Nord, ritrovandosi di fronte al Palazzo Presidenziale e venendo accolti da una pioggia di proiettili. Morirono praticamente tutti gli ufficiali, Savin compreso, mentre 76 coscritti finirono nelle mani dei ceceni[6]. La 131a Brigata venne completamente distrutta: dopo 24 ore di combattimenti aveva perduto 20 carri armati su 26, 112 veicoli su 120, 6 cannoni semoventi e praticamente tutto il personale combattente. Fu un disastro senza precedenti, aggravato dal fatto che, mentre i Gruppi di Battaglia Nord e Nord-ovest erano almeno riusciti a penetrare in città, i gruppi Est ed Ovest non erano nemmeno riusciti ad entrare nel centro abitato.

Il Gruppo di Battaglia Est, composto da elementi della 194a Divisione Paracadutisti e dal 129° Reggimento Motorizzato, da un distaccamento di paracadutisti dei corpi speciali e da un battaglione di carri armati aveva raggiunto con successo la base di Khankala, e respinto la controffensiva cecena. Ma alla vigilia dell’attacco il comandante della 194a si rifiutò di partecipare, dichiarando che il piano non era stato adeguatamente preparato e che sarebbe finito in una carneficina. Così al momento dell’offensiva si mosse solo il 129°, appoggiato da una colonna di carri armati.  Anche questo contingente raggiunse con poche difficoltà il centro cittadino, ma all’altezza del ponte ferroviario sul Sunzha si trovò investito dal contrattacco degli uomini di Basayev. I russi persero buona parte dei loro veicoli tentando di trovare una strada alternativa e, non conoscendo il terreno di battaglia, passarono da un’imboscata all’altra senza riuscire a sganciarsi. Attestatisi in uno spiazzo, i superstiti organizzarono un perimetro difensivo, ma furono bombardati per errore dalla stessa aviazione federale, che mise fuori combattimento altri cinque veicoli ed aprì la strada al contrattacco degli indipendentisti. I russi si ritirarono alla rinfusa verso la base di Khankala, che raggiunsero soltanto alle 2 di notte del 1° gennaio, con i reparti ormai ridotti a brandelli. Nell’infruttuoso attacco erano caduti 150 uomini e la maggior parte dei veicoli era andata persa. Infine il Gruppo di Battaglia Ovest si mise in marcia in ritardo, riuscendo a raggiungere il quartiere residenziale con meno della metà degli effettivi e quando ormai gli altri tre gruppi erano stati bloccati e costretti a ritirarsi o ad asserragliarsi in posizioni di fortuna. Il Gruppo non riuscì a reggere il fuoco ceceno, e si dispose in posizione difensiva presso il Parco Lenin, tra il Palazzo Presidenziale e l’Ospedale dov’erano asserragliati i resti dell’81°. Nel giro di qualche ora fu chiaro che i reparti del Gruppo Ovest non avrebbero potuto muovere in nessuna direzione senza subire alte perdite.

L’unico Gruppo di Battaglia che riuscì a manovrare con compostezza fu il Nord – Est. Il suo comandante, il Tenente Generale Rochlin, fu l’unico che mantenne un ordine soddisfacente, avanzando senza fretta e preoccupandosi di mantenere sempre un contatto con le retrovie, senza ingolfare la testa della colonna e predisponendo coperture laterali per le sue unità. Fu grazie a lui se i reparti sbandati del Gruppo Nord, barricati nell’ospedale, riuscirono ad evitare la tremenda fine della 131a Brigata. Rochlin dispiegò i suoi reparti ad arco, assumendo corrette posizioni difensive e riuscendo a respingere l’attacco dei ceceni fino a tarda notte, costituendo una posizione d’appoggio dentro la città dalla quale poter fornire assistenza sia ai resti dell’81° arroccati nell’ospedale, sia agli altri reparti in ripiegamento che necessitavano di copertura. Fu solo grazie a lui se il fiasco dell’assalto di Capodanno non si tramutò in una completa disfatta. La resistenza degli uomini di Rochlin fu tuttavia facilitata dalla scelta, presumibilmente compiuta dallo stesso Generale, di barricare i suoi uomini nella struttura sanitaria, in quel momento piena di civili feriti e di personale medico, usandoli di fatto come scudi umani contro un possibile attacco ceceno. Si trattò di un crimine di guerra, nonché del primo di una serie di “sequestri ospedalieri” che avrebbero insanguinato la storia del conflitto ceceno[7]. Al “Blitz” parteciparono 6.000 uomini dell’esercito federale, appoggiati da 350 mezzi corazzati.  Alla fine della giornata risultavano persi dai 534 (fonti russe) ai 1000 (fonti cecene) soldati e 200 veicoli, 20 dei quali erano stati recuperati dai difensori. Nelle mani dei ceceni rimanevano anche 81 prigionieri. Era stata la più sanguinosa battaglia urbana dalla Seconda Guerra Mondiale, e per i russi era stata una disfatta.


[1] Riguardo a questo, va specificato che l’idea di assegnare due equipaggi allo stesso velivolo, avanzata dal Comandante delle Forze Aeree federali, Colonnello Generale Piotr Deneikin, sbatté spesso contro la carenza di equipaggi in grado di garantire il servizio. Ciò produsse spesso incidenti anche mortali, con la perdita di uomini e velivoli, cosicché alle prime sortite con doppio equipaggio seguirono presto sortite classiche, con un solo equipaggio affidato al singolo velivolo da bombardamento.

[2] Nonostante l’enorme esodo di profughi da Grozny il centro cittadino era ancora pieno di civili, per la maggior parte russi etnici che non erano riusciti a sfollare in tempo, o che non avevano trovato appoggi nei villaggi di campagna. I bombardamenti federali, concentrati principalmente sul centro cittadino, finirono quindi per colpire prima di tutto gli abitanti di origine russa.

[3] Ilyas Akhmadov, presente in quella posizione, mi ha raccontato con queste parole quanto successe alla Casa della Stampa: Tutto era sotto il tiro dell’artiglieria pesante. […] C’era un comandante, non ricordo il suo nome, ma ha chiesto se qualcuno volesse farsi avanti per aiutare il nostro cecchino a trovare il cecchino russo che stava colpendo la nostra posizione. Mi sono offerto volontario e sono salito al nono piano con un Kalashnikov preso in prestito per proteggere il nostro cecchino. Proprio quando siamo arrivati in cima ricordo che il terreno sotto i miei piedi tremava violentemente. L’artiglieria stava colpendo il pavimento sotto di noi. […] L’edificio era per lo più vuoto, ma ogni tanto un ceceno correva al secondo o al terzo piano e sparava ai veicoli russi. […]. Inoltre, l’edificio era al centro di molti combattimenti e offriva una vista vantaggiosa in tre direzioni. Questo è probabilmente il motivo per cui i russi hanno lavorato così furiosamente per distruggerlo.

[4] Poco prima che le truppe federali finissero sotto il tiro dei lanciagranate ceceni, fu registrata una conversazione destinata a diventare tristemente famosa negli anni a seguire.La sua trascrizione è l’incipit di questo capitolo.

