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DAI TRIBUNALI ALLE CORTI ISLAMICHE: IL SISTEMA GIUDIZIARIO IN ICHKERIA (SECONDA PARTE, 1992 – 1994)

LOTTE DI POTERE

Tra il 1992 e il 1993 il cronicizzarsi dello scontro politico tra Presidente e Parlamento ed il proliferare di numerose strutture ed agenzie governative, ora fedeli all’una, ora all’altra autorità, misero in pericolo il lavoro dei magistrati. Questo stato di insicurezza era emerso fin dalle prime fasi della Rivoluzione Cecena: in un appello pubblicato sul giornale “Voce della Ceceno – Inguscezia” dell’Ottobre 1991, esponenti del sistema giudiziario lamentavano la perniciosa presenza di elementi fedeli al governo rivoluzionario, i quali tentavano di condizionare il lavoro di Giudici e Notai a vantaggio della loro causa, o a loro vantaggio personale, tentando di evitare di essere inquisiti o rifiutandosi di accettare il normale iter giudiziario previsto dalla legge. La cronica carenza di fondi e di spazi a disposizione dei tribunali rendeva complessa anche l’ordinaria amministrazione, ed a poco servì l’ordinanza numero 19 del 15 Marzo 1992 “Sulle misure volte a migliorare le condizioni di lavoro dei tribunali distrettuali e cittadini della Repubblica Cecena”, con il quale si raccomandava la concentrazione degli uffici e l’utilizzo di risorse, locali e mobilio di proprietà del disciolto Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS): il cronico ritardo nel pagamento degli stipendi e la carenza di risorse liquide impedì di fatto al sistema giudiziario di funzionare.

In ambito giudiziario l’acredine tra parlamentaristi e presidenzialisti raggiunse un livello tale che l’Assemblea Legislativa, allora guidata da Hussein Akhmadov, rifiutò le nomine proposte da Dudaev al Ministero della Giustizia. In particolare, si oppose alla nomina di Imaev, già Presidente del Comitato Nazionale per la Riforma Giuridica, giudicandolo inadatto al ruolo e troppo dichiaratamente allineato sulle posizioni del Presidente. Per tutta risposta, Dudaev estese i poteri del Comitato al punto da farli coincidere con quelli del Ministero della Giustizia, aggirando il veto parlamentare e lasciando il vecchio dicastero un contenitore vuoto. Con l’Ordine del Presidente della Repubblica numero 66 del 26 Agosto 1992 “Sulla registrazione statale degli atti normativi della Repubblica Cecena” il Comitato fu dotato del compito di certificare l’entrata in vigore degli atti normativi e delle loro successive modifiche, diventando a tutti gli effetti una sorta di “cancelleria dello Stato” non riconosciuta dal Parlamento.

Sostenitori del Presidente della Repubblica Dudaev in piazza durante la crisi istituzionale del 1993. In piedi sta tenendo un discorso il deputato dudaevita Isa Arsemikov.

Dalla fine del 1992 il confronto tra partito parlamentare e partito presidenziale divenne serrato, aprendo una crisi politica che paralizzò l’attività dello stato, nel comparto legislativo ed esecutivo ma anche in quello giudiziario. Contrariamente a quanto previsto dalla legge del 18 Novembre 1992, la quale prevedeva un cursus honorum interno alla magistratura per la nomina dei giudici, il ricorso alla clientela politica ed alla pressione dall’alto per l’investitura di questo o quel magistrato erano all’ordine del giorno. Dal Marzo del 1993 Dudaev chiese l’intervento della Corte Costituzionale, all’epoca presieduta da Ikhvan Gerikhanov, riguardo a una proposta di modifica costituzionale che avrebbe profondamente riformato lo Stato ceceno, attribuendo un gran numero di poteri al Presidente della Repubblica a scapito del Parlamento. Al rifiuto di questi di riconoscere legittimità a tale proposito, Dudaev non trovò altra via d’uscita se non quella di sopprimere tutte gli organi statali a lui ostili. Anche la stessa Corte Costituzionale finì nel mirino dei dudaeviti, ed il 28 Maggio 1993 il Presidente emise il decreto n° 45 “Sullo scioglimento della Corte Costituzionale della Repubblica Cecena”. Tramite questo decreto il Capo dello Stato abolì ogni attività di tale organo sul territorio della repubblica, motivando la scelta con la necessità di “prevenire una scissione nella società e” di conservare “L’autocrazia”. Tale decreto, palesemente incostituzionale, fu l’anticamera del colpo di stato che seguì pochi giorni dopo, il 4 Giugno 1993, con l’occupazione manu militari del parlamento, del consiglio cittadino di Grozny e delle altre strutture di potere, e lo scioglimento delle assemblee elettive.

