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Memorie di Guerra: Francesco Benedetti intervista Akhmed Zakayev (Parte 1)

Quella che segue è la trascrizione della prima parte dell’intervista tra Francesco Benedetti ed Akhmed Zakayev realizzata da Inna Kurochkina per INEWS (alleghiamo il link al video originale, che presto sarà accompagnato da sottotitoli in inglese ed italiano)

1. Il 6 dicembre 1994, pochi giorni prima che l’esercito federale invadesse la Cecenia, una delegazione nominata da Dudayev si recò a Vladikavkaz per conferire con il ministro russo per le Nazionalità, Mikhailov. Nelle sue memorie lei dice che un certo numero di imprenditori petroliferi si è unito alla delegazione guidata dal ministro dell’Economia Abubakarov. Quale pensa fosse lo scopo della loro presenza? È possibile che tra le proposte che la delegazione avrebbe dovuto presentare ci fosse un accordo sullo sfruttamento del petrolio ceceno o sullo sfruttamento delle raffinerie cecene?

In quel momento e durante quel periodo, la presenza in questa delegazione del Ministro dell’Economia e delle Finanze Abubakarov, e del Vice Primo Ministro Amaliyev, non era associata ad alcun possibile accordo sul funzionamento delle raffinerie di petrolio. Erano i nostri rappresentanti e delegati di Dzhokhar Dudayev. Non solo hanno “aderito”, ma sono stati inclusi in questa delegazione. E da lì sono andati da Kizlyar a Mosca, per approfondire la questione della prevenzione dell’aggressione militare dalla Russia, per prevenire una guerra. Dzhokhar ha fatto tutto il possibile per prevenire lo scoppio delle ostilità in Cecenia. E praticamente la nostra delegazione era a Mosca, guidata da Tyushi Amaliyev, con Abubakarov, il ministro delle finanze e dell’economia, quando la Russia ha iniziato a bombardare Grozny. L’11 dicembre, nonostante tutto, Eltsin ha firmato un decreto sull’introduzione delle truppe e l’inizio di una campagna militare. Quindi, in quel momento e in quel periodo, non si trattava del funzionamento dei pozzi petroliferi, o meglio, dell’utilizzo delle raffinerie di petrolio, o del petrolio ceceno che si produceva in quel momento.

2. Allo scoppio della guerra lei si è messo al servizio del presidente Dudayev e nel giro di pochi mesi le è stato affidato il compito di allestire un fronte autonomo. All’epoca lei era Ministro della Cultura, di certo nessuno si aspettava che prendesse le armi e facesse la guerra. Perché ha deciso di arruolarsi?

(ride)

Il fatto è che non sono andato al servizio di Dudayev. Sono stato nominato ministro della cultura della Repubblica cecena di Ichkeria con decreto di Dudayev. Nessuno ha servito nessuno. Abbiamo lavorato per il nostro stato e Dzhokhar Dudayev, in qualità di presidente, aveva l’autorità di nominare e revocare. La mia nomina fu in ottobre, quando Dzhokhar Dudayev mi ha offerto di lavorare nella sua squadra. L’ho accettata nonostante tutto quello che è successo. Dico solo nel mio libro che per me non c’era differenza, era assolutamente ovvio che ci sarebbe stata una guerra. E ho detto a Dzhokhar: “Dzhokhar, non fa differenza per me in quale veste difenderò la nostra patria, il mio posto è qui, con la mia gente. Come un bidello, o come un ministro .. ” Dzhokhar ha poi detto, ricordo le sue parole, ne ho appena scritto. Egli ha detto: “No, non ci sarà nessuna guerra. Il mondo non lo permetterà. Non lo permetterò. Non ci sarà la guerra, dobbiamo fare un lavoro creativo. E il tuo posto è esattamente in questa direzione. E quindi devi accettare la mia offerta. Ho accettato questa offerta. Sono tornato nella repubblica e già il primo giorno, il 18 novembre, sono andato ufficialmente a lavorare e il 26 novembre è iniziata la guerra.

In linea di principio, questa è la prima invasione delle truppe russe con il pretesto della ‘”opposizione cecena” nella città di Grozny, dove furono sconfitte. E ora per la seconda parte della domanda. Il fatto è che secondo la nostra legislazione, penso che sia lo stesso in Italia, i membri del governo, se inizia una guerra, diventano responsabili del servizio militare, indipendentemente dalla loro posizione. Cultura, o arte, non importa, tutti diventano responsabili del servizio militare. Io, in linea di principio, prima di essere nominato comandante del settimo fronte, mi sono unito alla milizia popolare. Ricordo quel giorno, il 28 dicembre, quando fu bombardato il mio ufficio del Ministero della Cultura, nel palazzo del Sindaco, e lo stesso giorno io… C’era gente in piazza che si arruolava volontaria nella milizia popolare. Mi sono iscritto alla milizia e solo l’11 gennaio Dzhokhar mi ha richiamato dalla carica di ministro della Cultura, perché era prevista una riunione del governo. E sono tornato dalle mie posizioni alla riunione del governo l’11 gennaio. E in questo giorno Dzhokhar mi ha affidato un altro compito, ne ho scritto anche nelle mie memorie, e poi, già a marzo, quando la città è stata abbandonata e ci siamo ritirati a piedi, a quel tempo Dzhokhar firmò il Decreto sulla creazione del Settimo Fronte e mi nominò Comandante. Cioè, abbiamo iniziato a formare questo fronte, in generale, da zero.

3. Dopo la caduta di Grozny in mano russa, e il ritiro delle forze cecene sulla linea di difesa della montagna, il governo è stato riorganizzato per sopperire alle defezioni di alcuni alti funzionari, ma anche per funzionare in modo più snello in un contesto di guerra totale. Questo “governo di guerra” ha continuato a funzionare per tutto il durata del conflitto, e superò la morte di Dudayev, mettendosi a disposizione del Presidente ad interim, Yandarbiev. Come ha operato questo governo, e come è riuscito a incontrarsi, a tenersi in contatto con il Presidente?