[5] Emblematiche sono le parole di Ilyas Akhmadov, che rievocando quei momenti descrisse così la situazione: Intorno alle 16, i cinque combattenti con cui ero salito sul camion e il civile che ci accompagnava si avviarono verso il Palazzo Presidenziale a circa 1,5 miglia di distanza. Ma, con l’inferno intorno a noi, era una distanza molto lunga. Era difficile capire dove fossero russi e ceceni. Puoi immaginare com’è quando metti 100 cani affamati in una gabbia, era la stessa cosa. […] Era un circo pazzo. I carri armati correvano in ogni direzione, disorientati. […] In ogni strada, i ceceni sfrecciavano con i lanciagranate e quando sentivano i carri armati gli correvano incontro per distruggerli. Ho visto una volta due gruppi ceceni litigare a pugni su chi aveva eliminato un carro armato e chi meritava il bottino all’interno. Era difficile capire chi avesse distrutto questo o quel carro armato perché c’erano ragazzi che sparavano su di loro da molti piani diversi, da diversi edifici e direzioni.

[6] I federali riuscirono a recuperare i corpi dei caduti soltanto il 23 Gennaio successivo. I loro pietosi resti, divorati dai cani randagi, furono rinvenuti ormai ridotti a scheletri. Il corpo di Savin, colpito a morte, giaceva accanto a quello di un medico, freddato da un cecchino mentre gli prestava soccorso.

[7] Questa circostanza è importante da ricordare allorché parleremo dei più celebri sequestri di Budennovsk e di Kizlyar. Contrariamente a quanto conosciuto ai più, il primo sequestro di civili in un ospedale fu, quindi, portato a termine dalle forze federali. Citando il libro Tribunale Internazionale per la Cecenia di Stanislav Dmitrevsky, Bogdan Gvraeli e Oksana Chelysheva:  Così, durante l’assalto di Capodanno, in fuga dai membri delle formazioni armate cecene che difendevano la città, ufficiali e soldati dell’81° reggimento delle guardie hanno fatto irruzione nel territorio dell’ospedale di emergenza repubblicano e hanno preso in ostaggio i medici e i pazienti che si trovavano lì. Il comando ceceno ha avviato negoziati con loro, promettendo un corridoio sicuro in cambio del rilascio di civili. In quel frangente, secondo quanto riportato nella stessa opera, gli uomini di Rochlin si resero responsabili di un altro crimine di guerra: Il 3 gennaio 1995, subito dopo il primo assalto senza successo, un gruppo di residenti di Grozny fu catturato personalmente sotto la guida del generale Lev Rokhlin. Diverse persone sono state uccise, altre sono state caricate su veicoli e portate a Mozdok, dove sono state tenute in ostaggio in vagoni ferroviari. Alcuni di loro furono successivamente scambiati con soldati russi catturati in battaglia.

THE GENERAL OF NAUR – MEMORIES OF APTI BATALOV (PART IV)

Battle in Ilaskhan – Yurt

After leaving Argun, we moved to a wooded mountainous area in the Nozhai – Yurt district. Here we organized our base, well hidden in a gorge near the village of Shuani. On the afternoon of March 25, a messenger arrived at the base: we were ordered to go in force to the village of Novogrozny, today Oyskhara. When we arrived Maskhadov gave me a brief report on the situation: “The Russians have left Gudermes, and are moving in the direction of Novogrozny. They crushed our defenses. We have to delay them at least for a few hours, until we evacuate the hospital and the documents. I have no one else to send except your battalion. I ask you to detain the Russians as much as possible: there are many wounded in the hospital, if the Russians find them they will shoot them all. ” Then Maskhadov told me that on the eastern outskirts of Ilaskhan – Yurt a unit of militiamen from nearby was gathering and they would give us a hand.

There were few people with me, about thirty in all, because after the retreat from Argun many of the militiamen, cold and tired, had dispersed to the surrounding villages to recover their strength. We immediately set off towards Ilaskhan – Yurt and, having reached the goal, we reunited with 70 militia men. The Russians advanced on the wooded ridge overlooking the village, traveling in the direction of Novogrozny. We settled in positions previously equipped, and then later abandoned. Their conditions were not the best: due to the heavy rains of those days they were full of water, and we guarded the positions with mud up to our knees. We tried to drain them, but the water returned to fill them in a few hours, due to the damp soil.

Soon our presence was noticed by the Russians, who began bombing our trenches from their high positions. Using mortars and field artillery. In that bombing we suffered the wounding of three or four men. However , they did not proceed to an attack, allowing us to hold them back for many more hours. Having left in a hurry, we had brought neither food nor water with us: we spent the next night hungry and cold in our damp trenches, under constant enemy bombardment. We were so starved that, when we managed to get our hands on a heifer the next day, we ate its almost raw meat, but not before getting permission from a local clergyman.

March 29 , the first Russian patrol reached our trenches. We managed to repel the assault: the enemy lost two men and retreated quickly. From the uniforms and weapons found in the possession of the fallen Russians, we understood that we had a paratrooper unit in front of us. As soon as the Russians were back in their trenches the artillery began a pounding bombardment on our positions with mortars and 120 mm artillery, causing many injuries among our units. After a long preparatory bombardment, the infantry moved on to the attack, and we began the unhooking maneuvers: some of us took the wounded away, others retreated into the woods, or returned to their homes. Only five of us remained in position: Vakha from Chishka, Khavazhi from Naurskaya, Yusup from Alpatovo, Mammad from Naursk station and myself. When we finally managed to get away we were exhausted: I came out with chronic pneumonia, which would accompany me in the years to follow.

Combined Regiment Naursk

In April, if memory serves me well, on April 2, as he said, the head of the main headquarters of the armed forces of the CRI, General Maskhadov, came to my base. The Chief of Staff briefly introduced me to the latest events and changes on the lines of contact between us and the Russians: it was clear from his words that our situation was not good. Consequently he asked me to become subordinate to the commander of the Nozhai- Yurta leadership, Magomed Khambiev. The same day I went to Nozhai-Yurt, where I met the new commander. He assigned the battalion’s area of responsibility to a location not far from the village of Zamai-Yurt, southwest of this village. Once deployed, we dug trenches and equipped shooting points for the machine gun. Here at the base, we, in our Naur battalion, were joined by groups of militias from Gudermes and the Shelkovsky district, for a total of 200 people. As a result, our battalion became the “Combined Naur Regiment”. I was confirmed by Maskhadov himself as commander of this new unit.

The Regiment held the assigned position until the early days of 1995, fighting a war of position against Russian forces. These faced us mainly with artillery, throwing a hail of mortar rounds at us, and increasing the dose with incursions of combat helicopters MI – 42 and MI – 18. During this phase we mourned the death of one of us, Dzhamleila of Naurskaya , and the wounding of ten men. Finally, in the first days of June , we received the order to switch to guerrilla warfare.

