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“LA PRIMA BATTAGLIA PERDUTA”: 19/01/1995 – LA PRESA DEL SOVMIN

Tra il 10 ed il 19 Gennaio 1995 nel pieno della Battaglia per Grozny, le truppe federali lanciarono un violento assalto all’edificio dell’ex Consiglio dei Ministri dell’era sovietica, a quel tempo sede del Parlamento le forze separatiste difesero l’edificio per 9 giorni, combattendo piano per piano, stanza per stanza. La presa del “Sovmin” fu la prima vera “vittoria” dell’esercito federale, e portò al ritiro dei dudaeviti sulla sponda destra del Sunzha. Quì la battaglia sarebbe durata altri due mesi, prima che le unità agli ordini di Maskhadov si ritirasssero definitivamente dalla capitale.

IL SOVMIN

Costruito agli inizi del XX Secolo per ospitare il Grand Hotel della capitale, il SOVMIN era un elegante edificio di quattro piani che si ergeva nel pieno centro di Grozny. Dopo aver ospitato l’illustre struttura ricettiva, allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre fu occupato dai bolscevichi, i quali vi installarono il loro quartier generale. Da qui il comando locale dell’Armata Rossa diresse la difesa della città dagli assalti dell’Esercito Cosacco del Terek, tra l’Agosto e il Novembre 1918 (la cosiddetta “Battaglia dei cento giorni”. Con la vittoria dei rivoluzionari sulle armate bianche il palazzo fu trasformato nella sede del potere esecutivo locale, il Consiglio dei Ministri della neonata Repubblica Socialista Sovietica Autonoma Ceceno . Inguscia, assumendo il nome comune di “SovMin”.

Il SOVMIN in una foto del 1952

Nel Novembre del 1991, allo scoppio della Rivoluzione Cecena, il Parlamento appena uscito dalle elezioni popolari del 27 Ottobre si installò nella struttura, designandola come la sede permanente dell’assemblea. A quel tempo il quartiere amministrativo della città di era espanso, con la costruzione di numerosi edifici ministeriali e di polizia, oltre che del celebre “Palazzo Presidenziale” (in origine sede del Comitato Regionale del PCUS, il cosiddetto “Reskom”), ed il Parlamento si trovò così a pochi passi dal Palazzo dove aveva preso residenza il Presidente della Repubblica, Dzhokhar Dudaev.

L’ASSALTO A GROZNY

Il 11 Dicembre 1991 l’esercito federale entrò in Cecenia per porre fine all’indipendenza della repubblica, considerata un’organizzazione illegittima governata da bande armate illegali. L’esercito russo penetrò con difficoltà nel territorio ceceno, ed approcciò un attacco alla capitale secondo uno schema militare poco efficace, nella convinzione che il semplice “mostrare i muscoli” sarebbe stato sufficiente a far arrendere i secessionisti. L’attacco, svoltosi tra il 31 Dicembre 1991 ed il 1 Gennaio 1992 (il cosiddetto “Assalto di Capodanno”) fu un totale fiasco, e le forze federali dovettero procedere ad occupare la città combattendo casa per casa.

Uno dei cardini della difesa cecena nel quartiere centrale era proprio il Sovmin, che con la sua imponente struttura e la sua posizione a pochi passi dal Palazzo Presidenziale (fulcro del sistema difensivo separatista) era una posizione chiave per qualsiasi attacco che volesse respingere i separatisti oltre la riva destra del Sunzha. Le unità di Maskhadov (reparti della Guardia Presidenziale oltre ad elementi militarizzati del Servizio di Sicurezza di Stato ed altre milizie volontarie) erano asserragliate all’ultimo piano dell’edificio e nel seminterrato. Da queste due posizioni potevano agevolmente controllare l’avanzata dei reparti russi, tenere a distanza la fanteria e colpire i mezzi blindati che si avvicinavano alla piazza antistante l’edificio. I rifornimenti erano assicurati dal vicinissimo Quartier Generale dell’esercito separatista, situato nel seminterrato del Palazzo Presidenziale.