Il Governo Militare, quello che tu chiami il Governo Militare, era il Comitato di Difesa dello Stato, formatosi con Decreto Presidenziale quando iniziò l’aggressione militare. E questo corpo era l’organo supremo dello Stato. Il Parlamento ha interrotto la sua attività legislativa. Il governo era già stato trasferito su una base militare e il Comitato di difesa dello Stato era stato formato come Organo supremo del potere statale. Comprendeva membri del Governo, membri del Parlamento, il Comando Militare Principale rappresentato dallo Stato Maggiore Generale, i Comandanti di Fronti e Direzioni. E questo governo ha funzionato per tutto questo periodo. Come sono stati gli incontri? Naturalmente, sapevamo tutti dove si trovava il comandante in capo supremo, in quale parte della repubblica. E periodicamente convocava una riunione del Comitato per la difesa dello Stato, e discutevamo questioni relative alla continuazione della resistenza. Sono state discusse questioni di natura militare in relazione alla preparazione di operazioni militari o attacchi al territorio nemico. Tutti questi punti sono stati discussi durante la riunione del Comitato per la difesa dello Stato, che ha funzionato in modo molto efficace. Era un piccolo numero di persone, ma erano persone direttamente coinvolte in tutti i processi: questioni politiche, militari, economiche. Questi compiti non erano gli unici che avevamo, perché dovevamo anche fornire alle unità le disposizioni necessarie, anche questo era di competenza del Comitato per la difesa dello Stato. E tutte queste questioni sono state discusse e hanno funzionato in modo molto efficace proprio per il fatto che Dzhokhar Dudayev non è andato sottoterra, nelle foreste, nelle montagne, dove sarebbe stato impossibile rintracciarlo, ma ha tenuto incontri personali con tutte le unità, no solo con il Comitato di Difesa dello Stato ma anche con le unità militari. È andato in prima linea, al fronte, ha incontrato soldati ordinari. E tutta la nostra difesa e tutti i nostri combattenti della resistenza, hanno assunto un atteggiamento molto responsabile perché dietro di loro c’era Dzhokhar Dudayev. Voglio dire, lungo la linea del fronte, dove si svolgevano le ostilità attive, i soldati sapevano che dietro di loro, dietro le loro spalle, c’era già il quartier generale del comandante supremo.

Quando [Dudaev] attraversava l’Argun, andando dall’altra parte, le Forze Armate [che operavano lì] hanno annunciato con orgoglio che il Comandante Supremo era ora dalla loro  parte del fronte. C’era un’atmosfera molto amichevole. Quando ricordo questi tempi, questo periodo, noto che nonostante tutte le difficoltà che abbiamo vissuto allora, c’era una guerra, ma le persone erano diverse. Eravamo diversi. I ceceni erano completamente diversi. Erano diversi dai ceceni di oggi, quelli che vivono nel territorio e quelli che sono fuori. E tutto ciò era collegato, credo, al fatto che siamo stati sotto l’occupazione sovietica per settant’anni e per la prima volta abbiamo avuto la possibilità di costruire il nostro stato. Stato indipendente. E il leader di questo movimento e dello stato, e in seguito il leader della Difesa e il leader del movimento di liberazione nazionale, ha ispirato in molti modi e non solo i combattenti, ma l’intero popolo ceceno a resistere e respingere l’aggressione. Erano tempi semplicemente fantastici nella storia del popolo ceceno, quando l’intero popolo ha effettivamente compiuto un’impresa. È stato grazie all’impresa del popolo ceceno che siamo riusciti a preservare le strutture di potere che ciò che stavamo costruendo. E fondamentalmente a vincere.

4. Tra marzo e maggio 1995, secondo quanto lei riferisce nelle sue memorie, lei si è occupato di allestire, a tempo di record e con mezzi pressoché inesistenti, il cosiddetto “Settimo fronte” a sud di Urus – Martan, che avrebbe dovuto essere il punto di contatto tra la roccaforte di Bamut e il resto dello schieramento ceceno. Nel suo libro racconta di come è nato il Settimo Fronte. Potrebbe spiegarci come si è sviluppato, quali unità lo componevano e quali operazioni ha svolto fino al giugno 1995?

Questo è successo a marzo, Dzhokhar Dudayev ha firmato un decreto. A questo punto tutte le nostre unità si erano spostate ai piedi delle montagne, perchè la parte pianeggiante era già principalmente sotto il controllo degli aggressori russi, e rimanevano i contrafforti, a partire da Bamut e ad Alkhazurovo, in questa direzione, e lì più in alto, verso la regione di Grozny, a Chishki, a Dacha Borzoi. Questa parte non era ancora occupata dai russi, ed era necessario creare una difesa unificata in questa direzione, da Bamut ad Alkhazurovo. E lo scopo del Settimo Fronte, il compito del Settimo Fronte, era proprio questo. Questo è il cosiddetto distretto di Urus – Martanovsky. Si credeva che quest’area fosse fedele alla Russia, agli aggressori russi, perché lì funzionava il regime di occupazione, le strutture del potere di occupazione, guidate da Yusup Elmurzaev, l’allora prefetto, che fu nominato dalle autorità di occupazione. Il compito principale  di questo fronte era la creazione di basi militari in tre gole: Martan Chu, Tangi Chu, Roshni Chu. Fu in queste tre gole che in pochi mesi formammo tre basi militari. Sebbene al momento della firma del decreto, non vi fossero praticamente unità militari (c’erano solo milizie, persone che facevano parte della milizia popolare, ma non c’era un comando centralizzato) noi in breve tempo, da quelle unità, da quelle milizie popolari che erano allora in questa regione, creammo questo Settimo Fronte, e un’unità militare centralizzata, sotto il comando del Comandante in Capo Supremo Dzhokhar Dudayev. Successivamente, questo Settimo Fronte fu trasformato in Settori del Fronte Sud-Occidentale: Il Primo, il Secondo, e ilTerzo Settore. Questi settori erano sotto la mia responsabilità. Successivamente sono stato responsabile del Terzo Settore del Fronte Sudoccidentale. Citando i cognomi, questi sono, in linea di massima, i nostri giovani comandanti di medio livello, Dokka Makhaev, Dokka Umarov, Khamzat Labazanov, Isa Munaev, questi ragazzi …

Akhyad (non lo chiamerò con il suo cognome, perché è vivo ed è sul territorio), Khusein Isabaev, erano questi ragazzi l’anello intermedio dei comandanti che guidavano questi settori e questa direzione. Sebbene fosse già un’unica unità militare, che faceva parte delle Forze Armate ed era già stata strutturata nello Stato Maggiore delle Forze Armate della CRI.

5. Nella primavera del 1995 lei poteva considerarsi uno dei principali ufficiali dell’esercito della ChRI, ed era sicuramente monitorato dall’FSB e dall’intelligence dell’esercito russo. In che modo le forze federali hanno cercato di impedire a lei e ad altri alti ufficiali di partecipare alla resistenza? E come siete riusciti a eluderle?

Prima di tutto, Dio ci ha protetti. E, in secondo luogo, sono stati i ceceni e il popolo ceceno. Eravamo a casa. Eravamo nei nostri villaggi nativi, nei nostri insediamenti nativi. E, naturalmente, il popolo ceceno era la principale protezione di coloro che erano allora nelle forze armate. E il presidente Dzhokhar Dudayev, sai, la repubblica è piccola, per tutto questo tempo è stato tra i ceceni, era in diversi insediamenti, in ogni villaggio dove i combattenti si sono fermati, anche se c’erano anche persone di mentalità opposta e codarde. Ma in generale, i nostri sostenitori, sostenitori e indipendenza, e coloro che hanno sostenuto il nostro movimento di liberazione nazionale, erano molto più forti ed erano molto più numerosi. Riuscirono a sventare sia i tentativi di assassinio che quegli agguati che tesero non solo me, ma anche coloro che allora furono coinvolti ed erano inseriti nei ranghi, come hai detto, nella più alta composizione del Comando. Tutti erano protetti dal Popolo ceceno. E, naturalmente, non tutto era sotto il controllo né dell’FSB né dei russi. La vita e la morte sono nelle mani di Dio. E quelle ragioni, quelle azioni che sono state intraprese da noi per sopravvivere, e cosa hanno fatto i ceceni con noi, il popolo ceceno, proteggendo i loro comandanti, le persone che hanno difeso la loro patria, la loro patria e se stesse.

