Archivi tag: Cecenia

Assalto al Palazzo Presidenziale – Estratto da “Libertà o Morte! Volume II”

Quello che sarebbe passato alla storia come il “fiasco di Capodanno” fu un disastro per Grachev e un trionfo di Dudaev. Ma soprattutto fu il mito fondativo della resistenza.  Più tardi, alla fine della guerra, il governo indipendentista avrebbe istituito un ordine di medaglie dedicato a coloro che avevano combattuto in quei giorni, l’Ordine del Difensore di Grozny[1]. Mentre i ceceni vivevano la loro prima giornata di gloria, a Mosca Grachev iniziava a prendere coscienza di aver fatto fare ad Eltsin una figuraccia planetaria. Davanti alle telecamere il Ministro della Difesa rimase apparentemente ottimista, al punto da dichiarare che l’operazione era stata un sostanziale successo[2]. Non poteva esserci niente di più falso, e lo sapeva bene, perché ancora il 2 gennaio i russi erano impegnati a salvare i loro reparti rimasti assediati in città, e niente faceva pensare ad una risoluzione veloce della battaglia[3]. Se non altro, comunque, la disfatta costrinse il comando russo a cambiare tattica, a cominciare dall’organigramma delle forze in campo. La responsabilità del fallimento venne addossata ai comandanti sul campo, che vennero in gran parte sostituiti, mentre il Gruppo d’Assalto Nord e Nord – Est vennero fusi in un solo Gruppo d’Assalto Nord al comando del Generale Rochlin, l’unico che avesse salvato la faccia in quell’operazione così maldestramente condotta. Le colonne federali furono riorganizzate in piccoli reparti appoggiati da carri armati ed elicotteri, dotate di maggiore mobilità e più prudenti nell’avanzare verso il centro cittadino. Abbandonata l’idea di un rapido blitz vittorioso, il comando del Raggruppamento delle Forze Unite tornò coi piedi per terra, e prima di tutto si occupò di salvare le unità ancora assediate nel centro cittadino. I rinforzi richiamati da tutti i distretti militari poco prima dell’assalto furono inviati a consolidare le posizioni faticosamente conquistate: nel corso dei primi giorni di Gennaio le unità federali riuscirono a tenere una precaria linea del fronte che dall’ospedale, a Nord, correva fino alla stazione ferroviaria, lambendo la piazza del mercato centrale cittadino. I mezzi corazzati rimasti operativi furono frettolosamente ritirati dalla zona di combattimento e disposti a supporto della fanteria, la quale da quel momento in poi avrebbe avanzato casa per casa. Nessuna azione offensiva fu intrapresa prima che artiglieria ed aeronautica avessero annichilito le posizioni (probabili o effettive) dalle quali i cecchini ed i tiratori di RPG nemici avrebbero potuto colpire. La strategia cambiò radicalmente: anziché puntare tutti verso il centro, i reparti federali avrebbero conquistato i distretti uno ad uno, aprendosi la strada lentamente.

. Il 4 gennaio, dopo 48 ore di incessante bombardamento, l’attacco alla città riprese ed i reparti federali tentarono di sfondare il fronte lungo tutto l’arco compreso tra la stazione ferroviaria (ovest) l’ospedale (nord) e la base di Khankala (est). I bombardamenti si concentrarono sui quartieri residenziali nel centro cittadino, ancora occupati dai dudaeviti. La tragedia umanitaria che l’attacco stava generando ne fu ulteriormente amplificata, e la pressione mediatica su Eltsin cominciò a farsi forte, al punto che questi decise di sospendere i bombardamenti dal 5 Gennaio. Intanto continuavano ad affluire rinforzi dalle basi navali del Baltico e del Pacifico, e numerosi reggimenti di fanteria di marina prendevano posizione nelle retrovie, mentre i difensori schieravano unità fresche, come gli uomini del Battaglione Naursk, i quali erano riusciti a calare dal nord del Paese tra il 3 ed il 4 Gennaio[4]. Tra il 5 ed il 10 gennaio i combattimenti si svilupparono lungo tutta la linea del fronte, fino al bombardamento da parte dell’artiglieria russa di un ospedale psichiatrico dove sembrava che fosse presente un nucleo di combattenti indipendentisti. Il bombardamento provocò lo sdegno della comunità internazionale e mise in imbarazzo Eltsin, che propose pubblicamente una “tregua umanitaria” per permettere lo sfollamento dei civili rimasti in città. Il 9 sembrò che le parti fossero riuscite ad accordarsi per un cessate – il – fuoco di 48 ore, durante il quale poter raccogliere morti e feriti e scambiarsi i prigionieri. 13 Prigionieri russi in mano cecena vennero restituiti alle autorità federali, mentre i dudaeviti approfittavano della tregua per far affluire in città nuovo equipaggiamento. Tuttavia, come le telecamere si furono allontanate, Eltsin rimpiazzò la sua tregua con un “ultimatum” per il disarmo delle milizie, e già dalle prime ore del 10 gennaio l’artiglieria russa ricominciò a bombardare la città[5]. Il Gruppo di Battaglia Est, ribattezzato Gruppo di Battaglia Sud – Est, ebbe l’incarico di chiudere il braccio destro della tenaglia occupando i quartieri meridionali, con l’obiettivo di completare l’accerchiamento e mettere Grozny sotto assedio.

Nel frattempo le unità dispiegate in città avanzavano lentamente, casa per casa dirette verso il quartiere governativo. I centri nevralgici della difesa cecena in quel settore erano costituiti dall’edificio del Parlamento (ex Consiglio dei Ministri della RSSA Ceceno – Inguscia, il cosiddetto “SovMin”) dal Palazzo Presidenziale, dall’istituto pedagogico[6] e dall’Hotel Kavkaz. Il quartiere era protetto ad est dal Sunzha, mentre a sud era coperto dalla imponente struttura del circo cittadino, che gli indipendentisti utilizzavano come una sorta di bunker. L’unico modo per approcciare le posizioni cecene senza rischiare di finire in trappola era avanzando da Nord. Questo accesso era protetto dall’Istituto Petrolifero di Grozny, un imponente complesso di tre palazzi al centro del quale svettava un corpo centrale di dodici piani, soprannominato “Candela”[7]. Il 7 Gennaio elementi del 45° Reggimento Aviotrasportato, giunti da pochi giorni in supporto alle unità di prima linea, assaltarono l’edificio. La battaglia infuriò a fasi alterne per tre giorni, durante i quali l’edificio fu preso, poi riperso, poi ripreso nuovamente. Consapevoli che la perdita dell’Istituto Petrolifero avrebbe aperto la strada ai federali per la conquista dell’intero quartiere, gli indipendentisti reagirono rabbiosamente, alternando contrattacchi in massa a fitti bombardamenti con i mortai. Fu in uno di questi bombardamenti che perse la vita il primo di numerosi alti ufficiali russi caduti in questa guerra. Centrato da un colpo di mortaio cadde il Generale Viktor Vorobyov (omonimo del già citato Edvard Vorobyov) mentre, al comando di un’unità OMON del Ministero degli Interni, si apprestava a costituire un posto di blocco dietro al grande edificio principale. Dopo essersi assicurati il controllo delle rovine dell’Istituto Petrolifero i federali arrestarono l’avanzata, lasciando spazio ad un imponente bombardamento aereo e di artiglieria non soltanto sulla guarnigione a difesa della città, ma lungo tutto il fronte, comprese le retrovie a Sud e sui centri montani del paese. 

artiglieria federale in azione

I difensori si trincerarono all’interno dei fatiscenti edifici del quartiere governativo, supportati da contingenti provenienti dall’altra sponda del Sunzha che all’occorrenza intervenivano a bloccare gli sporadici attacchi dell’esercito federale[8]. La sera del 12 gennaio il Generale Rochlin, ordinò l’assalto al Sovmin[9]. Nella notte un reparto di paracadutisti della 98a Divisione Aviotrasportata riuscì a raggiungere la base dell’edificio. La struttura era stata pesantemente bombardata, e per i ceceni era stato quasi impossibile rifornire le unità a difesa dell’edificio nelle 48 ore precedenti. Alle 5:30 del mattino gli attaccanti assaltarono il palazzo, ma i ceceni asserragliati ai piani superiori reagirono prontamente, riuscendo a bloccare l’assalto e provocando tra i paracadutisti numerosi morti e feriti. Nel frattempo Maskhadov richiamava da Sud tutte le forze disponibili per respingere l’attacco: qualora il Sovmin fosse caduto, il Palazzo Presidenziale avrebbe potuto essere colpito direttamente, e non sarebbe stato più possibile rifornire la guarnigione che vi era asserragliata[10]. Dall’edificio, infatti, era possibile tenere sotto tiro il grande ponte sul Sunzha che collegava il Quartier Generale alla parte orientale di Grozny.

Nella tarda mattinata del 13 i paracadutisti russi iniziarono ad essere supportati da consistenti reparti corazzati, affiancati dalla fanteria ordinaria e dai fanti di marina del 33° reggimento, appena giunto sul campo di battaglia. Le unità raccolte da Basayev in Piazza Minutka ed inviate di rinforzo verso il Palazzo Presidenziale tentarono inutilmente di sloggiare i federali, lanciando violenti attacchi fino al 19 Gennaio, in uno scontro casa per casa e stanza per stanza senza esclusione di colpi[11].  Nel corso dei giorni, tuttavia, le controffensive cecene si esaurirono, man mano che i reparti federali assalivano gli edifici circostanti il Sovmin, come l’Ispettorato di Polizia Fiscale, subito ad est dell’edificio, aumentando così la copertura delle unità poste alla sua difesa[12]. I federali riuscirono ad aver ragione dei contrattacchi dei ceceni soltanto dopo alcuni giorni di intensi combattimenti. Il 19 gennaio, fallita l’ultima controffensiva cecena, Rochlin potè dichiarare di aver preso il Sovmin. Da questa posizione i russi potevano facilmente assediare il Palazzo Presidenziale. Nel corso dei giorni precedenti questo era stato colpito incessantemente dall’artiglieria e dall’aeronautica, al ritmo di un colpo al secondo, e due potenti bombe a detonazione ritardata erano penetrate fin nei sotterranei dell’edificio, dove si trovavano i centri di comunicazione, il comando e l’ospedale da campo, sventrando il palazzo.  A complicare ulteriormente la posizione dei difensori occorse, all’alba del 19, la conquista dell’Hotel Kavkaz e la cattura del vicino ponte sul Sunzha. I pochi reparti della Guardia Presidenziale ancora operativi, asserragliati tra le imponenti rovine del Reskom, non avrebbero potuto resistere a lungo. Già alcuni giorni prima la squadra speciale della Guardia (i cosiddetti “Leoni di Dudaev”), al comando di Apti Takhaev, era stata distrutta in un contrattacco nel distretto di Boronovka, a nordovest del Quartier Generale[13]. Se voleva salvare i resti delle sue forze d’élite, Maskhadov avrebbe dovuto tirarle fuori da quella che stava diventando ogni giorno di più una bara di cemento. Così il comandante ceceno. che non aveva mai abbandonato la posizione, si decise ad andarsene sfruttando l’ultimo corridoio aperto in mezzo alle unità federali. Basayev coordinò efficacemente il ritiro della maggior parte dei reparti combattenti sulla sponda destra del Sunzha, organizzando una solida linea di difesa[14]. Il giorno successivo i soldati di Eltsin innalzarono sul pennone la bandiera russa[15]. La presa del Palazzo fu poco più che un successo politico. Per prenderlo i russi avevano sacrificato più di un migliaio di uomini, centinaia di mezzi corazzati, sparato decine di migliaia di proiettili d’artiglieria ed impiegato una marea di aerei ed elicotteri. E alla fine, a dirla tutta, lo avevano preso perché erano stati i ceceni ad abbandonarlo. La battaglia per la presa della sponda occidentale del Sunzha aveva richiesto l’impiego di quasi la totalità delle forze federali, dando il tempo a Dudaev di organizzare una solida linea a sud della capitale.

truppe russe nei pressi delle rovine del Palazzo Presidenziale

Il Presidente ceceno si ritirò senza fretta a Shali, dove pose la capitale provvisoria della Repubblica. In città rimase Basayev, ormai divenuto una leggenda vivente, con l’ordine di rallentare i federali quanto più possibile. Maskhadov si ritirò ad Argun, ponendovi il suo Quartier Generale[16]. A Mosca, la notizia della cattura del Palazzo Presidenziale fu accolta con grande ottimismo: Eltsin tenne un discorso pubblico nel quale associò la presa del Palazzo Presidenziale alla imminente cessazione delle ostilità. La realtà era ben diversa: l’esercito federale era riuscito a prendere a malapena un terzo della città, giacché il grosso di Grozny si estende oltre la sponda orientale del fiume. E dall’altra parte c’era Basayev, con una nutrita guarnigione di almeno 1.500 uomini (cui si aggiungevano altre centinaia di volontari) deciso a tirare avanti la difesa della città il tempo necessario a far sì che Maskhadov potesse completare il dispiegamento del fronte meridionale. Il successo di cui parlava Eltsin (costato comunque tra i 500 e i 1000 morti e tra i 1.500 ed i 5.000 feriti) non era sufficiente neanche a dichiarare di aver preso Grozny, tantomeno di aver prodotto la cessazione delle ostilità. La maggior parte del territorio ceceno rimaneva saldamente nelle mani degli indipendentisti, e la vittoria sul campo era ancora ben lontana da venire[17].


[1] Il lettore che volesse approfondire il tema dei premi di stato della ChRI può consultare la sezione Premi della Repubblica sul sito www.ichkeria.net.

[2] Il 2 Gennaio, Grachev dichiarò alla stampa che l’operazione per la presa della città si sarebbe conclusa in non più di cinque, sei giorni. Il 9 Gennaio, quando ormai era chiaro che le sue ottimistiche previsioni non stavano trovando riscontro nella realtà sul campo, parlando ad una conferenza stampa ad Alma – Ata, il Ministro della Difesa ebbe a dichiarare che L’operazione per prendere la città era stata preparata in tempi molto brevi, ed è stata eseguita con perdite minime […] E le perdite, voglio dirvelo francamente, si sono verificate solo perché una parte dei comandanti di grado inferiore ha vacillato. Si aspettavano una vittoria facile e poi, semplicemente, avevano ceduto sotto pressione […]. Un cambio di prospettiva apparentemente minimo, ma che rivelava la presa d’atto che il blitz fosse fallito, e che la conquista della città avrebbe richiesto tempi e sforzi molto maggiori.

[3] Come ebbe a dire successivamente il Generale Rokhlin, che da questo momento in poi avrebbe avuto l’onere principale nella conquista di Grozny: Il piano operativo, sviluppato da Grachev e da Kvashnin, divenne di fatto un piano per la morte delle truppe. Oggi posso dire con assoluta certezza che questo non fu suffragato da alcun calcolo operativo – tattico. Un piano del genere ha un nome molto preciso: una scommessa. E considerando che come risultato della sua attuazione sono morte centinaia di persone, fu un gioco d’azzardo criminale.

[4] Secondo quanto riportatomi da Apti Batalov in una delle nostre conversazioni, il Battaglione, forte di 97 uomini, raggiunse prima Gudermes, dove fu accolto dal Prefetto locale Salman Raduev e sistemato nella Casa dei Ferrovieri, poi si diresse verso il Palazzo Presidenziale, sfruttando la tregua appena dichiarata, e raggiungendo la posizione nella tarda serata del 5.

[5] Secondo quanto ricordò Aslan Maskhadov nel suo libro elettorale L’Onore è più caro della vita: Una volta, nel Gennaio 1995, Dudaev mi disse di essere d’accordo con Chernomyrdin di cessare le ostilità per 48 ore. “Prendi contatto con Babichev” mi disse “e concorda sulla rimozione dei cadaveri ed il salvataggio dei feriti gravi”. Contattai Babichev e gli ripetei che questa era la volontà di Dudaev e di Chernomyrdin. Babichev mi disse che mi avrebbe ricontattato entro 30 minuti. Poi mi chiamò e abbastanza seriamente, con la voce di un presentatore televisivo, disse: “Le condizioni sono le seguenti. Una bandiera bianca viene appesa al Palazzo Presidenziale, i capispalla vengono rimossi, le armi non vengono portate con voi, uscite con le mani alzate e dirigetevi verso Via Rosa Luxembourg…” Ho ascoltato con difficoltà queste chiacchiere, come i deliri di un pazzo, e moto educatamente l’ho mandato dove di solito ti mandano i contadini russi. A quanto pare neanche Babichev gradì la mia risposta, ed il fuoco più intenso di tutte le armi fu aperto sul Palazzo Presidenziale.

[6] In questo edificio, secondo quanto riportatomi da Apti Batalov, si era asserragliato il Battaglione Naursk. Secondo i suoi ricordi, i suoi uomini tennero la posizione fino al 19 Gennaio.

[7] L’Istituto Petrolifero di Grozny era una vera e propria istituzione non soltanto in Cecenia, ma in tutta la Russia. Fondato nel 1920, era stato per decenni il punto di riferimento negli studi tecnici relativi all’estrazione ed alla produzione di idrocarburi. Presso le sue strutture si erano formati circa cinquantamila studenti, tra i quali illustri personaggi politici dell’URSS. La costruzione, alta e massiccia, fu utilizzata dai indipendentisti per difendere da posizione favorevole il quartiere governativo, e la sua cattura avrebbe provvisto i federali di un’ottima posizione di osservazione e di tiro sulle difese cecene. Per questo motivo il complesso fu al centro degli scontri per la presa della città, finendo completamente distrutto prima dai bombardamenti, poi dai violenti scontri combattutisi al suo interno.