A sinistra il SOVMIN. Dietro a questo l’Istituto Petrolifero, dalla cui vetta era possibile tenere sotto tiro la sede del Parlamento.

I primi tentativi dell’esercito federale di raggiungere il Sovmin furono frustrati dalla rabbiosa reazione dei difensori, i quali riuscirono a tenere a distanza i reparti d’assalto russi fino dal 1° al 12 Gennaio. Nella notte tra il 12 ed il 13 un reparto di paracadutisti della 98a Divisione Aviostrasportata riuscì a raggiungere la base dell’edificio, dopo che l’artiglieria aveva martellato il piazzale antistante per tutta la giornata precedente, impedendo l’arrivo di rinforzi e munizioni alla guarnigione assediata. Alle 5:30 del mattino i paracadutisti riuscirono a penetrare nell’edificio, ma i separatisti reagirono con prontezza, riuscendo a bloccare l’assalto ed a procurare numerose perdite agli attaccanti, tra morti e feriti. Contemporaneamente i ceceni chiamavano a raccolta tutte le unità disponibili a difesa della posizione.

Dalla tarda mattinata del 13 Gennaio iniziarono ad affluire consistenti reparti corazzati a supporto dell’azione della fanteria, nel frattempo sostenuta dall’arrivo di reparti di fanteria di marina del 33° Reggimento. Le unità separatiste accorse in supporto ai difensori lanciarono violenti contrattacchi per tutto il giorno, e per buona parte di quello successivo, distruggendo numerosi veicoli blindati e martoriando le unità di fanteria con un costante tiro di mortaio. Gli scontri continuarono fino al 19 Gennaio, con i paracadutisti ed i fanti di marina russi asserragliati ai piani bassi dell’edificio ed i dudaeviti che ne controllavano i piani alti, mentre tutto introno i difensori tentavano di respingere gli attaccanti combattendo casa per casa. Lo scontro raggiunse livelli di violenza tali che a molti coscritti russi saltarono i nervi. Nel suo rapporto il Tenente Colonnello Victor Pavlov, vicecomandante del 33° Reggimento di fanti di marina scrive:

“… Il personale del gruppo d’assalto, che teneva la difesa al Consiglio dei ministri, dopo il raid della nostra aviazione e le perdite subite dalla nostra aviazione, si è rivolto al comandante del gruppo, il maggiore Cherevashenko, chiedendo di lasciare la posizione […]. Con enormi sforzi il maggiore Cherevashenko riuscì a impedirlo … I soldati giacevano negli scantinati del Consiglio dei ministri, non mangiavano né bevevano, si rifiutavano persino di portare fuori i loro compagni feriti. Ci sono stati casi di esaurimenti psicologici e capricci tra i soldati. Quindi, il soldato G … ha dichiarato che non poteva più tollerare una situazione del genere e ha minacciato di sparare a tutti. […].”

LA PRESA DEL PALAZZO

Anche nel campo ceceno, tuttavia, la situazione iniziava a degenerare, e gli imponenti bombardamenti di artiglieria federali, accompagnati ora da un preciso tiro con armi a corto raggio installate nei palazzi vicini ormai caduti nelle mani dei federali (l’Hotel Kavkaz, adiacente al Sovmin, l’Edificio dell’Istituto Petrolifero, la cui vetta dominava la piazza antistante il palazzo, e l’Ispettorato di Polizia Fiscale, sul lato est).

La foto mostra il centro di Grozny subito fopo la fine della battaglia. La freccia a sinistra indica il Palazzo Presidenziale, quella a destra le rovine del Sovmin.

