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LEZIONI DI GUERRA – Intervista a Magomed Khambiev

Nato a Benoy nel 1962, Magomed Khambiev pose le basi della sua carriera nella Repubblica Cecena di Ichkeria alla guida di un battaglione del Servizio di Sicurezza Nazionale mobilitato nel Dicembre del 1994. Dopo aver combattuto alla testa del suo reparto fino al 1996 (guadagnandosi le più alte onorificenze militari) alla fine della guerra venne nominato da Maskhadov Comandante in Capo della Guardia Nazionale, per poi ottenere, nel Luglio del 1998, il dicastero della Difesa. Entrato in clandestinità allo scoppio della Seconda Guerra Cecena, nel 2004 decise di arrendersi, entrando a far parte dell’establishment del governo di Ramzan Kadyrov e venendo eletto deputato al parlamento nelle file dell’Unione delle Forze di Destra (SPS). Questa intervista, rilasciata alla rivista “Small Wars Journal” apparve in rete nel Giugno del 1999, poco prima che scoppiasse la Seconda Guerra Cecena.

IL BATTAGLIONE BAYSANGUR

Nel 1992 ero comandante del Battaglione “Baysangur”, circa 150 uomini, Nel 1994 sono stato decorato ed ho ricevuto una spada d’onore. Successivamente il Capo di Stato Maggiore, Aslan Maskhadov, mi ha nominato comandante del Distretto di Nozhai – Yurt.

Avevamo più possibilità nel 1994 che nell’Agosto 1996. Nel Dicembre 1994 il mio compito era più facile. Avevo 150 uomini, avevamo più attrezzature e mezzi di trasporto rispetto al 1996. Avevo veicoli per spostare le armi da un luogo all’altro. Maskhadov ordinò al mio battaglione di tenere Pervomaiskoye, quando i carri armati russi avanzarono. Non ci disse quali posizioni occupare, soltanto di andare lì ed intercettare i carri armati. Quando raggiungemmo Pervomaisoye trovammo un APC ed un catto armato, e li distruggemmo. Eravamo contenti, pensavamo che i russi fossero scappati. Non ci eravamo resi conto che erano l’avanguardia di un’enorme coonna. Quando attraversammo il ponte, che è vicino alla fabbrica, abbiamo visto una doppia colonna di carri. Mi sono ritrovato con 8 uomini. Abbiamo colpito un carro con un lanciagranate. Allora avevo poca esperienza in questi combattimenti. Pensavo che con tre lanciagranate avremmo potuto gestirla, attaccando la parte anteriore e la parte posteriore della colonna, per poi fuggire. Abbiamo colpito l’equipaggio di un catto armato, ma questo non ha fermato l’avanzata dei russi su Pervomaiskoye.

Magomed Khambiev da giovane, durante la Prima Guerra Cecena

Poi ho pensato di ritirarmi facendo una deviazione in fondo alla colonna. Rimanemmo fino alla sera nascosti in una casa accanto a quella in cui i russi avevano stabilito il loro quartier generale. Potevamo vederli attraverso le finestre.  Ho aspettato e mi aspettavo che controllassero la nostra casa in qualsiasi momento. Avevamo messo tutte le nostre armi e munizioni in Pensavamo che fosse la fine. I combattimenti erano in corso a Grozny, non avevamo notizie di Maskhadov. Abbiamo aspettato 2 o 3 ore aspettandoci di combattere la nostra ultima battaglia. Eravamo calmi. Poi ci siamo innervositi. Alcuni di noi decisero di andare a dormire mentre altri facevano la guardia. Alle 18 o alle 19 abbiamo sentito spari e grida. Corsi fuori, aspettandomi di essere catturato, ma mi ritrovai circondato da ceceni. Hanno iniziato a minacciarci. All’inizio ho pensato che fossero gente dell’opposizione ma non lo erano. Ci avevano notato in casa e pensavano che fossimo predoni. Per fortuna qualcuno mi ha riconosciuto. Per quanto riguarda i Russi, erano partiti per Grozny mentre stavamo dormendo. Il giorno successivo ci siamo riuniti al resto dell’unità ed abbiamo lasciato Grozny per Berdikel e Mesker Yurt, dove rimanemmo per quindici giorni a guardia di un ponte sulla linea ferroviaria nei pressi di Barguny. Poi mi ordinò di dirigermi a Gudermes.

A Gudermes non potemmo attaccare i russi, perché questi non si avvicinavano ed usavano soltanto elicotteri, bombardieri ed artiglieria a lungo raggio. A quel tempo si tenevano a distanza, evitando di attaccare da Khasvyurt, in Daghestan. Non so perché, forse avevano paura di mettersi contro gli Akkins ceceni (Ceceni del Daghestan, ndr.). Sparavano da Barguny e da Mairtup, che avevano occupato. Ad Aprile ci siamo ritirati da Gudermes al Distretto di Nozhai – Yurt, dove abbiamo assunto posizioni difensive scavando trincee. Maskhadov mi aveva nominato comandante di quel distretto. Dopo che i russi ebbero occupato Gudermes iniziarono a far avanzare le loro truppe da Khasavyurt verso Nozhai Yurt. Era un territorio molto difficile da difendere, soprattutto i campi e le aree pianeggianti, le colline nude e senza foreste. Siamo stai salvati dal fatto che i russi non sapevano dove eravamo trincerati. Conoscevamo il territorio, fummo capaci di trovare luoghi dove nasconderci e di minarne altri. Abbiamo difeso il distretto fino alla fine di Maggio del 1995, poi ci siamo ritirati a Sayasan, verso Benoy. Questo succedeva prima di Budennovsk, ci stavamo ritirando da tutte le parti, da Vedeno e da Shatoi. Per due o tre mesi abbiamo combattuto nel territorio del Daghestan. Prendemmo posto sull’altro lato del confine, che non era abitato.

Dopo la tregua di Budennovsk i russi iniziarono ad attaccare di nuovo nell’inverno del 1995. Non ci aspettavamo che avrebbero contrattaccato così velocemente. Iniziarono ad attaccare Benoy, ma dopo che prendemmo Gudermes nel Dicembre del 1995 tutto cambiò: fummo noi a prendere l’iniziativa.