VERSIONE ITALIANA

IL GENERALE DI NAUR – MEMORIE DI APTI BATALOV (PARTE 4)

Battaglia ad Ilaskhan – Yurt

Dopo aver lasciato Argun, ci trasferimmo in una zona montuosa coperta di boschi, nel distretto di Nozhai – Yurt. Qui organizzammo la nostra base, ben nascosta in una gola vicino al villaggio di Shuani. Nel pomeriggio del 25 Marzo giunse alla base un messaggero: ci era ordinato di dirigerci in forze al villaggio di Novogrozny, oggi Oyskhara. Quando arrivammo Maskhadov mi fece un breve rapporto sulla situazione: “I russi hanno lasciato Gudermes, e si stanno muovendo in direzione di Novogrozny. Hanno schiacciato le nostre difese. Dobbiamo ritardarli almeno per qualche ora, finchè non evacuiamo l’ospedale ed i documenti. Non ho nessun altro da inviare, tranne il tuo battaglione. Ti chiedo di trattenere i russi il più possibile: ci sono molti feriti nell’ospedale, se i russi li trovano li fucileranno tutti.” Poi Maskhadov mi disse che alla periferia orientale di Ilaskhan – Yurt si stava radunando un reparto di miliziani provenienti dalle vicinanze, i quali ci avrebbero dato man forte.

Insieme a me c’erano poche persone, una trentina in tutto, perché dopo la ritirata da Argun molti dei miliziani, infreddoliti e stanchi, si erano dispersi nei villaggi circostanti per recuperare le forze. Ci mettemmo subito in marcia verso Ilaskhan  – Yurt e, raggiunto l’obiettivo, ci ricongiungemmo con 70 uomini della milizia. I russi avanzavano sulla cresta boscosa che dominava il villaggio, viaggiando in direzione di Novogrozny. Ci sistemammo in posizioni precedentemente attrezzate, e poi successivamente abbandonate. Le loro condizioni non erano delle migliori: a causa delle forti piogge di quei giorni erano piene d’acqua, e presidiavamo le posizioni con il fango fino alle ginocchia. Cercavamo di drenarle, ma l’acqua tornava a riempirle in poche ore, a causa del terreno umido.

Ben presto la nostra presenza fu notata dai russi, i quali iniziarono a bombardare le nostre trincee dalle loro posizioni elevate. Usando mortai ed artiglieria da campagna. In quel bombardamento patimmo il ferimento di tre o quattro uomini. Tuttavia non procedettero ad un attacco, permettendoci di trattenerli ancora per molte ore. Essendo partiti in fretta e furia, non avevamo portato con noi né cibo né acqua: trascorremmo la notte successiva affamati ed infreddoliti nelle nostre trincee umide, sotto il costante bombardamento nemico. Eravamo così provati dalla fame che, quando il giorno dopo riuscimmo a mettere le mani su una giovenca, ne mangiammo la carne quasi cruda, ma non prima di aver avuto il permesso da un religioso locale.

A mezzogiorno del 29 Marzo la prima pattuglia russa raggiunse le nostre trincee. Riuscimmo a respingere l’assalto: il nemico perse due uomini e si ritirò velocemente. Dalle divise e dalle armi trovate in possesso dei russi caduti capimmo di avere davanti un reparto di paracadutisti.  Non appena i russi furono rientrati nelle loro trincee l’artiglieria iniziò un bombardamento martellante sulle nostre posizioni con mortai ed artiglieria da 120 mm, provocando molti ferimenti tra le nostre unità. Dopo un lungo bombardamento preparatorio, la fanteria passò all’attacco, e noi iniziammo le manovre di sganciamento: alcuni di noi portarono via i feriti, altri si ritirarono tra i boschi, o tornarono alle loro case. In posizione rimanemmo soltanto in cinque: Vakha da Chishka, Khavazhi da Naurskaya, Yusup da Alpatovo, Mammad dalla stazione di Naursk ed io. Quando finalmente riuscimmo ad allontanarci eravamo esausti: io ne uscii con una polmonite cronica, che mi avrebbe accompagnato negli anni a seguire.

Reggimento Combinato Naursk

Ad aprile, se la memoria mi serve bene, il due aprile, come ha detto, il capo del quartier generale principale delle forze armate della CRI, il generale Maskhadov, è venuto alla mia base. Il capo di stato maggiore mi ha brevemente presentato gli ultimi eventi e i cambiamenti sulle linee di contatto tra noi e i russi: era chiaro dalle sue parole che la  nostra situazione non era buona. Di conseguenza mi chiese di diventare subordinato al comandante di la direzione Nozhai-Yurta,  Magomed Khambiev. Lo stesso giorno mi recai a Nozhai-Yurt, dove incontrai il nuovo comandante. Egli assegnò l’area di responsabilità del battaglione ad una posizione non lontana dal villaggio di Zamai-Yurt, a sud-ovest di questo villaggio. Una volta schierati, abbiamo scavato trincee e attrezzato punti di tiro per la mitragliatrice. Qui alla base, noi, nel nostro battaglione Naur, siamo stati raggiunti da gruppi di milizie di Gudermes e del distretto di Shelkovsky, per un totale di 200 persone. Di conseguenza, il nostro battaglione divenne il “Reggimento Combinato Naur”. Fui confermato dallo stesso Maskhadov comandante di questa nuova unità.

Il Reggimento tenne la posizione assegnata fino ai primi di giorni del 1995, combattendo una guerra di posizione contro le forze russe. Queste ci affrontavano principalmente con l’artiglieria, lanciandoci contro una grandine di colpi di mortaio, e rincarando la dose con incursioni di elicotteri da combattimento MI – 42 e MI – 18. Durante questa fase piangemmo la morte di uno di noi, Dzhamleila di Naurskaya, ed il ferimento di dieci uomini. Nei primi giorni di Giugno, infine, ricevemmo l’ordine di passare alla guerra partigiana.

THE GENERAL OF NAUR: MEMORIES OF APTI BATALOV (Part III)

Defending Grozny

When the federal forces reached Grozny, my men and I were in Gudermes, where we had quartered to form an organized unit made up entirely of men from the Naur District . On January 4th , a runner sent by Maskhadov was placed in our command post. He gave me the order to converge on our capital with all the men at my disposal. Once in the city, I met a young volunteer, who made himself available to organize our group and put it in coordination with the other fighting units. It is called Turpal Ali Atgeriev. In conversation with him, I learned that he had taken part in the war in Abkhazia and that he had some fighting experience. There was not a single war veteran among us, starting with me: I was in desperate need of someone with combat experience. For this I asked Atgiriev to become my deputy, and he accepted my proposal. Since he didn’t have a weapon, I handed him an RPK-74 machine gun. Someone criticized my decision, accusing me of having appointed a stranger as my deputy. I was not interested in this gossip and intrigue, I was worried about only one thing itself: saving lives and at the same time beating the enemy.

We were deployed in defense of the Pedagogical Institute. A regiment of Russian marines had targeted the building: if this had been taken, it would have been possible to easily reach Maskhadov’s headquarters, which was literally fifty meters from our position, under the Presidential Palace. The Russians tried to break through our defenses almost every day, until January 19 , 1994, but without success. In these attacks they lost many soldiers, whose corpses remained in the middle of the road, in no man’s land, prey to stray dogs. We tried to remove them, to save their bodies, but without a respite we could not have prevented them from being eaten. Several times, during the fighting, our command and the Russian one reached an agreement for a 48-hour truce, precisely to clean the streets of the corpses of Russian soldiers. During these truces we talked to the Russian patrols stationed on the side streets. I remember one of these conversations with a Russian captain, to whom I had thrown a pack of cigarettes: Guys he said, quit, you will not win, because you are not fighting the police, but the army. His voice was not arrogant, he was a simple Russian peasant. That battle was also difficult because to supply our armories we had to capture weapons and ammunition from the Russians. In every disabled armored transport vehicle we found a heap of weapons, cartridges and grenades, which we looted. Later the Russians became more careful, and we didn’t find much in their means. On the other hand, their vehicles were stuffed with all sorts of carpets, dishes and other goods looted from the population.