Il 16 gennaio alle 5.20, quando il Consiglio dei Ministri era quasi completamente occupato dalle unità del raggruppamento del generale Rokhlin, Ruslan Gelayev (nominativo di chiamata Angel-1) parlò a Maskhadov (indicativo di chiamata Cyclone):

5.20 Angel-1 – Ciclone: “Ci sono dei codardi. Non sono andati alla Camera del Parlamento. Devono essere fucilati. “

Alle 5.45 Ciclone – Pantera: “Questa è la nostra prima battaglia persa” .

La sera del 18 Gennaio, quando ormai anche il Palazzo Presidenziale era in procinto di cadere e Maskhadov ne aveva già ordinato l’evacuazione, il grosso dei difensori si ritirò dai ruderi della struttura, ormai ridotta ad un cumulo di macerie. Una piccola retroguardia abbandonò l’edificio la mattina seguente, lasciando i mano russa un campo di battaglia crivellato di proiettili.

“PALAZZO DUDAEV” – IL PALAZZO PRESIDENZIALE DI GROZNY

Costruito per ospitare le alte gerarchie del Partito Comunista, l’imponente edificio divenne il cuore pulsante del separatismo ceceno ed il suo principale simbolo politico. Nelle sue stanze si affaccendarono i funzionari della giovane repubblica indipendente, i ministri dei governi presieduti da Dudaev e gli ufficiali dello Stato Maggiore dell’esercito, durante i terribili giorni dell’Assalto di Capodanno. Per conquistarlo l’esercito russo impiegò tutte le sue forze, nella convinzione che se questo fosse caduto i separatisti avrebbero perso ogni speranza. La sua conquista richiese diciannove giorni di combattimenti casa per casa. Devastato e saccheggiato durante la Prima Guerra Cecena, fu demolito nel 1996 e mai più ricostruito.

IL RESKOM

Con il ritorno dei ceceni e degli ingusci dalla deportazione del 1944, i nuovi leaders della Ceceno –  Inguscezia vararono  un ambizioso piano urbanistico nella città di Grozny, per accogliere le centinaia di migliaia di ex – esiliati che stavano rientrando nel paese. Il fulcro di questo progetto edilizio fu il Palazzo del Partito Comunista, chiamato in acronimo Reskom: per realizzarlo venne reclutato un ream di architetti ed ingegneri moldavi. Agli inizi degli anni ’80 l’edificio venne portato a termine: si trattava di una gigantesca struttura di 11 piani (9 fuori terra e 2 interrati) atti ad ospitare uffici, comitati, assemblee direttive ma anche centri di controllo, stazioni per la telecomunicazione e magazzini. Il Palazzo fu pensato per essere non soltanto un monumento al Socialismo, ma anche come una “fortezza di cemento” in grado di resistere a terremoti ed altre sollecitazioni naturali, e perfino a bombardamenti aerei e di artiglieria.

Il Reskom in una foto di fine anni ’80

Il Reskom sorse alla convergenza delle due principali arterie cittadine, il Viale della Vittoria, che proveniva da Nord (oggi Viale Putin), e il Viale Lenin, che dai sobborghi meridionali della città raggiungeva il Sunzha (oggi Viale Kadyrov). Due linee rette che, incontrandosi proprio davanti alla grande fontana del Palazzo, tagliavano in due la capitale ceceno – inguscia. Il Palazzo del PCUS avrebbe rappresentato quindi sia il fulcro politico che il centro geografico della città e, considerato che Grozny si trova pressappoco al centro della Cecenia, il Reskom sarebbe diventato il centro dell’intero Paese. Intorno ad esso si sviluppava tutto il quartiere governativo: nei pressi dell’imponente edificio trovavano posto il Sovmin (la sede del Consiglio dei Ministri sovietico), l’edificio del KGB, l’Hotel Kavkaz (deputato ad ospitare le alte personalità che si trovavano a soggiornare nel paese) l’Istituto Petrolifero di Grozny (la principale istituzione professionale della Cecenia) ma anche la sede della Radio TV di Stato, il Ministero della Stampa, la Casa della Cultura e via dicendo.