LA “TREGUA” DI BUDENNOVSK

Durante il periodo di tregua che seguì Budennovsk avremmo dovuto costituire Unità di “autodifesa” russo-cecene congiunte. Ricordo un colonnello russo che era la mia controparte. Parlava con me della sua famiglia, mi diceva dove viveva, quella sua la figlia era malata. Fu una tregua di breve durata e più tardi durante la guerra lo incontrai ancora. Abalaev mi ha avvertito che i russi stavano progettando di stabilire una base a Zandak nonostante gli accordi che avevamo raggiunto dopo Budennovsk. Sono stato mandato a negoziare e ritrovai lo stesso colonnello. Fingeva di non essere responsabile della decisione, diceva che quegli ordini provenivano dall’alto. Ho detto “va bene, ma voglio parlarti da solo, senza testimoni”. Gli ho chiesto “tua figlia è ancora malata?”,  “La tua famiglia vive ancora a questo indirizzo?” Ha risposto “sì”; forse si era dimenticato di lui mi aveva dato quell’informazione. Gli ho detto “se non smantelli questa base da Zandak, la situazione della tua famiglia peggiorerà ulteriormente. Ti do mezz’ora per uscire di qui”. È uscito per dare gli ordini e 15 minuti dopo non c’erano più.

Aslanbek Abdulkhadzhiev (a sinistra) Shamil Basayev (al centro) ed Aslanbek Ismailov (a destra) tengono una conferenza stampa durante il sequestro dell’ospedale di Bunenovsk.

Tra marzo e agosto 1996, la situazione a Nozhay Yurt rimase tranquilla. Non c’erano azioni militari, solo attività di ricognizione e intelligence. I comandanti russi ci hanno contattato più volte durante quel periodo implorandoci di non avviare alcuna azione perché i negoziati erano imminenti. I russi non volevano morire, e nemmeno noi. Loro sono rimasti nelle loro basi e hanno aspettato. Avevano tutto: aviazione, GRAD, ma comunque è stato molto difficile per loro. I nostri piccoli numeri ci hanno aiutato, se avessimo avuto enormi concentrazioni di truppe come i russi, sarebbe stato più facile combatterci. Ma noi avevamo solo piccoli gruppi di 10, 20 o 30 uomini che erano ovunque e da nessuna parte. I russi avevano un’enorme concentrazione di forze: non potevamo affrontare una base con 500 carri armati e APC o più, ma sapevamo tutto e vedevamo tutto. Abbiamo cambiato tattica costantemente, a volte abbiamo tenuto posizioni difensive, a volte no. I russi non riuscivano a capire che tipo di esercito fossimo.

OPERAZIONE JIHAD

Nel Gennaio 1996 non mi aspettavo che avremmo vinto la guerra così rapidamente. Sapevamo in quale stato fosse il nostro esercito e anche se i russi erano talmente codardi che non volevano combattere, avevano comunque occupato quasi tutto il nostro paese. Non avevamo praticamente più alcun posto dove nascondersi, la nostra Repubblica è così piccola. Eravamo incoraggiati dal fatto che tutti i villaggi ci accoglievano volentieri. Questo ci dava la speranza che saremmo stati in grado di sostenere la lotta per molto tempo. Ma sapevamo che era molto difficile per la nostra popolazione, sapevamo che la popolazione aveva sofferto a causa nostra, che la Milizia del Ministero dell’Interno (russo, ndr) stava uccidendo i civili. Non pensavamo che avremmo vinto subito, ma che saremmo stati in grado di farlo. C’era ancora una piccola speranza.

Dopo il Marzo 1996, tutto è cambiato. Abbiamo capito che potevamo riconquistare la capitale o qualsiasi altro distretto della Repubblica in qualsiasi momento, ed abbiamo scelto. Maskhadov ci ha sempre detto: “Abbiamo Grozny in riserva come ultima risorsa”: Maskhadov ha dato l’ordine ai comandanti di prepararsi ad un assalto a Grozny ad inizio Giugno. Questa informazione era tenuta segreta, soltanto i comandanti lo sapevano. Avevamo diviso i comandanti settore per settore. Il mio settore era Pervomaiskoye. Avevo una mappa del distretto. Ho mandato degli uomini a controllare il percorso, per capire cosa avremmo dovuto affrontare – per esempio il campo di filtraggio russo a Pervomaiskoye. Questo può provare un grosso problema, che i russi usavano i prigionieri come ostaggi. Ho dovuto liberarli prima che potessimo avanzare su Grozny. Sapevo che era difficile perché il campo era estremamente ben difeso e protetto. Personalmente ero stanco, speravo che mi mandassero ovunque, ma non a Grozny. Sapevo che Grozny significava vittoria o morte. Non ci sarebbe stato modo di tornare indietro. Le truppe russe erano ovunque e sapevo che se le cose fossero andate storte non avrei avuto modo di fuggire da Pervomaiskoye. Avrei avuto difficoltà anche ad evacuare i feriti. Volevo restare a Benoy e combattere e morire piuttosto che andare a Grozny. Conoscevo il mio Distretto di Nozhai Yurt. Temevo che sulla strada per Grozny potessimo finire in un’imboscata, morendo inutilmente. Ma gli ordini erano ordini.

Tuttavia, due o tre giorni dopo l’inizio delle operazioni militari cominciai a cambiare idea ed a rendermi conto che forse ce l’avremmo fatta. Ho capito allora che i russi non volevano più combatterci. Ma ho dubitato finchè non è stato ovvio che stavamo vincendo. Anche se sapevo che combattere a Grozny sarebbe stato più facile, per inclinazione volevo combattere nel mio territorio. Sono sicuro che molti uomini la pensassero così.

Carro armate dell’esercito federale catturato dai separatisti durante l’Operazione Jihad

Pervomaisoye era la porta per Grozny e per l’aereoporto. E’ stato a Pervomaisjoye che i combattimenti furono più feroci. Dopo che i russi ci dettero un ultimatum di 48 ore, trasferirono più di 1000 tra carri e APC dall’edificio della Doikar – Oil all’aereoporto, che ne ospitava approssimativamente altrettanti. Aspettammo la scadenza dell’ultimatum, quando questa armata si sarebbe mossa contro di noi. Avevamo preparato barili con benzina, granate, mine ad ogni occasione. I carri armati avevano una protezione anti – granata. Abbiamo raccolto i proiettili dei carri armati e ne abbiamo ricavato delle bombe. Eravamo 80 uomini e abbiamo aspettato. Avevamo 12 lanciagranate, con 3 o 4 colpi.  Avevo uno Shmel. Dotazioni da considerarsi straordinarie! Nessuno aveva sollevato la questione di cosa potesse accaderci.