January 19 , when it became clear that the defense of the Pedagogical Institute would no longer slow down the fall of the Presidential Palace, we withdrew. I was ordered to organize the defense of the Trampark area , and we occupied positions on Novya Street Buachidze . Trampark changed hands several times, and there were fierce battles until February 7th . Right in via Novya Buachidze suffered a shock from a tank bullet which, entering the window of the room where I was with some of my men, hit two of them in full, killing them. This shock still undermines my health. Finally, on the evening of February 7 , a messenger from Maskhadov handed me a note in which I was ordered to leave the position, join Basayev in Chernorechie and leave the city. I should have assumed the defense in the parking area in Via 8 Marzo, where the departments were concentrating to prepare for the exit from the city. Once there we counted all those present: also considering the staff of the Headquarters, we were 320 men. Obviously some departments were not present: detached units fought in other areas of the city, and besides them there were the so-called “Indians”, armed gangs who did not obey anyone, they fought when it was favorable gold and along the way they plundered everything that they could find. When Maskhadov lined up us in the square, he told us that our descendants would be proud of us, that the victory would be ours, that we were leaving Grozny only to return one day. The night between 7 and 8 Fenbbraio we left the capital.

The Naursk Battalion

It was after the retreat from Grozny that my unit, still an amalgam of more or less organized groups, began to become a real tactical unit. This same process was also taking place in the other units that had formed spontaneously at the beginning of the war. Moreover, in the Chechen resistance there were no military units and formations in the classical sense of the term: “battalions”, “regiments” and “fronts” were symbolic terms that did not correspond to a battle order in the classical sense. For example, what was called the “Argun Regiment” was an association of several groups, often poorly armed, made up of a variable number of people, each of which replied to its own commander. The members of these units, all volunteers, could leave at any time, there was no precise chain of command.

Our team spirit had already been forged in the battles we had fought together, and which unfortunately had forced us to count the first fallen. The first of our men to die for the defense of Chechnya was Beshir Turluev , who fell at the Ishcherskaya Checkpoint in December 1994. Since then, other young Chechens had sacrificed their lives for their homeland. Among those who remained alive, and who fought more assiduously with me, a group of “veterans” began to form, who by character or competence acquired the role of “informal officers”. Thus, for example, a 4th year student of a medical institute, whose name was Ruslan, became the head of the medical unit, while Sheikh Khavazhi , from the village of Naurskaya , became the head of logistics. The latter was in charge of keeping in touch with the Naur region , from which the supplies for our unit came. The inhabitants collected the food intended for our livelihood and delivered it to us via a KAMAZ truck, driven by Umar, from the village of Savelieva, and his companion Alkhazur . Sometimes money was also collected, usually a small amount, which was scrupulously recorded and distributed among the men. For the needs of the battalion, for the entire period of the 1994-1996 war, I, from the central command, did not receive more than 3 thousand dollars.

Defending Argun

After we had withdrawn from Grozny, Maskhadov ordered us to fall back on Argun, to help defend the city. We quartered ourselves in the city hospital, now empty and unused. The commander of the stronghold was Khunkarpasha Israpilov, and the commander of the largest unit, the so-called “Combined Regiment”, was Aslambek Ismailov. We were deployed in the sector of the so-called “Indian village”, a front of about 350 meters along the Argun River. On our left were the so-called “Black Wolves”, characterized by wearing very dark jeans. On the other side were Alaudi ‘s men Khamzatov , guard posts on the main bridge over the Argun. In front of us was a Russian paratrooper unit. We learned that we were facing special forces from a Russian soldier whom we captured when, with his squad, he attempted a reconnaissance close to our lines. At that juncture, as soon as the other side learned that their group had been identified and attacked, the Moscow artillery launched a massive bombing on our positions, during which two of our militiamen fell: Daud, coming from the village of Kalinovsky and Rizvan , from Naurskaya . To scare us, the Russians played Vladimir Vysotsky ‘s “Hunting for Wolves” at very high volume . We responded with “Freedom or Death”. The supply of the militias in the city of Argun, as well as in Grozny, was very scarce, there was a severe shortage of ammunition, there was a catastrophic lack of machine gun cartridges, RPG-7 grenade launcher shells and only dressing bandages they were more or less in abundance among the drugs.

On the morning of March 20, the Russians began testing our defenses along the entire line of contact, simulating a force attack from our side. In reality, the main attack took place, surprisingly, at the Moskovsky state farm . We did not expect the enemy to break in from that side, and after a fierce battle during which we lost many men (including the commander of the Melkhu – Khe militia , whose name was Isa and a brave, young Lithuanian named Nicholas) we had to leave the city, to retreat to the wooded region of Nozhai – Yurt. In the defense of Argun, Abuezid , from the village of Naurskaya , Umar, Mekenskaya , Muslim, Nikolaevskaya also fell , while another ten of us were wounded. We left Argun in the night between 21st and 22nd March 1995.

THE GENERAL OF NAUR – MEMORIES OF APTI BATALOV (PART I)

Introduction

Apti Batalov was born in Ilic, in the Kamensky District of Kazakhistan, on October 19, 1956. Police officer, in September 1994 he was appointed military commander of the districts of Naur and Nadterechny, and in this role he organized the armed militias destined to become one of the most well-known military units of the Chechen army, the Naursk Battalion. The unit would have distinguished itself in many battles, and Batalov himself would have become, at the end of the conflict, one of the main officials of the Chechen army, coming to lead the General Staff of the Armed Forces with the rank of Brigadier General and the National Security Service.

Batalov agreed to share his war memories with me.

Winds of war

On June 20, 1994, I was appointed head of the Ishcherskaya Village Police Department in the Naursk District. The village is located on the left bank of the Terek, the north-eastern part of the village borders the Stavropol Territory while to the south, on the other side of the river, about a kilometer and a half, is the village of Znamenskoye, which at the time was the headquarters of the opposition. The city is crossed by a railway that leads from Russia to Dagestan. The western part of the village hosted a terminal for the loading of oil and a pumping station, through which the crude was shipped to Russia. The road that entered Chechnya from the Stavropol Territory forked in two: one route continued eastwards, reaching Chervlennaya and from there continuing to Dagestan, in the north, and another one run up to Grozny, in the south. The other crossed the Terek by a bridge, crossed the Nadterechny District and then penetrated deep into the country. Being a border settlement and a crossroads of roads to and from Russia, Ishcherskaya was one of the busiest places for criminals in all of Chechnya – a sort of criminal transit point.

At the end of June 1994 the chief of the district police, Zaindi Pashaev, called me and introduced me to the district military commander sent from Grozny. I was told to make myself available to the Commander and to assist him in organizing checkpoints around Ishcherskaya. He did not present any documents confirming his position, neither then nor subsequently. He was a man of about 25, 28 years, about five feet tall, very dynamic, fast in his movements and physically strong. A young man, who I later learned was President Dudaev’s son-in-law, having married the daughter of a brother of the President. His name was Duta Muzaev. He actively went to work, and I followed his directions, helping in all that needed to be done. We set up two checkpoints, one on the Russian-Chechen border, in front of the village of Galyugaevskaya, the other on the left access of the bridge over the Terek, in front of Znamenskoye.