MASSACRES, SPIES AND NUCLEAR WEAPONS: THE ASSASSINATION OF FRED CUNY

Frederick Carl Cuny (November 14, 1944, April 14, 1995) was an American citizen who throughout his life committed himself, officially for humanitarian reasons, to supporting the populations of countries in war, humanitarian and environmental crises. Active since 1969 in the consultancy and coordination of humanitarian services, he had worked in Biafra, Pakistan, Nicaragua, Guatemala, El Salvador, and dozens of other contexts, often very difficult, in which he had to deal not only with the difficult situation on the field, but also with the inefficiencies of humanitarian associations and the corruption of local governments. At the end of 1994 Cuny was contacted by George Soros’ Open Society Institute and sent to Chechnya with the aim of organizing a humanitarian plan for the safety of the inhabitants of Grozny. Returning the following March from his mission, during which he had witnessed the terrible siege of Grozny and made friends with Aslan Maskhadov, he had tried to involve the United States government in order to force Russia to stop military operations, negotiating a humanitarian truce. He held numerous conferences, public and private meetings with high-level politicians, and his article Killing Chechnya [1], in which he accused Russia of unleashing a war of aggression with genocidal purposes,went around the world. Despite his efforts and the support of some politicians in Congress, Cuny had failed to convince any of the high offices of state to intercede for him [2]. So he returned to Chechnya, to restart his mission on behalf of the Open Society. On April 1 , 1996, while on his way to Maskhadov’s headquarters in Orekhovo [3], he was captured in Starye Achkoy together with two Russian doctors and an interpreter [4], with whom he was crossing the country in an ambulance, after which he was lost traces completely. His search lasted for many months, after which his son and brother communicated that they had received reliable information according to which he would have been killed almost immediately after his arrest, presumably carried out by men of the Department of State Security, at that time directed by Abusupyan Mosvaev . His body and that of his colleagues would never be found. Charges regarding his killing fell on Colonel Rizvan Elbiev , State Defense Department officer in Achkhoy –Martan district. The latter, according to Cuny ‘s driver (the only one of the group left alive) after the ambulance had been stopped near Starye Achkhoy by a detachment of the State Department of Defense, requested that the members of the team of Cuny presented themselves to him to provide the personal details, and then accompany them to the Headquarters of Maskhadov. The volunteers sent the driver back with a note intended for Open Society in which they said they were fine, to postpone the scheduled appointments by 3 days and to alert the authorities if they did not return within the established time [5].

Days passed, then weeks, and no trace of Cuny was found. Family members involved the FBI, the US government, and even the Soros Foundation, which had financed the mission, began his research, spending up to eighty thousand dollars a month to obtain information [6]. Calls for the release of the American came from the American president Clinton, from the Russian Yeltsin and even from the Chechen one, Dudayev.

The following August, after months of unsuccessful attempts to locate Cuny and his friends, his family publicly announced that they had learned of the death of their relative, and all members of his group. Cuny ‘s son and brother publicly accused the Chechen government of responsibility for the murder, and likewise accused the Russian authorities of presenting Cuny as a spy. In the confidential report sent to the US government, the family specifically named Elbiev , whose name was given by the State Security Department soldier who had taken custody of the group. According to what they reported , Elbiev had all four shot on April 14th . This information was confirmed to the driver of the Cuny family , an ex combatant, in August 1995, on the basis of an indication given to him by a certain “A”, Bamut defense field officer [7].

In August 1996, a bloody bundle was found in the ruins of a house in Starye Achkhoy , and inside it were found the documents of all four members of Cuny ‘s team . Besides these there was a note, addressed to Maskhadov, in which was written: Esteemed Aslan, We have tried to come to you, with the medicines and the two doctors we had promised. With me is Fred Cuny , the American you already know, who came to hold the meeting that didn’t take place last time. to confirm that you are aware of us and our mission. Respectfully, Galina Oleinik . Soros Foundation. Being certain that it was Elbiev who seized the documents, it is quite probable that he was responsible for the deaths of Cuny and the others [8].

It is possible that Eldiev was only the material executor of the murder. According to what an anonymous Chechen source reported to Scott Anderson, journalist of the New York Times, and confirmed by Memorial in one of its reports, [9]the order to shoot Cuny and his friends would have come directly from the Director of the State Defense Department, Abusupyan Mosvaev who would have been deceived by a list of spies circulated by the FSB around Bamut, to push Chechen fighters into a false step [10]. The choice of Mosvaev , however, could also have been determined by another factor, a suspicion that opens up to a rather imaginative theory, based exclusively on a rumor: that in those parts, and precisely in the surroundings of Bamut, a short distance from Starye Achkhoy , the Chechen government was hiding radioactive material , or even a nuclear weapon. Let’s start again: these are theses that have no basis for proof, and we report them solely for the record.

Grozny in 1995

Bamut was one of the strongholds of the Chechen defense. The village, and the missile base located nearby, withstood a long and exhausting siege, which lasted from April 18 , 1995 to May 24, 1996. The Chechens defended that position with great fury, apparently out of the way of the heart of the Chechen defense system. It so happens that the village’s main point of interest was a base for launching ballistic missiles capable of carrying nuclear warheads. The Russians had already abandoned the base in 1992, solemnly declaring that they had stolen all unconventional weapons, and that they had brought all the radioactive material back to Russia . In mid- November , following a communication sent from Chechnya, the Russian authorities found a container containing an explosive sprinkled with radioactive material in a park in Moscow . There was talk of non-military material, therefore not coming from an atomic warhead, but the case produced a search for psychosis among the federal security forces. The other element that raises doubts is the route taken by Cuny to reach Yandi . Instead of taking a main road, perhaps passing through Rostov – Baku, for you to turn towards Katar – Yurt and from there you can easily reach Maskhadov’s headquarters, Cuny decided to cross Bamut and climb up a path that is very difficult to do by car, facing voluntarily an already difficult journey in itself, complicated by the fact that the village garrison, notoriously reluctant to collaborate with journalists and foreign volunteers, was about to end up under siege [11].