Ho ricevuto i miei ordini da Maskhadov il 5 Agosto. I russi avevano occupato il Distretto di Nozhai Yurt. Sono partito subito con i miei uomini. Abbiamo guidato da Benoy a Dzhalka. A partire da Dzhalka siamo scesi ed abbiamo proseguito a piedi. Trasportavamo tutta la nostra attrezzatura. Io trasportavo 65 kg di armi e munizioni. Verso le 8 del mattino abbiamo raggiunto i nostri obiettivi – Pervomaiskoye. La strada principale e la fabbrica di latta, sulla strada per l’aereoporto, tra i grattacieli. L’ordine era di essere in posizione tra le 5 e le 6 del mattino, ma eravamo stati ritardati da diverse imboscate lungo il percorso. Basaev era al mercato centrale. Una volta trovata una posizione comoda negli edifici più alti, con acqua e cibo, talvolta riuscimmo anche a farci qualche bagno durante la notte! Ci furono pesanti combattimenti tra il 7 ed il 12 Agosto e rimanemmo a corto di munizioni, perché i nostri rifornimenti non erano riusciti ad arrivare. Fortunatamente riuscimmo a trovare le munizioni nei carri armati che distruggevamo: 37 in tutto per il mio gruppo. Controllavamo l’unica via d’uscita da Grozny per i carri armati russi. Combattemmo nel distretto per 12 giorni. 3 dei miei uomini rimasero uccisi e 3 feriti. Ascoltavamo le comunicazioni radio russe in cui si diceva che avevano perso 200 uomini in un posto, tanti dispersi senza notizie in un altro. In questo modo potevamo capire quali obiettivi stessimo conquistando.

LINEE DI COMUNICAZIONE

Non è stato facile interrompere le linee di comunicazione dei russi. Ad esempio: loro avevano un quartiere generale a Nozhay Yurt ed una base a Sayasan. Il quartier generale doveva provvedere alla logistica di Sayasan: noi mandavamo due o tre uomini a scavare nel guado sul fiume che porta a Sayasan. Loro avevano molta paura delle mine, davanti ai loro carri armati e APC mandavano sempre dei genieri. Noi non abbiamo mai avuto molta difficoltà a comunicare tra di noi. Potevamo muoverci liberamente, io potevo facilmente raggiungere a piedi Vedeno da Nozhai Yurt, se necessario. L’ho fatto diverse volte attraverso strade secondarie. La prova più eclatante di questo fatto fu il nostro ingresso a Grozny nonostante gli elicotteri, gli aerei da caccia ed i posti di blocco: non fu un problema.

CECCHINI

I russi chiamavano “cecchino” qualsiasi uomo con la mitragliatrice. Ma non avevamo cecchini appositamente addestrati. Chiaramente mi vantavo di avere granatieri, cecchini, genieri, anche “carristi”. Ma in realtà i ruoli erano intercambiabili. Tutti i combattenti ceceni sapevano come usare armi diverse. Ciò era legato al nostro naturale interesse per le armi, e alla necessità. Avremmo usato qualsiasi arma sulla quale saremmo riusciti a mettere le mani. Non dicevamo ai nostri uomini “tu sei un cecchino, questa è la tua posizione, rimani lì”. Piuttosto gli uomini venivano da noi e ci dicevano: “Ho un fucile da cecchino, voglio usarlo, posso aiutare?”

GLI “SHMEL”

Ricordo un episodio divertente: avevamo uno Shmel (lanciarazzi portatile per la fanteria, ndr.) che portavo ovunque, perché era la migliore arma del mio battaglione. C’era un carro armato di fronte all’edificio in cui ci trovavamo. Era facile fallire perché non avevamo un posto dove nasconderci e la visibilità era scarsa. Uno dei miei uomini gridò: “sbrigati, spara!”. Il cannone era già rivolto verso di noi. La casa era piccola, io ero in cucina. C’era un balcone ma se fossi uscito sarei stato ucciso. Mi sono guardato intorno. Il soffitto era basso, c’era un tavolo, sono saltato sul tavolo ed ho sparato senza pensare, senza mirare correttamente. Non ricordo esattamente cosa successe dopo, sono caduto dal tavolo, mi sono bruciato. Pensavo che fosse stato il carro a sparare. Sono corso fuori dalla casa urlando che stavo andando a fuoco. Ma era il calore del mio Shmel –  stavo sparando troppo a ridosso del muro. Il carro armato era stato distrutto.

Gli unici Shmel che avevamo erano quelli che avevamo preso o comprato ai russi. Tutte le unità russe, sia della Milizia che del Ministero della Difesa, erano dotate di Shmels. Le unità della Milizia avevano molti contractors: era più difficile acquistare armi da loro. Anche loro vendevano le armi, ma era più facile comprarle da giovani coscritti.

Magomed Khambiev nel Febbraio 1997 , Comandante della Guardia Nazionale

MISSILI ANTIAEREI

Avevo un missile a ricerca di calore a Nozhai Yurt, con il quale riuscimmo ad abbattere un elicottero. Questo è stato l’unico caso al quale ho assistito durante la guerra. L’uomo che lo ha abbattuto ha ricevuto una decorazione. Successivamente abbiamo usato le mitragliatrici contro gli elicotteri, ma senza risultato. Potevi vedere le scintille sprizzare dalla lamiera degli elicotteri, ma questo era tutto. Quando inizi a sparare su un elicottero, questo vira sul lato placcato in titanio, esponendolo al fuoco.

ARMI “TROFEO”

Ricordo come Isa Ayubov, vice capo della logistica, fu assediato in una casa vicino al cinema “Jubilee” nel centro di Grozny. Quando siamo venuti in suo aiuto c’erano così tanti cadaveri, era spaventoso. Circa 100, forse 200 morti giacevano in un mucchio. I russi continuavano ad avanzare nell’edificio di Ayubov, e mentre avanzavano venivano uccisi. Come avanzavano, venivano uccisi. Non si rendevano conto di dove stavano andando. Non capivano da dove gli stessimo sparando. Si muovevano come un’onda umana senza avere il tempo di sparare. L’assedio finì quando si fece buio. Uscimmo dall’edificio, raccogliemmo tutte le armi – c’era di tutto, lanciagranate, fucili da cecchino e automatici. C’era l’imbarazzo della scelta. Molte persone non avevano le armi. Ci seguivano e cercavano di prenderle. E noi abbiamo sempre distribuito loro le armi. A volte le le persone cercavano armi semplicemente per rivenderle. Li vendevano ad altri ceceni sottocosto o li barattavano con farina, zucchero ecc. In alcuni casi interi battaglioni furono armati con armi  -trofeo. Di solito combattevamo con armi russe. Non avevamo una nostra produzione né forniture estere.

I RUSSI

La propaganda russa affermava che tutti i ceceni erano uomini d’affari che erano interessati soltanto al benessere, che Dudaev aveva 100 uomini, non di più, i quali sarebbero fuggiti davanti all’esercito russo. Nonostante le rassicurazioni di Pavel Grachev che la Cecenia sarebbe stata conquistata in una settimana, gli ufficiali russi hanno capito subito che non sarebbe stato così. Quando hanno attraversato il confine con l’Inguscezia verso la Cecenia, hanno visto che non c’era nessuno che stesse scappando via. Già a quel punto iniziarono ad essere riluttanti a marciare. Mi ricordo come gli elicotteri russi stessero sparando alle spalle delle loro truppe per farle avanzare durante l’invasione.