Il Colpo di Stato dette a Dudaev ancor più mano libera nell’intromettersi nel sistema giudiziario. Per la verità questa tendenza era evidente fin dai primi giorni del suo governo, come testimoniato dal Decreto numero 34 del 25 Febbraio 1992 “Sull’esecuzione delle sentenze dei tribunali e delle corti arbitrali straniere nella Repubblica Cecena”, nella quale si diffidava i giudici a dare seguito a sentenze emesse da corti di paesi i quali non avevano riconosciuto la Repubblica Cecena o con i quali la Repubblica non avesse un qualche tipo di accordo. Questo decreto, emesso appena quattro mesi dopo l’entrata in carica di Dudaev, rendeva chiara la volontà del Presidente di utilizzare la Magistratura come arma coercitiva nei confronti dei governi stranieri e forzare il riconoscimento della Cecenia facendo leva sulla velata minaccia di trasformare il paese in un “Buco nero giudiziario”.  

Ikhvan Gerikhanov, Presidente della Corte Costituzionale, tentò di mediare il conflitto istituzionale tra Presidente e Parlamento, intervenendo nella primavera del 1993. Il suo intervento, tuttavia, non arginò le pretese di Dudaev, il quale il 28 Maggio sciolse la Corte Costituzionale, ed il 4 Giugno mise in atto un colpo di Stato militare.

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AZIONE DI CONTRASTO AL CRIMINE

Uno dei problemi più gravi che il sistema giudiziario della Repubblica si trovò ad affrontare fu quello connesso alla proliferazione delle armi da fuoco, conseguente al saccheggio delle strutture militari sovietiche, all’esplosione del mercato nero ed alla costituzione di numerosi gruppi armati semi – legalizzati come reparti dell’esercito o società di sicurezza private. In questo senso uno dei primi provvedimenti di Dudaev non aiutava: il Decreto del 16 Dicembre 1991 “Sul diritto dei Cittadini della Repubblica Cecena ad acquistare e tenere armi da fuoco personali e sul diritto di portarle” riconosceva il diritto “sottratto durante il periodo totalitario” dei cittadini ad armarsi, recuperando così una antica tradizione ingiustamente soppressa. Probabilmente nella visione dudaevita questo era un buon compromesso per controllare il fenomeno, anziché vietarlo non avendo gli strumenti per farlo. Ma il risultato certamente era stata una “corsa sociale alle armi” che alimentava l’illegalità, paralizzando il lavoro dei tribunali. A sua volta la paralisi dei tribunali alimentava la paura della gente comune, la quale continuava ad armarsi per timore di non avere nessuna protezione dallo Stato.

La carenza di fondi e le paghe basse e insicure producevano un diffuso fenomeno di corruzione. Questa era già esplosa prima ancora che Dudaev desse il suo colpo di piccone alla giustizia con il commissariamento del Ministero e la calmierazione dei prezzi, che aveva privato la magistratura delle fonti economiche necessarie a sostentarsi, tanto che un decreto dell’8 gennaio il Parlamento invitava le autorità giudiziarie a perseguire i cittadini che si rifiutavano di riconoscere lo stato di diritto e tentavano di influenzare il lavoro delle corti. Ma anche questo decreto era privo di eseguibilità pratica e rimase sostanzialmente una dichiarazione. Nel 1992 appena il 12% dei crimini registrati nella repubblica furono oggetto di processo, e soltanto 327 colpevoli su 1204 furono condannati alla prigione. Il diffuso senso di impunità incoraggiava il ricorso al crimine, visto da molti come unica soluzione alla miseria dilagante, e da alcuni come una buona opportunità per fare soldi facili.