In those days, while we were building the checkpoints, mass anti-Chechen pogroms began in the territories adjacent to Chechnya, a boy named Pashaev was killed, self-styled “Cossacks of Kursk” (actually agents of the GRU and FSK) began to damaging the houses where the Chechens lived, they burned the farms where cows and sheep were kept. It was not difficult to understand that behind these pogroms and murders there were forces interested in creating chaos and inter-ethnic massacres between the Cossack and Chechen populations. Refugees began pouring into Chechnya. Meanwhile , Russian armed units began to carry out all kinds of provocations. Armed units entered their armored vehicles in the Naur District and, under armed threat, carried out “passport control” operations declaring: “You are in our territory, and you are Russian citizens”.

In the first days of August Muzaev told me that he had had a physical problem with the muscles of his spine, and that he would have to return to Grozny for treatment. He left, and never came back. Shortly after Muzaev’s departure, I was summoned to Grozny by Colonel Merzhuyev. On 16 September I joined him in the capital and he informed me that due to the worsening of the situation on the borders of Ichkeria, since the Naursk District is located at the northern limit of the Republic, I had been recommended to the President to take the place of Military Commander in that district, and in the neighboring district of Nadterechny. To be honest this news surprised me, and shocked me, because it was clear that a war was about to break out between Russia and Chechnya. The Naur region was the most vulnerable, being on the border. After listening to Merzhuyev, I asked him: Don’t you really have a person more experienced than me for this position? I told him that I was absolutely not trained in military affairs, and that I had no idea how to play the role of military commander in these regions, especially in the Nadterechny District, which is almost entirely under the control of the opposition. Merzhuyev replied: Tell the President all this.

We went to meet the President, who received us after a short anteroom. It was my first meeting with Dudaev. He was dressed in civilian clothes, and he looked intelligent and serious. He asked me some not very important questions, after which he asked me: You have been recommended to me for the position of District Commander. Well, are you able to hold it? I was hoping that Merzhuyev would join the conversation, but looking at him I realized that he would remain silent. I’ll do whatever it takes, I replied. Dudaev did not detain us any longer, and dismissed us. Before leaving, Merzhuyev wrote an appointment order by hand, said he would send it to the Naur District Prefect, Aindi Akhaev, so that he would learn of the appointment and order his officials to carry out my orders. I had just become the first regional military commander in the history of Ichkeria. From that day on, my path was the struggle for Chechnya’s independence, which eventually led me to England.

Aindi Akhaev

Military Commander

Back in Naur, I started mobilizing volunteers for checkpoint service. People answered my call: they were ordinary Chechen boys, simple agricultural workers, yet they were people of great dignity, and with a deep sense of honor. Most of them were unarmed, some carrying shotguns, knives or daggers with them. My frequent appeals to Headquarters were eventually crowned with success, and they promised me from Grozny that they would send 10 AK-74 firearms. I thought I would get the guns from the State Security Department, but Geliskhanov, who at the time he led the department, found a different reason each time not to send the guns, and went on for about a month. When the weapons were finally delivered, I saw that they were old, worn, firearms, some even missing some parts. I had to sort it out differently, so I requisitioned the armory of the Naur Police Department. We managed to collect more than twenty AK 5.45 assault rifles, an RPK 5.45 machine gun, two PK – 7.62, two RPG grenade launchers, an automatic grenade launcher and a sniper rifle. I distributed all these weapons among the militia men on duty at the Checkpoints, and so we put on a well-armed force, able to counter the armed opposition deployed in Znamenskoye and the bandits who tried to penetrate taking advantage of the chaos. In addition to this, I formed local teams recruited from the residents of each village. We began holding gatherings in all the settlements in the region, leaving the residents to appoint their own commanders. These makeshift officers were the directors of state agricultural farms and other local businesses. In particular, they provided us with radio stations with which they were used to communicating with the district authorities. A person who specialized in these things helped us to establish communications, so that all units were coordinated with each other.

The summer and autumn of 1994 in Chechnya saw many social and political events. The Opposition has become more active in the districts of Urus – Martan, Gudermes and Grozny. In the village of Znamenskoye the armed groups of Labazanov and Gantemirov gathered, while the Cossacks of the Naur and Shelkov districts took action, sending delegations to Stavropol asking to annex the entire left bank of the Terek to Russia. Realizing that any public demonstration in support of this proposal would give courage and determination to the local opponents and the Cossacks, to prevent this from happening, I began to seek contacts to organize secret meetings with the leaders of the Chechen and Cossack opposition. I used to go to their house and there, over a cup of tea or vodka, I would say to them: If you want to gather, go to Znamenskoye, I promise you that none of your family will be punished for this. But if you start moving from that area, no one will be safe, not even you. They replied that they would not give in to my threats, but in the end no one in the Naur District spoke out against Dudaev in a public demonstration. A big help came from the district prefect, Aindi Akhaev, who was a very brave man and a devoted supporter of President Dudaev. The fortunate coexistence of these factors, in the end, determined the fact that the District of Naur remained loyal to Ichkeria until the end!

Umar Avturkhanov, leader dell’opposizione antidudaevita

Adding fuel to the fire

In the fall of 1994, enemy special services intensified their subversive activities throughout Ichkeria. In Grozny, terrorist attacks and all kinds of provocations began to occur frequently: the Russians actively sought to create an atmosphere of fear, panic and chaos throughout the Republic, while in several areas the so-called “opposition” declared with increasing certainty that they would not recognize the central government. Of course, the Naur District was also under attack from the special services. Several high-profile murders took place in the area, such as two Naurskaya residents, both of Cossack ethnicity, killed on the Tersky state farm. I, together with the district police chief, went to the scene of the crime: the murder had been committed with demonstrative cruelty, the victims’ stomachs had been slashed, and the bowels had been made out of the corpses. At the crime scene a trace was perfectly visible, as if it had been left on purpose, leading to a boy’s home: clothes smeared with blood, rubber boots with blood on the soles and other evidence clearly framing the young man.

However, something was not clear: the alleged perpetrator was a physically very weak, mentally unstable 17-18 year old boy. Furthermore, if the traces leading from the place where the bodies were found to his home were evident, there was no trace that led to the place where these people had been killed. It was obvious that this boy had been brought onto the scene by someone else, in order to be used as a scapegoat. When I asked the chief of the district police a few days later how the investigation was proceeding, he replied that because the district attorney had refused to arrest the suspect, the detainee had been released from custody. I was sure that the Russian special services were behind this crime, who were interested in creating a rift between Cossacks and Chechens, using the pretext of “genocide” to incite the former against the latter and provoke the secession of the northern districts from Chechnya.

Later, these suspicions of ours were proved by facts. The news of the brutal murder spread throughout the region with incredible speed, the Cossacks gathered in Naurskaya and demanded that the guilty be found, tried and sentenced. Aindi Akhaev met many of them, explained to them who the instigators of these murders were, and the Cossacks realized that the Russian government didn’t care about them at all, but was interested in using them as tools to provoke an inter-ethnic massacre. I too, present at this meeting, spoke in support of the Prefect’s version. Finally, thanks to him, the Naur region was spared from violence.