Non ho notato alcuna differenza di prestazione tra le formazioni militari russe. Forse i russi ebbero i loro eroi durante la guerra, ma i loro commando e le truppe della milizia non si comportarono essenzialmente meglio di quelle ordinarie. Non avevano strategia organiche; non sapevano come combattere; il loro servizio di intelligence era scarso e di solito sbagliava; non facevano alcuna ricognizione prima di una sortita; non avevano tattiche offensive contro i nostri gruppi; non sapevano niente ed erano sempre spaventati. Ad esempio, quando noi avevamo un gruppo di 5 uomini posizionato da qualche parte, la loro intelligence ne individuava 200. Di conseguenza i nostri piccoli gruppi potevano mantenere le posizioni senza problemi, riposarsi e sparare di tanto in tanto per tenere i russi sulle spine. Che tipo di valutazioni si possono dare sulle truppe russe in queste condizioni? Sapevano di aver perso l’iniziativa. Quando un soldato ha paura non può pensare alla strategia, o alla tattica. Le truppe del Ministero della Difesa erano ragionevolmente dignitose nei confronti della popolazione civile. Penso che fosse perché sapevano che trattavamo i nostri prigionieri di guerra russi con equità. Stavano servendo e dovevano ubbidire agli ordini, come noi. Ce lo dicevano i prigionieri di guerra che erano stati costretti ad eseguire gli ordini, altrimenti avrebbero perduto i loro appartamenti, la loro pensione, qualunque cosa. Ci dissero che sapevano che quello che stavano facendo era sbagliato, ma che non avevano scelta. Ovviamente i prigionieri avrebbero detto queste cose in ogni caso. Ma c’erano vere pressioni e tanto bullismo, perché era chiaro che loro non volevano combattere.

Aydamir Abalaev (a sinistra) Aslan Maskhadov (al centro) e Magomed Khambiev (a destra) nel Febbraio 1997

Per noi era diverso, questa è la nostra terra, stavamo difendendo la nostra patria, le nostre famiglie, i nostri amici, non avevamo via d’uscita. Quando abbiamo avuto la notizia che i russi avrebbero occupato un distretto o un villaggio, avvertivamo i civili e li aiutavamo ad evacuare. Questo era l’unico modo in cui potevamo proteggere la popolazione. Tuttavia se i russi avessero saputo che c’erano dei combattenti nei paraggi, sarebbero stati più cauti. Sui blocchi stradali, o quando sapevano che non potevamo toccarli, erano più audaci e insolenti. La milizia del Ministero dell’Interno era un’altra cosa. Loro non facevano differenze tra combattenti e civili. Potevano addirittura uccidere i loro stessi soldati, impunemente. Quando catturavamo i soldati dell’MVD li trattavamo diversamente da quelli del Ministero della Difesa. Era l’MVD che conduceva le cosiddette “Zachistki”, le operazioni di polizia. Tiravano già gli uomini dagli autobus, li costringevano a spogliarsi davanti alle donne – una vergogna terribile per gli uomini ceceni – controllavano i calli sul loro corpo per capire se avessero portato armi, ma i ceceni lavorano sodo, tutti avevano calli da duro lavoro fisico. Qualsiasi uomo con un livido o una ferita veniva arrestata come boievik (bandito ndr), spesso scomparendo senza lasciare traccia.

Non c’erano schemi negli attacchi aerei e nei pattugliamenti dei russi. Non pattugliavano di notte. I nostri uomini, al contrario, sfruttarono al meglio la notte per la sorveglianza, mappando i campi minati, ad esempio. I russi durante la notte sparavano a caso.

PERSONALITA’

Dzhokhar Dudaev era molto divertente. Gli piaceva scherzare, anche quando le cose andavano molto male. Durante gli infiniti bombardamenti aerei ci diceva che questo era l’ultimo, e che i russi avevano esaurito le scorte. Gli credevamo, e mantenevamo la calma. Siamo stati fortunati per il fatto che lo stratega fosse Maskhadov. Molto può dipendere da un uomo. Maskhadov era un comandante molto bravo, ed un capo organizzato. Ha tenuto conto di ogni dettaglio. Gli piaceva che gli ordini venissero eseguiti puntualmente. Naturalmente non ti avrebbe punito se avessi fallito, ma tu ti saresti vergognato di fronte a lui se non avessi eseguito gli ordini correttamente. Questo sistema è stato molto efficace.

LEZIONI DI GUERRA

Era molto più facile combattere a Grozny che a Nozhai Yurt. Il Distretto di Nozhai Yurt era un territorio aperto, dove si doveva aspettare che i carri armati si avvicinassero entro i 500 metri per colpirli. Questa era la distanza dei nostri lanciagranate. I russi lo sapevano e non si avvicinavano mai così tanto. Avemmo molte vittime dovute al fatto che chiunque ad un certo momento doveva improvvisarsi geniere senza avere la formazione necessaria. Abbiamo imparato dalla pratica, insegnandoci a vicenda. Il risultato, tutto considerato, non fu cattivo. Cogliemmo dei brillanti successi.

La disciplina era eccellente, ma tutti prendevano iniziative personali. Prendevamo tutti le direttive dal Presidente Dudaev e dal Capo di Stato Maggiore, Aslan Maskhadov. Ad esempio, quando ci veniva detto di mantenere una posizione la mantenevamo, ma combattendo a proprio modo. Noi facevamo quello di cui c’era bisogno ma senza che ci fosse il bisogno di dirci come questo dovesse essere fatto. Nessuno si aspettava delle istruzioni specifiche. Gli uomini sapevano che cosa dovevano fare senza che glie lo dicessero. Ho capito che la nostra nazione era invincibile. Fin dall’infanzia mi è stato raccontato dei nostri antenati che combattevano con i russi. Quando era giovane avrei sempre voluto emularli. Ma non ho mai creduto o capito veramente come le persone potessero combattere per anni. Adesso lo so, e so che la nostra nazione è capace di resistere a qualsiasi prova. Questa per me è stata una lezione della guerra davvero straordinaria. Ancora oggi mi chiedo come abbiamo potuto compiere un simile miracolo. I comandanti erano uniti. Ho visto la dedizione e l’impegno che hanno motivato le persone che hanno combattuto. Naturalmente c’erano anche quelli che combattevano per mettersi in mostra, quelli che erano pronti a negoziare coi russi, ma erano l’eccezione.

Magomed Khambiev (sinistra) posa con Ramzan Kadyrov (destra) alzando il pollice in segno di complicità.