Le attività criminali divennero endemici, a partire dal florido mercato della contraffazione dei titoli di credito. Basti pensare che nel solo 1993, dei 9,4 miliardi di rubli in titoli di Stato contraffatti in Russia, ben 3,7 miliardi provenivano dalla Cecenia. Fiorì il contrabbando di merci e di droghe, ed il mercato delle armi di Grozny divenne il più grande mercato nero di tutta l’ex Unione Sovietica. Tra il 1992 e il 1994 vennero registrati 1354 attacchi a treni merci e passeggeri. Secondo i dati riportati dalle agenzie di stampa e dal Ministero degli Interni ceceno, alla sola stazione di Grozny della Ferrovia del Nord Caucaso, nel solo 1993, vennero attaccati 559 treni, saccheggiati circa 4.000 vagoni per un valore di circa 11,5 miliardi di rubli. Nei primi 8 mesi del 1994 vennero commessi 120 attacchi armati, che portarono al saccheggio di 1156 vagoni e 527 container, per oltre 11 miliardi di rubli di danni. Nel biennio 1992 – 1994 26 lavoratori delle ferrovie persero la vita in attacchi armati. 

Reparto di Polizia dei Trasporti della ChRI sfilano in un documentario della TV di Stato. Il crimine dilagante si abbattè in primo luogo sul trasporto ferroviario con saccheggi sistematici delle merci e ruberie ai passeggeri.

RIFORME DI FACCIATA E DIRITTO CONSUETUDINARIO

In sostanza vi era una notevole differenza tra quanto prodotto in termini legislativi dal Parlamento e dal Presidente, e la realtà quotidiana del paese. Sulla carta le istituzioni lavoravano alacremente al disegno di un nuovo sistema giudiziario. Di fatto, questo era paralizzato dalle lotte di potere interne, dalla carenza di disponibilità economica e dalla corruzione dilagante, tre fattori che rendevano lo Stato virtualmente impotente rispetto alle forze criminali che si stavano impadronendo del Paese.  Stante il collasso totale delle strutture giudiziarie pubbliche, la società iniziò a recuperare quelle forme di diritto consuetudinario in vigore presso le società islamiche chiamato Adat, una sorta di “codice civile non scritto” patrimonio degli anziani, tramandato di generazione in generazione. Ancorchè non riconosciuto dallo Stato, l’Adat iniziò a prendere campo soprattutto nella risoluzione di controversie di natura economica, per le quali era previsto il Tribunale Arbitrale, il quale tuttavia funzionava poco e male, e non riscuoteva la fiducia dei cittadini.

Del resto Dudaev aveva tentato di reintrodurre l’Adat nei livelli più bassi dell’amministrazione della giustizia. In particolare, con la ricostituzione del Mekhk  – Khel, il Consiglio degli Anziani, Dudaev puntava a ricostituire un sistema di arbitrato locale basato sul diritto consuetudinario. In questo senso il Consiglio degli Anziani fu ufficialmente riconosciuto come entità deputata al “controllo morale ed alla supervisione delle attività istituzionali” dall’articolo 12 della Legge sull’Attività del Parlamento della Repubblica Cecena, varata il 24/12/1991. Tale legge riconosceva il Mekhk -Khel come una istituzione dello Stato, ma i suoi membri presero presto a comportarsi in maniera così pervasiva da costringere il Parlamento a negare il diritto del Consiglio degli Anziani ad interferire con le attività degli organi statali, revocando lo status di “istituzione statale” al Mekhk – Khel (febbraio 1992).

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DAI TRIBUNALI ALLE CORTI ISLAMICHE: IL SISTEMA GIUDIZIARIO IN ICHKERIA (PRIMA PARTE, 1991 – 1992)

INTRODUZIONE

Uno dei caratteri fondamentali di uno Stato di diritto funzionante è la sua capacità di esercitare la sovranità tramite l’imposizione della legge, l’efficacia nella sua applicazione e il potere di farla rispettare, punendo coloro che la infrangono. Non è un caso, quindi, che il potere giudiziario sia considerato ugualmente importante rispetto a quello legislativo ed a quello esecutivo. In uno stato di diritto romano, questo potere è più efficace quanto più è indipendente dagli altri due: solo in questo modo, infatti, uno Stato può garantire ai suoi cittadini il rispetto delle loro libertà senza ledere gli interessi comuni, e viceversa.

Fin dalla Rivoluzione Cecena l’autorità politica che si insediò al posto della vecchia nomenklatura sovietica si pose il problema di garantire al nascente stato indipendente una magistratura equa e funzionante, precondizione essenziale al mantenimento dell’ordine sociale in un momento particolarmente critico per il Paese, generato in parte dai sommovimenti politici e sociali conseguenti alla caduta del comunismo, in parte dallo stato di prostrazione economica nel quale si trovò tutto lo spazio ex – sovietico, Cecenia compresa.