The cover of the Frontline program dedicated to Fred Cuny

Neither of these two leads, in any case, appears completely convincing. It seems strange, in fact, that a man with such extensive connections and knowledge as Fred Cuny would end up shot just because he was mentioned in a fabricated FSB document. And likewise the story of the investigation into the “Dudaev atomic bomb” is totally devoid of evidence (after all, no atomic warhead, nor box containing atomic material has ever been found). What happened then? A third theory is provided by Kommersant, in his April 21, 1999 edition:

This time [on his second trip, ed .] Cuny presented a specific plan for a truce between Moscow and Grozny. And therefore, he certainly had to meet with General Dudayev . That is why the inspection by the Chechen State Security Department did not worry him at all. However, on April 7 – this is the date Galina Oleinik feared – [in the note found in 1996, ed .] the Russian army began the famous “cleansing” of Samashki, the ancestral village of the Chechen president. The shootings continued there for two days. And they couldn’t help but ruin Cuny and his mission. By then Kewney was getting in the way of everyone: Russian hawks, Chechen warlords, and even his own country’s politicians. Kewney has not overestimated the extent of his influence and authority in the American establishment. Suffice it to say that US military doctrine changed largely under his influence […] not surprisingly, the “missionary” activities of Fred Cuny and that of the US military began to go hand in hand after the Gulf War. However, if at first Cuny and American politicians successfully cooperated, trying not to interfere in each other’s sphere of competence, very soon they began to compete. […] The death of a competitor has allowed politicians to become monopolists. And they reversed his plan: Cuny , starting from the elimination of the consequences of military operations, tried to build an international mechanism to prevent humanitarian catastrophes. Politicians have transformed his doctrine into “humanitarian wars” in which a humanitarian catastrophe is caused.

Whatever the reason that led to Cuny’s death, this will presumably be buried together with his body and that of his travel companions. Precisely with regard to his remains, in November 1998 unknown criminals tried to contact Fred’s family to return the body, which they claimed to have. As evidence, they sent a photo of a metal pin that had been inserted into Cuny ‘s leg many years earlier after he had been hit by a taxi. The family replied that they would never pay a ransom for the body, following the will of the father, who stated: you don’t pay for the body, with reference to the practice of ransom of corpses. Cuny was convinced that the practice of paying ransoms for kidnapped people or getting their remains back was one of the main drivers of kidnappings for ransom, and that if the ransoms were not paid, this heinous criminal activity would soon disappear from Chechnya [12].

SOURCES

Frontline article at www.pbs.org

https://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/shows/cuny/kill/

February 25, 1996 – What happened to Fred Cuny ?

Kommersant of 21 April 1999

https://www.kommersant.ru/doc/217216?query=%D0%A7%D0%B5%D1%87%D0%BD%D1%8F

New York Times of July 26 , 1999


[1]https://www.nybooks.com/articles/1995/04/06/killing-chechnya/

[2]In particular, according to an article by Kommersant dated April 24 , 1999, the US ambassador in Moscow, Thomas Pickering, responded to Cuny ‘s requests that the United States had no strategic interest in this region and that if the Soros Foundation wanted to act in Chechnya he would have done so at his own peril.

[3]Today’s Yandi .

[4]The interpreter was Galina Oleinik , the two doctors were Sergei Makarov and Andrei Sereda .

[5]The contents of the ticket, like all the other circumstances described so far can be found in the Frontline article, Who killed Fred Cuny ? available at www.pbs.org

[6]February 25, 1996 – What happened to Fred Cuny ?

[7] Mr. “A” could be Captain Shirvani Albakov , Bamut’s Chief of Defense Staff, shot in the neck on 16 June 1995. In this sense, it could be a settlement of accounts due precisely to the cover-up of the affair in question.

[8] Frontline, Who Killed Fred Cuny ? available on the site www.pbs.org

[9]The account is quoted by Kommersant in an April 21 , 1999 article

[10]The news of the “list” presumably circulated by the FSB around Bamut to induce the Chechens to doubt foreign humanitarian agents would have been provided not only by the family of the deceased Cuny, but also by a witness interviewed by the New York Times , whose memoirs were published in the February 25, 1996 article What happened to Fred Cuny ? The circumstance is doubtful, because Cuny had arrived in Chechnya only a few days earlier, and the FSB would hardly have been able to organize such an operation in such a short time. On the other hand, it is strange that the Chechen government, always very helpful towards Western supporters at that stage of the conflict, had on its own initiative betrayed a consolidated relationship of trust with one of the most famous humanitarian workers in all of the West.

[11]New York Times of February 25 , 1996.

[12]New York Times of July 26 , 1999.

VERSIONE ITALIANA

STRAGI, SPIE ED ARMI NUCLEARI: L’ASSASSINIO DI FRED CUNY

Frederick Carl Cuny (14 Novembre 1944, 15 Aprile 1995) era un cittadino americano che per tutta la vita si impegnò, ufficialmente per motivi umanitari, nel sostegno alle popolazioni di paesi in crisi bellica, umanitaria ed ambientale. Attivo fin dal 1969 nell’attività di consulenza e coordinamento dei servizi umanitari, aveva lavorato in Biafra, Pakistan, Nicaragua, Guatemala, El Salvador, e dozzine di altri contesti, spesso molto difficili, nei quali doveva confrontarsi non soltanto con la difficile situazione sul campo, ma anche con le inefficienze delle associazioni umanitarie e la corruzione dei governi locali. Alla fine del 1994 Cuny era stato contattato dall’Open Society Institute di George Soros ed inviato in Cecenia con lo scopo di organizzare un piano umanitario per la sicurezza degli abitanti di Grozny. Rientrato nel Marzo successivo dalla sua missione, durante la quale aveva assistito al terribile assedio di Grozny ed aveva stretto amicizia con Aslan Maskhadov, aveva cercato di coinvolgere il governo degli Stati Uniti ad entrare in campo per costringere la Russia ad interrompere le operazioni militari, negoziando una tregua umanitaria. Tenne numerose conferenze, incontri pubblici e privati con politici di alto livello, ed il suo articolo Killing Chechnya[1], nel quale accusava la Russia di aver scatenato una guerra di aggressione con scopi genocidi,fece il giro del mondo. Nonostante il suo impegno e l’appoggio di alcuni politici al Congresso, Cuny non era riuscito a convincere nessuna delle alte cariche dello stato ad intercedere per lui[2]. Così era tornato in Cecenia, per ricominciare la sua missione per conto della Open Society. Il 1 Aprile 1996, mentre si dirigeva al Quartier Generale di Maskhadov, ad Orekhovo[3], venne catturato a Starye Achkoy insieme a due medici russi ed un interprete[4], con i quali stava attraversando il paese a bordo di un’ambulanza, dopodiché di lui si persero completamente le tracce. Le sue ricerche si protrassero per molti mesi, dopodichè il figlio ed il fratello comunicarono di aver ricevuto informazioni affidabili secondo le quali egli sarebbe stato ucciso quasi subito dopo il suo arresto, operato presumibilmente da uomini del Dipartimento per la Sicurezza dello Stato, a quel tempo diretto da Abusupyan Mosvaev. Il suo corpo e quello dei suoi colleghi non sarebbero mai strati ritrovati. Le accuse riguardo la sua uccisione ricaddero sul Colonnello Rizvan Elbiev, ufficiale del Dipartimento per la Difesa dello Stato nel distretto di Achkhoy – Martan.  Questi, secondo quanto riferito dall’autista di Cuny (l’unico del gruppo rimasto in vita) dopo che l’ambulanza era stata fermata nei pressi di Starye Achkhoy da un distaccamento del Dipartimento per la Difesa dello Stato, richiese che i componenti della squadra di Cuny si presentassero da lui per fornire le generalità, per poi accompagnarli al Quartier Generale di Maskhadov. I volontari rimandarono l’autista indietro con un biglietto destinato ad Open Society nel quale dicevano di stare bene, di spostare gli appuntamenti in programma di 3 giorni e di allertare le autorità qualora non fossero rientrati entro il tempo stabilito[5].