Si potrebbe dire che ogni operazione militare che abbiamo intrapreso sia stata eroica. Quando siamo andati a combattere ogni singolo uomo su 50 o 80 voleva ottenere qualcosa. Qualcuno a combattuto a modo suo. Quando nel dopoguerra mi fu chiesto di scegliere gli uomini da decorare non riuscii a farlo, perché per me erano tutti eroi. Non conoscevano la paura. Una volta a Grozny uno dei miei uomini stava cercando di colpire un carro armato con un “mukha” ma non ci riusciva. Mi ha chiedo aiuto gridandomi. Io ho sparato due volte dal balcone ed ho colpito il carro armato. Sapevamo tuti che era pericoloso sparare più volte dalla stessa finestra perché i russi se ne sarebbero accorti, ma quell’idiota saltò giù dal balcone urlando “Allah U Akbar!!!” senza alcuna preoccupazione per la sparatoria che stava infuriando. Ho afferrato quello sciocco e l’ho trascinato di nuovo dentro la stanza.  Potrei passare giorni a raccontare le gesta dei miei uomini, erano tutti coraggiosi.

Altri comandanti affermarono di avere 500 uomini, anche 1000, ma io non ne ho mai avuti più di 150. Era l’inizio della guerra. Successivamente il nostro numero variava tra i 50, gli 80 e i 100. Il numero più basso lo raggiungemmo durante il nostro ritiro a Benoy, quando ne rimasero solo 40. Ma fu più facile operare con un piccolo gruppo. Conoscevo tutti i miei uomini, sapevo di cose fosse capace ognuno di loro. Sapevo di potermi fidare di loro. Abbiamo vinto insieme. Pervomaiskoye, durante l’assalto a Grozny dell’Agosto 1996 fu il nostro coronamento.

L’oro nero dell’Ichkeria: il petrolio ceceno

C’è un trait – d’union che lega la Repubblica Cecena di Ichkeria a molti stati “maledetti” dalla guerra: il petrolio, una risorsa tanto essenziale per l’economia moderna, eppure così pericolosa per i paesi che la posseggono. Quasi tutti gli stati nei quali si produce petrolio vivono in stato di guerra civile, di instabilità politica o sono governati da regimi autoritari. I politologi hanno scritto molto su questo: è stato rilevato che l’abbondanza di materie prime è uno dei principali motivi di instabilità all’interno di un paese. Perché una tale “benedizione” dovrebbe generale conflitti anziché ricchezza? Perchè per arricchirsi con essa non servono processi di produzione complessi, i quali richiedono stabilità ed ordine per funzionare: è sufficiente possedere qualche macchinario rudimentale, magari anche artigianale. Il caso della Cecenia è emblematico.

LE ORIGINI

La Cecenia è uno dei primi luoghi al mondo dove l’estrazione del petrolio ha assunto caratteri industriali: il primo pozzo petrolifero “moderno” del paese fu aperto poco lontano da Grozny nel 1893, e da quel momento il sottosuolo ceceno ha prodotto 420 milioni di tonnellate di oro nero. La scoperta di vasti giacimenti superficiali, facili da perforare e molto produttivi, attirò i grandi trivellatori europei (Shell in primis, ma anche aziende francesi, tedesche e olandesi) fin dai primi anni del ‘900. I proprietari dei terreni locali si accontentavano per lo più di percepire una rendita annua in cambio del diritto delle compagnie petrolifere di sfruttare i pozzi. Tuttavia dagli anni ’10 del ‘900 alcuni imprenditori locali iniziarono a lavorare in proprio, costruendosi delle discrete fortune. Uno di questi fu Tapa Chermoeff, ex militare zarista che fu per qualche tempo Presidente della Repubblica dei Popoli Montanari del Caucaso (per approfondire leggi “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” Acquistabile QUI).  

Foto del 1910 – I campi petroliferi di Grozny

Con l’avvento dell’Unione Sovietica iniziò l’industrializzazione di stato. La Cecenia divenne il secondo polo estrattivo delll’URSS, giungendo nel 1971 a rappresentare il 7% dell’intera produzione sovietica, con un volume annuale di 21.3 milioni di tonnellate di petrolio estratto. Intorno all’industria estrattiva sorse una vivace industria di lavorazione: le prime fabbriche di cherosene (considerato il più redditizio prodotto petrolifero a quei tempi) furono impiantate nel 1910, mentre in era sovietica si aggiunsero le raffinerie di petrolio Sheripov (1939) Lenin (1958) e Anisimov (1959). L’apertura di questi grossi centri di raffinazione permise ai ceceni di processare non soltanto il loro petrolio, ma anche quello proveniente da altre regioni dell’URSS. Le raffinerie potevano lavorare fino a 24 milioni di tonnellate annue di petrolio, ragion per cui dagli immensi ma de – industrializzati campi petroliferi siberiani il petrolio giungeva fino a Grozny, per essere lavorato e spedito in tutta la Russia. Oltre ad impianti per la produzione di benzina sorsero fabbriche per la raffinazione di kerosene, oli combustibili e lubrificanti per aerei: prodotti per la cui realizzazione servivano macchinari di alta tecnologia e personale qualificato.  

LA RIVOLUZIONE DEL PETROLIO

L’impatto del petrolio sulla società e sull’economia fu enorme: il paese, fino ad allora popolato da agricoltori ed allevatori, divenne una realtà industriale. La sua capitale, Grozny, che nel 1897 contava appena 15.000 abitanti, nel 1979 raggiunse i 375.000 residenti, ed al crollo dell’URSS sarebbe stata la dimora di 480.000 persone, oltre un terzo di tutti gli abitanti della Cecenia. Per fornire manodopera alle grandi raffinerie ed alle industrie di lavorazione nacquero numerosi istituti scolastici, tra i quali il più importante divenne l’Istituto Petrolifero di Grozny, una vera e propria città universitaria deputata alla formazione dell’élite industriale. Il successo nell’industrializzazione del paese non portò soltanto benefici: man mano che la città cresceva e si arricchiva  il divario tra gli abitanti di Grozny, scolarizzati, professionalizzati e benestanti, e quelli delle campagne, semianalfabeti e poveri, divenne sempre più grande. Al conflitto sociale si sovrappose l’ostilità etnica con la minoranza russa, trasferita in Cecenia a seguito della deportazione dei ceceno – ingusci del 1944 e perlopiù inurbata nella capitale, dove occupava i posti più importanti e redditizi sia nell’amministrazione politica della repubblica che nella gestione degli impianti industriali. Il generale aumento del benessere prodottosi tra gli anni ’50 e gli anni ’70 alleggerì il peso di questi problemi, ma non li risolse: anzi, la dipendenza dell’economia dai proventi della produzione e raffinazione del petrolio divenne sempre più cronica, legando indissolubilmente i destini  della Cecenia all’andamento della filiera degli idrocarburi.