Gli articoli che seguono ripercorrono la storia della Magistratura nella Repubblica Cecena di Ichkeria, secondo un percorso che attraversa essenzialmente tre fasi:

  • Il periodo tra il 1991 ed il 1995, caratterizzato a sua volta da una fase di “transizione” durante la quale vennero mantenute le precedenti strutture sovietica, ed una fase “di regime” durante la quale si tentò una prudente riforma del sistema in un difficile contesto di crisi politica ed istituzionale;
  • Il periodo tra il 1995 ed il 1996, definito di “magistratura di guerra” durante il quale il governo in clandestinità organizzò il comparto giudiziario come un’appendice delle forze armate, introducendo i primi elementi di diritto islamico e le prime corti della Sharia;
  • Il periodo tra il 1996 ed il 1999, durante il quale il governo centrale tentò di introdurre il diritto islamico dapprima in parallelo, poi in sostituzione di quello secolare, avviando un processo di confessionalizzazione dello stato interrotto dallo scoppio della Seconda Guerra Cecena.

Un quarto periodo che ci riserviamo di analizzare qualora emergessero sufficienti prove documentarie sarebbe quello della seconda “magistratura di guerra” operante tra il 2000 ed il 2007. Purtroppo per questo periodo possiamo soltanto abbozzare alcune supposizioni, non essendo reperibili fonti sufficientemente attendibili né documenti originali che sia possibile consultare.

LA RIVOLUZIONE CECENA

Lo scoppio della Rivoluzione Cecena e la dichiarazione di indipendenza che ne seguì sancirono l’avvento dello Stato ceceno indipendente. Fin dai primi giorni di insediamento, il Presidente Dudaev ed il Parlamento si trovarono davanti a molteplici criticità, una delle più gravi delle quali era determinata dall’improvviso afflosciarsi di tutte le strutture giudiziarie e di ordine pubblico necessarie a mantenere la pace sociale. Durante i mesi confusi di Settembre ed Ottobre 1991, infatti, i tribunali avevano sostanzialmente smesso di funzionare, il KGB, organismo repressivo al servizio del potere sovietico, era stato smantellato dai rivoltosi e gli edifici dov’erano acquartierati i suoi funzionari occupati, la polizia era rimasta acquartierata nelle caserme o si era unita alla rivolta, e le stesse carceri erano state abbandonate, provocando la fuoriuscita di centinaia di detenuti (alcuni dei quali erano addirittura finiti a rinfoltire i ranghi della nascente Guardia Nazionale). Gli assalti alle caserme ed ai depositi militari, inizialmente episodi isolati, erano divenuti una piaga endemica, attraverso la quale migliaia di armi da guerra affluivano sul mercato nero, o finivano distribuiti tra la popolazione. La crisi dello Stato di Emergenza del Novembre seguente e la distribuzione delle armi ai civili operata dal governo rivoluzionario avevano aggravato ulteriormente il problema, facendo si che, alla dichiarazione di indipendenza, centinaia di giovani ceceni girassero per Grozny armati fino ai denti, festeggiando con una sarabanda di colpi in aria l’elezione di Dudaev alla Presidenza della Repubblica.

Il Palazzo del KGB di Grozny nel 1988

Le nuove autorità politiche, ancorchè nate da una rivoluzione e quindi piuttosto a loro agio tra i miliziani armati, erano coscienti che una situazione di diffusa impunità, la libera circolazione di armi da guerra e l’assenza del potere coercitivo dello Stato avrebbero potuto ben presto produrre uno stato di anarchia militare ingovernabile. Per questo motivo sia il Parlamento che la Presidenza della Repubblica si dettero da fare per dare un ordine al Paese e disarmare nel limite del possibile la popolazione civile, per poi procedere alla riattivazione della magistratura e riportare la situazione del comparto giudiziario alla normalità.