[8] Un episodio degno di nota esplicativo della situazione strategica al 10 Gennaio 1995 è riportato da Dodge Billignsley nel suo Fangs of the lone wolf. Il 10 Gennaio i reparti avanzati federali occupavano l’edificio del Servizio di Sicurezza Nazionale (ex KGB) e sparavano dalla piazza del mercato direttamente contro il Reskom (nome originale del Palazzo Presidenziale). Altri mezzi corazzati stazionavano nei pressi dell’Hotel Kavkaz, a pochi metri dal principale ponte sul Sunzha (il ponte su Via Lenin, oggi Putin Avenue), coprendo l’avanzata della fanteria che stava tentando di occupare l’edificio. Al di là del ponte si trovava un drappello di indipendentisti intenzionato a portare supporto a Maskhadov, attaccando i carri appostati all’Hotel Kavkaz. Il piccolo reparto si divise in due: metà avrebbe continuato ad occupare la posizione, l’altra metà avrebbe attraversato il fiume a nuoto, avrebbe attaccato i carri e si sarebbe nuovamente ritirata. L’azione ebbe successo, uno dei due veicoli fu colpito dagli RPG e saltò in aria, mentre l’altro si ritirò velocemente al coperto. In questo modo l’azione offensiva russa subì un certo rallentamento, costringendo i federali a tenersi alla larga dagli argini del fiume onde evitare di finire nuovamente sotto attacco da parte degli incursori ceceni. Azioni di questo tipo si susseguirono fino al 18 Gennaio quando, caduto il Sovmin, la difesa del Palazzo Presidenziale perse di senso strategico e gli indipendentisti si ritirarono al di là del fiume.

[9] Lo spettacolo che i russi si trovarono davanti quando giunsero ai piedi dell’edificio fu straziante, secondo quanto riporta lo stesso Rochlin: “Alla vigilia dell’assalto i militanti avevano appeso i cadaveri dei nostri soldati alle finestre […] Nei primi giorni dell’assalto scoprimmo una fossa comune piena di paracadutisti, i cui cadaveri erano stati decapitati. Successivamente trovarono cadaveri dei nostri soldati con lo stomaco strappato, pieno di paglia, con le membra recise e tracce di altre profanazioni. I dottori, esaminando i cadaveri, hanno affermato che stavano martoriando persone ancora vive.”

[10] Come abbiamo detto il Palazzo Presidenziale non era soltanto un edificio simbolico per gli indipendentisti. Nel bunker al di sotto dell’imponente struttura si trovava il Quartier Generale ceceno, e da lì Maskhadov diramava gli ordini alle unità che difendevano il quartiere governativo.

[11] Lo scontro assunse caratteri di inaudita ferocia, tale da far saltare i nervi ai soldati. Il  Tenente Colonnello Victor Pavlov, Vicecomandante del 33° Reggimento Fanti di Marina, scrisse nelle sue memorie: Il personale del gruppo d’assalto, che teneva la difesa del Consiglio dei Ministri […]si è rivolto al comandante del gruppo, Maggiore Cherevashenko, chiedendo di poter lasciare la posizione […] con enormi sforzi Cherevashenko riuscì a impedirlo […] i soldati giacevano negli scantinati del Consiglio dei Ministri, non mangiavano né bevevano, si rifiutavano persino di portar fuori i loro compagni feriti. Ci sono stati casi di esaurimento psicologico tra i soldati. Quindi il soldato G. […] ha dichiarato che non poteva più tollerare una situazione del genere ed ha minacciato di sparare a tutti […].

[12] Il 16 Gennaio, alle ore 5:20, i canali radio registrarono una conversazione tra Ruslan Gelayev (in codice “Angel  – 1”) e Maskhadov (in codice “Ciclone”). In essa il Capo di Stato Maggiore ceceno confessava all’altro di aver appena assistito alla prima battaglia perduta.

[13] Le circostanze della morte di Apti Takhaev mi sono stare riportate dall’attuale Segretario di Stato della ChRI, Abdullah Ortakhanov.

[14] Secondo quanto riferitomi da Ilyas Akhmadov, il ritiro delle forze cecene sulla sponda destra del fiume fu anche frutto di un “effetto domino” determinato dalla peculiare organizzazione delle forze combattenti: Il tempismo della nostra ritirata da una sponda all’altra del Sunzha è stato in parte non intenzionale. Avremmo potuto resistere ancora un po’. C’erano molti gruppi diversi che correvano sparando a qualsiasi nemico potessero vedere. Alcune di queste unità non provenivano dalla città ed erano venute a combattere per 3-4 giorni, per poi ritirarsi nelle loro case e riposare una settimana nel loro villaggio. Quando un’unità schierata stabilmente in città chiedeva dove stavano andando, era imbarazzante dire “stiamo andando a casa”, quindi i volontari rispondevano: “abbiamo un ordine di Maskhadov di ritirarci”. Senza alcun modo per verificarlo e senza motivo di dubitare della loro spiegazione, anche l’altra unità si ritirava attraverso il Sunzha. Questo ha accelerato il passaggio sull’altra sponda.

[15] Non si sa se per coincidenza o per scelta, la squadra che salì sul tetto del Palazzo Presidenziale per issarvi il tricolore russo apparteneva al 33° Reggimento Motorizzato, la stessa unità che aveva issato la bandiera rossa sulle rovine del Reichstag alla fine della Battaglia di Berlino.

[16] Là lo raggiunse un giovane laureato in Scienze Politiche, che per qualche tempo aveva servito al Ministero degli Esteri, e che ora si metteva a disposizione della resistenza armata: Ilyas Akhmadov. Di lui parleremo approfonditamente più avanti e nei prossimi volumi di quest’opera.

[17] Per visualizzare la Battaglia di Grozny, vedi la carta tematica E.

“The Future of the North Caucasus” – Francesco Benedetti at the European Parliament

Last November 8th Francesco Benedetti was called to speak at the conference “The Future of the Northern Caucasus”, organized by the MEP Anna Fotyga. Below we report his speech, filmed by @INEWS cameras

The speeches of all the conference participants are available on the INEWS YouTube channel (https://www.youtube.com/@INEWSI ) and on the website https://www.caucasusfree.com

English Transcription of the speech

Good evening to all present

Thank you, Minister.

Over the past decade, a series of political and military crises have crossed the world. Visualizing them on the map, we can identify a “line of friction” that starting from Finland runs from North to South through Eastern Europe, reaches the Caucasus, crosses the Middle East and then wedges into Africa, cutting it from East to West. If the hot spots on this front are currently Ukraine, Nagorno Karabakh, Syria and Palestine, no less concern is aroused by its secondary segments, such as the Russian Federation, Belarus, Georgia, Iraq, Libya and the West African Republics. The Caucasus is one of the pieces of this front.

The war unleashed by Putin in February 2022 against Ukraine has exposed the Russian Federation to the risk of a collapse. This would give the North Caucasus republics an opportunity to reassess their position in a regional association along the lines of the North Caucasus Mountain Republic. Similar projects, after all, were theorized as early as the late 1980s and early 1990s, notably by Dzhokhar Dudaev and Zviad Gamsakhurdia, and with them a vast movement of opinion that had animated debates, discussions, and projects. I can try to make a modest contribution by bringing to your attention my own experience as a citizen of a member state of a supranational union, at whose main institution, the European Parliament, we find ourselves right now.

European Union has been established, given itself a Parliament, created legislative, governing and supervisory bodies, procedures and regulations of all kinds, social, economic and cultural projects of the highest order. However, at this very moment, when a solid and strong Europe, capable of influencing the course of world events and protecting the interests of European citizens would be needed more than ever, the Union is revealing some difficulties.

Personally, I believe that the problem lies mainly in the fact that even today, seventy-four years after the establishment of the Council of Europe, the European Union does not have a “Mission.” European citizens feel part of a larger community than that of the nation to which they belong, but they do not know how to recognize its “depth,” so they call themselves first “French” “Spanish” “German,” then “European.” Precisely from this problem I try to translate the discussion to the North Caucasus.

A union of North – Caucasian republics can be a viable curb on the imperial pretensions of neighboring powers, and Russia in particular. Moreover, it could grant the republics that would compose it greater specific weight in international fora, and start a process of building a Caucasian identity that, as an outside observer, I trace already exists in a rather pronounced way. A defensive purpose, however, cannot be a sufficient “mission.”

I believe that the project of a unification of the North Caucasus, fascinating and potentially successful in itself, must be accompanied by deep reflection regarding what its “mission” in history should be. If until a few decades ago new states arose out of opportunity, embodying the national ambitions of peoples, today we are witnessing the emergence of new states out of necessity. The end of the U.S.-led unipolar world, the rise of new world powers, and the agglomeration of economic power and demographic weight makes the “small homelands” so irrelevant that they are forced to consort if they want to avoid becoming pawns in the great international power games.

What need, then, should guide the creation of a Confederation of the Peoples of the North Caucasus? What historical mission should it set itself? What added value should it bring to the Caucasian community, and to the human community at large? On what distinctive features should it be articulated? To put it even more simply: how will a citizen of Dzhokhar, Magas, or Machackala feel honored to be a Citizen of the Caucasus? I believe that the ability of the peoples of the North Caucasus to erect a solid institution, capable of guaranteeing them a future of freedom and prosperity, will depend on the attention paid to these questions.

My time is up, thank you for your attention.

GAZA COME GROZNY: L’IMPERIALISMO HA UN SOLO VOLTO

Leggere sui giornali i tragici fatti di sangue che stanno avvenendo in Palestina è come assistere al remake di un film che l’umanità ha già visto molte volte, lungo quella terribile scia di sangue che è la storia dell’imperialismo. Chi conosce la storia recente della Cecenia non potrà non individuare le analogie tra la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ichkeria nel 1999 e quella scatenata da Israele contro la Palestina pochi giorni fa. Genesi e sviluppo di entrambi questi prodotti dell’imperialismo sembrano essere quasi sovrapponibili.

La Cecenia è incuneata nella Federazione Russa, e possiede un solo confine alternativo, con la Georgia, attraverso un ripido passo di montagna

Partiamo della geografia. La Striscia di Gaza confina per due parti con lo Stato di Israele, per un altro col Mar Mediterraneo ed infine con l’Egitto, tramite il varco di Rafah. Come sappiamo, Israele ha bloccato sia i confini terrestri che quello marittimo, costringendo Gaza in un assedio di fatto tramite il quale Tel Aviv mantiene letteralmente il diritto di vita e di morte sui due milioni e mezzo di palestinesi che vi abitano. Anche la Cecenia del 1999 era nella stessa situazione: circondata da tre lati su quattro dalla Federazione Russa, poteva contare soltanto su una precaria strada di montagna, l’autostrada Itum Khale – Shatili, per eludere il blocco economico cui Mosca aveva sottoposto il paese fin dal 1997.

Da un punto di vista politico La Striscia di Gaza dovrebbe far parte di uno stato palestinese indipendente, riconosciuto da Israele e dall’ONU, ma ancora oggi il governo di Tel Aviv (Secondo gli israeliani ed i loro protettori americani, Gerusalemme) non ha compiuto alcun passo in questo senso, preferendo considerare quel territorio una sorta di “terra di nessuno” da amministrare con periodiche incursioni militari di “pacificazione”. Anche la Cecenia del ’99 viveva in uno stato “sospeso” simile a quello di Gaza. La Federazione Russa, che pure aveva firmato con il governo ceceno un Trattato di Pace, non aveva mai ratificato l’indipendenza del paese, e si ostinava a considerarlo un soggetto della federazione, minacciando di gravi ritorsioni qualsiasi governo ponesse in essere una procedura di riconoscimento dell’indipendenza di Ichkeria.

Gaza è incuneata nello Stato di Israele, e possiede un solo confine alternativo, con l’Egitto, tramite il valico di Rafah

Dal 2008 la Striscia di Gaza è governata di fatto da Hamas. Si tratta di un partito estremista, responsabile di numerose azioni terroristiche già prima dell’Ottobre 2023, e considerato organizzazione terroristica dalla maggior parte dei paesi occidentali. Il suo potere si fonda essenzialmente sulla disperazione nella quale Israele tiene artificialmente la popolazione palestinese, costretta a vivere in uno stato di grave sovraffollamento, con un reddito inferiore di circa 75 volte a quello dei cittadini israeliani, costretta a razionare acqua, cibo, medicine ed energia elettrica ed a pregare gli occupanti israeliani per poter uscire da quel “grande ghetto” che è la Striscia. Una situazione molto simile a quella che si sperimentava nella Cecenia del ’99, quando il debole governo Maskhadov, democraticamente eletto, operava sotto il ricatto di milizie armate di orientamento islamista, senza poter contrapporre al bellicismo dei signori della guerra le politiche sociali necessarie a risollevare le sorti della popolazione ed allontanarle dalle lusinghe dei più radicali. Anche in questo caso l’invasore di turno, la Russia, non erogando le riparazioni di guerra per ripristinare l’economia che essa stessa aveva devastato con l’invasione del 1994 – 1996, ritardando o bloccando il pagamento delle pensioni e delle indennità ai cittadini ceceni e, come nel caso di Gaza, rendendo il paese dipendente dalle forniture di energia elettrica, fomentava una popolazione ridotta alla miseria, spingendola tra le braccia del fondamentalismo.

Esattamente come successo ad Ottobre 2023 a Gaza, nell’Agosto del 1999 un piccolo esercito di guastatori, guidato dal comandante di campo ceceno Shamil Basayev, compì un raid in profondità nel Daghestan, con l’intenzione di promuovere una sollevazione generale contro il potere russo ed instaurare un emirato islamico. In questo caso gli obiettivi sono leggermente diversi (Hamas ha dichiarato che l’azione era volta unicamente a colpire l’esercito israeliano ed a dimostrare la vulnerabilità dello Stato di Israele) ma la dinamica è sorprendentemente simile: penetrati quasi senza incontrare resistenza, evidentemente a causa di un allentamento delle misure di sicurezza che sembra quasi provocato intenzionalmente, gli uomini di Basayev, al pari di quelli di Hamas, avanzarono per parecchi chilometri prima di essere bloccati da un veloce (forse troppo) dispiegamento militare e ricacciati in Cecenia. Un’azione “suicida” che sembrava fatta apposta per dare un casus belli alla Russia, e giustificare una nuova invasione. A completare il quadro giunsero una serie di attentati terroristici ai danni di condomini in svariate città russe (rispetto alle quali ancora non è stato chiarito chi e perché li abbia condotti) che provocarono la morte di trecento persone ed il ferimento di altre 1000, suscitando un’ondata di indignazione popolare che l’astro nascente della politica russa, Vladimir Putin, seppe cavalcare abilmente, conquistandosi la presidenza della Federazione sulla promessa di “ammazzare i terroristi anche al cesso”.

Militanti di Hamas

A ben guardare anche la terribile strage compiuta da Hamas ha i suoi “beneficiari politici”. Stupisce che, anche in questo caso, i leggendari servizi di sicurezza di Tel Aviv abbiano fallito in modo così eclatante nell’impedire l’attacco, loro che sono sempre stati così solerti nell’infiltrare spie, nel dare la caccia ai nemici dello stato in qualunque parte del globo, e nel prevenire azioni ostili contro Israele. Mentre stupisce meno, ahimè, il vantaggio politico conseguito dal premier Netanyahu, in piena crisi di consensi fino a pochi giorni prima, ed ora di nuovo in sella con un “governo di emergenza” che finalmente può avere mano libera nel “risolvere” il problema palestinese con i metodi più affini al gretto nazionalismo che il Primo Ministro rappresenta.

Ma le analogie non finiscono qui: l’operazione militare scatenata da Israele per vendicare i suoi morti ha una sproporzione che è assimilabile soltanto a quella usata da Putin contro la Cecenia. Oggi come allora, dopo un blocco totale dei confini ed una campagna terroristica contro la popolazione civile (con missili lanciati sui mercati, colonne di profughi bersagliati, servizi idrici ed elettrici tagliati, aiuti umanitari bloccati) si dichiara che lo scopo non è punire un popolo ed attuare un genocidio, ma “creare una zona cuscinetto”, un “cordone sanitario” che salvaguardi l’attaccante dalla risposta dell’attaccato. E nel frattempo si avvisa la popolazione civile di “andarsene”. Dove? Non è importante. Per quello che valgono le vite dei civili, possono andare a morire di sete in qualche scantinato. Se il Ministro della Difesa israeliano ha definito genericamente “animali umani” l’obiettivo dell’invasione, al Cremlino i ceceni non erano visti in modo diverso.