Agli inizi degli anni ‘80 i pozzi superficiali iniziarono ad esaurirsi: nel 1980 la produzione era già scesa a 7,4 milioni di tonnellate annue, e cinque anni dopo raggiunse le 5,3 tonnellate. Per rilanciare l’industria estrattiva sarebbero serviti importanti investimenti tecnologici, ma in quegli anni l’URSS sguazzava nell’insolvenza, ed il governo sovietico decise di non allocare risorse per la trivellazione di nuovi pozzi e per l’aggiornamento di quelli vecchi. Il calo della produzione di greggio ebbe effetti devastanti per l’economia locale: agli inizi degli anni ’60 quasi il 70% del bilancio della RSSA Ceceno – Inguscia era costituito dalle entrate derivanti dal petrolio, e con l’affievolirsi di questa entrata il tesoro ceceno dovette affrontare le prime crisi di liquidità. Il governo di Mosca intervenne sostituendo alle entrate petrolifere consistenti trasferimenti finanziari alle casse della Ceceno – Inguscezia: in questo modo il Cremlino evitò che una disastrosa crisi economica si abbattesse sulla repubblica, ma rese il paese dipendente dagli aiuti dello stato centrale. Questa politica assistenzialista impedì all’economia locale di riconvertirsi, magari investendo nel settore agricolo (la Cecenia può vantare una antica e pregiata attività di viticoltura) o nell’industria di lavorazione. Così, mentre la produzione petrolifera scendeva costantemente (nel 1990 furono estratti 4,2 milioni di tonnellate di greggio, nel 1991 4,1 tonnellate, nel 1992 3,6 e così via) gli altri settori economici rimanevano poco competitivi e incapaci di sostituirsi alle vecchie fonti di reddito.

Una raffineria di Grozny negli anni ’60

IL PETROLIO DELL’ICHKERIA

Quando Dudaev proclamò l’indipendenza del paese lo stato dell’economia era disastroso: dipendente com’era dalle iniezioni di capitale da Mosca, il governo si ritrovò presto con le casse vuote, impossibilitato a pagare stipendi e pensioni e senza risorse per affrontare la riconversione dell’economia. Dal Gennaio del 1992 Eltsin impose il blocco dei trasferimenti dal governo centrale, portando le finanze cecene alla paralisi. Di colpo il petrolio ed i suoi derivati tornarono ad essere l’unica fonte di finanziamento per lo stato. Dudaev tentò di governarne la produzione, ma soprattutto la raffinazione delegando il controllo del settore a Yaragi Mamodaev (direttore del Comitato per la Gestione Operativa dell’Economia Nazionale) con l’incarico di “fiscalizzarlo” e finanziare con essa l’attività dello Stato.

Mamodaev prese il controllo dell’intero settore, utilizzando “buoni benzina” per pagare gli stipendi in sostituzione del denaro (assente sia contabilmente che fisicamente a causa della gigantesca inflazione che stava investendo il rublo), ed attribuì “quote produzione” alle amministrazioni locali per finanziare la loro attività. Ad esempio Bislan Gantamirov, Sindaco di Grozny, ottenne una quota del 5% della produzione per sostenere il bilancio cittadino. I proventi dal commercio estero dell’oro nero finirono in una quantità di diversi conti correnti, alcuni dei quali anonimi e appoggiati su banche estere. La gestione delle entrate petrolifere cadde presto nel caos: il Parlamento tentò  a più riprese di mettere le mani sui flussi di cassa, e quando ci riuscì scoprì un ammanco di 300 milioni di dollari in materia prima esportata dei quali non si trovò traccia. Anche gli amministratori locali finirono col fare un uso piuttosto “allegro” e personale delle “quote” accordate dal governo: Gantamirov investì le consistenti risorse derivate dalla vendita del “suo” 5% (corrispondente a 200.000 tonnellate di carburante) nell’armamento della “Polizia Municipale), un corpo armato alle sue dipendenze che non aveva nulla  che vedere con i nostri vigili urbani, ma un vero e proprio esercito di qualità tale da far paura alle stesse forze armate regolari.

Nei primi mesi del 1993 sia Mamodaev che Gantemirov furono privati del diritto di gestire le entrate petrolifere. Questo provvedimento, insieme alla crisi politica che stava consumando la Repubblica, produsse il loro allontanamento dal governo ed il passaggio all’opposizione. Il 4 Giugno 1993 Dudaev organizzò un colpo di stato militare con il quale mise a tacere sia l’opposizione “politica” del Parlamento, sia quella “petrolifera” rappresentata da Mamodaev e da Gantamirov. Una volta disperse le strutture democratiche dello Stato il Generale ebbe mano libera nella gestione del commercio petrolifero, e per qualche mese sembrò che l’efficienza del sistema migliorasse: le entrate dello stato aumentarono considerevolmente, ed il cronico ritardo con il quale il governo provvedeva al pagamento di stipendi e pensioni iniziò a ridursi.

Non passò molto tempo, comunque, che la situazione tornò a complicarsi. Dopo il blocco fiscale decretato da Elstin nel Gennaio 1992, alla fine del 1993 arrivò il blocco petrolifero. Fino ad allora infatti le raffinerie e gli impianti di trasformazione di Grozny avevano processato milioni di tonnellate di petrolio siberiano e caspico (per un valore a prezzo di mercato di circa due miliardi e mezzo di dollari), il quale veniva pompato in grandi quantità per essere lavorato e reimmesso nel circuito russo, o esportato all’estero. In particolare gli impianti ceceni erano responsabili del 90% della produzione russa di lubrificanti per aerei, e per tutto il 1992 e buona parte del 1993 tale servizio era stato sistematicamente richiesto e pagato al tesoro ceceno.  La condizione giuridicamente “sospesa” della Repubblica Cecena di Ichkeria e l’assenza di sazi doganali imposti dal governo separatista aveva inoltre reso il paese una sorta di “paradiso fiscale petrolifero”: pompando petrolio in Cecenia ed esportandolo da lì verso l’estero i grandi magnati del petrolio russo eludevano le tasse statali sull’esportazione dei prodotti, arricchendosi a dismisura alle spalle del bilancio federale. In questo modo nel solo 1992, 4 milioni di tonnellate di petrolio, 1,6 milioni di tonnellate di benzina, 126.000 tonnellate di cherosene e 40.000 tonnellate di gasolio erano state illegalmente esportate all’estero senza pagare un solo rublo di tasse.  Con il blocco del pompaggio di petrolio “estero” le raffinerie cecene si fermarono, ed il fiorente mercato della lavorazione (e del commercio illegale di idrocarburi) si azzerò bruscamente. Di colpo la ChRI si ritrovò senza materie prime da estrarre e senza materie prime da lavorare. A questo si aggiunsero le attività dell’opposizione armata al governo Dudaev, la quale iniziò a portare audaci attacchi fin dentro la capitale, ed il dilagare del crimine. Il paese iniziò rapidamente a collassare, e nell’estate del 1994 esplose la guerra civile.