La soluzione di questi problemi rappresentò il primo terreno di uno scontro istituzionale che avrebbe accompagnato la Repubblica Cecena (non ancora “Di Ichkeria”) per tutto il 1992, creando i presupposti per la crisi istituzionale che avrebbe portato al Colpo di Stato del 4 Giugno 1993 ed alla dittatura del Generale Dudaev. Fin da subito, infatti, le due istituzioni tentarono di prendere il controllo della Magistratura, e delle unità armate ad essa collegate: il Parlamento costituì un Servizio di Sicurezza Nazionale alle dipendenze del Deputato Ibragim Suleimenov, mentre parallelamente Dudaev ne costituì un doppione a lui fedele, mettendo al comando il potente Sultan Albakov. Il Parlamento premeva per la requisizione delle armi da fuoco e per una legge che disciplinasse rigidamente il suo possesso, mentre Dudaev, con il Decreto 05 del 16/12/1991 ne consentì la detenzione a tutti i cittadini ceceni, “Nel rispetto delle tradizioni storiche dei Vaynakh, dello stile di vita sociale e dello stile di vita dei popoli della Repubblica Cecena, riconoscendo il diritto inalienabile e naturale dei cittadini all’autodifesa ed alla protezione dalle aggressioni criminali.”

Dzhokhar Dudaev, primo Presidente della Repubblica cecena indipendente. Nel Dicembre del 1991 riconobbe a tutti i ceceni il diritto di possedere armi da fuoco, in ossequio alla tradizione Vaynakh

Il terreno dell’ordinamento giudiziario rimase, per il momento, neutrale: entrambe le parti concordarono sulla necessità di guadagnare il tempo necessario a riformare il sistema, senza lasciare il paese nell’anarchia: fu così stabili che, una volta promulgata la Costituzione, il corpus delle leggi relative sarebbe stato aggiornato progressivamente. Nel frattempo sarebbero rimaste in vigore tutte le normative non in contrasto con la Costituzione, o con la Dichiarazione di Indipendenza. La magistratura passò, così, sotto il controllo del governo separatista senza subire apparenti modifiche strutturali.

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IL PERIODO REPUBBLICANO

Con la promulgazione della Costituzione (12 Marzo 1992) lo Stato indipendente ceceno si dotò della sua carta fondamentale. Gli articoli riguardanti il potere giudiziario erano contenuti nell’ultima sezione (articoli 94 – 116) e configuravano la magistratura secondo un modello secolarizzato, mutuato in parte dalla vecchia istituzione sovietica e in parte da quello proposto dalle democrazie occidentali. Fulcro del sistema era l’Articolo 94, il quale citava:

 “Il potere giudiziario nella Repubblica cecena è esercitato solo dal tribunale e agisce indipendentemente dai poteri legislativo ed esecutivo, nonché da partiti, associazioni e movimenti pubblici. Nessuno, ad eccezione degli organi giudiziari stipulati dalla Costituzione e dalle leggi della Repubblica cecena, ha il diritto di assumere le funzioni e i poteri del potere giudiziario. La magistratura ha come scopo la protezione del sistema costituzionale della Repubblica cecena, i diritti e le libertà dei cittadini, il controllo sulla corretta applicazione e applicazione delle leggi e degli atti del ramo esecutivo, della Costituzione della Repubblica cecena.”.

Negli altri articoli erano approfonditi il ruolo che la magistratura avrebbe dovuto avere ed i poteri gli erano attribuiti. Senza citarli uno per uno (per approfondire è possibile leggere la costituzione integrale, tradotta e commentata, QUI) il potere giudiziario aveva tra i suoi compiti, oltre all’amministrazione della giustizia: il controllo sul rispetto dell’ordine costituzionale, la verifica della legalità e della validità delle delibere e delle azioni di agenzie e funzionari governativi, l’indagine e il giudizio su illeciti operati nell’esercizio delle funzioni da parte dei tribunali, nonché la partecipazione alla formazione degli organici della magistratura stessa. Al vertice del potere giudiziario della Repubblica Cecena erano previste tre istituzioni: la Corte Costituzionale, la Corte Arbitrale e la Corte Suprema. La prima avrebbe dovuto fungere da controllore dell’ordine costituzionale, ed esercitare diritto irrevocabile di giudizio sulla costituzionalità degli atti normativi e dei decreti legge varati dal Presidente della Repubblica. La seconda avrebbe dovuto fungere da Corte d’Appello per questioni di natura civile e patrimoniale. La terza, supremo organo giudiziario, avrebbe rappresentato il vertice della Magistratura, esercitando funzione nomofilattica (cioè garantendo identità di interpretazione delle norme giuridiche) e di giudice di ultima istanza.