Le milizie di Basayev in procinto di penetrare in Daghestan, 1999

C’è una cosa che Gaza e Grozny non hanno in comune: il nome di chi le ha distrutte. Eppure il motivo alla base del martirio di ceceni e palestinesi è lo stesso: l’arroganza di un popolo che pretende di schiacciarne un altro, mettendo in atto tutti gli strumenti, leciti e illeciti, morali ed immorali, per perseguire il suo scopo. Che poi non è nient’altro che imperialismo, sublimazione politica della prepotenza, del cinismo, dell’egoismo elevato a culto di sé, capace di piegare, deformandola, ogni virtù politica, civile e morale. In questi giorni quel Putin che ha scatenato il genocidio dei ceceni si indigna per il genocidio palestinese scatenato dagli israeliani, i quali a loro volta si erano indignati quando Putin bombardava i profughi o li torturava dei campi di filtraggio. Ognuno di questi personaggi, a Mosca come a Tel Aviv, a Pechino come a  Washington, accusa gli altri di essere “L’impero del male”. Ma la verità è che l’Impero è esso stesso “il male”, e che non esistono “imperi buoni”.

I CINQUEMILA GIORNI DI ICHKERIA – Marzo 1992

1 Marzo

CONFLITTI SOCIALI – Allo scopo di interrompere le indebite appropriazioni di beni pubblici, soprattutto quelli afferenti ai magazzini della Protezione Civile, o la loro rivendita illegale da parte dei funzionari pubblici, con il Decreto Presidenziale numero 17 il Presidente della Repubblica ordina un censimento generale delle proprietà ed un nuovo protocollo di autorizzazione per il loro utilizzo attraverso speciali permessi presidenziali.

POLITICA NAZIONALE – Con Decreto Presidenziale numero 16, recependo un’iniziativa del Parlamento della Repubblica, il Presidente Dudaev assegna un edificio precedentemente a disposizione del KGB ad un’unità medico – diagnostica a disposizione della popolazione infantile e femminile della Repubblica.

2 Marzo

POLITICA LOCALE – Su iniziativa del Sindaco di Grozny Bislan Gantamirov vengono aperti in città quattro negozi “sociali” destinati alla raccolta ed alla distribuzione di cibo e vestiario agli indigenti. Tale misura è volta a sostenere le fasce deboli della popolazione, sempre più colpita dal rialzo dei prezzi e dalla crisi economica generale.

Bislan Gantamirov (in abiti civili) presenzia ad un’ispezione insieme a Dzhokhar Dudaev (in mimetica)

3 Marzo

NEGOZIATI RUSSO/CECENI – I rappresentanti russi e ceceni si incontrano a Sochi per iniziare un ciclo di negoziati. Dal governo russo arriva la disponibilità a continuare nel limite del possibile il trasferimento dei fondi necessario al pagamento degli stipendi pubblici e dei salari.

5 Marzo

POLITICA NAZIONALE – In ordine a garantire locali adeguati alle strutture del comparto giudiziario della Repubblica, con il Decreto Presidenziale numero 19 “Misure per migliorare le condizioni di lavoro dei tribunali distrettuali della Repubblica Cecena” il Presidente Dudaev ordina che gli edifici, le risorse ed il mobilio appartenute al disciolto Partito Comunista dell’Unione Sovietica siano ceduti in uso alle corti di giustizia.

6 Marzo

CRISI POLITICA IN CECENIA – Umar Avturkhanov, Governatore dell’Alto Terek e principale leader dell’opposizione a Dudaev, pubblica un appello al popolo ceceno nel quale invita i suoi concittadini a non ubbidire al governo indipendentista.

CONFLITTI SOCIALI – A Grozny i rappresentanti dei dipendenti pubblici minacciano uno sciopero generale se il governo non assicurerà il pagamento degli stipendi.

POLITICA ESTERA – Dudaev invia una dichiarazione ai governi di Azerbaijian, Tatarstan, Baskhortostan e Turkmenistan proponendo un’unione monetaria alternativa al rublo, considerato uno strumento imperialista di destabilizzazione per le repubbliche “produttrici di petrolio”.

CRISI RUSSO/CECENA – Reagendo al blocco economico in atto da parte della Federazione Russa, Dudaev dichiara il blocco alle esportazioni dei prodotti strategici (in particolare dei lubrificanti per aerei, dei quali la Cecenia è produttore – leader con il 90% del fabbisogno di tutta la Russia) fin quando Mosca non riaprirà le frontiere.

ECONOMIA E FINANZA– La situazione economica nel paese peggiora di giorno in giorno. Il governo non ha le risorse necessarie a garantire il regolare pagamento degli stipendi. Insegnanti e forze dell’ordine non hanno ricevuto né lo stipendio di Gennaio, né lo stipendio di Marzo, e minacciano di scioperare.

10 Marzo

POLITICA NAZIONALE – Al fine di garantire le risorse necessarie al suo funzionamento, con il Decreto Presidenziale numero 18 il Presidente Dudaev alloca la somma di 200.000 rubli per le spese correnti della neocostituita Corte Suprema della Repubblica. Tale misura dovrà essere implementata con la costituzione di un’apposita voce nel bilancio statale.

12 Marzo

POLITICA NAZIONALE – Con la Legge numero 108/1992 Il Parlamento promulga la Costituzione della Repubblica Cecena. La nuova carta fondamentale, ispirata alle costituzioni occidentali, identifica lo Stato come una repubblica democratica di tipo parlamentare, fondata sul rispetto dei diritti della persona, dei diritti civili e della tolleranza religiosa.

Con Decreto Presidenziale numero 23 il Presidente Dudaev riforma la Protezione Civile Nazionale, assumendo il potere di nomina dei suoi massimi rappresentanti e delegando al Sindaco di Grozny la gestione della protezione civile nella capitale.

POLITICA ESTERA – La delegazione cecena, guidata dal Ministro degli Esteri Shamil Beno giunge a Dagomys, in Abkhazia, dove incontra la controparte russa per iniziare i negoziati tra i governi di Grozny e di Mosca.

Le tre più alte cariche del Parlamento di prima convocazione: Il Presidente del Parlamento, Akhmadov (Al centro) ed i due Vicepresidenti, Mezhidov (a sinistra) e Gushakayev (a destra)

12 Marzo

POLITICA ESTERA – Settanta deputati provenienti dalla Georgia vengono ospitati in sessione dalle autorità cecene, alla presenza dell’ex presidente georgiano Gamsakhurdia e del Capo dello Stato ceceno, Dudaev. Con questo gesto il Presidente della Repubblica Cecena prende una chiara posizione politica in favore dell’ormai decaduto leader georgiano.

12 Marzo

NEGOZIATI RUSSO/CECENI – I negoziati tra Federazione Russa e Repubblica Cecena portano alla sottoscrizione di un documento condiviso nel quale si identificano alcune aree di integrazione politica ed economica tra i due paesi.

I negoziati proseguono mentre la Federazione Russa indice per il 31 Marzo la cerimonia di firma di un nuovo Trattato Federativo con il quale tutti i soggetti federati della Russia fisseranno i loro rapporti con il governo centrale. I moderati ceceni spingono perché la Cecenia firmi il Trattato, ma Dudaev ed i nazionalisti pretendono che prima la Federazione Russa riconosca l’indipendenza della Cecenia.

15 Marzo

NEGOZIATI RUSSO/CECENI – Di ritorno dalla sessione negoziale nella cittadina di Dagomys, la delegazione cecena comunica che il prossimo incontro si terrà a Mosca, e che la delegazione russa ha promesso di allentare il blocco finanziario della Repubblica Cecena se questa ricomincerà ad esportare i prodotti derivanti dalla lavorazione degli idrocarburi.

16 Marzo

POLITICA NAZIONALE – Per favorire gli investimenti nella repubblica il Parlamento vara una moratoria sull’imposta sul reddito, e la abolisce per l’anno di imposta 1992. La misura serve anche a rottamare una enorme quantità di debiti privati nei confronti della pubblica amministrazione, cui la maggior parte dei ceceni non riesce più a far fronte, o che non intende pagare.

CONFLITTI SOCIALI – Continua lo sciopero degli insegnanti e di altri dipendenti del pubblico impiego a causa dei ritardi nel pagamento degli stipendi. In particolare gli insegnanti lamentano il fatto di non aver ancora ricevuto lo stipendio di Gennaio. Il governo assicura che presto i pagamenti riprenderanno regolari, a seguito di accordi per la vendita di prodotti petroliferi che dovrebbero portare alle casse dello Stato la liquidità necessaria a mettere il tesoro in pari con i pagamenti.

17 Marzo

CONFLITTI SOCIALI – Intere categorie di lavoratori pubblici entrano in sciopero a causa del mancato pagamento dei salari. Le scuole, colpite dall’astensione lavorativa degli insegnanti, rimangono chiuse. Il Ministro dell’Economia Taymaz Abubakarov promette che il tesoro ricomincerà a pagare regolarmente gli stipendi non appena la Russia interromperà il blocco dei trasferimenti finanziari.

POLITICA NAZIONALE – Il Parlamento della Repubblica approva una legge con la quale reintroduce l’alfabeto latino in funzione di quello cirillico, imposto dall’Unione Sovietica negli anni ’30. Secondo il parere dei deputati, questo è più aderente alla fonetica della lingua cecena.

CRISI POLITICA IN CECENIA  l’opposizione anti – dudaevita fa circolare volantini nei quali si chiedono le dimissioni di Dudaev. Gruppi armati antidudaeviti prendono posizione nei dintorni di Grozny.

Uno dei leader dell’opposizione antidudaevita, Umar Avturkhanov

20 Marzo

POLITICA ESTERA – Con Decreto Presidenziale il Presidente Dudaev ordina al Ministero degli Esteri di stabilire regolari relazioni diplomatiche con la Repubblica di Georgia “non appena l’ordine costituzionale sarà ripristinato”. Il provvedimento è essenzialmente un gesto di amicizia politica al decaduto presidente georgiano Gamsakhurdia, il quale attualmente risiede a Grozny e lavora alla riconquista del potere sostenuto da numerosi ex esponenti del Soviet Supremo Georgiano, anch’esso disperso a seguito del colpo di stato dell’anno precedente.

20 Marzo

POLITICA NAZIONALE – Dudaev promulga il Decreto “Sulle aliquote di dazio statale da addebitarsi sulle domande e sui reclami presentati in tribunale, nonché sulle imposte degli atti notarili e dello stato civile” con il quale calmiera i prezzi degli atti pubblici, agevolando la popolazione vessata dalla crisi economica ma riducendo al minimo gli introiti a disposizione del comparto della giustizia, il quale già versa in una cronica carenza di risorse per poter funzionare.

24 Marzo

POLITICA NAZIONALE – In ordine a razionalizzare i servizi sanitari della Repubblica, con il Decreto Presidenziale numero 30 Dudaev stabilisce la conversione del centro medico del Ministero degli Interni in ospedale policlinico al servizio dei dipendenti pubblici e delle forze dell’ordine, decretando che tale struttura sarà finanziata da specifiche voci di bilancio a carico delle istituzioni statali che utilizzeranno la struttura.

25 Marzo

MOVIMENTI POLITICI – Il Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (OKChN) dal quale sono emerse le forze che hanno scatenato la Rivoluzione Cecena, delibera una nuova sessione da tenersi in Maggio. La Costituzione appena approvata non ha riconosciuto al Congresso alcuno spazio istituzionale, ed i nuovi rappresentanti dell’organizzazione, emersi dal “travaso” di molti dei suoi leaders nelle istituzioni della Repubblica, rivendicano il ruolo centrale che a loro parere il Congresso dovrebbe avere nella Cecenia indipendente.

Yaragi Mamodaev, di ritorno da un viaggio privato in Giappone, relaziona riguardo ai suoi contatti con il Ministero degli Esteri del Sol Levante e con alcuni industriali, i quali si sono detti disponibili a saggiare le possibilità di una collaborazione economica.

A latere della sua conferenza stampa Mamodaev suggerisce che il Parlamento, dei cui 41 deputati soltanto uno (Gleb Bunin) è russo e nessuno appartiene ad alcuna delle minoranze che abitano la repubblica, dovrebbe sciogliersi e ricostituirsi secondo un criterio etnicamente più rappresentativo.

26 Marzo

TENSIONI SOCIALI – Sciopero dei vigili del fuoco, i quali lamentano ritardi di tre mesi nel pagamento degli stipendi. L’allentamento delle tensioni con la Russia ha fatto si che da Mosca siano arrivati 150 milioni di rubli per il pagamento di stipendi e pensioni, ma queste risorse sono ampiamente insufficienti a coprire gli ammanchi delle casse statali.

POLITICA NAZIONALE – In un incontro con l’Associazione dell’Intellighenzia della Repubblica Cecena, il Presidente Dudaev afferma che l’indipendenza del Paese non è in discussione, mentre lo sono tutti i suoi aspetti “collaterali”, come eventuali accordi di cooperazione economica con la Federazione Russa e con i paesi produttori di petrolio. In questo modo Dudaev ribadisce la propria totale contrarietà a qualsiasi negoziato di tipo federativo con Mosca, eventualità ventilata sia dagli stessi intellettuali, sia da correnti interne al Parlamento.

28 Marzo

TERRORISMO –  Una banda di sequestratori provenienti dal Territorio di Stavropol chiede asilo al governo ceceno, ma questo lo nega ed ordina l’arresto dei sequestratori, ed il rilascio degli ostaggi. I terroristi vengono da prima tradotti nell’edificio del Ministero degli Interni, poi in una caserma della Guardia Nazionale.

28 Marzo

CRISI POLITICA IN CECENIA – La polizia antisommossa, dipendente dal Ministero degli Interni, è in stato di agitazione e chiede che il Ministero abbia riconosciuta una guida ufficiale, mentre adesso si trova diretto da un Ministro “de facto”, Umals Alsultanov, peraltro inattivo. Egli, già Ministro negli ultimi mesi di vita della ASSR Ceceno – Inguscia, era stato esautorato a causa della sua sospetta collaborazione con il Comitato di Emergenza responsabile del Putsch di Agosto e sostituito da Vakha Ibragimov, ma Dudaev lo ha riconfermato alla guida del dicastero nel suo “governo provvisorio”. Al momento della sua presentazione al Parlamento non ha ottenuto i voti necessari, pertanto si è posto in stato di riposo in attesa di dare le dimissioni in favore del suo successore. I funzionari del Ministero sono quindi divisi tra coloro che premono per una sua riconferma e coloro che chiedono la nomina di Ibragimov.

30 Marzo

CRISI POLITICA IN CECENIA – Milizie armate antidudaevite si radunano nei sobborghi di Grozny. In alcuni villaggi si segnala la distribuzione di armi a volontari disposti a mettere a segno un colpo di mano per estromettere il Presidente Dudaev e riportare la Cecenia nella Federazione Russa.

Vita quotidiana a Grozny nell’estate del 1992


31 Marzo

COLPO DI STATO DI MARZO –  Un gruppo di ex funzionari della RSSA Ceceno – Inguscia ed alcuni rappresentanti dell’opposizione, favorevoli alla federazione con la Russia tenta un colpo di Stato. Milizie armate e reparti inquadrati nella Guardia Nazionale occupano la TV e la Radio. Un “Comitato di Emergenza” si riunisce per costituire un governo di transizione che porti la Cecenia ad un Referendum sull’adesione alla Federazione Russa e successivamente a nuove elezioni parlamentari. Le unità del Ministero degli Interni, in questo momento prive di un Ministro e dirette dal Viceministro degli Interni, Udiev, rimangono acquartierate nelle caserme.

Dopo alcune ore di sbandamento una folla di sostenitori dell’indipendenza si raduna davanti al Palazzo Presidenziale, dove il Presidente del Parlamento Akhmadov legge la mozione dell’assemblea che condanna il colpo di stato in atto ed il Presidente Dudaev si appella al popolo affinché difenda l’indipendenza appena conquistata.

Nel corso del Pomeriggio la Guardia Nazionale riprende il controllo della città, espugna l’edificio della TV di Stato e costringe gli insorti ad abbandonare Grozny. Nelle sparatorie muoiono almeno quindici persone, ed una quarantina sono i feriti. L’opposizione moderata, critica verso il governo Dudaev, condanna parimenti le azioni del Comitato d’Emergenza, gridando ad un complotto ordito dalla leadership russa per provocare una guerra civile nel paese.

In serata il Parlamento torna a riunirsi in assemblea, mentre il Deputato e leader del VDP Zelimkhan Yandarbiev condanna i “nemici insidiosi del popolo ceceno” i quali, anziché accettare l’offerta di mediazione pubblicamente fatta dal Parlamento alcuni giorni fa, hanno deciso di prendere le armi contro lo Stato con ,’intento di rovesciarlo.

06/09/1991 – Assalto al Soviet Supremo

Nel trentaduesimo anniversario dell’indipendenza cecena, pubblichiamo un estratto del primo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” nella quale si ripercorrono i fatti che portarono allo scioglimento del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio, ed alla proclamazione dell’indipendenza cecena.