автоматический перевод на русский

ГЕНЕРАЛ НАУРА – ВОСПОМИНАНИЯ АПТИ БАТАЛОВА (ЧАСТЬ I)

Введение

Апти Баталов родился 19 октября 1956 года в селе Илыч Каменского района Казахстана. Офицер полиции, в сентябре 1994 года назначен военным комендантом Наурского и Надтеречного районов, и в этой роли организовывал вооруженные формирования, предназначенные для стать одной из самых известных воинских частей чеченской армии, Наурским батальоном. Подразделение отличилось бы во многих боях, а сам Баталов стал бы по окончании конфликта одним из главных чинов чеченской армии, придя возглавить Генеральный штаб Вооруженных Сил в звании бригадного генерала. и Служба национальной безопасности.

Баталов согласился поделиться со мной своими военными воспоминаниями.

Ветры войны

20 июня 1994 года я был назначен начальником Ищерского РОВД Наурского района. Село расположено на левом берегу Терека, северо-восточная часть села граничит со Ставропольским краем, а южнее, по другую сторону реки, примерно в полутора километрах, находится село Знаменское, который в то время был штабом оппозиции. Город пересекает железная дорога, ведущая из России в Дагестан. В западной части поселка находился терминал по отгрузке нефти и насосная станция, через которую нефть отгружалась в Россию. Дорога, въезжавшая в Чечню со стороны Ставропольского края, разветвлялась на две части: одна шла на восток до Червленной и оттуда в Дагестан на севере, а другая доходила до Грозного на юге. Другая по мосту пересекла Терек, пересекла Надтеречный район и затем проникла в глубь страны. Будучи пограничным поселком и перекрестком дорог в Россию и из России, Ищерская была одним из самых оживленных мест криминала во всей Чечне — этаким криминальным перевалочным пунктом.

В конце июня 1994 г. мне позвонил начальник районной милиции Заинди Пашаев и представил присланному из Грозного окружному военачальнику. Мне сказали явиться к командиру и помочь ему в организации блокпостов вокруг Ищерской. Никаких документов, подтверждающих его позицию, он не предъявлял ни тогда, ни впоследствии. Это был мужчина лет 25-28, ростом около пяти футов, очень динамичный, быстрый в движениях и крепкий физически. Молодой человек, как я потом узнал, был зятем президента Дудаева, женившимся на дочери брата президента. Звали его Дута Музаев. Он активно брался за работу, а я следовала его указаниям, помогая во всем, что нужно было делать. Поставили два блокпоста, один на российско-чеченской границе, перед станицей Галюгаевской, другой на левом подъезде к мосту через Терек, перед Знаменским.

В те дни, пока мы строили блокпосты, на прилегающих к Чечне территориях начались массовые античеченские погромы, был убит мальчик по имени Пашаев, самозваные «казаки Курска» (на самом деле агенты ГРУ и ФСК) начали повредив дома, в которых жили чеченцы, они сожгли фермы, где содержались коровы и овцы. Нетрудно было понять, что за этими погромами и убийствами стояли силы, заинтересованные в создании хаоса и межнациональных погромов между казачьим и чеченским населением. Беженцы начали прибывать в Чечню. Тем временем российские вооруженные формирования начали проводить всевозможные провокации. Вооруженные формирования въехали на своей бронетехнике в Наурский район и под угрозой оружия провели операцию «паспортный контроль», заявив: «Вы находитесь на нашей территории, и вы – граждане России».

В первых числах августа Музаев сказал мне, что у него физически возникли проблемы с мышцами позвоночника, и что ему придется вернуться в Грозный для лечения. Он ушел и больше не вернулся. Вскоре после отъезда Музаева меня вызвал в Грозный полковник Мержуев. 16 сентября я присоединился к нему в столице, и он сообщил мне, что в связи с ухудшением обстановки на границах Ичкерии, поскольку Наурский район находится на северной окраине республики, я рекомендован Президенту принять место Военкомата в этом районе и в соседнем Надтеречном районе. Честно говоря, эта новость меня удивила и шокировала, потому что было ясно, что вот-вот разразится война между Россией и Чечней. Наурский район был самым уязвимым, находясь на границе. Выслушав Мержуева, я спросил его: неужели у вас нет на эту должность человека более опытного, чем я? Я сказал ему, что я совершенно не обучен военному делу и понятия не имею, как играть роль военного коменданта в этих районах, особенно в Надтеречном районе, который почти полностью находится под контролем оппозиции. Мержуев ответил: Расскажите обо всем этом Президенту.

Мы пошли встречать президента, который принял нас после короткой приемной. Это была моя первая встреча с Дудаевым. Он был одет в штатское, выглядел интеллигентным и серьезным. Он задал мне несколько не очень важных вопросов, после чего спросил: Вы мне рекомендованы на должность командующего округом. Ну, ты в состоянии держать его? Я надеялся, что Мержуев присоединится к разговору, но, глядя на него, понял, что он будет молчать. Я сделаю все, что потребуется, — ответил я. Дудаев больше нас не задерживал и отпустил. Перед отъездом Мержуев написал от руки приказ о назначении, сказал, что направит его префекту Наурского района Айнди Ахаеву, чтобы тот узнал о назначении и приказал своим чиновникам выполнить мои распоряжения. Я только что стал первым в истории Ичкерии областным военачальником. С этого дня моим путем стала борьба за независимость Чечни, которая в конце концов привела меня в Англию.

Военный командующий

Вернувшись в Наур, я начал мобилизовывать добровольцев для обслуживания блокпостов. На мой зов откликнулись люди: это были обычные чеченские мальчишки, простые сельскохозяйственные рабочие, но люди большого достоинства, с глубоким чувством чести. Большинство из них были безоружны, некоторые несли с собой дробовики, ножи или кинжалы. Мои частые обращения в Ставку в итоге увенчались успехом, и из Грозного мне пообещали прислать 10 автоматов АК-74. Я думал, что получу оружие из ОГБ, но Гелисханов, который в то время руководил управлением, каждый раз находил разные причины не присылать ружья, и ездил около месяца. Когда оружие, наконец, доставили, я увидел, что оно старое, изношенное, огнестрельное, у некоторых даже не хватает некоторых частей. Пришлось разбираться по-другому, поэтому я реквизировал арсенал Наурского полицейского управления. Нам удалось собрать более двадцати автоматов АК 5,45, пулемет РПК 5,45, два ПК-7,62, два гранатомета РПГ, автоматический гранатомет и снайперскую винтовку. Все это оружие я раздал милиционерам, дежурившим на блокпостах, и таким образом мы сформировали хорошо вооруженный отряд, способный противостоять вооруженной оппозиции, дислоцированной в Знаменском, и бандитам, пытавшимся проникнуть, воспользовавшись хаосом. Кроме того, я сформировал местные команды, набранные из жителей каждой деревни. Мы начали проводить сходы во всех населенных пунктах района, предоставив жителям самим назначать себе командиров. Эти импровизированные офицеры были директорами совхозов и других местных предприятий. В частности, они предоставили нам радиостанции, с помощью которых они привыкли общаться с районными властями. Человек, который специализировался на этих вещах, помог нам наладить связь, чтобы все подразделения были согласованы друг с другом.