(lo Slideshow mostra alcuni degli edifici pubblici del quartiere governativo di Grozny: la Casa dei Pionieri in Piazza Lenin (1) l’Hotel Kavkaz (2) il Palazzo del KGB (3) il Ministero della Stampa (4) ed il Sovmin, divenuto sede del Parlamento dal Novembre 1991 (5)

IL PALAZZO PRESIDENZIALE

Quando i secessionisti presero il potere nel Novembre 1991 il Reskom fu ribattezzato “Palazzo Presidenziale”. Dudaev prese posto in un grande ufficio all’ottavo piano della struttura, mentre il Gabinetto dei Ministri fu sistemato al secondo piano.  Al posto della bandiera della Repubblica Socialista fu fatto sventolare un grande drappo verde con lo stemma “Lupo – cerchiato” della Cecenia indipendente.  Tra il 1992 ed il 1994 questo palazzo fu il centro del potere politico della ChRI, ed il simbolo stesso dell’indipendenza cecena: lungo il largo viale davanti al Palazzo Dudaev organizzò numerose manifestazioni pubbliche, tra le quali le celebri parate militari per l’anniversario dell’indipendenza e le sfilate del 23 febbraio, anniversario della deportazione del 1944.  Un disegno del palazzo finì addirittura sul fronte della banconota da 50 Nahar, la moneta nazionale predisposta alla fine del 1994 e mai entrata in circolazione a causa dello scoppio della guerra.

Non è un caso, quindi, che sia gli oppositori di Dudaev sia i russi identificassero il Palazzo Presidenziale come il cuore del potere in Cecenia. Durante la guerra civile dell’Estate 1994 i piani di attacco delle forze del Consiglio Provvisorio si concentrarono sull’unico fondamentale obiettivo di far convergere quante più truppe possibile sul Palazzo Presidenziale, occuparlo ed installarvi un governo di salvezza nazionale che riportasse la Cecenia nella Federazione Russa. Quando il 26 Novembre 1994 Gantamirov, Avturkhanov e Labazanov tentarono di prendere Grozny e di rovesciare Dudaev col supporto della Russia, il piano che elaborarono rispecchiò questa convinzione: tutti i reparti avrebbero dovuto dirigersi verso il Palazzo Presidenziale e limitarsi a sorvegliare le vie d’uscita dalla città: una volta che questo fosse caduto per i dudaeviti non ci sarebbe stato scampo.  In questo approccio c’era tutta l’ingenuità dell’opposizione antidudaevita, convinta di stare lottando contro un regime impopolare arroccato dentro i palazzi del potere. Dudaev rispose con efficacia a questa falsa idea, lasciando che i ribelli arrivassero quasi indisturbati al Palazzo per poi ingaggiarli da tutte le direzioni, mobilitando centinaia di volontari e costringendo le forze del Consiglio Provvisorio ad una precipitosa fuga.

Miliziani dudaeviti pregano prima della battaglia. Sullo sfondo il Palazzo Presidenziale ancora intatto