——————

Ai primi di Settembre l’eco del Putsch di Agosto iniziò ad attenuarsi a Mosca e nelle principali città russe, ed Eltsin poté tornare a posare lo sguardo sulle turbolente periferie dell’impero. La Cecenia era passata in stato di agitazione, ma il presidente russo non dava troppo peso ai rapporti allarmanti provenienti dal Soviet Supremo locale. Egli era convinto che tutto quel baccano altro non fosse che un rigurgito anticasta come se ne erano visti tanti in quel periodo nell’URSS. Pensò che sarebbe bastato sostituire Zavgaev con qualcun altro per poter placare gli animi della gente e riportare la Cecenia – Inguscezia alla pace sociale. Così pensò a Salambek Hadjiev, un professore che era salito agli onori della cronaca qualche mese prima, quando era stato nominato Ministro dell’Industria Chimica e del Petrolio del governo sovietico. Nato in Kazakhistan, Hadjiev si era conquistato una posizione in ambito accademico, diplomandosi all’Istituto Petrolifero di Grozny e poi lavorandoci fino a diventarne direttore. Prolifico ricercatore, era membro dell’Accademia delle Scienze, nonché uno dei massimi esperti del settore petrolchimico di tutta la Russia. Noto per essere un moderato antimilitarista (era capo del Comitato per le armi chimiche ed il disarmo) rappresentava a tutti gli effetti l’alter ego “maturo” del capopopolo Dudaev. Eltsin lo apprezzava perché sapeva parlare sia agli intellettuali che agli imprenditori, aveva una visione moderna dello Stato ed era un gran lavoratore. Sembrava avere tutte le carte in regola per competere con il Generale, il quale dalle sua aveva la sua bella divisa, una buona retorica e poco altro. L’idea di sostituire Zavgaev con Hadjiev piacque anche al Presidente del Soviet Supremo Khasbulatov, che come abbiamo visto non aveva certo in simpatia l’attuale Primo Segretario. Hadjiev invece era uomo di alte qualità intellettuali come lui (che era professore) e come lui aveva una visione moderata e riformista. Sistemare uno dei “suoi” al potere in Cecenia gli avrebbe fatto anche comodo in chiave elettorale, quindi si adoperò affinché il cambio avvenisse il prima possibile.

Doku Zavgaev

Khasbulatov si diresse quindi in Cecenia per assicurarsi un indolore cambio della guardia. La sua notorietà, ora che era al vertice dello stato sovietico, la sua cultura e la sua capacità politica gli avrebbero permesso di spodestare l’odioso rivale e di installare una valida alternativa che scongiurasse la guerra civile e favorisse la sua posizione. Tuttavia c’era da fare i conti con i nazionalisti, cresciuti all’ombra della crisi ed insorti durante il colpo di stato.

Per sgominarli Khasbulatov elaborò un piano. Dal suo punto di vista i nazionalisti erano un amalgama di disillusi, disperati e opportunisti, tenuto insieme da un’avanguardia di giovani idealisti incapaci di governare la bestia che stavano allevando. Affrontati sul terreno del dibattito politico, molto probabilmente avrebbero finito per ridursi ad una frazione residuale. Solo il contesto, secondo lui, permetteva loro di occupare la scena. Disperazione e mancanza di alternative erano gli ingredienti della miscela che rischiava di far scoppiare la rivoluzione. Per neutralizzare la minaccia bisognava “cambiare aria”: l’opposizione si era rafforzata contro Zavgaev ed il suo regime corrotto, toglierlo di mezzo era il primo passo da fare. C’era da sostituirlo con qualcuno che avesse dei buoni numeri. E Hadjiev sembrava quello giusto. La soluzione, tuttavia, non poteva calare dall’alto. Era necessario costituire un fronte di consenso alternativo a Dudaev e per questo serviva tempo. I nazionalisti avevano conquistato le piazze cavalcando l’onda della crisi istituzionale. Impantanarli in una diatriba politica lasciando passare il tempo, mentre la situazione si normalizzava, avrebbe tolto ai dudaeviti (così iniziavano a chiamarsi i sostenitori del Generale) il terreno sotto ai piedi. Man mano che le condizioni sociopolitiche si fossero stabilizzate i disperati sarebbero stati sempre meno disperati, i disillusi sempre meno disillusi. La gente avrebbe prestato orecchio a chi invocava la calma e le riforme anziché la rivoluzione e la guerra, ed i radicali sarebbero stati marginalizzati. Infine, con una bella elezione democratica i moderati avrebbero vinto e i rivoluzionari avrebbero perso. Fine della partita.

Un piano perfetto, nella teoria, che però si basava su due variabili non da poco. La Pima: che Dudaev ed i suoi avessero troppa paura di forzare la mano, lasciando così l’iniziativa a lui. La seconda: che a Mosca la situazione non degenerasse ulteriormente. E Khasbulatov, purtroppo per lui, non poteva controllare né la prima né la seconda. Eppure da qualche parte si doveva pur cominciare e così, dal 23 Agosto, il Presidente del Soviet Supremo si recò a Grozny, accompagnato da Hadjiev, con l’intenzione di far fuori Zavgaev. In una turbolenta riunione del Presidium del Soviet Supremo, al Primo Segretario che lo supplicava di autorizzare la proclamazione dello stato di emergenza e di disperdere l’opposizione, Khasbulatov rispose che il ricorso alla forza era tassativamente da evitare, e che la soluzione della crisi avrebbe dovuto essere assolutamente politica, il che significava una cosa sola: dimissioni.

Dopo aver messo Zavgaev con le spalle al muro, si recò a saggiare il suo avversario. Il suo primo colloquio con Dudaev sembrò essere promettente: il Generale lo accolse con affabilità ed accondiscese alla sua proposta di sciogliere il Soviet Supremo e sostituirlo con un’amministrazione provvisoria che traghettasse il Paese elle elezioni. Soddisfatto, rientrò a Mosca convinto di aver portato a casa un bel punto. Il vero obiettivo, tuttavia, lo aveva raggiunto proprio il leader dei nazionalisti. Scoprendo le carte di Khasbulatov, egli aveva ormai chiaro che nessuno avrebbe alzato un dito per difendere il legittimo governo della Cecenia – Inguscezia: sarebbe bastato un casus belli per forzare la mano e prendere il controllo delle istituzioni. Così, mentre a Mosca si brindava alla felice soluzione della crisi, a Grozny i dudaeviti prendevano il controllo della città ed assediavano il governo, ormai privo di un esercito che lo difendesse. Ciononostante Zavgaev non intendeva darsi per vinto. La sua abdicazione avrebbe potuto essere imposta soltanto da un voto del Soviet Supremo, e quasi nessuno dei deputati aveva intenzione di avallarlo, considerato che un attimo dopo lo stesso Soviet sarebbe stato sciolto. Così la situazione rimase in stallo per alcuni giorni, con il governo che non si dimetteva ed i nazionalisti che non abbandonavano le strade.

Dzhokhar Dudaev, circondato dai suoi sostenitori

Tra il 28 ed il 30 Agosto Dudaev iniziò a testare le reazioni di Mosca: la Guardia Nazionale irruppe in numerosi edifici pubblici, occupandoli e sloggiando chiunque vi si opponesse. Da Mosca non giunse un fiato. Allora il Generale ordinò la costituzione di ronde armate che presidiassero le strade, e ancora una volta non vi fu alcuna reazione. Il caos si stava impadronendo del Paese e sembrava che a nessuno importasse più di tanto[1].

Il 1 Settembre Dudaev convocò la terza sessione del Congresso. La Guardia Nazionale presidiava l’assemblea. Tutto intorno volontari armati erigevano barricate. Un gruppo di miliziani penetrò nel Sovmin, lo occupò ed ammainò la bandiera della RSSA Ceceno – Inguscia, issando al suo posto il drappo verde dell’Islam. Dei moderati non c’era più traccia: estromessi nella sessione di Giugno, erano ormai incapaci di condizionare in qualsiasi modo l’opinione pubblica. La scena era tutta per il grande capo, il quale esortò l’Ispolkom a decretare decaduto il Soviet Supremo e ad attribuirsi i pieni poteri. I delegati prontamente aderirono alla proposta, e dichiararono il Comitato Esecutivo unica autorità legittima in Cecenia. Ancora una volta, da Mosca, le reazioni furono tiepide, e per lo più di facciata. Lo stesso Khasbulatov, sottostimando la gravità della situazione, pensò che la sostituzione di Zavgaev sarebbe stata sufficiente a spaccare in due il fronte nazionalista. Adesso, secondo lui, sarebbe bastato costringere Zavgaev ad andarsene e sostituirlo con Hadjiev, o con qualcun altro, per mettere in minoranza i radicali. In realtà quello che stava succedendo a Grozny era qualcosa di molto più serio rispetto al gioco politico che Khasbulatov pensava di portare avanti. Dudaev aveva dalla sua parte quasi tutta l’opinione pubblica, aveva le sue guardie armate e stava costituendo un vero e proprio governo.

La cosa era assolutamente chiara al Primo Segretario, e lo fu ancora di più quando il 3 Settembre, ignorando le direttive di Mosca, egli tentò di introdurre lo stato di emergenza tramite una risoluzione del Presidium del Soviet Supremo: nessun reparto della polizia o dell’esercito rispose alla chiamata. Se molti uomini della Milizia del Ministero degli Interni avevano già cambiato bandiera, quelli che non avevano preso posizione semplicemente evitarono di muoversi. Nuovamente sconfitto, Zavgaev rimase rintanato nella Casa dell’Educazione Politica, dove si era asserragliato coi suoi seguaci. La sera del 6 Settembre, infine, la Guardia Nazionale irruppe anche là dentro: un manipolo di uomini guidato dal Vicepresidente dell’Ispolkom Yusup Soslambekov penetrò nell’edificio. Non si sa se fu un’azione premeditata o il salire dell’agitazione, fatto sta che la folla seguì i miliziani e si mise a devastare ogni cosa. I deputati furono pestati e ridotti al silenzio. Soslambekov mise davanti ad ognuno di loro un foglio ed una penna, ed ordinò che scrivessero le loro dimissioni di proprio pugno. Uno ad uno, tutti i deputati firmarono. Sotto la minaccia di essere giustiziato sul posto Zavgaev firmò un atto di rinuncia nel quale abbandonava “volontariamente” tutti gli incarichi pubblici. Soltanto il Presidente del Consiglio Comunale di Grozny, Vitaly Kutsenko, si rifiutò di firmare. Interrogato da Soslambekov, rispose: Non firmerò. Quello che stai facendo è illegale, è un colpo di Stato! Qualche attimo dopo Kutsenko volò dal terzo piano, schiantandosi al suolo. Più tardi sarebbe stato ricoverato in ospedale, dove sarebbe morto tra atroci sofferenze[2]. I moderati condannarono l’assalto, si dissociarono pubblicamente e fuoriuscirono dal Movimento Nazionale, costituendo una Tavola Rotonda alternativa al Congresso. Zavgaev fu cacciato da Grozny e si rifugiò nell’Alto Terek, sua terra natale. A Grozny l’Ispolkom iniziò ad operare come un vero e proprio governo, costituendo commissioni, emanando decreti ed occupando gli edifici pubblici.

Isa Akhyadov, futuro deputato al Parlamento di seconda convocazione, sulla statua di Lenin abbattuta

A Mosca la notizia dell’insurrezione fu accolta quasi con disinteresse. Ci vollero quattro giorni prima che una delegazione governativa, formata dal Segretario di Stato, Barbulis, e dal Ministro della Stampa e dell’Informazione, Poltoranin, giungesse in Cecenia per provare a ricomporre la crisi. Con Dudaev i due tentarono un approccio “alla sovietica”: negli anni ruggenti dell’URSS, quando un personaggio rappresentava un pericolo per il Partito e non lo si poteva inviare in un gulag a schiarirsi le idee, lo si promuoveva e lo si teneva buono. Poltoranin e Barbulis pensarono che se avessero offerto un ruolo di primo piano a Dudaev questi forse avrebbe colto la possibilità di uscire da quel casino in cambio di un buon posto ed una lauta pensione. Purtroppo per loro il Generale non era solo più furbo di quanto pensassero, ma era anche più coraggioso e determinato, ed in una Cecenia indipendente ci credeva davvero. Così l’incontro si risolse in un nulla di fatto.

Khasbulatov nel frattempo era rientrato in Cecenia, dove sperava di riprendere i negoziati con Dudaev dove li aveva lasciati. L’incontro tra i due si risolse con un nuovo progetto di accordo: il Soviet Supremo “decaduto” sarebbe stato sciolto, e al suo posto si sarebbe costituito un Soviet “provvisorio” che si occupasse dell’ordinaria amministrazione in attesa di nuove elezioni. A questo esecutivo avrebbero partecipato anche esponenti del Congresso. Confortato dall’apparente concessione del leader nazionalista, il Presidente del Soviet Supremo Russo parlò alle masse assiepate in Piazza Lenin. Davanti ad una nutrita folla (che chi addirittura parlò di centomila manifestanti) invitò tutti alla calma, chiese l’interruzione delle manifestazioni ed addossò tutta la colpa a Zavgaev, intimandogli in contumacia di non rifarsi vivo a meno che non volesse essere portato a Mosca in una gabbia di ferro. Infine, convocata un’assemblea straordinaria del Soviet Supremo, indusse i deputati a dimettersi ed a costituire un Soviet Provvisorio di 32 membri, alcuni provenienti dalla vecchia assemblea e alcuni dalle file del Comitato Esecutivo. L’ultimo atto del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio fu un decreto con il quale si indicevano nuove elezioni per il 17 Novembre successivo.

Ancora una volta sembrò che la situazione fosse stata recuperata all’ultimo minuto, e Khasbulatov si accinse a tornare ai suoi doveri a Mosca non prima di aver avuto piena raccomandazione, da parte di Dudaev, del rispetto degli accordi. Non ebbe neanche il tempo di atterrare nella capitale russa che fu accolto da una delibera del Comitato Esecutivo del Congresso, appena fatta votare da Dudaev, nella quale l’Ispolkom riconosceva il Soviet Provvisorio come espressione della volontà del Congresso, e lo si diffidava ad andare contro la volontà espressa da esso[3]. La dichiarazione conteneva anche un calendario elettorale diverso da quello concordato: timorosi che la normalizzazione avrebbe indebolito la loro posizione, i nazionalisti decretarono che le elezioni si sarebbero svolte il 19 ed il 27 Ottobre, rispettivamente per le istituzioni del Presidente della Repubblica e del Parlamento. Di quale presidente e di quale parlamento si stesse parlando, a Mosca nessuno lo sapeva con certezza: la Costituzione della RSSA Ceceno – Inguscia non prevedeva nessuna di queste istituzioni. Dal tono della dichiarazione era ormai evidente che il Congresso Nazionale aveva intenzione di proclamare la piena indipendenza.

L’edificio che ospitava il Presidium del Soviet Supremo Ceceno – Inguscio

[1] I disordini esplosi a seguito del Putsch di Agosto avevano portato alla paralisi dei dicasteri governativi, la quale iniziava a mostrare i suoi primi effetti nefasti sulla vita di tutti i giorni. Il 28 Agosto circa quattrocento detenuti della colonia penale di Naursk insorsero, attaccando la guarnigione di presidio, dando alle fiamme le torri di guardia devastando i locali di servizio ed occupando la struttura penitenziaria. Ancora due giorni dopo cinquanta di loro, armati di coltelli ed armi artigianali occupavano un’ala dell’edificio. Tutti gli altri erano evasi, disperdendosi tra i manifestanti.

[2] Non è chiaro se Kutsenko si lanciò dal palazzo in un attacco di panico o se fu deliberatamente defenestrato. Secondo alcuni fu lui stesso a buttarsi di sotto, battendo la testa contro un tombino di ghisa. Altre versioni parlano di una guardia di Dudaev, o dello stesso Soslambekov, il quale lo avrebbe scaraventato contro una finestra al suo rifiuto di firmare le sue dimissioni. Anche riguardo al suo ricovero le testimonianze sono discordanti. Secondo alcuni la folla inferocita si accanì su di lui riempiendolo di calci e sputi. Altri, come lo stesso Yandarbiev nelle sue memorie raccontano che Kutsenko venne prontamente raccolto e portato in ospedale, ma si rifiutò di farsi visitare da qualsiasi medico ceceno per paura di essere finito. Non essendoci medici russi a disposizione finì in coma, per poi spirare qualche giorno dopo. Le indagini riguardo la morte di Kutsenko non avrebbero comunque acclarato nessuna responsabilità. La versione ufficiale riportata dalla Procura fu che il Presidente del Consiglio Comunale di Grozny si era volontariamente buttato di sotto, impaurito dalla calca.

[3] Il testo della dichiarazione, organizzato in sedici punti programmatici, iniziava condannando il Soviet Supremo, colpevole di aver perduto il diritto di esercitare il potere legislativo, di aver compiuto un tradimento degli interessi del popolo e di aver voluto favorire il colpo di Stato. Al Soviet Provvisorio venivano nominati alcuni dei principali esponenti politici del Congresso (Hussein Akhmadov come Presidente, oltre ad altri nazionalisti scelti tra le file del VDP). Il Soviet avrebbe operato nel rispetto del mandato affidatogli dal Congresso: se si fosse verificata una crisi di fiducia questo sarebbe stato ricusato dal Comitato Esecutivo e prontamente sciolto. Si invocava inoltre la solidarietà dei Parlamenti di tutto il mondo e dei paesi appena usciti dall’URSS, in opposizione al tentativo delle forze imperiali di interferire e continuare il genocidio contro il popolo ceceno.