Летом и осенью 1994 года в Чечне произошло много общественно-политических событий. Оппозиция активизировалась в районах Уруса – Мартановском, Гудермесском и Грозненском. В селе Знаменском собрались вооруженные отряды Лабазанова и Гантемирова, а казаки Наурского и Шелковского уездов выступили, направив в Ставрополь делегации с просьбой присоединить к России весь левый берег Терека. Понимая, что любая публичная демонстрация в поддержку этого предложения придаст мужества и решимости местным противникам и казакам, чтобы этого не произошло, я стал искать контакты для организации тайных встреч с лидерами чеченской и казачьей оппозиции. Бывало, я прихожу к ним домой и там за чашкой чая или водки говорю им: если хотите собраться, езжайте в Знаменское, обещаю вам, что никто из вашей семьи не будет за это наказан. Но если вы начнете двигаться из этой области, никто не будет в безопасности, даже вы. Они ответили, что не поддадутся на мои угрозы, но в итоге никто в Наурском районе не выступил против Дудаева на публичной демонстрации. Большую помощь оказал префект района Айнди Ахаев, очень храбрый человек и преданный сторонник президента Дудаева. Удачное сосуществование этих факторов, в конечном итоге, определило тот факт, что Наурский округ до конца остался верен Ичкерии!

Добавление масла в огонь

Осенью 1994 года спецслужбы противника активизировали диверсионную деятельность по всей Ичкерии. В Грозном участились теракты и разного рода провокации: русские активно стремились создать атмосферу страха, паники и хаоса по всей республике, а в ряде районов так называемая «оппозиция» со все большей уверенностью заявляла, что они не признавал центральную власть. Конечно, Наурский район также подвергся обстрелу со стороны спецслужб. В этом районе произошло несколько громких убийств, например, двое жителей Наурской, оба казачьей национальности, убиты в совхозе «Терский». Я вместе с участковым полицмейстером выехал на место преступления: убийство совершено с демонстративной жестокостью, животы жертв вскрыты, из трупов сделаны кишки. На месте преступления был прекрасно виден след, как будто специально оставленный, ведущий к дому мальчика: одежда, перепачканная кровью, резиновые сапоги с кровью на подошвах и другие улики, явно подставлявшие молодого человека .

Однако что-то было непонятно: предполагаемый преступник был физически очень слабым, психически неуравновешенным парнем 17-18 лет. Кроме того, если следы, ведущие от места, где были обнаружены тела, к его дому, были очевидны, то не было никаких следов, ведущих к месту, где были убиты эти люди. Было очевидно, что этого мальчика привел на сцену кто-то другой, чтобы использовать его в качестве козла отпущения. Когда через несколько дней я спросил начальника районной полиции, как продвигается следствие, он ответил, что из-за отказа окружного прокурора задержать подозреваемого задержанный был освобожден из-под стражи. Я был уверен, что за этим преступлением стоят российские спецслужбы, заинтересованные в том, чтобы создать раскол между казаками и чеченцами, под предлогом «геноцида» настроить первых против вторых и спровоцировать отделение северных районов от Чечни.

Позднее эти наши подозрения подтвердились фактами. Весть о зверском убийстве с невероятной скоростью разнеслась по округе, казаки собрались в Наурской и потребовали найти виновного, судить и осудить. Айни Ахаев познакомился со многими лотосами, объяснил им, кто был зачинщиком этих убийств, и казаки поняли, что российское правительство вообще не заботится о них, а заинтересовано в том, чтобы использовать их как инструменты для провоцирования межнациональной бойни. Я тоже, присутствовавший на этом собрании, высказался в поддержку версии префекта. Наконец, благодаря ему Наурский край был избавлен от насилия.

TRADUZIONE IN ITALIANO

IL GENERALE DI NAUR – MEMORIE DI APTI BATALOV (PARTE I)

Introduzione

Apti Batalov è nato ad Ilic, nel Distretto di Kamensky, il 19 Ottobre 1956. Funzionario di polizia, nel Settembre del 1994 fu nominato comandante militare dei distretti di Naur e di Nadterechny, ed in questa veste organizzò le milizie armate destinate a diventare una delle più note unità militari dell’esercito ceceno, il Battaglione Naursk. L’unità si sarebbe distinta in molte battaglie, dalla difesa di Grozny, nel 1995, alla sua riconquista, l’anno successivo, lo stesso Batalov sarebbe diventato, alla fine del conflitto, uno dei principali funzionari dell’esercito ceceno, giungendo a guidare lo Stato Maggiore delle Forze Armate col grado di Generale di Brigata.

Ho contattato Batalov di mia iniziativa, per raccogliere i suoi ricordi di guerra, e lui ha accettato di condividerle con me.

Venti di guerra

Il 20 Giugno 1994 fui nominato capo del dipartimento di polizia del villaggio di Ishcherskaya, nel Distretto di Naursk. Il villaggio è situato sulla riva sinistra del Terek, la parte nordorientale del villaggio confina con il Territorio di Stavropol mentre a Sud, dall’altra parte del fiume, a circa un chilometro e mezzo, è situato il villaggio di Znamenskoye, che all’epoca era il quartier generale dell’opposizione. Una volta Ishcherskaya era un grande insediamento cosacco, ma a quel tempo non c’erano più di dieci famiglie di cosacchi del Terek. Ishcherskaya è attraversata da una ferrovia che porta dalla Russia al Daghestan. Infine, la parte occidentale del villaggio ospitava un terminal per il carico  del petrolio ed una stazione di pompaggio, tramite la quale il greggio veniva spedito in Russia. All’altezza della cittadina, la strada che dal Territorio di Stavropol entrava in Cecenia si biforcava in due: una rotta proseguiva verso est, raggiungendo Chervlennaya e da qui proseguendo fino in Daghestan, a nord, e fino a Grozny, a sud. L’altra attraversava il Terek tramite un ponte, attraversava il Distretto di Nadterechny per poi penetrare in profondità nel Paese. Trattandosi di un insediamento di frontiera e di un crocevia di strade da e per la Russia, Ishcherskaya era uno dei posti più affollati da criminali in tutta la Cecenia: una sorta di punto di transito criminale.

Alla fine di Giugno del 1994 il capo della polizia distrettuale, Zaindi Pashaev, mi chiamò e mi presentò al comandante militare del distretto inviato da Grozny. Mi fu detto di mettermi a disposizione del Comandante e di affiancarlo nell’organizzazione di posti di blocco nei dintorni di Ishcherskaya. Egli non presentò nessun documento che confermasse la sua posizione, né allora né successivamente. Era un uomo di circa 25, 28 anni, alto circa un metro e settanta, molto dinamico, veloce nei movimenti e fisicamente forte. Un uomo giovane, che più tardi capii essere il genero del Presidente Dudaev, avendo sposato la figlia di un fratello del Presidente. Si chiamava Duta Muzaev. Egli si mise attivamente al lavoro, ed io eseguii le sue indicazioni, aiutando in tutto ciò che doveva essere fatto. Mettemmo su due posti di blocco, uno sul confine russo – ceceno, di fronte al villaggio di Galyugaevskaya, l’altro sull’accesso sinistro del ponte sul Terek, di fronte a Znamenskoye.