Passarono i giorni, poi le settimane, e di Cuny non si trovò traccia. I familiari coinvolsero l’FBI, il governo americano, ed anche la Fondazione Soros, che aveva finanziato la missione, iniziò le sue ricerche, spendendo fino ad ottantamila dollari al mese per ottenere informazioni[6]. Appelli alla liberazione dell’americano giunsero dal presidente americano Clinton, da quello russo Eltsin e perfino da quello ceceno, Dudaev.

Nell’Agosto successivo, dopo mesi di inutili tentativi di rintracciare Cuny ed i suoi amici, la sua famiglia annunciò pubblicamente di essere venuta a conoscenza della morte del loro congiunto, e di tutti i membri del suo gruppo. Il figlio ed il fratello di Cuny accusarono pubblicamente il governo ceceno della responsabilità dell’omicidio, e parimenti accusarono le autorità russe di aver presentato Cuny come una spia. Nel rapporto confidenziale inviato al governo degli Stati Uniti, la famiglia fece precisamente il nome di Elbiev, il cui nome era stato fatto dal militare del Dipartimento per la Sicurezza dello Stato che aveva preso in custodia il gruppo. Secondo quanto riferito da questi, Elbiev avrebbe fatto fucilare tutti e quattro il 14 Aprile. Tale informazione fu confermata all’autista della famiglia Cuny, un ex combattente, nell’Agosto del 1995, sulla base di un’indicazione a questi fornita da un certo “A”, ufficiale di campo della difesa di Bamut[7].

Nell’Agosto del 1996, tra le rovine di una casa di Starye Achkhoy fu rinvenuto un fagotto insanguinato, e all’interno di questo furono trovati i documenti di tutti e quattro i membri della squadra di Cuny. Oltre a questi c’era un biglietto, indirizzato a Maskhadov, nel quale c’era scritto: Stimato Aslan, Abbiamo cercato di passare da te, con le medicine e i due dottori che avevamo promesso. Con me c’è Fred Cuny, l’americano che già conosci, che è venuto per tenere l’incontro che l’altra volta non c’è stato. per confermare che sei a conoscenza di noi e della nostra missione. Con rispetto, Galina Oleinik. Fondazione Soros. Essendo certo che fu Elbiev a sequestrare i documenti, è piuttosto probabile che fosse lui il responsabile della morte di Cuny e degli altri[8].

E’ possibile che Eldiev fosse soltanto l’esecutore materiale dell’omicidio. Secondo quanto riferito da una fonte anonima cecena a Scott Anderson, giornalista de New York Times, e confermato da Memorial in uno dei suoi resoconti[9] l’ordine di fucilare Cuny ed i suoi amici sarebbe venuto direttamente dal Direttore del Dipartimento per la Difesa dello Stato, Abusupyan Mosvaev il quale sarebbe stato tratto in inganno da una lista di spie fatta circolare dall’FSB nei dintorni di Bamut, per spingere i combattenti ceceni ad un passo falso[10]. La scelta di Mosvaev, tuttavia, avrebbe potuto essere determinata anche da un altro fattore, un sospetto che apre ad una teoria piuttosto fantasiosa, basata esclusivamente su una diceria: che da quelle parti, e precisamente nei dintorni di Bamut, a poca distanza da Starye Achkhoy, il governo ceceno nascondesse materiale radiattivo, o addirittura un’arma nucleare. Premettiamo nuovamente: si tratta di tesi che non hanno alcun fondamento di prova, e le riportiamo unicamente per dovere di cronaca.

Bamut era uno dei capisaldi della difesa cecena. Il villaggio, e la base missilistica situata nei suoi pressi, resistettero ad un lungo ed estenuante assedio, protrattosi dal 18 Aprile 1995 al 24 Maggio 1996. I ceceni difesero con grande accanimento quella posizione, apparentemente defilata rispetto al cuore del sistema difensivo ceceno. Il caso vuole che il punto di interesse principale del villaggio fosse una base per il lancio di missili balistici capaci di trasportare testate nucleari. I russi avevano abbandonato la base già nel 1992, dichiarando solennemente di aver sottratto qualsiasi arma non convenzionale, e di aver riportato in Russia tutto il materiale radiattivo. A metà Novembre, a seguito di una comunicazione inviata dalla Cecenia, le autorità russe rinvennero in un parco di Mosca un contenitore contenente un esplosivo cosparso di materiale radiattivo. Si parlava di materiale non militare, quindi non proveniente da una testata atomica, ma il caso produsse una cerca psicosi tra le forze di sicurezza federali. L’altro elemento che solleva dei dubbi è il percorso fatto da Cuny per raggiungere Yandi. Anziché prendere una strada principale, magari passando dalla Rostov – Baku, per voi svoltare verso Katar – Yurt e da lì raggiungere agilmente il Quartier Generale di Maskhadov, Cuny decise di attraversare Bamut e di inerpicarsi su un sentiero molto difficile da fare in automobile, affrontando volontariamente un viaggio già difficile di per sé, complicato dal fatto che la guarnigione del villaggio, notoriamente poco incline a collaborare con giornalisti e volontari stranieri, stava per finire sotto assedio[11].