I vertici del Parlamento di Prima Convocazione. Da sinistra a destra Bektimar Mezhidov (Vicepresidente), Hussein Akmadov (Presidente), Magomed Gushakayev (Vicepresidente)

Come abbiamo già detto, la Costituzione appena varata mancava delle necessarie connessioni con il precedente sistema di epoca sovietica, cosicché per tutto il 1992 il Parlamento lavorò affinché entrassero in vigore i regolamenti e le leggi attuative necessarie a mettere in connessione la carta fondamentale con il sistema giudiziario ereditato dalla vecchia RSSA Ceceno – Inguscia. In questo seno le 3 leggi fondamentali varate nel corso di quell’anno furono le seguenti:

  • “Sulla Corte Costituzionale della Repubblica Cecena” (7 Luglio 1992)
  • “Sullo status dei giudici nella Repubblica Cecena” (12 Novembre 1992)
  • “Sul sistema giudiziario nella Repubblica Cecena” (19 Novembre 1992)

La prima, composta da 89 articoli, regolamentava l’attività della Corte Costituzionale, organo costituito per proteggere l’integrità dello Stato e garantire una corretta interpretazione della Costituzione, prevenendo la Repubblica da iniziative incostituzionali o in contrasto con il principio della separazione dei poteri.

La seconda, composta da 20 articoli, regolava le prerogative, i diritti e i doveri dei magistrati.

La terza, infine, era una ampia legiferazione composta da 5 sezioni e 68 articoli, ed intendeva riorganizzare l’intero potere giudiziario, riordinando le norme di base, i compiti di giudici e procuratori, il sistema di lavoro dei tribunali e delle cancellerie.

IL CONFLITTO TRA PRESIDENTE E PARLAMENTO

Mentre il Parlamento lavorava alla costruzione del sistema legale alla base della magistratura, i primi attriti iniziarono a consumarsi tra questo e il Presidente della Repubblica, Dzhokhar Dudaev, il quale intendeva anch’egli avere un ruolo centrale nella formazione del potere giudiziario, e ancora di più nell’attribuzione in capo ad esso di uomini di sua fiducia. Il primo scontro si ebbe allorchè il Presidente nominò, senza il preventivo consenso del Parlamento, l’ex funzionario del Ministero della Protezione Sociale della RSSA Ceceno – Inguscia, il trentacinquenne Usman Imaev, alla carica di Ministro della Giustizia, incaricandolo di redigere una bozza di riforma della giustizia da pensarsi in ragione non soltanto del diritto romano, ma anche del diritto consuetudinario ceceno, il cosiddetto Adat. Il Parlamento si oppose a questa nomina, non convalidandola. Intenzionato a far valere le sue ragioni, Dudaev pochi giorni dopo istituì il “Comitato per la Riforma Giuridica sotto il Presidente della Repubblica”, aggirando di fatto la legge che imponeva l’approvazione parlamentare per i ministri proposti dal Presidente. Egli, infatti, pur non potendo nominare ministri a suo piacimento, aveva pieni poteri nella costituzione di comitati di Stato e nella formulazione dei loro regolamenti. Così Dudaev lasciò vacante il Ministero della Giustizia e costituì un comitato dotato di poteri equivalenti, alla cui presidenza pose lo stesso Imaev, lasciando impotente l’assemblea legislativa.

Usman Imaev

Con l’Ordine Presidenziale n° 4 (“Sulle misure per garantire il corretto funzionamento del Comitato Nazionale per la Riforma Giuridica” del 27 Gennaio 1992) Dudaev dotò la nuova struttura di una voce di spesa autonoma dal bilancio pubblico con la quale poté aggirare il pericolo che il Parlamento bloccasse i fondi del Ministero della Giustizia. Uno dei primi provvedimenti suggeriti dal Comitato e prontamente recepiti da Dudaev fu l’adeguamento della tassazione pubblica sugli atti giudiziari e notarili alla situazione economica contingente, all’epoca estremamente precaria, della maggioranza della popolazione. Con un Decreto del 24 Marzo 1992 “Sulle aliquote di dazio statale da addebitarsi sulle domande e sui reclami presentati in tribunale, nonché sulle imposte degli atti notarili e dello stato civile” Dudaev ordinò la calmierazione delle relative tasse. Questo facilitò certamente il ricorso al sistema giudiziario da parte dei cittadini, ma creò conseguentemente un buco nel bilancio a disposizione dei tribunali, i quali si trovarono ben presto in condizione di grave indigenza e carenza di risorse anche per le più elementari necessità ordinarie.

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