Memorie di Guerra: Francesco Benedetti intervista Akhmed Zakayev (Parte 2)

Quella che segue è la trascrizione della seconda parte dell’intervista tra Francesco Benedetti ed Akhmed Zakayev realizzata da Inna Kurochkina per INEWS (alleghiamo il link al video originale, che presto sarà accompagnato da sottotitoli in inglese ed italiano)

Il 6 marzo 1996 le forze armate della ChRI hanno lanciato la loro prima grande azione offensiva del conflitto: la cosiddetta Operazione Retribution. Secondo quanto mi disse Huseyn Iskhanov, allora Rappresentante di Stato Maggiore, il piano fu concepito a Goiskoye e vide la sua partecipazione, oltre a quella del Capo di Stato Maggiore, Maskhadov, e del Vice Capo di Stato Maggiore, Saydaev. Si ricorda come fu pianificata questa operazione?

Sì, certo che me lo ricordo. Questo, in linea di principio, è venuto fuori dall’operazione che abbiamo effettuato per bloccare la città di Urus-Martan al fine di impedire le elezioni. Dopo questa operazione, io e il mio capo di stato maggiore Dolkhan Khozhaev ci siamo incontrati con Dzhokhar Dudayev. E abbiamo suggerito l’opzione di fare qualcosa del genere. Abbiamo capito che di fronte a qualsiasi nostra azione, per tentare di cambiare questa situazione, i russi avevano bisogno di almeno tre giorni, in teoria. Abbiamo iniziato a parlare della possibilità di bloccare più distretti contemporaneamente. E poi Dzhokhar Dudayev ha detto: “Vedi com’è bello quando una squadra lavora!” Io, dice, ero con questi pensieri e ho pensato al modo migliore e al tipo di operazione da eseguire. Fu allora che nacque l’idea di eseguire questa operazione nella città di Grozny, che in futuro si sarebbe chiamata Città di Dzhokhar. Lo stesso giorno, è stato deciso di invitare Aslan Maskhadov, capo di stato maggiore, a chiamarlo al nostro fianco, e da quel momento, quasi due o tre giorni dopo averne discusso con Dzhokhar Dudayev, abbiamo iniziato i preparativi su questa operazione. In pratica, avevamo la nostra intelligence a Grozny, sapevamo dove era concentrata ogni unità russa, abbiamo svolto un lavoro aggiuntivo e identificato tutti i punti in cui si trovano le unità russe. Dove sono i posti di blocco, gli uffici del comandante, le unità militari. Sì, Umadi Saidaev, il defunto Umadi Saidaev, era il capo del quartier generale operativo, e poi, in seguito, è arrivato lì Aslan Maskhadov, e insieme ai comandanti delle direzioni che avrebbero dovuto prendere parte, abbiamo sviluppato questa operazione.

Tornando di nuovo all’operazione Retribution, questo è stato un successo che la leadership ChRI ha scelto di utilizzare più simbolicamente che strategicamente. Nella sue memorie ricorda che all’epoca la decisione di ritirarsi da Grozny, nonostante fosse sotto il vostro controllo, non le piacque, e che ancora oggi lei ritiene che quanto realizzato nell’agosto successivo, con l’Operazione Jihad, avrebbe potuto essere raggiunto con Operazione Retribution. Infine, lei afferma: Nel marzo del 1996 probabilmente abbiamo avuto l’opportunità di concludere vittoriosamente la guerra, e in quel caso gran parte della nostra storia recente sarebbe potuta andare diversamente. Cosa intende con questa frase? Allude al fatto che Dudayev era ancora vivo, o al fatto che le elezioni presidenziali russe non si erano ancora svolte? O ancora, a qualcos’altro?

Ho pensato alle elezioni in Russia per ultima cosa, perché lì non ci sono mai state elezioni. Sì, il fatto stesso che Dzhokhar fosse vivo in quel momento avrebbe potuto essere di grande importanza, e il corso della storia sarebbe potuto essere completamente diverso se la guerra fosse finita con Dzhokhar Dudayev vivo. I russi hanno fatto ogni sforzo per eliminare Dzhokhar Dudayev e successivamente per cercare la pace. Per quanto riguarda questa operazione, ne sono proprio sicuro. Sì, allora abbiamo programmato l’operazione perché durasse tre o quattro giorni, ma non c’è stata una decisione concreta, secondo la quale ci saremmo dovuti ritirare in tre giorni. Quando Dzhokhar Dudayev è arrivato a Grozny, si sistemò nel mio quartier generale nella città di Grozny, nel mio settore della difesa, in quella parte della città in cui combattevano le unità sotto il mio comando, è arrivato lì, e la sera precedente eravamo insieme al Quartier Generale. Ricordo la reazione di Dzhokhar Dudayev quando ha saputo che c’era un ordine di lasciare la città, che alcune unità avevano già iniziato a lasciare Grozny. Non era d’accordo con questo, perché puoi davvero valutare la situazione quando vedi la situazione nel processo, come cambia, e sulla base di ciò devi trarre conclusioni e prendere decisioni. Dzhokhar Dudayev era a Grozny per la prima volta dall’occupazione russa, abbiamo viaggiato con lui di notte, a Grozny di notte, siamo andati alla stazione degli autobus, ha assistito a tutta questa distruzione e quando siamo tornati al quartier generale, alcuni dei nostri le unità avevano già iniziato a partire. Ha detto: “Bene, se c’è un ordine, è necessario eseguirlo”. E ci siamo ritirati. E poi ci ho ripensato, perché ad Agosto non abbiamo fatto niente di più di quello che avevamo fatto a marzo. Questa operazione è stata ripetuta nello stesso modo, e con le stesse forze e mezzi. E quindi, sono sicuro che se fossimo rimasti a Grozny … (beh … la storia non tollera il congiuntivo). Quello che doveva succedere è successo. Ma rimango della mia opinione che avrebbe potuto essere diverso. Questo è già dall’area del “potrebbe”. E non è successo.

Nel marzo 1996 lei ha affrontato, come comandante, quella che forse è stata la più grande battaglia difensiva combattuta dall’esercito ceceno nel 1996. Mi riferisco alla battaglia di Goiskoye. Ho letto pareri contrastanti sulla scelta di affrontare i russi in quella posizione. Alcuni sostengono che la difesa del villaggio fosse insensata, provocando numerose vittime ingiustificate per le forze cecene. Altri sostengono che se Goiskoye fosse caduto troppo presto mani federali, l’intero sistema di difesa ceceno avrebbe potuto andare in frantumi. Dopo tutti questi anni, cosa ne pensa?

Impedire al nemico di raggiungere le colline pedemontane, bloccarlo nel villaggio di Goyskoe, questa è stata, dal punto di vista strategico, militarmente una decisione assolutamente corretta. Questa decisione è stata presa dal Comando supremo delle forze armate della Repubblica cecena di Ichkeria. Sì, so anche che esiste una dichiarazione del genere, ma sulla base di perdite reali, non abbiamo subito perdite gravi durante la difesa di Goiskoye. Sì, c’erano morti, diverse persone che sono morte sono rimaste ferite, ma non ci sono state perdite del genere. Non c’è guerra senza perdita. Ebbene, in senso strategico, la protezione e la difesa di Goiskoye hanno permesso di mantenere la linea del fronte, che si sviluppava da Bamut ad Alkhazurovo. Alkhazurov era caduta sotto il controllo russo, ed anche Komsomolskoye era caduta sotto il controllo russo. Ma a Goyskoye non li abbiamo lasciati andare oltre. Abbiamo impedito il passaggio dei russi fino alle pendici. E così abbiamo mantenuto il fronte e la linea del fronte. E questo era di importanza strategica, tanto più sullo sfondo del fatto che i russi avevano iniziato a parlare di negoziati, di tregua. Nel caso di una tregua finalizzata ad un dialogo politico, naturalmente, la conservazione di un certo territorio che controllavamo, era di grande importanza, e in relazione a questo, Dzhokhar Dudayev ha preso la decisione di proteggere Goiskoye . Sì, siamo durati un mese e mezzo. E solo più tardi, dopo la morte di Dzhokhar Dudayev, quando Bamut era già caduta, si decise di lasciare Goiskoye. Ma finché Achkhoy e Bamut erano in mano nostra, mantenemmo la linea di difesa anche a Goyskoye. Quando lì il fronte fu interrotto, a quel punto fu inutile continuare a tenere posizione e perdere i nostri combattenti. E così si decise di ritirare le nostre unità in montagna. Successivamente, ci distribuimmo più vicino alla città e iniziammo a prepararci per l’operazione di agosto.

Dopo la morte di Dudayev, il potere è stato trasferito al vicepresidente Yandarbiev, che è entrato in carica come presidente ad interim. La decisione di trasferirgli il potere è stata unanime? O ci sono state discussioni a riguardo?

In linea di principio non ci sono state discussioni, solo un voto era contrario, il resto si espresse a favore del riconoscimento di Zelimkhan Yandarbiyev come vicepresidente. Era in linea con la nostra costituzione, con le disposizioni presidenziali, ed è stata accettata. E Zelimkhan Yandarbiev ha iniziato a fungere da presidente.

Dopo che Yandarbiev ha assunto i poteri presidenziali, l’ha nominata assistente presidenziale alla sicurezza. Quali erano i suoi doveri in questa posizione?

SÌ. Mi ha nominato Assistente del Presidente per la Sicurezza Nazionale. E allo stesso tempo, sono stato contemporaneamente nominato Comandante della Brigata Speciale Separata. Cioè, l’unità che ho comandato, che all’epoca era Terzo Settore, è stata elevata allo status di Brigata sotto il Presidente della Repubblica cecena di Ichkeria. Fondamentalmente, questo è stato necessario perché Zelimkhan Yandarbiyev (dopo essere rimasto con noi  all’interno del Palazzo Presidenziale fino all’ultimo momento, fino a quando non abbiamo lasciato la città) non è stato più coinvolto in operazioni militari nell’anno e mezzo successivo, e in quel periodo erano state create nuove unità e nuove persone sono apparse nella gerarchia militare. E naturalmente, Zelimkhan aveva bisogno di una persona che conoscesse militarmente l’intero sistema. Abbiamo lavorato con lui e nel periodo successivo Zelimkhan è stato introdotto in tutte le direzioni, nei fronti e nelle nostre unità, e poi come comandante supremo, ha iniziato a gestire personalmente questi processi. Il mio compito era quello di raccordo [tra lui e gli ufficiali, NDR]. Poi, terminate le operazioni militari, è diventato quello di “Segretario del Consiglio di sicurezza”. Fino a prima delle elezioni, in linea di principio, svolgevo queste funzioni.

Memorie di Guerra: Francesco Benedetti intervista Akhmed Zakayev (Parte 1)

Quella che segue è la trascrizione della prima parte dell’intervista tra Francesco Benedetti ed Akhmed Zakayev realizzata da Inna Kurochkina per INEWS (alleghiamo il link al video originale, che presto sarà accompagnato da sottotitoli in inglese ed italiano)

1. Il 6 dicembre 1994, pochi giorni prima che l’esercito federale invadesse la Cecenia, una delegazione nominata da Dudayev si recò a Vladikavkaz per conferire con il ministro russo per le Nazionalità, Mikhailov. Nelle sue memorie lei dice che un certo numero di imprenditori petroliferi si è unito alla delegazione guidata dal ministro dell’Economia Abubakarov. Quale pensa fosse lo scopo della loro presenza? È possibile che tra le proposte che la delegazione avrebbe dovuto presentare ci fosse un accordo sullo sfruttamento del petrolio ceceno o sullo sfruttamento delle raffinerie cecene?

In quel momento e durante quel periodo, la presenza in questa delegazione del Ministro dell’Economia e delle Finanze Abubakarov, e del Vice Primo Ministro Amaliyev, non era associata ad alcun possibile accordo sul funzionamento delle raffinerie di petrolio. Erano i nostri rappresentanti e delegati di Dzhokhar Dudayev. Non solo hanno “aderito”, ma sono stati inclusi in questa delegazione. E da lì sono andati da Kizlyar a Mosca, per approfondire la questione della prevenzione dell’aggressione militare dalla Russia, per prevenire una guerra. Dzhokhar ha fatto tutto il possibile per prevenire lo scoppio delle ostilità in Cecenia. E praticamente la nostra delegazione era a Mosca, guidata da Tyushi Amaliyev, con Abubakarov, il ministro delle finanze e dell’economia, quando la Russia ha iniziato a bombardare Grozny. L’11 dicembre, nonostante tutto, Eltsin ha firmato un decreto sull’introduzione delle truppe e l’inizio di una campagna militare. Quindi, in quel momento e in quel periodo, non si trattava del funzionamento dei pozzi petroliferi, o meglio, dell’utilizzo delle raffinerie di petrolio, o del petrolio ceceno che si produceva in quel momento.

2. Allo scoppio della guerra lei si è messo al servizio del presidente Dudayev e nel giro di pochi mesi le è stato affidato il compito di allestire un fronte autonomo. All’epoca lei era Ministro della Cultura, di certo nessuno si aspettava che prendesse le armi e facesse la guerra. Perché ha deciso di arruolarsi?

(ride)

Il fatto è che non sono andato al servizio di Dudayev. Sono stato nominato ministro della cultura della Repubblica cecena di Ichkeria con decreto di Dudayev. Nessuno ha servito nessuno. Abbiamo lavorato per il nostro stato e Dzhokhar Dudayev, in qualità di presidente, aveva l’autorità di nominare e revocare. La mia nomina fu in ottobre, quando Dzhokhar Dudayev mi ha offerto di lavorare nella sua squadra. L’ho accettata nonostante tutto quello che è successo. Dico solo nel mio libro che per me non c’era differenza, era assolutamente ovvio che ci sarebbe stata una guerra. E ho detto a Dzhokhar: “Dzhokhar, non fa differenza per me in quale veste difenderò la nostra patria, il mio posto è qui, con la mia gente. Come un bidello, o come un ministro .. ” Dzhokhar ha poi detto, ricordo le sue parole, ne ho appena scritto. Egli ha detto: “No, non ci sarà nessuna guerra. Il mondo non lo permetterà. Non lo permetterò. Non ci sarà la guerra, dobbiamo fare un lavoro creativo. E il tuo posto è esattamente in questa direzione. E quindi devi accettare la mia offerta. Ho accettato questa offerta. Sono tornato nella repubblica e già il primo giorno, il 18 novembre, sono andato ufficialmente a lavorare e il 26 novembre è iniziata la guerra.

In linea di principio, questa è la prima invasione delle truppe russe con il pretesto della ‘”opposizione cecena” nella città di Grozny, dove furono sconfitte. E ora per la seconda parte della domanda. Il fatto è che secondo la nostra legislazione, penso che sia lo stesso in Italia, i membri del governo, se inizia una guerra, diventano responsabili del servizio militare, indipendentemente dalla loro posizione. Cultura, o arte, non importa, tutti diventano responsabili del servizio militare. Io, in linea di principio, prima di essere nominato comandante del settimo fronte, mi sono unito alla milizia popolare. Ricordo quel giorno, il 28 dicembre, quando fu bombardato il mio ufficio del Ministero della Cultura, nel palazzo del Sindaco, e lo stesso giorno io… C’era gente in piazza che si arruolava volontaria nella milizia popolare. Mi sono iscritto alla milizia e solo l’11 gennaio Dzhokhar mi ha richiamato dalla carica di ministro della Cultura, perché era prevista una riunione del governo. E sono tornato dalle mie posizioni alla riunione del governo l’11 gennaio. E in questo giorno Dzhokhar mi ha affidato un altro compito, ne ho scritto anche nelle mie memorie, e poi, già a marzo, quando la città è stata abbandonata e ci siamo ritirati a piedi, a quel tempo Dzhokhar firmò il Decreto sulla creazione del Settimo Fronte e mi nominò Comandante. Cioè, abbiamo iniziato a formare questo fronte, in generale, da zero.

3. Dopo la caduta di Grozny in mano russa, e il ritiro delle forze cecene sulla linea di difesa della montagna, il governo è stato riorganizzato per sopperire alle defezioni di alcuni alti funzionari, ma anche per funzionare in modo più snello in un contesto di guerra totale. Questo “governo di guerra” ha continuato a funzionare per tutto il durata del conflitto, e superò la morte di Dudayev, mettendosi a disposizione del Presidente ad interim, Yandarbiev. Come ha operato questo governo, e come è riuscito a incontrarsi, a tenersi in contatto con il Presidente?