Nessuna tra queste due piste, in ogni caso, appare completamente convincente. Appare strano, infatti, che un uomo con agganci e conoscenze così vaste come Fred Cuny finisse fucilato soltanto perché citato in un documento artefatto dall’FSB. E parimenti la storia dell’indagine sulla “atomica di Dudaev” è totalmente priva di elementi di prova (del resto nessuna testata atomica, né scatola contenente materiale atomico è mai stata ritrovata). Che cosa successe, quindi? Una terza teoria è fornita da Kommersant, nella sua edizione del 21 Aprile 1999:

Questa volta [durante il suo secondo viaggio, ndr.] Cuny ha presentato un piano specifico per una tregua tra Mosca e Grozny. E quindi, doveva certamente incontrare il generale Dudayev. Ecco perché l’ispezione da parte del Dipartimento per la sicurezza dello Stato ceceno non lo impensieriva affatto. Tuttavia, il 7 aprile – questa è la data che temeva Galina Oleinik – [nel biglietto ritrovato nel 1996, ndr.] l’esercito russo ha iniziato la famosa “pulizia” di Samashki, il villaggio ancestrale del presidente ceceno. Le sparatorie sono continuate lì per due giorni. E non potevano fare a meno di rovinare Cuny e la sua missione. A quel punto Kewney stava intralciando tutti: falchi russi, signori della guerra ceceni e persino i politici del suo stesso paese. Kewney non ha sopravvalutato la portata della sua influenza e autorità nell’establishment americano. Basti dire che la dottrina militare degli Stati Uniti è cambiata in gran parte sotto la sua influenza […] non sorprende che l’attività “missionarie” di Fred Cuny e quella dell’esercito americano, dopo la Guerra del Golfo, abbiano cominciato ad andare di pari passo. Tuttavia, se all’inizio Cuny e i politici americani hanno collaborato con successo, cercando di non interferire nella sfera di competenza l’uno dell’altro, molto presto hanno iniziato a competere. […] La morte di un concorrente ha permesso ai politici di diventare monopolisti. E hanno ribaltato il suo piano: Cuny, partendo dall’eliminazione delle conseguenze delle operazioni militari, ha provato a costruire un meccanismo internazionale per prevenire le catastrofi umanitarie. I politici hanno trasformato la sua dottrina in “guerre umanitarie” in cui si provoca una catastrofe umanitaria.

Quale che fosse il motivo che portò Cuny alla morte, questo rimarrà presumibilmente sepolto insieme al suo cadavere ed a quello dei suoi compagni di viaggio. Proprio riguardo ai suoi resti, nel Novembre del 1998 ignoti criminali cercarono di contattare la famiglia di Fred per restituire il cadavere, che dichiaravano di detenere. Come prova inviarono una foto che ritraeva un perno di metallo che era stato inserito in una gamba di Cuny molti anni prima, dopo che era stato investito da un taxi. La famiglia rispose che non avrebbe mai pagato un riscatto per il corpo, seguendo la volontà del padre, il quale affermava: non si paga per il corpo, con riferimento alla pratica del riscatto dei cadaveri. Cuny era convinto che la prassi di pagare i riscatti per persone rapite o per riavere i loro resti era uno dei motori principali dei sequestri a scopo estorsivo, e che se i riscatti non fossero stati pagati ben presto tale odiosa attività criminale sarebbe sparita dalla Cecenia[12].

FONTI

Articolo di Frontline su www.pbs.org

https://www.pbs.org/wgbh/pages/frontline/shows/cuny/kill/

New York Times Magazines del 25 Febbraio 1996 – What happened to Fred Cuny?

Kommersant del 21 Aprile 1999

https://www.kommersant.ru/doc/217216?query=%D0%A7%D0%B5%D1%87%D0%BD%D1%8F

New York Times del 26 Luglio 1999


[1] https://www.nybooks.com/articles/1995/04/06/killing-chechnya/

[2] In particolare, secondo quanto riportato da un articolo di Kommersant del 24 Aprile 1999, l’ambasciatore statunitense a Mosca, Thomas Pickering, rispose alle sollecitazioni di Cuny che gli Stati Uniti non avevano interessi strategici in questa regione e che se la Soros Foundation avesse voluto agire in Cecenia lo avrebbe fatto a proprio rischio e pericolo.

[3] Odierna Yandi.

[4] L’interprete era Galina Oleinik, i due medici si chiamavano Sergei Makarov e Andrei Sereda.

[5] Il contenuto del biglietto, al pari di tutte le altre circostanze finora descritte sono reperibili sull’articolo di Frontline, Who killed Fred Cuny? disponibile sul sito www.pbs.org

[6] New York Times Magazines del 25 Febbraio 1996 – What happened to Fred Cuny?

[7] Il Signor “A” potrebbe essere il Capitano Shirvani Albakov, Capo di Stato Maggiore della Difesa di Bamut, ucciso con un colpo alla nuca il 16 Giugno 1995. In questo senso potrebbe trattarsi di un regolamento di conti dovuto proprio all’insabbiamento della vicenda in questione.

[8] Frontline, Who killed Fred Cuny? disponibile sul sito www.pbs.org

[9] Il resoconto è citato da Kommersant in un articolo del 21 Aprile 1999

[10] La notizia della “lista” fatta circolare presumibilmente dall’FSB nei dintorni di Bamut per indurre i ceceni a dubitare degli agenti umanitari stranieri sarebbe stata fornita, oltre che dalla famiglia del defunto Cuny, anche da un testimone intervistato dal New York Times, le cui memorie sono state pubblicate sull’articolo del 25 Febbraio 1996 What happened to Fred Cuny? La circostanza è dubbia, perché Cuny era arrivato soltanto pochi giorni prima in Cecenia, e difficilmente l’FSB sarebbe stato in grado di predisporre una simile operazione in così poco tempo. D’altra parte è strano che il governo ceceno, sempre molto disponibile verso i sostenitori occidentali in quella fase del conflitto, avesse di propria iniziativa tradito un rapporto consolidato di fiducia con uno degli operatori umanitari più celebri di tutto l’Occidente.

[11] New York Times del 25 Febbraio 1996.

[12] New York Times del 26 Luglio 1999.

Ieri Bamut, oggi Bakhmut. Indietro al 1995, un’altra fortezza che non si arrese ai russi

L’assonanza è soltanto fonetica, ma il significato storico è impressionante, se si considera che la Bamut del 1995, così come la Bakhmut del 2023, segnò l’arresto di una avanzata che sembrava inarrestabile, imbarazzò l’esercito russo di fronte al mondo e ispirò tutta la nazione (cecena allora, ucraina oggi) a resistere all’invasione. Quello che segue è un estratto dal secondo volume di “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria”.

Bamut


Mentre il Gruppo di Combattimento Sever prendeva Argun, Gudermes e Shali e respingeva i dudaeviti verso il ridotto montano, ad Ovest ilGruppo di Combattimento Jug avanzava verso gli obiettivi designati. Di fronte aveva i reparti ceceni organizzati nel Fronte di Bamut, un’unità composita ma combattiva al comando di Ruslan Khaikhoroev. Il reparto era inizialmente composto da circa 200 volontari, ma per la fine di marzo, con l’arrivo del Reggimento Galachozh al comando di Khizir Khachukayev, si era già ingrossato giungendo a toccare i quattrocento miliziani. Alla metà di marzo 1995 ancora nessuno degli obiettivi prefissati per il Gruppo Jug era stato raggiunto, malgrado l’artiglieria avesse martellato quasi tutte le cittadine al fronte. La posizione cecena era favorevole, ancorché defilata rispetto alla linea principale delle operazioni. Il villaggio di Bamut, infatti, giaceva all’imbocco di una stretta gola, sovrastata ad est e ad ovest da ripide alture boscose. Ad occidente le posizioni cecene confinavano con l’Inguscezia, paese relativamente “amico”, dove gli indipendentisti potevano trovare supporto materiale ed umano. A poca distanza dal villaggio poi, su un’altura denominata “444.4” e chiamata dagli abitanti locali “Monte Calvo”, si trovava una base missilistica sovietica, in grado di resistere efficacemente sia ai bombardamenti di artiglieria che a quelli dell’aeronautica. I ceceni l’avevano occupata, trincerandola ulteriormente. In quest’area erano affluiti tutti gli equipaggiamenti pesanti a disposizione del Fronte Occidentale, oltre ad un discreto arsenale di mine antiuomo ed anticarro che Kachukhaev aveva fatto sistemare all’imbocco dell’unica strada carrabile verso la base, proveniente da Assinovskaya e diretta a Bamut. Il