La raffineria Sheripov di Grozny prima della guerra. Duramente bombardata durante il primo conflitto, della sua struttura rimase soltanto la ciminiera bianca e rossa ben visibile al centro della foto.

Con l’economia al collasso, l’unica ricchezza del paese, seppur sempre più misera, rimase il petrolio estratto dai pochi giacimenti ancora in grado di farlo. Nel 1993 la produzione era scesa ulteriormente, da 3,6 a 2,5 milioni di tonnellate, e nel 1994, complice lo stato di guerra civile in atto, non raggiunse il milione di tonnellate estratte. Se questi numeri non potevano in alcun modo permettere allo stato di reggersi in piedi, erano comunque sufficienti a moltissime famiglie cecene a sbarcare il lunario. Tra il 1993 ed il 1994 la stragrande maggioranza del petrolio prodotto ed immesso negli oleodotti venne sistematicamente rubato tramite la perforazione delle condutture ed il furto su autocisterne improvvisate: il petrolio veniva portato oltre confine e venduto al 50 – 60% del suo valore alle compagnie “ufficiali”, le quali lo stoccavano nei loro magazzini come petrolio prodotto da altri stabilimenti, pagando in contanti i trafficanti.  Talvolta i più ingegnosi tra i ladri di petrolio riuscivano ad avviare piccole raffinerie artigianali, trasformando il greggio in benzina di bassa qualità e vendendola direttamente in strada, o trasportandola illegalmente fuori dai confini del paese.

IL PETROLIO E LA GUERRA

Nel Dicembre del 1994 scoppiò la Prima Guerra Cecena. A lungo si è dissertato su quanto il petrolio sia stato centrale tra le cause del conflitto. Alla luce di quanto raccontato nei paragrafi precedenti è abbastanza chiaro come lo scopo di Mosca non fosse quello di riprendere il controllo dei giacimenti ceceni, ormai ridotti all’ombra di quello che erano stati negli anni ‘70. Questo non significa che il petrolio non abbia avuto alcun peso nella decisione di Eltsin di rovesciare Dudaev. Certamente il fatto che il Generale ceceno avesse trasformato la piccola repubblica in una sorta di “duty – free” petrolifero ha avuto un peso importante. Basti pensare che attraverso questo “buco nero fiscale” fluirono tra il 1992 ed il 1994 circa 8 miliardi di dollari in prodotti petroliferi, tutti rigorosamente esentasse. Più importante ancora deve essere stato il fatto che attraverso la Cecenia passava l’unico oleodotto capace di trasportare il petrolio del Mar Caspio verso l’Europa. Il controllo di quell’oleodotto assicurava a Dudaev un’arma di ricatto per una Russia che aveva un disperato bisogno di soldi (la situazione economica della Federazione non era molto diversa da quella della Cecenia, nei primi anni ’90) e che non poteva permettersi il lusso che l’oro nero dell’Azerbaijian trovasse nuove vie di accesso ai mercati occidentali.

Riguardo al fatto che la Russia non fosse troppo interessata al petrolio ed alle raffinerie cecene l’esercito federale chiarì la questione bombardando fin dai primi giorni il distretto petrolifero di Grozny e lasciando bruciare per settimane le carcasse delle raffinerie, già dai primissimi giorni di guerra. Riguardo alla questione degli oleodotti, invece, alcune circostanze (o coincidenze) potrebbero avvalorare parecchio la tesi dell’intervento “interessato” al controllo della “pipeline” Baku – Novorossjisk, il principale oleodotto che trasporta il petrolio azero dal Caspio al Mar Nero e che attraversa, appunto, la Cecenia. Gli eventi in questione sono principalmente tre:

  • Nel Marzo del 1995, tre mesi e mezzo dopo l’inizio della guerra, l’esercito russo arrestò l’avanzata, ufficialmente per predisporre una tregua in vista delle celebrazioni di Maggio (Il cosiddetto “Giorno della Vittoria” che commemora la fine della Seconda Guerra Mondiale). Coincidenza: l’avanzata si interruppe non appena i reparti federali si furono assicurati il controllo del tratto di oleodotto in territorio ceceno (parallelo all’autostrada che taglia in due la Cecenia, la cosiddetta “Rostov – Baku”).
  • Il 14 Giugno del 1995 la Federazione Russa stipulò un accordo per il passaggio del petrolio azero dalla linea appena conquistata. Lo stesso giorno Shamil Basayev attaccò la cittadina di Budennovsk, snodo russo del medesimo oleodotto.
  • A seguito dell’attacco di Basayev e del deteriorarsi della situazione militare in Cecenia, il governo di Mosca dichiarò che avrebbe diversificato le rotte di passaggio del petrolio azero, predisponendo una nuova sezione dell’oleodotto che baipassa la Cecenia e si innesta nel vecchio tracciato all’altezza di Pervomaiskoye, in Daghestan. Coincidenza: il 9 Gennaio 1996 Salman Raduev, al comando di un nutrito reparto separatista mette a segno un’incursione armata a Klizyar, sulla falsariga di quanto fatto da Basayev l’anno precedente, e nel ripiegare in Cecenia si trova assediato a Pervomaiskoye, il quale viene completamente raso al suolo durante i combattimenti.

Queste tre coincidenze non possono di per sé rappresentare una prova, anzi: sia l’operazione di Basayev che quella di Raduev furono entrambe, secondo le ricostruzioni, dei “biani B”. Basayev infatti sembra che non volesse attaccare Budennovsk ma Mineralnye Vody, o addirittura Mosca, mentre Raduev aveva sì organizzato il raid a Klizyar, ma non si era immaginato di finire assediato a Pervomaiskoye. In entrambi i  casi si tratterebbe quindi di situazioni fortuite, e non del prodotto di un’azione politica volta a “convincere” i russi a negoziare un affare petrolifero con i ceceni.