Il Governo Militare, quello che tu chiami il Governo Militare, era il Comitato di Difesa dello Stato, formatosi con Decreto Presidenziale quando iniziò l’aggressione militare. E questo corpo era l’organo supremo dello Stato. Il Parlamento ha interrotto la sua attività legislativa. Il governo era già stato trasferito su una base militare e il Comitato di difesa dello Stato era stato formato come Organo supremo del potere statale. Comprendeva membri del Governo, membri del Parlamento, il Comando Militare Principale rappresentato dallo Stato Maggiore Generale, i Comandanti di Fronti e Direzioni. E questo governo ha funzionato per tutto questo periodo. Come sono stati gli incontri? Naturalmente, sapevamo tutti dove si trovava il comandante in capo supremo, in quale parte della repubblica. E periodicamente convocava una riunione del Comitato per la difesa dello Stato, e discutevamo questioni relative alla continuazione della resistenza. Sono state discusse questioni di natura militare in relazione alla preparazione di operazioni militari o attacchi al territorio nemico. Tutti questi punti sono stati discussi durante la riunione del Comitato per la difesa dello Stato, che ha funzionato in modo molto efficace. Era un piccolo numero di persone, ma erano persone direttamente coinvolte in tutti i processi: questioni politiche, militari, economiche. Questi compiti non erano gli unici che avevamo, perché dovevamo anche fornire alle unità le disposizioni necessarie, anche questo era di competenza del Comitato per la difesa dello Stato. E tutte queste questioni sono state discusse e hanno funzionato in modo molto efficace proprio per il fatto che Dzhokhar Dudayev non è andato sottoterra, nelle foreste, nelle montagne, dove sarebbe stato impossibile rintracciarlo, ma ha tenuto incontri personali con tutte le unità, no solo con il Comitato di Difesa dello Stato ma anche con le unità militari. È andato in prima linea, al fronte, ha incontrato soldati ordinari. E tutta la nostra difesa e tutti i nostri combattenti della resistenza, hanno assunto un atteggiamento molto responsabile perché dietro di loro c’era Dzhokhar Dudayev. Voglio dire, lungo la linea del fronte, dove si svolgevano le ostilità attive, i soldati sapevano che dietro di loro, dietro le loro spalle, c’era già il quartier generale del comandante supremo.

Quando [Dudaev] attraversava l’Argun, andando dall’altra parte, le Forze Armate [che operavano lì] hanno annunciato con orgoglio che il Comandante Supremo era ora dalla loro  parte del fronte. C’era un’atmosfera molto amichevole. Quando ricordo questi tempi, questo periodo, noto che nonostante tutte le difficoltà che abbiamo vissuto allora, c’era una guerra, ma le persone erano diverse. Eravamo diversi. I ceceni erano completamente diversi. Erano diversi dai ceceni di oggi, quelli che vivono nel territorio e quelli che sono fuori. E tutto ciò era collegato, credo, al fatto che siamo stati sotto l’occupazione sovietica per settant’anni e per la prima volta abbiamo avuto la possibilità di costruire il nostro stato. Stato indipendente. E il leader di questo movimento e dello stato, e in seguito il leader della Difesa e il leader del movimento di liberazione nazionale, ha ispirato in molti modi e non solo i combattenti, ma l’intero popolo ceceno a resistere e respingere l’aggressione. Erano tempi semplicemente fantastici nella storia del popolo ceceno, quando l’intero popolo ha effettivamente compiuto un’impresa. È stato grazie all’impresa del popolo ceceno che siamo riusciti a preservare le strutture di potere che ciò che stavamo costruendo. E fondamentalmente a vincere.

4. Tra marzo e maggio 1995, secondo quanto lei riferisce nelle sue memorie, lei si è occupato di allestire, a tempo di record e con mezzi pressoché inesistenti, il cosiddetto “Settimo fronte” a sud di Urus – Martan, che avrebbe dovuto essere il punto di contatto tra la roccaforte di Bamut e il resto dello schieramento ceceno. Nel suo libro racconta di come è nato il Settimo Fronte. Potrebbe spiegarci come si è sviluppato, quali unità lo componevano e quali operazioni ha svolto fino al giugno 1995?

Questo è successo a marzo, Dzhokhar Dudayev ha firmato un decreto. A questo punto tutte le nostre unità si erano spostate ai piedi delle montagne, perchè la parte pianeggiante era già principalmente sotto il controllo degli aggressori russi, e rimanevano i contrafforti, a partire da Bamut e ad Alkhazurovo, in questa direzione, e lì più in alto, verso la regione di Grozny, a Chishki, a Dacha Borzoi. Questa parte non era ancora occupata dai russi, ed era necessario creare una difesa unificata in questa direzione, da Bamut ad Alkhazurovo. E lo scopo del Settimo Fronte, il compito del Settimo Fronte, era proprio questo. Questo è il cosiddetto distretto di Urus – Martanovsky. Si credeva che quest’area fosse fedele alla Russia, agli aggressori russi, perché lì funzionava il regime di occupazione, le strutture del potere di occupazione, guidate da Yusup Elmurzaev, l’allora prefetto, che fu nominato dalle autorità di occupazione. Il compito principale  di questo fronte era la creazione di basi militari in tre gole: Martan Chu, Tangi Chu, Roshni Chu. Fu in queste tre gole che in pochi mesi formammo tre basi militari. Sebbene al momento della firma del decreto, non vi fossero praticamente unità militari (c’erano solo milizie, persone che facevano parte della milizia popolare, ma non c’era un comando centralizzato) noi in breve tempo, da quelle unità, da quelle milizie popolari che erano allora in questa regione, creammo questo Settimo Fronte, e un’unità militare centralizzata, sotto il comando del Comandante in Capo Supremo Dzhokhar Dudayev. Successivamente, questo Settimo Fronte fu trasformato in Settori del Fronte Sud-Occidentale: Il Primo, il Secondo, e ilTerzo Settore. Questi settori erano sotto la mia responsabilità. Successivamente sono stato responsabile del Terzo Settore del Fronte Sudoccidentale. Citando i cognomi, questi sono, in linea di massima, i nostri giovani comandanti di medio livello, Dokka Makhaev, Dokka Umarov, Khamzat Labazanov, Isa Munaev, questi ragazzi …

Akhyad (non lo chiamerò con il suo cognome, perché è vivo ed è sul territorio), Khusein Isabaev, erano questi ragazzi l’anello intermedio dei comandanti che guidavano questi settori e questa direzione. Sebbene fosse già un’unica unità militare, che faceva parte delle Forze Armate ed era già stata strutturata nello Stato Maggiore delle Forze Armate della CRI.

5. Nella primavera del 1995 lei poteva considerarsi uno dei principali ufficiali dell’esercito della ChRI, ed era sicuramente monitorato dall’FSB e dall’intelligence dell’esercito russo. In che modo le forze federali hanno cercato di impedire a lei e ad altri alti ufficiali di partecipare alla resistenza? E come siete riusciti a eluderle?

Prima di tutto, Dio ci ha protetti. E, in secondo luogo, sono stati i ceceni e il popolo ceceno. Eravamo a casa. Eravamo nei nostri villaggi nativi, nei nostri insediamenti nativi. E, naturalmente, il popolo ceceno era la principale protezione di coloro che erano allora nelle forze armate. E il presidente Dzhokhar Dudayev, sai, la repubblica è piccola, per tutto questo tempo è stato tra i ceceni, era in diversi insediamenti, in ogni villaggio dove i combattenti si sono fermati, anche se c’erano anche persone di mentalità opposta e codarde. Ma in generale, i nostri sostenitori, sostenitori e indipendenza, e coloro che hanno sostenuto il nostro movimento di liberazione nazionale, erano molto più forti ed erano molto più numerosi. Riuscirono a sventare sia i tentativi di assassinio che quegli agguati che tesero non solo me, ma anche coloro che allora furono coinvolti ed erano inseriti nei ranghi, come hai detto, nella più alta composizione del Comando. Tutti erano protetti dal Popolo ceceno. E, naturalmente, non tutto era sotto il controllo né dell’FSB né dei russi. La vita e la morte sono nelle mani di Dio. E quelle ragioni, quelle azioni che sono state intraprese da noi per sopravvivere, e cosa hanno fatto i ceceni con noi, il popolo ceceno, proteggendo i loro comandanti, le persone che hanno difeso la loro patria, la loro patria e se stesse.

Da Mosca a Nazran (estratto dal secondo volume)

Oggi pubblichiamo un secondo estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”, nel quale si parla della genesi degli Accordi di Nazran del Giugno 1996.

DA MOSCA A NAZRAN

Il 16 aprile 1996, pochi giorni prima che Dudaev fosse ucciso, si era tenuto un congresso delle principali anime politiche della Cecenia. Si erano riuniti 26 movimenti e 12 partiti politici, ed al congresso avevano partecipato Maskhadov in veste ufficiale per il governo della Repubblica di Ichkeria ed i rappresentanti di Khasbulatov per l’opposizione antidudaevita. Il documento che ne era venuto fuori conteneva la proposta di una moratoria sulle azioni militari, l’apertura di negoziati ai massimi livelli tra Russia e Cecenia, lo svolgimento di nuove elezioni parlamentari. Zavgaev fu volutamente escluso dagli inviti, non partecipò alle attività dell’assemblea e venne considerato come un semplice funzionario di Mosca. Eltsin aveva bisogno proprio di un documento del genere in quel momento. I ceceni capirono che incoraggiare Elstin avrebbe potuto portare ad una effettiva fine delle ostilità, e Yandarbiev dichiarò di essere disposto a iniziare negoziati formali, a condizione che sul piatto fosse posto il ritiro delle forze russe. Come segno di buona volontà il nuovo presidente ordinò il rilascio di 40 prigionieri, catturati durante l’Operazione Retribution. Altri 32 furono rilasciati una settimana dopo. Per parte sua, Maskhadov sostenne la posizione di Yandarbiev, dichiarando di essere disposto ad intavolare immediatamente trattative con il Generale Tikhomirov riguardanti un effettivo cessate – il – fuoco. In un primo momento la leadership dell’esercito federale, rappresentata in primo luogo proprio da Tikhomirov, non sembrò mostrarsi ricettiva: avendo avuto notizia che Eltsin si sarebbe presto recato in Cecenia, e volendo mostrare al presidente di avere la situazione  militare sotto controllo, l’alto ufficiale russo ordinò una serie di rabbiosi attacchi contro il villaggio di Goiskoye e gli insediamenti alla periferia di Urus  – Martan, provocando ampie distruzioni e ulteriori perdite da entrambe le parti, senza tuttavia ottenere risultati concreti: anzi, il 10 Maggio forze cecene tesero un’imboscata ad una colonna blindata nei pressi di Mesker – Yurt, alla periferia meridionale di Argun, costringendola ad un repentino ripiegamento. Più fortunate furono le operazioni lanciate contro le roccaforti occidentali: nel corso della seconda metà di Maggio caddero Starye Achkhoy, Yandi e Bamut (di queste battaglie parleremo più avanti). Questi parziali successi spinsero Tikhomirov a dichiarare, con ingiustificata pomposità, che non ci fossero più grandi sacche di resistenza delle formazioni armate di Dudayev e che tale evidenza avrebbe favorito negoziati senza alcuna condizione[1].

Zelimkhan Yandarbiev

Il 23 maggio, finalmente, fu annunciato che Yandarbiev era stato invitato a Mosca per porre fine alla guerra. Il 27 Yandarbiev raggiunse l’aereoporto inguscio di Sleptovskaya accompagnato da una nutrita scorta armata, e da qui volò fino alla capitale russa. Insieme a lui c’erano Akhmed Zakayev, Khozh – Akhmed Yarikhanov e, Movladi Ugudov, oltre ad altri funzionari[2], tra i quali alcuni rappresentanti dell’OSCE. Quando la delegazione cecena raggiunse il Cremlino, Yandarbiev ed i suoi entrarono nella sala del negoziato da una porta laterale, trovandosi faccia a faccia con la rappresentanza del governo filorusso, Zavgaev in testa, che stava entrando dalla parte opposta. Quando entrambe le delegazioni furono una di fronte all’altra, dalla porta centrale apparve Eltsin. Era chiaro che questi intendeva presentarsi alle parti come il “mediatore” che avrebbe risolto un “conflitto interno” alla repubblica cecena. Eltsin si sedette a capotavola, invitando le parti a sedersi sui lati del tavolo. Ma Yandarbiev si rifiutò di assecondarlo, finché Eltsin non avesse accondisceso a prendere il posto di Zavgaev, riconoscendosi come una parte in causa e non come un giudice super partes. Davanti al folto gruppo di inviati accorsi a riprendere l’evento, il Presidente ad interim della Repubblica Cecena di Ichkeria dichiarò: Sono venuto ad incontrare il Presidente russo, non alla riunione di una commissione. Avete capito?  Eltsin oppose resistenza, rispondendo: Mettiamoci a parlare: non siamo pari a lei, indicando una sedia alla sua sinistra. Avvicinatosi fin quasi a toccarlo, Yandarbiev rispose: Anche se non siamo pari, dobbiamo decidere, rimanendo in piedi davanti al presidente russo, il quale, sempre più stizzito, insisteva: Si sieda! Si sieda! All’ordine di Eltsin il presidente ceceno rispose: Boris Nikolaevic, se lei usa questo tono con me, io non mi siederò! Messo l’avversario sulla difensiva, Yandarbiev riprese: Parliamo a tu per tu! Al rifiuto di Eltsin, tra gli sguardi imbarazzati dei funzionari del Cremlino, e nel silenzio della delegazione del governo Zavgaev, il leader indipendentista rispose: Allora non parleremo affatto. Io non mi siedo. Basta! E poi, volgendogli le spalle: Non tollero azioni del genere. Di fronte all’imbarazzo dei russi, Yandarbiev chiese che Zavgaev ed i suoi delegati abbandonassero il tavolo. Eltsin replicò: ci sono documenti da firmare, li firmerà lui, indicando Zavgaev. L’altro, prontamente, rispose: se non ci troveremo d’accordo, non firmeremo alcun documento. Il presidente russo rispose che un documento doveva assolutamente essere firmato: bisogna mettere termine allo spargimento di sangue, bisogna porre fine alla guerra. In questo modo palesò all’altro il suo assoluto bisogno di chiudere quell’incontro con la firma di un documento politico. E a quel punto fu chiaro a Yandarbiev che il suo avversario era sul punto di cedere. Io voglio parlare con lei. Lo incalzò. Penso che sarà lei a trarne vantaggio. Dopo alcuni minuti di confusione, Eltsin si alzò dal capotavola, si sedette dal lato di Zavgaev ed invitò Yandarbiev a sedersi. I ceceni l’avevano spuntata: ora il negoziato sarebbe stato tra Russia ed Ichkeria.

Yandarbiev discute con Eltsin il 27 Maggio 1996

La scena fu ripresa dalle TV di tutto il mondo, e fu piuttosto imbarazzante per il Presidente russo. Sul momento questi incassò il colpo, ma il suo piano aveva appena iniziato a svilupparsi: mentre i colloqui sul cessate il fuoco andavano avanti, Eltsin volò a Grozny, lasciando il Primo Ministro, Chernomyrdin, alle prese con un ignaro Yandarbiev. I negoziati portarono alla firma congiunta di un documento che impegnava le parti a cessare tutte le operazioni dalla mezzanotte del 1 Giugno 1996 e ad organizzare un nuovo round di negoziati nella capitale del Daghestan, Makhachkala. Nel frattempo, mentre il presidente ceceno ed il premier russo firmavano un accordo di pace, il Presidente russo si mostrò nella capitale cecena per una fugace visita elettorale di quattro ore, proclamando la vittoria delle forze russe, e dichiarando che ben presto le poche unità indipendentiste rimaste sarebbero state liquidate. Poi, durante il viaggio di ritorno, dichiarò che la sua visita era servita a dimostrare che la Cecenia è parte della Russia, e di nient’altro. Fu una vigliaccata che Yandarbiev non gli perdonò, oltre che una inutile e pomposa menzogna. Di fatto Yandarbiev si trovò ad essere l’ostaggio dietro al quale Eltsin poté volare in Cecenia garantendosi l’incolumità personale[3]. Ad ogni modo, il 2 Giugno il Comitato di Difesa dello Stato confermò gli Accordi di Mosca, modificando unicamente la sede del secondo ciclo di colloqui da Makhachkala a Nazran, in Inguscezia. Il 6 Giugno questi ripresero sotto il patrocinio del presidente inguscio Ruslan Aushev. Capi delle rispettive delegazioni erano il Ministro delle Nazionalità russo, Mikhailov, ed il Capo di Stato Maggiore delle forze armate cecene, Maskhadov, accompagnato da Said – Khasan Abumuslimov, nuovo Vicepresidente della Repubblica Cecena di Ichkeria, appena nominato da Yandarbiev[4].