18 Aprile i russi tentarono di prendere il villaggio. Una brigata si affacciò sull’abitato all’alba, ma finì ben presto sotto il tiro delle armi pesanti cecene. Nel tentativo di manovrare, i russi finirono dapprima in un campo minato, poi tra le strade del villaggio, anch’esse minate con ordigni antiuomo. Numerosi veicoli blindati ed alcuni carri da battaglia rimasero distrutti. Una volta impantanata tra le rovine, la brigata si trovò sotto il tiro dei cecchini, che falcidiarono la fanteria. Al termine dell’azione, conclusasi con il ritiro dei federali, si contarono decine tra morti e feriti. Un tentativo di alleggerimento della pressione, operato da un distaccamento delle forze speciali, finì in un fiasco, con la morte di 10 “Spetnatz” ed il ferimento di altri 17. L’esercito federale dovette così organizzare un metodico assedio delle posizioni cecene, impiegando il grosso delle forze a disposizione.

La mappa mostra l’offensiva russa in Cecenia tra il Marzo ed il Giugno 1995. A sinistra si può notare la fortezza di Bamut, che resisté alle offensive russe e rimase sotto assedio per più di un anno, fino al 24 Maggio 1996


Dopo aver schierato le truppe in assetto di battaglia, il 24 marzo Babichev riuscì a penetrare ad Achkhoy – Martan, occupandola per breve tempo prima che un contrattacco ceceno costringesse i russi a ripiegare. Il 7 aprile l’intero fronte occidentale venne investito da una violenta offensiva. Quel giorno vennero attaccate contemporaneamente
Samashki, Davydenko, Achkhoy Martan, Novy Sharoy e Bamut. L’offensiva produsse la conquista di Samashki, Davydenko e Novy Sharoy, le roccaforti più esterne, al costo di centinaia tra morti e feriti. Scontri particolarmente violenti si registrarono nei dintorni di Samashki,
dove i reparti di Mosca vennero investiti da una violenta controffensiva cecena e lasciarono sul campo una settantina di uomini. Nonostante la fiera resistenza dei militanti la preponderanza di uomini e mezzi a vantaggio dei russi era tale che la difesa della posizione non avrebbe mai
potuto produrre una controffensiva. Kachukhaev si organizzò quindi per una resistenza ad oltranza, richiamando tutti i combattenti che non avevano fatto in tempo a raggiungere il ridotto montano, o che operavano ancora in pianura. La maggior parte delle unità che giunse a portare soccorso erano milizie volontarie non inquadrate, mal coordinate tra loro, molte delle quali tentarono di raggiungere gli assediati attraverso la strada di collegamento tra Starye Achkhoy e Achkhoy – Martan, finendo intercettate dalle avanguardie russe. Altri gruppi, provenienti dal villaggio inguscio di Arshty, furono intercettati dall’aeronautica federale e dispersi. I rinforzi che riuscirono a raggiungere Bamut furono quelli che, faticosamente, si fecero largo tra le montagne passando da Sud, raggiungendo il fiume Martanka dietro Bamut e risalendolo fino alle posizioni dei difensori.

I ritardi nel concentramento dei reparti fecero sì che le unità che effettivamente raggiunsero Bamut fossero in numero grandemente inferiore alle aspettative, nonché esauste per la lunga marcia a piedi. Molti miliziani ebbero appena un paio di giorni per recuperare le forze in attesa del grande scontro. Man mano che i reparti raggiungevano la base, Kachukhaev schierava le unità lungo il perimetro difensivo sulla base della loro grandezza e della supposta capacità operativa. In tutto furono
schierate sulla linea del fronte dalle 100 alle 300 unità, cui si aggiunsero
nei giorni successivi alcune decine di volontari provenienti dall’Inguscezia, inquadrati nel cosiddetto Battaglione Inguscio. La linea difensiva correva lungo i resti del centro abitato, addossata agli edifici e organizzata in un mosaico di piccole trincee a zig zag, in ordine a contrastare le unità russe avanzanti senza offrire bersagli estesi all’artiglieria. Dietro la prima linea di trincee ne era stata scavata una seconda, così che le unità combattenti potessero agilmente cambiare posizione ed alleggerire la pressione, per poi rioccupare le posizioni avanzate alla fine dei bombardamenti d’artiglieria. Le vie d’accesso erano bloccate dai detriti delle abitazioni distrutte, ed il materiale di risulta era stato impiegato per costruire piccoli guadi attraverso i quali le unità combattenti avrebbero potuto attraversare agevolmente il Martanka, per sottarsi a combattimenti troppo pesanti o per effettuare manovre di aggiramento sulle colonne corazzate federali.

Soldati russi avanzano verso le posizioni cecene

Le truppe russe si posizionarono a circa un chilometro e mezzo da quelle cecene, a una distanza sufficiente da evitare di essere bersagliate dagli RPG, ed iniziarono a bombardare la linea di difesa di Bamut. La linea russa correva ora lungo l’argine settentrionale di un canale che, da ovest, disegnava un semicerchio a nord di Bamut per gettarsi nel fiume, che correva sul fianco orientale del villaggio. Da lì l’artiglieria iniziò a martellare la prima linea cecena. I difensori si ritirarono, lasciando ai russi soltanto una serie di trincee vuote da bombardare, ed al termine del martellamento tornarono ad occupare le posizioni avanzate. I federali, convinti di aver piegato la resistenza cecena, iniziarono a muovere in avanti: una colonna si diresse verso il villaggio attraverso la strada principale, la quale corre parallela al Martanka. Questa azione avrebbe dovuto attirare il grosso dei nemici, mentre una seconda colonna avanzava da Nordovest, varcando il canale e dirigendo direttamente verso il centro del villaggio. I ceceni tuttavia avevano fiutato la trappola, e pur mantenendo una fiera difesa della via principale
lungo il Martanka, non sguarnirono le posizioni Nordoccidentali. Conscio della natura del suo piccolo esercito, costituito più come un arcipelago di piccole unità autonome che come una forza unitaria, Kachukhaev lasciò ai comandanti locali l’onere di organizzare autonomamente la loro strategia, mantenendo come unico imperativo quello di non spostarsi dal proprio settore senza autorizzazione. Questo fece sì che i russi non riuscissero a capire quante e quali unità avessero davanti, e non avessero un’idea chiara di quale fosse il fronte della battaglia. Decine di piccoli scontri locali si accesero lungo tutta la linea di difesa, incendiando l’intero settore per tutto il primo giorno di battaglia. Le unità indipendentiste, dotate di grande mobilità, colpivano con gli RPG i veicoli blindati, li assaltavano e cambiavano immediatamente posizione, impedendo ai russi di tracciarle e di annichilirle con l’artiglieria. In questo modo i reparti che difendevano il fianco sinistro dello schieramento ceceno furono in grado di accerchiare i russi avanzanti, provocando loro gravi perdite e costringendo la colonna federale prima ad arrestarsi, poi a fare marcia indietro.