In quei giorni, mentre stavamo realizzando i checkpoint, nei territori limitrofi alla Cecenia iniziarono pogrom anti – ceceni di massa, un  ragazzo di nome Pashaev fu ucciso, sedicenti “Cosacchi di Kursk” (in realtà agenti del GRU e dell’FSK) iniziarono a danneggiare le case dove vivevano i ceceni, bruciarono le fattorie dove venivano tenute mucche e pecore. Non era difficile capire che dietro a questi pogrom e omicidi c’erano forze interessate a creare caos e massacri interetnici tra la popolazione cosacca e quella cecena. I rifugiati iniziarono ad affluire in Cecenia. Nel frattempo reparti armati russi iniziarono a compiere ogni tipo di provocazione. Unità armate penetrarono sui loro veicoli blindati nel Distretto di Naur e, sotto minaccia armata, portarono avanti operazioni di “controllo passaporti” dichiarando: “Siete nel nostro territorio, e siete cittadini russi”.

Nei primi giorni di Agosto Muzaev mi disse che aveva avuto un problema fisico ai muscoli della spina dorsale, e che avrebbe dovuto tornare a Grozny per curarsi. Se ne andò, e non tornò più. Poco dopo la partenza di Muzaev, venni convocato a Grozny dal Colonnello Merzhuyev. Il 16 Settembre lo raggiunsi nella capitale e questi mi informò che a causa dell’aggravarsi della situazione ai confini di Ichkeria, essendo il Distretto di Naursk posto al limite settentrionale della Repubblica, ero stato raccomandato al Presidente per prendere il posto di Comandante Militare in quel distretto, e nel vicino distretto di Nadterechny. Ad essere onesti questa notizia mi sorprese, e mi sconvolse, perché era chiaro che tra Russia e Cecenia stesse per scoppiare una guerra. La regione di Naur era il più vulnerabile, essendo al confine. Dopo aver ascoltato Merzhuyev, gli chiesi: Davvero non avete una persone più esperta di me per questa posizione? Gli dissi che non ero assolutamente preparato negli affari militari, e che non avevo idea di come svolgere il ruolo di comandante militare in queste regioni, specialmente nel Distretto di Nadterechny, quasi totalmente sotto il controllo dell’opposizione. Merzhuyev mi rispose: Di’ tutto questo al Presidente. Andammo a colloquio dal Presidente, il quale ci ricevette dopo una breve anticamera. Fu il mio primo incontro con Dudaev. Era vestito in abiti civili, e si mostrò intelligente e serio. Mi fece alcune domande non molto importanti, dopo di che mi chiese: Mi sei stato raccomandato per la posizione di Comandante di Distretto. Bene, sei in grado di tenerla? Speravo che Merzhuyev si unisse alla conversazione, ma guardandolo realizzai che sarebbe rimasto in silenzio. Farò tutto ciò che serve, risposi. Dudaev non ci trattenne oltre, e ci congedò. Prima di uscire, Merzhuyev scrisse a mano un ordine di nomina, disse che lo avrebbe inviato al Prefetto del Distretto di Naur, Zayndi Akhaev, in modo tale che questi venisse a conoscenza della nomina e ordinasse ai suoi funzionari di eseguire i miei ordini. Ero appena diventato il primo comandante militare regionale della Storia di Ichkeria. Da quel giorno la mia strada fu la lotta per l’indipendenza della Cecenia, la quale, alla fine, mi ha portato in Inghilterra.

Comandante Militare

Tornato a Naur, inziai a mobilitare volontari per il servizio ai checkpoint. Le persone risposero alla mia chiamata: si trattava di ragazzi ceceni ordinari, semplici lavoratori agricoli, eppure erano persone di grande dignità, e con un profondo senso dell’onore. Erano quasi tutti disarmati, qualcuno portò con sé fucili da caccia, coltellacci o pugnali. I miei frequenti appelli al Quartier Generale furono infine coronati dal successo, e da Grozny mi promisero che avrebbero inviato 10 armi da fuoco AK – 74. Pensavo che avrei avuto le armi dal Dipartimento per la Sicurezza dello Stato, ma Geliskhanov, che a quel tempo guidava il dipartimento, trovava ogni volta una ragione diversa per non inviare la armi, e tirò avanti la cosa per circa un mese. Quando poi le armi, finalmente, furono consegnate, vidi che erano vecchie, logore, armi da fuoco, alcune mancanti addirittura di alcune parti. Dovetti risolvere la cosa in altro modo, così requisii l’armeria del Dipartimento di Polizia di Naur. Riuscimmo a raccogliere così più di venti fucili d’assalto AK 5.45, una mitragliatrice RPK 5.45, due PK – 7.62, due lanciagranate RPG un lanciagranate automatico ed un fucile da cecchino. Distibuii  tutte queste armi tra gli uomini della milizia in servizio ai Checkpoint, e così mettemmo su una forza ben armata, in grado di contrastare l’opposizione armata schierata a Znamenskoye ed i banditi che tentavano di penetrare approfittandosi del caos. Oltre a questo, costituii squadre locali reclutate dai residenti di ogni villaggio. Iniziammo a tenere raduni in tutti gli insediamenti della regione, lasciando ai residenti il compito di nominare i propri comandanti. Questi ufficiali improvvisati erano i direttori delle fattorie agricole di stato e di altre imprese locali. Ci fornirono in particolare le stazioni radio con le quali erano abituati a comunicare con le autorità del distretto. Una persona specializzata in queste cose ci aiutò a stabilite le comunicazioni, in modo tale che tutte le unità fossero coordinate tra loro.

L’estate e l’autunno del 1994 in Cecenia hanno visto molti eventi sociali e politici. L’Opposizione è diventata più attiva nei distretti di Urus – Martan, Gudermes e Grozny. Nel villaggio di Znamenskoye i gruppi armati di Labazanov e di Gantemirov si radunavano, mentre i cosacchi dei distretti di Naur e di Shelkov si attivarono, inviando delegazioni a Stavropol le quali chiedevano di annettere alla Russia tutta la riva sinistra del Terek. Comprendendo che qualsiasi manifestazione pubblica a supporto di questa proposta avrebbe dato coraggio e determinazione agli oppositori locali ed ai cosacchi, per evitare che ciò avvenisse ho iniziato a cercare contatti per organizzare incontri segreti con i capi dell’opposizione cecena e cosacca. Solitamente mi recavo a casa loro e là, davanti ad una tazza di te o a una vodka, dicevo loro: Se volete radunarvi, andate a Znamenskoye, ti prometto che nessuno della tua famiglia sarà punito per questo. Ma se iniziate a muovervi da quella zona, nessuno sarà in salvo, nemmeno tu. Loro rispondevano che non avrebbero ceduto alle mie minacce, ma alla fine nessuno, nel Distretto di Naur, si pronunciò contro Dudaev in una manifestazione pubblica. Un grosso aiuto mi arrivò dal Prefetto del distretto, Aindi Akhaev, che era un uomo davvero coraggioso ed un sostenitore devoto del Presidente Dudaev. La fortunata compresenza di questi fattori, alla fine, determinò il fatto che il Distretto di Naur rimase fedele ad Ichkeria fino alla fine!