Mandatory Credit: Photo by Yuri Kochetkov/EPA/Shutterstock (8489593a) Ingush President Ruslan Aushev

I negoziati non iniziarono nel migliore dei modi, giacché subito dopo il loro inizio la cittadina di Shali fu oggetto di un attacco, durante il quale furono catturati 14 tra funzionari e poliziotti del governo filorusso. Non è chiaro cosa successe precisamente, fatto sta che il Generale Shamanov, al comando delle unità schierate in quel settore, pose sotto assedio la cittadina. Per rappresaglia, i ceceni assediarono un avamposto della milizia dipendente dal Ministero dell’Interno presso il villaggio di Shuani, catturando 27 militari. Di nuovo si materializzò l’impasse che aveva fatto naufragare i negoziati l’anno precedente, e nonostante le delegazioni giunte a Nazran avessero già concordato un cessate – il – fuoco permanente ed il progressivo ritiro delle truppe federali entro la fine di Agosto, la parte russa dichiarò di non essere intenzionata a portare avanti il ritiro a causa della scarsa collaborazione offerta dalla parte cecena. Ci vollero un paio di giorni prima che il clima si distendesse a sufficienza da far riprendere i negoziati, i quali proseguirono sul blocco delle questioni politiche. Maskhadov chiese, ed ottenne, la promessa che entro il 1 Luglio le forze federali abbandonassero il paese, e che Mosca accettasse la costituzione di un governo di unità nazionale che traghettasse il paese a nuove elezioni. A tal proposito, Mikhailov si impegnò a garantire che nessuna consultazione elettorale si sarebbe tenuta finché le forze di Mosca non avessero completato il loro ritiro. Questo tema era considerato fondamentale dagli indipendentisti, ed era tanto più caldo in quanto il premier filorusso, Zavgaev, che a Mosca, durante le trattative tra Yandarbiev ed Eltsin, era stato pubblicamente degradato a fantoccio dei Russi, intendeva consolidare la sua posizione con un nuovo voto popolare, ed aveva indicato per il 16 Giugno la data della nuova consultazione, in contemporanea con le elezioni presidenziali russe, il cui appuntamento era stato il principale motore della riapertura dei negoziati da parte di Eltsin. Qualora le elezioni si fossero svolte prima del ritiro, Zavgaev avrebbe avuto più chances di mettere in angolo i nazionalisti i quali, molto probabilmente, avrebbero boicottato la tornata. La vittoria elettorale avrebbe permesso al Capo della Repubblica Cecena di presentarsi alle parti come l’unico in grado di costituire un governo di unità nazionale, potendo così amministrare il passaggio di consegne tra Mosca e Grozny e tenere lontani dal potere Yandarbiev e Maskhadov. Una convincente tornata elettorale, infine, avrebbe dissipato le sempre più minacciose nubi che si addensavano sul suo esecutivo, sempre più nel mirino degli inquirenti a causa di certi ammanchi finanziari dei quali, al momento, Zavgaev non sapeva rendere conto. Da tempo infatti la procura federale portava avanti indagini sui flussi che dalle casse dello Stato transitavano attraverso numerose banche commerciali, e da queste finivano nelle disponibilità dei dicasteri ceceni deputati alla ricostruzione del paese, in particolare nelle mani dell’ex sindaco di Grozny, Bislan Gantamirov. Su di lui pesavano le accuse di aver dirottato miliardi di rubli destinati alla ricostruzione verso il riarmo della propria milizia personale. Come abbiamo visto, Gantamirov era già stato sindaco della città una prima volta, quando era allineato sulle posizioni degli indipendentisti, tra il 1991 ed il 1993, ed anche in quell’occasione era finito sotto l’occhio della magistratura per malversazione di quote petrolifere. Le accuse della procura federale sembravano ricalcare in maniera speculare quelle rivoltegli a suo tempo dalla procura repubblicana. Un’elezione popolare avrebbe forse attenuato il crescente astio che montava tra la popolazione di Grozny verso il suo governo, già di per sé debole a causa della presenza pervasiva dell’esercito federale, e ora accusato apertamente di essere corrotto. I dudaeviti ovviamente contestavano la proposta di Zavgaev, ed a Nazran Maskhadov dichiarò che i suoi non avrebbero preso parte alle elezioni e che non le avrebbero in alcun modo riconosciute ma anzi, che qualora esse non fossero state annullate entro il 12 Giugno, avrebbero ripreso le ostilità contro le truppe federali ancora presenti in Cecenia.

Aslan Maskhadov (Photo by Oleg Nikishin/Getty Images)

Il 10 giugno Maskhadov ed il Comando militare russo giunsero ad un accordo, che Mikhailov non esitò a definire l’ultima possibilità e, forse, l’unica opportunità di pace[5]: i federali avrebbero tolto l’assedio ai villaggi sotto attacco entro il 7 Luglio, ed in cambio i ceceni avrebbero consegnato le loro armi entro il 7 Agosto. Al termine della demilitarizzazione, prevista per il 31 agosto, le forze federali avrebbero definitivamente lasciato la Cecenia. Nel frattempo i due fronti si sarebbero scambiati i prigionieri ancora nelle rispettive mani. Furono costituiti gruppi di lavoro congiunti, incaricati di redigere le liste dei prigionieri da scambiare, e commissioni militari che organizzassero la demilitarizzazione dei villaggi. La firma dei protocolli militari portò ad un primo ritiro delle unità schierate a ridosso delle cittadine di Vedeno e Shatoy, l’11 Giugno 1996. Quello tuttavia fu l’unico effetto pratico dell’accordo giacché, il giorno successivo, Zavgaev confermò che il 16 si sarebbero tenute regolarmente le elezioni[6]. Eltsin, che proprio quel giorno avrebbe dovuto affrontare la prova elettorale più difficile della sua vita politica, non aveva intenzione di infangare la sua immagine con un intervento riguardo la Cecenia, e liquidò le elezioni come un affare interno alla piccola repubblica, non appoggiandole esplicitamente, ma neanche condannandole[7], e considerandole come un “tampone” in attesa che il ritiro fosse completato e si potesse procedere a nuove elezioni. Zavgaev, da parte sua, smentì questa posizione, dichiarando che le elezioni che erano in procinto di tenersi avrebbero costituito il corpo legislativo dello stato almeno fino al 1998, escludendo a priori qualsiasi margine di trattativa politica con gli indipendentisti.

In questo modo mentre gli occhi di tutto il mondo erano puntati sul Cremlino, a Grozny ed in qualche altro distretto ancora sotto il controllo federale si tennero le elezioni – farsa di cui Zavgaev aveva bisogno[8]. Si trattò di una consultazione priva di rappresentatività, poco partecipata e boicottata dagli indipendentisti, al termine della quale Zavgaev uscì, come previsto, vincitore. Alla Camera dei Rappresentanti, uno dei due nuovi organi previsti da Zavgaev,  venne eletto l’ex membro del Presidium del Soviet Supremo Amin Osmaev, mentre la Camera Legislativa elesse presidente l’ex Capo del Governo di Rinascita Nazionale, l’organo costituito nell’estate del 1994 dal Consiglio Provvisorio, Ali Alavdinov. L’OSCE, che aveva avuto modo di verificare quanto poco trasparenti fossero state le elezioni, giudicò la consultazione illegittima, pubblicando una nota nella quale la certificava come non allineata agli standard minimi di legalità, oltre a contraddire lo spirito del protocollo sul cessate il fuoco e sulla risoluzione del conflitto armato firmato il 19 Giugno a Nazran[9].  Il primo risultato delle elezioni fu una recrudescenza delle azioni militari: gli indipendentisti risposero alla presa di posizione di Zavgaev chiedendo l’annullamento della consultazione, le dimissioni del governo Zavgaev e la ricostituzione della delegazione russa in modo che questa non includesse personaggi gravati dalla responsabilità di aver scatenato la guerra[10],  lanciando una serie di attacchi alle truppe federali, alle quali i russi risposero con uguale ferocia: nel corso delle prime tre settimane di giugno i ceceni attaccarono le posizioni russe almeno 350 volte, ed altrettante furono le azioni di rappresaglia compiute dalle forze federali[11].

Doku Zavgaev

L’effimera vittoria politica ottenuta da Zavgaev con le sue elezioni, non portò al leader ex – sovietico alcun vantaggio tangibile. Anzi, contribuì ad isolarlo sia rispetto alla popolazione cecena, che ormai lo odiava, sia rispetto al Cremlino, che non poteva più spenderlo come candidato credibile alla guida di un governo di unità nazionale, malgrado questi ribadisse di aver ottenuto tale investitura con il voto appena conclusosi. La leadership indipendentista continuò a pretendere che i negoziati si svolgessero esclusivamente tra i suoi rappresentanti e quelli della Russia, relegando Zavgaev al ruolo di mero collaborazionista delle forze di occupazione. I russi, per parte loro, avevano come unico obiettivo quello di porre fine alle operazioni militari, e di presentare la Cecenia “pacificata” e non avevano più alcuna intenzione di perdere tempo e risorse nel puntellare il potere di Zavgaev. Prova di questo fu l’arresto, operato dalla stessa polizia federale, dell’ex sindaco di Grozny, nel frattempo diventato Vice Primo Ministro, Bislan Gantamirov, fermato a Mosca con l’accusa di appropriazione indebita di 7 miliardi di rubli dai fondi destinati alla ricostruzione della Cecenia, e di frode[12]


[1] Stanislav Dmitrevsky, Bogdan Gvraeli, Oksana Chelysheva – Tribunale Internazionale per la Cecenia.

[2] Insieme ai delegati sopra citati presenziarono alle trattative gli assistenti presidenziali Movlen Salamov ed Hussein Bybulatov ed il Viceministro degli Esteri Yaragi Abdulaev.

[3] Tale considerazione fu condivisa anche dai media russi. In un articolo di Kommersant del 29/05/1996 si leggeva: Il viaggio di quattro ore del presidente non poteva rivelarsi un fallimento, come molti scettici avevano previsto. Né poteva finire tragicamente: la delegazione degli indipendentisti ceceni, rimasta a Mosca fino al ritorno di Eltsin, si è fatta garante della sua incolumità.

[4] Said – Khasan Abumuslimov: Nato in Kazakistan il 01/02/1953, professore presso l’Università Statale Cecena, era stato uno dei principali ideologi dell’indipendentismo ceceno ed uno dei suoi primi attivisti avendo partecipato alla fondazione, nel 1988, della rivista Bart, dalla quale sarebbe sorto il Partito Democratico Vaynakh. Membro del Comitato Esecutivo del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno (Ispolkom) era stato eletto deputato alle elezioni popolari dell’Ottobre 1991. Nel Giugno 1993 aveva sostenuto Dudaev, rimanendo in Parlamento fino allo scoppio delle ostilità.

[5] Kommersant, 13/06/1996.

[6] In una nota pubblicata dal quotidiano russo Kommersant il 13/06/1996, il portavoce di Zavgaev dichiarò: L’annullamento delle elezioni significherebbe la sconfitta davanti agli indipendentisti e che la dirigenza cecena non intendeva essere condizionata da una manciata di ricattatori.

[7] Uno dei membri della delegazione russa a Nazran, Vladimir Zorin, commentò: le elezioni per il rinnovo del parlamento ceceno non sono una priorità, perché non rientrano nel quadro degli accordi firmati a Mosca. Tra il 10 ed il 16 Giugno i delegati russi difesero blandamente l’idea delle elezioni, cercando di convincere Yandarbiev che queste non avessero a che fare con il ben più importante tema della risoluzione del conflitto, e che la tornata elettorale sarebbe stata comunque cancellata da nuove elezioni non appena terminato il ritiro delle truppe russe dal paese. Sergei Stephasin rassicurò sui media che lo svolgimento dell’attuale votazione non annulla le future elezioni democratiche, le quali si svolgeranno dopo il ritiro definitivo delle truppe e la smilitarizzazione della repubblica mentre il rappresentante presidenziale Emil Pain dichiarò che le elezioni avevano l’unico scopo di costituire un corpo legislativo democratico che assicurasse una transizione che fosse più breve possibile (Kommersant, 15/06/1996).

[8] Secondo quanto riportato in The War in Chechnya: Anche il rappresentante del Quartier Generale Russo, Tenente Generale Andrei Ivanov, fu costretto ad ammettere indirettamente che considerare “svolte” le elezioni era possibile soltanto con un discreto sforzo di fantasia. Le elezioni non si tennero affatto in tutta la regione di Khuchaloy, né nei territori circostanti Bachi – Yurt, Alleroy, Tsentoroi, Gudermes, Vedeno, Shelkovsky e Shali. Furono parzialmente tenute nelle regioni di Kalinovskaya e Sovetskoye, e solo in alcune comunità nelle regioni di Nozhai – Yurt ed Achkhoy – Martan.

[9] La posizione assunta dall’OSCE, e più volte ribadita dall’inviato dell’organizzazione in Cecenia, Tim Guldiman, irritò non poco Zavgaev, il quale, secondo quanto riportato da Kommersant, giudicò la condotta del diplomatico svizzero unilaterale e minacciò di chiedere la sua rimozione.

[10] Quest’ultima richiesta era riferita alla presenza di Sergei Stephasin, all’epoca dell’inizio della guerra Direttore dell’FSK – FSB.

[11] Secondo quanto riportato in The War in Chechnya le azioni di guerriglia nel mese di Giugno portarono alla morte di 30 militari russi, ed al ferimento di un centinaio, oltre alla perdita di un elicottero da combattimento e due veicoli blindati. La parte cecena soffrì la perdita di 25 uomini ed il ferimento di altri 75.

[12] Il Governo filorusso si affrettò a dichiarare sé stesso e Gantamirov estranei a qualsiasi addebito, rimbalzando l’accusa sullo stesso governo russo. Il Vicepremier Bugaev dichiarò: la distribuzione dei fondi di bilancio è completamente controllata dal centro di Mosca. Il governo della repubblica e, in particolare, Gantamirov, non hanno niente a che fare con questi soldi. Anche il sindaco successore di Gantamirov, Yakub Deniyev, sostenne l’innocenza del primo: La notizia dell’arresto di Gantamirov ha causato sconcerto e rammarico in città. Ha gettato un’ombra su uno dei più tenaci combattenti contro Dzhokhar Dudaev. Il processo contro Gantamirov si sarebbe protratto fino al 1999, quando il Tribunale di Mosca lo avrebbe condannato a 6 anni di reclusione. Tuttavia nel giro di 6 mesi sarebbe uscito di carcere tramite un provvedimento di grazia concessogli da Eltsin in concomitanza con l’inizio della Seconda Guerra Cecena, durante la quale Gantamirov sarebbe stato nominato Capo del Consiglio di Stato del governo filorusso (Vedi il Volume IV di quest’opera).

“Niente di nuovo in Ucraina” – Intervista a Khavazh Serbiev

Khavazh Serbiev è stato Procuratore Generale della Repubblica Cecena di Ichkeria durante il periodo che intercorre tra la prima e la seconda invasione russa del paese. Nel Giugno del 2022 ha rilasciato un’intervista ad Ukraina Today (https://ukrainatoday.com.ua/) riguardo i parallelismi tra la guerra in corso e quelle combattute dai Ceceni. Ti seguito riportiamo la traduzione dell’intervista.

L’articolo originale è disponibile quì:

https://ukrainatoday.com.ua/k-rassledovaniju-voennyh-prestuplenij-ochen-vazhno-privlech-zarubezhnyh-jekspertov-genprokuror-nepriznannoj-ichkerii-serbiev/

Hai indagato sui crimini dell’esercito russo. Se confrontiamo le azioni dell’esercito russo in Cecenia e quello che hanno fatto in Ucraina, c’è qualcosa di più simile o diverso?

In Ucraina non è successo, né sta succedendo nulla di nuovo, rispetto a quanto è stato fatto nella Repubblica Cecena. Tutto è rispecchiato: soltanto la scala è diversa, perché la tua gente (gli Ucraini, Ndr) è molte volte più numerosa dei ceceni, ed il territorio è più vasto. Tutto il resto è uguale. Questo ci è così familiare che siamo persino sorpresi: nulla cambia nella politica dello stato russo e nelle azioni del suo esercito!

Perché la comunità mondiale ha reagito piuttosto lentamente alle dichiarazioni sui crimini di guerra russi in Cecenia? Perché era considerato un affare interno della Russia, o perché la propaganda russa è riuscita a disumanizzare i ceceni, dicendo che lì stavano combattendo i terroristi?

Certo, il mondo intero credeva che il territorio ceceno ed il popolo ceceno fossero sudditi della Federazione Russa. E nessuno voleva cambiare le cose. Anche se nel novembre 1990, secondo le leggi dell’URSS, la Repubblica cecena venne effettivamente portata su un piano di parità con le altre repubbliche sindacali (le repubbliche che componevano l’URSS, ndr). Ma nessuno voleva cambiare le cose. Inoltre, la Russia è un grande stato nucleare. Mi sembra che questo fattore abbia avuto un ruolo di primo piano.

Alla fine, tutti in quel momento avevano i loro problemi. L’Ucraina, la Bielorussia e altri stati avevano lasciato l’URSS. Non volevano nemmeno porsi questo problema. E il resto del mondo – l’Occidente e altri stati – per loro questa faccenda stava accadendo in un luogo lontano, a loro non importava. La parte cecena è stata accusata di utilizzare metodi inaccettabili. Cioè, hanno incolpato la vittima e l’aggressore secondo gli stessi standard. C’era una sorta di paura o di riluttanza a intervenire in questo problema.

E’ importante coinvolgere esperti stranieri nelle indagini sui crimini di guerra o è sufficiente utilizzare le nostre stesse forze?

È molto importante coinvolgere esperti stranieri. Perché in un dialogo con la Russia non è realistico fare qualcosa da soli. Naturalmente, la base viene creata sul posto. Per voi ucraini è più facile, ma per noi era praticamente impossibile. Credo che tutto il mondo dovrebbe essere coinvolto in questo processo. È importante avere un’opinione internazionale, un’indagine internazionale. Questo è l’unico modo in cui può funzionare.

Come si sono svolte le indagini sui crimini di guerra dopo la prima guerra cecena?

Presso l’ufficio del procuratore generale è stato avviato un procedimento penale per genocidio. Il materiale, raccolto in ogni circoscrizione del nostro territorio, era convogliato negli apparati della Procura Generale. Prove di genocidio e crimini di guerra dell’esercito russo sono stati indagati in ogni distretto. E tutto è confluito in un procedimento penale comune, che ha raggiunto 64 volumi. Ogni volume è di almeno 400 pagine. Questo è ciò che siamo stati in grado di coprire. Prima dell’inizio della seconda aggressione russa, tuttavia, non fummo in grado di trasferire una certa quantità di questo materiale ad un’autorità internazionale, come il Tribunale dell’Aja.