Combattenti ceceni del Battaglione Galanchozh a difesa di Bamut


Anche il fronte orientale riuscì a fermare l’attacco russo. Allorchè la pressione dei federali si fece troppo forte, Kachukhaev ordinò alle prime linee di minare le trincee e di ritirarsi sulla seconda linea. Non appena le truppe russe ebbero preso il controllo, Kachukhaev ordinò che fossero fatte brillare, uccidendo coloro che le occupavano. Persa la maggior parte delle unità di fanteria, i corazzati russi non avrebbero potuto avanzare da soli, o sarebbero finiti sotto una pioggia di RPG. Così gli attaccanti decisero di ritirarsi, vanificando i progressi ottenuti a caro prezzo in quella prima giornata di battaglia. L’artiglieria federale ora conosceva le coordinate della seconda linea difensiva cecena, ed iniziò a bombardarla, ma ancora una volta senza successo: i reparti ceceni, infatti, utilizzarono i guadi approntati nei giorni precedenti per disperdersi tra le colline intorno a Bamut, per poi tornare ad occupare le loro posizioni una volta che il bombardamento fu terminato. Quando i russi tornarono all’attacco, il giorno successivo, si trovarono davanti un dispositivo difensivo di tutto rispetto, e nel giro di una mezz’ora il comando russo ordinò di interrompere nuovamente le operazioni. La notte successiva un reparto esplorativo fu inviato ad individuare le posizioni cecene per un attacco d’artiglieria notturno. L’operazione fu un disastro: il reparto esplorante fu intercettato e finì sotto una pioggia di proiettili. 10 degli 11 componenti la squadra furono uccisi, e l’unico sopravvissuto fu fatto prigioniero. Interrogato sulla consistenza delle forze federali di fronte a loro egli riferì che gli attaccanti disponevano ancora di troppe unità perché Kachukhaev potesse capitalizzare il successo con un contrattacco, così il comandante ceceno decise di mantenere un atteggiamento difensivo, preferendo impegnare gli uomini nella ricostruzione delle trincee e nell’approntamento di nuovi sbarramenti.

FLAG STORIES – THE WOLF OF ICHKERIA

The flag is not just a colored rag: it is the spiritual synthesis of a people’s identity. This is more than ever true when it comes to the flag of the Chechen Republic of Ichkeria. Every Chechen who yearns for independence carries its colors in his memory, and gets excited every time he sees them. In the green cloth marked with red and white he finds the pride of a free nation, the tragedy of the blood shed by his brothers and the promise of a future redemption.

An informant who requested to remain anonymous has brought us some fascinating stories about the tricolor of Ichkeria, which we make available to our readers.

The official flag of Chechen Republic of Ichkeria

A flag at the market

September 6 , 1995. That day a major anti-war demonstration was scheduled in Grozny. At that time, a “filtration camp” was located in Neftyanka where prisoners from all over the republic were deported. Here they were tortured and if they survived, often set free for a ransom, they remained bent in body and spirit for the rest of their short lives.

In front of the camp there was a market teeming with people, organized for the military, the only ones who had money to make purchases. On the other side of the road, the armored vehicles on which the camp inmates were transported were stationed. Above them sat bored soldiers, swollen with beer bought at the market, waiting for a new “crop” of prisoners, victims of this terrible conveyor belt of death. Suddenly from a crossroads came a Zhiguli . The car parked between the market and the armored vehicle parking lot. A passenger came out of the car carrying a large ChRI flag, and began tying it to the door.

Panic immediately broke out: the sellers fled, spilling the goods, the soldiers suddenly awoke from their torpor, locking themselves inside their vehicles. The passenger of the Zhiguli , without flinching, finished arranging his flag, got into the car and slammed the door behind him. After that he set off again in complete tranquillity. It was enough for a patriot to display the flag of the Chechen Republic, with the wolf guarding it, to unleash panic among the Russian military. They had seen what miracles the Chechens had performed under this banner, defending their land from invaders.

The flag on the wall of the Council of Ministers, 1992

The flag on the crane

During the war, someone hoisted a large ChRI flag on a tall construction crane at the “new stop” in Staropromyslvsky district . The occupation authorities, noticing her, demanded that she be seized. However, they could not find anyone willing to ride the crane, not even for a reward. There were rumors that somewhere there was a sniper guarding the flag, who would electrocute anyone who approached the flag. Thus, the tricolor of Ichkeria continued to fly on the crane until August 1996, when the Chechens liberated Grozny and victoriously ended the war.

The flag of the Presidential Palace

ChRI’s most famous flag was the one that flew from the Presidential Palace. In times of peace, citizens could see this great banner waving in the sky. During the first war this was impetuously bombed and, after two anti-bunker bombs managed to penetrate up to the basement of the structure, it was necessary to evacuate it to avoid a massacre. The Palace gave shelter to hundreds of people (up to 800) and the bombings had so deeply affected the structure that its defenders, and the wounded, risked ending up buried under the rubble. So it was decided to abandon it: not before, however, having removed the flag from the mast to save it. Under a massive barrage a patrol ventured onto the roof of the palace, removed the flag and took care of it, preventing it from falling into the hands of the Russians, who would no doubt display it as a trophy. It seems that the national flag is still preserved and protected waiting to be able to wave again for a free Chechnya.

A boy waves the flag of Ichkeria in the ruins of Grozny

Bamut’s flag

One of the most legendary and iconic places of the First Russo-Chechen War is undoubtedly the Bamut fortress. Here the Chechens resisted the attacks of the Russian army for many months, enduring a terrible siege. One day, after yet another bombardment, the defenders realized that there was not a single building left intact enough to hang the flag. It was then decided to hoist it on the village water tower. The Russians, who evidently feared that that flag alone would prevent them from advancing, fired artillery at the tower until it collapsed to the ground, taking the flag with it. It was evident that the Russians were so afraid of the Chechen cloth that they were unwilling to fight under it. The defenders then decided to hang the flag from the tallest mast, so that it would continue to instill fear in the enemy.