ASSALTO AL PALAZZO

Stessa errata valutazione fu compiuta dai Russi subito dopo la disfatta di Novembre: anche gli alti comandi federali pensarono a torto che una “spallata” al Palazzo Presidenziale sarebbe bastata a far crollare il governo separatista, considerato ormai impopolare. Il piano russo previde un “blitz” convergente sull’edificio, senza un adeguato piano di avanzata che coprisse le colonne d’attacco e senza attendere che le forze federali completassero l’accerchiamento della città. Di questo si approfittò Dudaev, ben conscio del fatto che un’invasione russa avrebbe velocemente ricompattato i ceceni intorno alla sua figura a difesa dell’indipendenza.  Il Generale abbandonò molto presto il Palazzo Presidenziale, sistemando il governo nella cittadina di Shali, a Sudest della capitale. A guidare la difesa di Grozny rimase il suo Capo di Stato Maggiore, Aslan Maskhadov, il quale si sistemò nei piani interrati dell’edificio. I reparti russi, convinti di stare portando a termine niente di più che una manovra militare, si ritrovarono accerchiati in una gigantesca imboscata, nella quale si contarono centinaia di morti e feriti. Fu l’inizio di una devastante battaglia casa per casa durata due mesi, durante i quali le forze federali si aprirono la strada verso il Palazzo Presidenziale radendo al suolo quasi per intero il centro della città, per poi varcare la sponda destra del Sunzha e respingere i separatisti fino ai sobborghi meridionali. Come il Reichstag per il Terzo Reich, il Palazzo Presidenziale divenne il perno della difesa cecena, il premio simbolico dell’avanzata russa ed il simbolo della più devastante azione di guerra in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi.

Rovine di Grozny dopo la battaglia. Sullo sfondo le rovine del Palazzo Presidenziale

Una volta giunti nei pressi della struttura e messi al sicuro i fianchi, i russi iniziarono a bombardare a tappeto il Palazzo e gli edifici circostanti: il palazzo del consiglio dei ministri di epoca sovietica, il cosiddetto Sovmin, l’Hotel Kavkaz situato dall’altra parte del viale, ed alcuni alti edifici residenziali utilizzati dai separatisti come ricoveri e postazioni di tiro dei cecchini. All’interno del Palazzo Maskhadov aveva istituito il suo comando, un ospedale da campo ed un magazzino dal quale era possibile rifornire i reparti che difendevano palmo a palmo il quartiere governativo dall’avanzata dei russi. I bombardamenti federali raggiunsero il ritmo di un colpo di granata al secondo, ma non riuscirono a fiaccare la resistenza dei difensori, né a minare la poderosa struttura in cemento armato del quale era costituito. I tiri di artiglieria riuscirono a provocare vasti incendi ai piani superiori, ma non a scalfire quelli inferiori, al di sotto dei quali si trovavano i quartieri operativi. La stessa sala del Gabinetto dei Ministri, situata al secondo piano, rimase pressoché intatta, tanto che le sue suppellettili furono saccheggiate dai soldati russi quando questi riuscirono a conquistarlo.

Foto di Grozny dopo la battaglia: una delle vie principali della città (1) una panoramica con il Palazzo Presidenziale sulla destra (2) i dintorni di Piazza Minutka (3) la Chiesa dell’Arcangelo Michele (4) l’Istituto Petrolifero di Grozny (5) il Ministero della Stampa e dell’Informazione (6) Mezzi blindati russi si dirigono verso il Palazzo Presidenziale (7) Il quartiere governativo distrutto con il Palazzo Presidenziale sulla sinistra (8) foto aerea delle rovine del Palazzo Presidenziale, lato tergale (9) istantanea della spianata davanti al Palazzo Presidenziale (10) Il Palazzo Presidenziale da dietro l’Hotel Kavkaz (11) I ruderi del Palazzo Presidenziale (12) i ruderi del Parlamento (13)

LA CADUTA

Maskhadov ed i suoi si decisero ad abbandonare il Palazzo Presidenziale soltanto il 19 Gennaio, venti giorni dopo l’inizio dell’attacco, quando ormai gli edifici adiacenti alla struttura erano caduti nelle mani dei russi nonostante i rabbiosi contrattacchi delle unità di Shamil Basayev. Nel corso dei giorni precedenti il palazzo era stato colpito incessantemente dall’artiglieria e dall’aereonautica, e due potenti bombe a detonazione ritardata erano penetrate fin nei sotterranei dell’edificio sventrando il palazzo.Il giorno successivo le forze federali occuparono il palazzo quasi senza combattere, ed innalzarono sul pennone la bandiera russa. La presa del Palazzo Presidenziale fu tuttavia poco più che un successo politico. L’attesa dissoluzione delle forze separatiste non avvenne, ed i combattimenti per Grozny sarebbero durati ancora per un mese, per poi proseguire fino al Maggio successivo nelle campagne e sui monti della Cecenia.