IL PERIODO INTERBELLICO

Qualunque fosse il reale peso che il petrolio ebbe sullo scatenare la Prima Guerra Cecena, essa terminò con il ritiro delle truppe federali ed il riconoscimento dell’indipendenza de facto della ChRI. Ben presto, tuttavia, i separatisti si resero conto di aver conquistato una vittoria di Pirro: il paese era completamente devastato, e il governo di Grozny, già piegato dalle ristrettezze economiche prima della guerra, era più che mai ostaggio della miseria dilagante. A questo stato di cose contribuiva il governo russo, il quale non aveva alcuna intenzione di procedere con solerzia alla ricostruzione del paese, centellinava i trasferimenti al governo separatista e faceva di tutto per mantenere in un costante stato di prostrazione ed instabilità la Cecenia. Di petrolio siberiano pompato nelle raffinerie di Grozny non si parlava nemmeno. Fra l’altro queste erano state in buona parte distrutte, e non c’erano i soldi per ripristinarle. Quello che rimaneva erano una manciata di pozzi superficiali in grado di produrre un po’ meno di due milioni di tonnellate di petrolio all’anno e un oleodotto attraverso il quale il petrolio azero poteva raggiungere il terminal russo di Novorossijsk. Su queste due fonti di reddito si giocò tutta la partita politica in Cecenia tra il 1997 ed il 1999.

Salman Raduev (al centro nella foto) uno dei più riottosi tra i “Generali di Birgata” dell’Ichkeria postbellica. La sua milizia personale, chiamata “L’esercito di Dzhokhar Dudaev” non smobilitò al termine del conflitto, ma tenne in scacco il governo di Maskhadov alimentando l’instabilità della ChRI.

Aslan Maskhadov, salito al vertice dello stato separatista nel Febbraio 1997, tentò di mantenere il controllo dei pozzi petroliferi e di salvaguardare le condutture che trasportavano il greggio alle raffinerie semidistrutte ma ancora parzialmente funzionanti. Inoltre istituì un servizio di sorveglianza lungo il tratto di oleodotto di competenza cecena, impegnandosi con i russi e gli azeri a mantenerlo operativo ed a prevenire furti di petrolio. Purtroppo per lui e per il suo governo nessuna delle due operazioni riuscì. Dei due milioni di tonnellate di oro nero prodotte dai giacimenti ceceni la metà non giunse mai alle raffinerie, depredata lungo il percorso da centinaia di “rubinetti” abusivi aperti con il beneplacito (interessato) delle unità militari preposte alla sorveglianza. L’anno successivo, il 1998, vide il collasso generale di ciò che rimaneva del sistema petrolifero: vennero prodotte appena un milione e mezzo di tonnellate, la metà delle quali non raggiunse le raffinerie perché rubata. Alla fine dell’anno il comitato statistico statale stimò il furto di settecentomila tonnellate: nel solo Ottobre 1998, a fronte di 6276 tonnellate di pertrolio prodotto dall’unità di produzione di Oktyabrneft, l’80% non riuscì a raggiungere la vicina raffineria, distante dal pozzo meno di due chilometri: lungo la conduttura furono individuati più di 300 “rubinetti” attraverso i quali i saccheggiatori avevano pompato via la cifra incredibile di 5.000 tonnellate di greggio.

IL COLLASSO DEL SISTEMA

Com’era possibile che un saccheggio così indiscriminato non venisse fermato dalle autorità? Dopotutto la Cecenia è un paese grande quanto il Lazio, ed i giacimenti petroliferi sono concentrati in aree piuttosto circoscritte. La risposta è semplice quanto impietosa: perché il governo non aveva la forza sufficiente ad impedire che i pozzi petroliferi venissero assaltati dalle numerose bande armate operative in Cecenia. Alla fine del primo conflitto il 90% della popolazione era disoccupata, e Maskhadov non aveva le risorse per darle un lavoro. La stragrande maggioranza degli uomini in grado di combattere avevano servito sotto il suo esercito, comandati da capibanda senza scrupoli assurti, alla fine della guerra, all’illustre ruolo di “Generali di Brigata”. Pochi tra loro erano intenzionati a smobilitare le loro milizie, ben consapevoli che nella Cecenia postbellica il potere reale sarebbe rimasto ai “signori della guerra” che fossero riusciti a costituirsi un feudo personale e delle fonti di reddito costanti. Così leaders militari come Shamil Basayev, Salman Raduev, Arbi Baraev e perfino il Vicepresidente della Repubblica, Vakha Arsanov mantennero in armi i loro distaccamenti, e li finanziarono con il prelievo illegale di petrolio dai pozzi petroliferi che avevano occupato. Questi pozzi, alla fine del 1998, erano in grado di portare ai comandanti di campo un fatturato illegale di quasi 3 milioni di dollari al mese, con i quali mantenevano in armi migliaia di uomini, un esercito contro il quale la piccola e quasi disarmata Guardia Nazionale, l’esercito regolare ceceno, poteva poco e niente. Nel 1999 la produzione era talmente scemata (a causa della cattiva manutenzione degli impianti e dell’impossibilità di aggiornarli) che nei primi cinque mesi dell’anno si registrò una produzione di appena 96.000 tonnellate anziché le 530.000 previste. Si giunse all’assurdo che la Cecenia si trovò a dover importare petrolio dalla Russia anziché esportarlo. Anche la fornitura di energia elettrica e di acqua calda dovettero essere importate dalle centrali russe, aumentando il disavanzo finanziario dello stato e generando una montagna di debiti impossibili da pagare.

Video documentario sulla Cecenia nel 1996. Nel filmato si mostrano la produzione e la vendita della benzina illegale .

Anche la sorveglianza dell’oleodotto Baku – Novorossijsk fu talmente fallace che interi stock da centinaia di migliaia di tonnellate di petrolio azero sparirono senza lasciare traccia. Al pari dei pozzi petroliferi anche i settori dell’oleodotto furono “feudalizzati” dai signori della guerra, i quali ben volentieri accettarono che nei tracciati di loro competenza avvenissero “furti anonimi” di petrolio, o si dedicarono direttamente al suo prelievo e contrabbando oltreconfine. Ciò che non era venduto al mercato nero veniva raffinato “in casa” tramite processi artigianali di distillazione simili a quello utilizzato per produrre alcool: il risultato di questo processo era una benzina di scarsissima qualità, sufficiente comunque per mandare una utilitaria sgangherata e garantire ai ceceni disoccupati un po’ di denaro con il quale mettere insieme il pranzo con la cena. La raffinazione artigianale del petrolio ed il commercio di benzina illegale sottraeva all’erario qualcosa come duecentoquarantamila dollari al giorno.

Per conseguenza delle mancate consegne di petrolio da parte della Cecenia Mosca iniziò a non corrispondere al governo di Grozny i quasi 5 dollari a tonnellata concordati nell’Agosto del 1997, aggravando ulteriormente la già catastrofica situazione delle casse statali. L’involuzione della ChRI in un’anarchia totale era solo questione di tempo, e nell’estate del 1999 divenne realtà. Bande armate acquartierate ed addestrate in Cecenia invasero il Daghestan, scatenando la violenta reazione della Federazione Russa ed una nuova invasione del paese.