Grozny nel 1995

Perché?

Perchè la Russia ha creato enormi problemi all’interno della Cecenia, gli eventi si sono sovrapposti l’uno all’altro in un’ondata dopo l’altra. Le forze dell’ordine e, naturalmente, l’ufficio del procuratore generale, semplicemente non hanno avuto il tempo di portare a conclusione almeno una parte di questo caso sui crimini di guerra dell’esercito russo nella Repubblica cecena. Semplicemente, non ce l’abbiamo fatta. Quando ormai era iniziata la seconda aggressione, abbiamo consegnato parte dei materiali al Tribunale dell’Aia. Sono stati consegnati circa 12 volumi di materiali. Alcuni furono restituiti, perché considerati non pertinenti secondo le norme del diritto internazionale. Non avevamo esperienza. Sono rimasti solo 6 volumi. Nel frattempo ricominciarono le ostilità attive e presto l’intero territorio fu completamente occupato. Ed ogni ulteriore processo è stato nuovamente sospeso.

Durante la prima guerra, persa da Mosca, le truppe russe causarono molti problemi ai ceceni. Come è potuto accadere che durante la Seconda guerra Mosca abbia trovato relativamente molti alleati tra i ceceni? In particolare, Kadyrov li ha supportati.

Il regime russo, le autorità ed i servizi competenti coinvolti nella Repubblica cecena hanno tenuto conto dei loro precedenti errori. Il “lancio del cappello” ha dominato le menti dei politici e dei militari durante la loro prima campagna. Di conseguenza, hanno tenuto conto di questi momenti e hanno svolto un enorme lavoro sotto copertura per attirare nuovi membri in questa rete di agenti, ed hanno anche lanciato una potente propaganda all’interno della stessa Russia.

Immagina quando è iniziata la seconda campagna: immediatamente alla televisione di stato della Russia suonò “Alzati, il paese è enorme!” (canzone popolare scritta durante la Seconda Guerra Mondiale per mobilitare le masse contro l’invasione tedesca, Ndr) come suonava durante la Seconda guerra mondiale, quando Hitler attaccò l’URSS. L’ho sentito io stesso. Viene la pelle d’oca quando si sente questa canzone. Immagina questo contro la piccola Repubblica cecena, che alcuni non riescono neanche a trovare sulla mappa! E poi improvvisamente i ceceni sono diventati una “forza fascista”. La stessa cosa che è stata fatta ora contro l’Ucraina.

La seconda guerra cecena è stata preceduta da attacchi terroristici sul territorio della Russia, in cui sono stati accusati i ceceni. Che ne sai a riguardo?

Solida disinformazione, che è stata giocata molto non solo in Russia, ma in tutto il mondo. Molti ci hanno creduto. Perché è stato presentato in modo così magistrale utilizzando i media controllati dal regime. Era così ovvio per noi che si trattava di una bugia che siamo rimasti semplicemente sorpresi. C’erano molte prove che si trattava di provocazioni, che ciò veniva fatto dai servizi speciali russi. Ma semplicemente non c’era nessuno ad ascoltarci. E i materiali che abbiamo cercato di contrabbandare all’estero attraverso i media in Occidente sono semplicemente scomparsi. Furono trasmessi, furono segnalati, ma non ci fu alcuna risposta.

Shamil Basayev durante l’invasione del Daghestan (Agosto 1999)

C’era un’altra ragione per la seconda guerra: l’invasione del distaccamento di Shamil Basayev in Daghestan. Perché è accaduta?

Sì, c’è stata uno sconfinamento di alcuni gruppi, c’erano ceceni anche nel territorio del Daghestan. Questo non può essere negato. Se sapessi quanto erano diversi questi gruppi! C’erano persone provenienti da tutto il Caucaso settentrionale, compreso il Daghestan. Solo Bagautdin (uno dei leader della “Shura islamica del Daghestan” – ndr) ha portato nel nostro territorio 2.000 persone. E la gente ha avuto l’impressione che fossero i ceceni a muoversi come una valanga nel territorio del Daghestan con l’obiettivo di occupare, aggredire, ecc. Sembrava completamente diverso rispetto a quello che vedevano testimoni oculari. Tutti, ovviamente, hanno visto quello che volevano vedere. Ma ti assicuro che non c’era nemmeno la metà dei ceceni. Per la maggior parte erano persone di altre repubbliche, c’erano anche volontari dal Medio Oriente … Naturalmente, il presidente Aslan Maskhadov, fin dall’inizio, quando le informazioni iniziarono ad arrivare, era categoricamente contrario. E questa non era l’azione delle unità armate della Repubblica cecena di Ichkeria. In nessun caso! Questi erano volontari che hanno fatto la loro scelta e hanno preso parte a questa operazione.

Il presidente Maskhadov ha avuto l’opportunità di fermare l’azione di Basayev?

A quel tempo, ai confini della Repubblica cecena, in tutto il Caucaso settentrionale, c’era una massiccia concentrazione di truppe russe, enorme. Perché erano concentrati in questi luoghi?  Noi non avevamo truppe ai nostri confini, non c’era nemmeno la possibilità di farlo. Ad esempio, non vi era alcuna leva nell’esercito in quanto tale. E contenere i volontari o lo stesso Basayev, che ha agito da solo, avrebbe significato uno scontro militare intra-ceceno. Il passaggio al territorio del Daghestan è avvenuto in pochi giorni. Credo che per Maskhadov sia stato, da un lato, inaspettato e che comunque non ci fossero forze adeguate per organizzare una sorta di barriera per impedire questo sconfinamento.

Tra i soldati russi morti in Ucraina, ci sono molte persone del Daghestan. Come spiegarlo?

Il Daghestan è per la maggior parte un’area montuosa. Ci sono molti villaggi d’alta quota che vivono autonomamente. Possiamo dire che la ragione principale è la povertà. Nella Federazione Russa, questo è un fenomeno comune nell’entroterra. E in Daghestan c’è povertà, e quindi …

THE CHECHEN REPUBLIC OF ICHKERIA IS A SUBJECT OF INTERNATIONAL LAW

As is known, the right of peoples to self-determination is one of the basic principles of international law, which means the right of each people to independently decide on the form of their state existence, freely determine their political status without outside interference and carry out their economic and cultural development.

He received recognition in the process of the collapse of the colonial system , and was enshrined in the Declaration on the Granting of Independence to Colonial Countries and Peoples (adopted by Resolution No. 1514 of the XVth UN General Assembly of December 14, 1960) and subsequent international pacts and UN declarations.

This principle, along with other principles, is proclaimed in the UN Charter, which aims to “develop friendly relations among nations based on respect for the principle of equal rights and self-determination of peoples.” The same goal is set in the UN Charter in connection with the development of economic and social cooperation between states.

Further, the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights and the International Covenant on Civil and Political Rights of December 19, 1966 (Article 1) state: “All peoples have the right to self-determination. By virtue of this right, they freely determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural development … All States Parties to the present Covenant … must, in accordance with the provisions of the Charter of the United Nations, promote the exercise of the right to self-determination and respect this right.

The Declaration on the Principles of International Law (October 24, 1970) also states: “By virtue of the principle of equal rights and self-determination of peoples, enshrined in the UN Charter, all peoples have the right to freely determine their political status without outside interference and to carry out their economic, social and cultural development and every State has an obligation to respect that right in accordance with the provisions of the Charter.”

Ikhvan Gerikhanov with Vakha Arsanov

The same Declaration states that the means of exercising the right to self-determination can be “the creation of a sovereign and independent state, free accession to or association with an independent state, or the establishment of any other political status.”

Similar principles are enshrined in the documents of the Conference on Security and Cooperation in Europe: the Helsinki Final Act of 1975, the Final Document of the Vienna Meeting of 1986, the document of the Copenhagen Meeting of the OSCE Human Dimension Conference of 1990 and other international legal acts .

These international principles and the right to self-determination are directly related to the formation of the Chechen state. Without going into a historical digression about the existence of state formations among the Chechens since ancient times, we will dwell on the subject of the formation of the national statehood of the Chechens during the collapse of the USSR and after its liquidation.

According to Article 72 of the Constitution of the USSR, which was a amended by the Law of April 3, 1990, the right to secede from the Soviet Union was provided for only to the republics of the Union. It was also provided there, in the second and third parts of the said law, that “the decision to change the status and secession of an autonomous republic or an autonomous region from the USSR is possible only by a referendum. “

The first of the republics to use this right Russian Federation and on June 12, 1990, it proclaimed its sovereignty outside the USSR.

This initiative for self-determination was also supported on the territory of the Chechen Republic of China , where on November 23-25, 1990, the 1st Chechen National Congress was convened and a decision was made on behalf of the Chechen people to declare the sovereignty of the Chechen Republic of Nokhchicho . In fact, this was an act of a referendum, since the representatives of the congress, on behalf of the Chechen people, decided to choose a free path of development within the framework of the current legislation of the USSR and the RSFSR. It was precisely this path that the RSFSR chose when it convened its next congress of people’s deputies and proclaimed its sovereignty outside the Union of Soviet Socialist Republics.

So, the decision of the congress of the Chechen people was and legally fixed by the legally existing Supreme Council of the Chechen-Ingush Republic, which on November 27, 1990 issued a Resolution declaring the state sovereignty of the Chechen-Ingush Republic.

Dzhokhar Dudaev at the second session of the Congress, 1991

In a word, the Chechen people (taking into account that later the people of Ingushetia also wished to live as part of the RSFSR), in accordance with the generally recognized principles and norms of international law, while observing domestic law, expressed their will to self-determination at a new stage of their development. This corresponds to the legal establishment of the Declaration on the Principles of International Law (October 24, 1970 ) , which states that every people can freely determine its political status and carry out its economic, social and cultural development without outside interference.

Also, the said Declaration on State Sovereignty of the CHIR allowed to obtain an equal legal status, like the RSFSR, i.e. the status of a union republic.

This legal status did not change even after August 19, 1991 , when an attempt was made in Moscow against the president of the USSR , from which a wave of protests began throughout the entire territory of the union state.

Did not become an exception, which ultimately lost power in the republic and transferred powers again formed by the Provisional The Supreme Soviet is from among the deputies of the highest authority of the republic. The task of this Council was to prepare and conduct democratic elections to the state authorities of the republic, which it failed to cope with, and the election commission, created by the National Congress of the Chechen People, took over the preparation of the elections.

As a result, on October 27, 1991, parliamentary and presidential elections were held. Based on the will of the people, the President and the Parliament of the Republic were elected, thereby once again securing the right of the Chechen people to self-determination.

It follows from this that the inalienable right of the people to self-determination is connected with its national sovereignty and is the basis of its international legal personality. If peoples have the right to self-determination, then all other states have the duty to respect this right. This obligation also covers the recognition of those international legal relations in which the people themselves are the subject.

Hussein Akhmadov, speaker of the Parliament, with the vicepresidents, Mezhidov and Gushakayev

The will of the people, which elected the bodies of state power and administration , was once again enshrined in the Decree of the President of the Chechen Republic of November 1, 1991, proclaiming state sovereignty, thereby continuing the will of the Chechen people, expressed at the first congress on November 23-25, 1990.

Then, on March 12, 1992, the Constitution of the Chechen Republic was adopted and entered into force. And on June 12, 1992, all units of the former Soviet Army stationed on sovereign territory left the republics and, thereby de facto recognizing the sovereignty of the Chechen people.

It should be noted that since the declaration of the sovereignty and territorial integrity of the Chechen Republic, the latter has not taken part in all the ongoing activities to create authorities in the Russian statehood. Thus, the Chechen Republic did not sign federative agreements and did not participate in the formation of the state power of Russia, as well as when voting for the Constitution of the Russian Federation, which was adopted on December 12, 1993, i.e. almost more than a year and a half after the declaration of sovereignty and the adoption of the Constitution of the Chechen state

Thus, the Chechen Republic of Ichkeria , which received a change in name in 1993, in terms of compliance with domestic and international requirements for self-determination, quite legally and reasonably established its legal personality, created its own institutions of state power and administration within the country , while creating representative offices in other states of the Caucasus and the world. That is, from the point of view of international law, we are talking about the activities of sovereign states a , with its inherent features of a subject of international law.

By the way, it will be said that in this period of time, before the start of the conflict with Russia, it was precisely as a subject of international law that CRI was recognized by states such as Georgia and Afghanistan, and our countries were already ready to open official representative offices of the state with the right to present credentials by ambassadors mutually. But, as you know, these intentions were frustrated due to the change in the format of power in Georgia and the beginning of the second Russian aggression against our republic.

Direct relations between the Chechen Republic of Ichkeria and the Russian Federation also testify that there was compliance with the rules and protocol when interacting as subjects of international law.

While launching various Protocols and Agreements signed by these two states, both on the territory of Russia and in The Hague (Netherlands), when resolving the issue of resolving the military conflict, it should be recognized that the election of the President of the CRI on January 27, 1997 put a legal end to the issue on the status of the Chechen Republic of Ichkeria. In the presence of international observers from the OSCE member states, on the basis of the Constitution of the CRI and in accordance with international law, the result of the election of state bodies of the republic was recognized: the President and the Parliament of the CRI.

RUSSIA. May 12, 1997. Russian President Boris Yeltsin (R) and the President of the Chechen Republic of Ichkeria Aslan Maskhadov after signing of the Russia-Chechen Peace Treaty. Alexander Sentsov, Alexander Chumichev/TASS –—

Recognizing the sovereignty and territorial integrity of the CRI, the President, the Chairman of the Federation Council and the Prime Minister of the Russian Federation officially congratulated the leadership of the Chechen Republic of Ichkeria on democratic elections, that is, de jure recognized the CRI as a subject of international law. The latter is confirmed by such a signed interstate document as the “Treaty on Peace and Principles of Relations between the Russian Federation and the Chechen Republic of Ichkeria” , where it was unequivocally stated that “ bilateral relations will be considered in the light of generally accepted norms and principles of international law”.

It follows from this that the Chechen Republic of Ichkeria, in accordance with domestic and international law, established its authority on sovereign territory, and this fact was legally recognized by the subject of international law as the Russian Federation, from which, observing as currently in force domestic law , and the basic principles and norms of international law, the Chechen Republic of Ichkeria separated as an independent state, and therefore as a subject of international law.

In relation to the current situation, the Russian armed forces occupied and even annexed the sovereign territory of the CRI, which is a violation of international legal obligations and principles of interaction between subjects of international law, in accordance with the Geneva Convention of August 12, 1949.

It is indisputable that the very fact of occupation and annexation of foreign territory, according to the same Convention, does not acquire the right to sovereignty over this territory, regardless of the time of its occupation and retention by force. Therefore, the legal successor of the legitimate power – the Government of the CRI, located outside the country – continues legal and political work to de-occupy its territory.

The CRI government, repeating the previous statement, as a legitimate successor of a subject of international law, on the basis of the Constitution CRI conducts such diplomatic activities as the work of representative offices abroad and the opening of their own representative offices . Work is also underway to grant CRI citizenship to foreigners who wish and issue passports to citizens of the Chechen Republic of Ichkeria.

Meetings of the leadership of the CRI Governments at the highest level with representatives of the OSCE and other international organizations, as well as various diplomatic initiatives against the Russian occupation of the Chechen Republic and Ichkeria , statements to the International Criminal Court about crimes against humanity and war crimes by the political and military leadership of Russia, the existence of criminal cases and their investigations within the framework of the instructions of the Prosecutor General of the CRI and the statement of the Minister of Foreign Affairs of the CRI on political issues, this is not a complete list of the real activities of the Government of the CRI, which intends to wage a legal and political struggle until the complete de-occupation of its country from the aggressor.

History shows that similar situations were in the recent past in European countries. Thus, during the Second World War, the Polish government in exile continued its work in France and England for decades and was recognized by the world community as a legitimate representative of the Polish people.

A more striking example is the activity of the Baltic Governments, which achieved the return of the occupied territories, first by Nazi Germany, then by the Soviet Union, continuing the political struggle in exile until the final establishment of the independence of their countries.

From left to right: first – Said Khasan Abumuslimov, third – Vakha Arsanov, fourth – Ikhvan Gerikhanov

Military occupation, like annexation, as international practice shows, ends with the cessation of control by the aggressor. It makes no difference whether this will be done in a year or decades. Today, it must be recognized that the CRI is de facto under occupation by the Russian Federation, but this is not a fact of the loss of sovereignty, which was proclaimed by the legitimate power of the CRI on the basis of its Constitution and recognized by the participation of representatives of more than fifty and European states as international observers .

Summing up, we can state the following: The Chechen Republic of Ichkeria, having proclaimed, at the will of the Chechen people, its independence and sovereignty, on the basis of the domestic law in force at that time, in compliance with the basic principles and norms of international law, and also defending its right to free development in the struggle with the aggressor in two bloody wars, which have no analogues in world history , continues the de-occupation of its territory through representatives of the CRI state authorities, while maintaining and protecting the status of the Chechen Republic of Ichkeria as a subject of international law.

Dr. IKHVAN B. GERIKHANOV,

First Chairman of the Constitutional Court of the CRI,                                President of the National Tribunal on war crimes in the CRI Doctor of Law, specialist in international law, expert on human and civil rights.