Bandiere russe sventolano dalle rovine del Palazzo Presidenziale appena conquistato

Durante l’occupazione militare il palazzo, totalmente inagibile e spogliato di qualsiasi cosa avesse un valore, divenne il monumento all’indipendentismo ceceno: i movimenti contro la guerra ed i partiti che fiancheggiavano Dudaev tennero manifestazioni imponenti all’ombra delle sue rovine. La milizia del governo collaborazionista, nel tentativo di reprimerle, finì per sparare contro la folla il 24 ottobre, uccidendo un dimostrante e ferendone altri quattro. Ma il più grave fatto di sangue occorse l’8 Gennaio 1996, quando un’imponente presidio venne disperso dai collaborazionisti a colpi di lanciagranate. Morirono tre persone, e altre sette rimasero ferite. Il 10 febbraio un’esplosione, sembra accidentale, provocò la morte di una madre e di suo figlio, scatenando l’ennesima ondata di manifestazioni a seguito delle quali le autorità di occupazione decisero di demolire definitivamente l’edificio. Neppure la demolizione, tuttavia, andò per il verso giusto: i genieri militari minarono maldestramente il Palazzo, e la mattina del 15 febbraio, quando le cariche esplosero, ne venne giù soltanto un pezzo.

Manifestanti indipendentisti presidiano le rovine del Palazzo Presidenziale il 9 Febbraio 1996.

LE ROVINE

Quando i separatisti ebbero riconquistato Grozny, nell’Agosto del 1996, si trovarono padroni di una città in rovina. I resti del Palazzo Presidenziale erano talmente deteriorati che un suo ripristino era impossibile. Del resto la carenza di risorse economiche avrebbe comunque reso inattuabile la ricostruzione di un edificio così imponente. Le macerie rimasero così ammassate sul posto, ed il grande spiazzo dove un tempo sorgeva il rigoglioso giardino di rappresentanza divenne un pantano fangoso. Il degrado e la sporcizia si accumularono progressivamente, man mano che la stessa Repubblica Cecena di Ichkeria sprofondava nella corruzione e nell’anarchia. Nel Settembre del 1999 le truppe federali rientrarono in Cecenia, e Grozny tornò ad essere un campo di battaglia. Tra le vie del disastrato quartiere governativo si combatterono feroci battaglie, ma alla metà di Febbraio i reparti di Mosca riuscirono ad assicurarsi le sue rovine, e dalla fine del mese i combattimenti si spostarono nella parte meridionale della città. I resti del palazzo caddero definitivamente nelle mani dei russi, e furono presto sgomberati.

Con la fine delle operazioni militari in città e l’avvento del governo di Akhmat Kadyrov iniziarono i lavori di ricostruzione del quartiere. Di ricostruire un Palazzo Presidenziale non si parlò mai, e certamente non di ricostruire quel palazzo. Dopo la morte di Akhmat Kadyrov e la successione al potere di suo figlio Ramzan il piano di restauro del quartiere prese il via a pieno regime. Ad oggi l’area è quasi irriconoscibile rispetto a com’era prima della guerra. Al posto del Palazzo Presidenziale sorge un grande parco, al centro del quale è stato eretto un monumento ai poliziotti caduti nella guerra contro il terrorismo. Insieme a “Palazzo Dudaev” vennero sgombrati anche molti altri edifici, ed al loro posto è stato eretto il quartiere islamico della città, con una gigantesca moschea chiamata “Cuore della Cecenia”, un centro islamico ed un gigantesco giardino. La residenza del Presidente della Repubblica è stata costruita nella grande ansa sul Sunzha posta ad est del quartiere governativo.