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SALMAN RADUEV: STORIA DEL “TERRORISTA NUMERO 2”

La storia di Salman Baturovich Raduev, per gli amici “Titanic” è quella di un vero e proprio “rivoluzionario intransigente”. Personaggio di spicco nel regime di Dudaev, comandante di campo tra i più “illustri” (tanto da guadagnarsi il titolo di “Terrorista Numero 2” dopo Shamil Basayev) eppure incapace di capitalizzare la sua fama e il suo potere, rimanendo ai margini del sistema politico della Repubblica Cecena di Ickeria, per poi finire i suoi giorni in una prigione di massima sicurezza subito dopo l’inizio della Seconda Guerra Cecena.

Salman Raduev (al centro) ad un raduno dei suoi miliziani alla fine della Prima Guerra Cecena

IL GIOVANE SALMAN

Salman Raduev nacque il 12 Febbraio 1967 a Gudermes da una famiglia di modesta posizione sociale. Dopo essersi diplomato alla scuola locale ed aver lavorato in una ditta di costruzioni, fu richiamato alle armi nell’esercito sovietico ed inviato in Bielorussia, dove prestò servizio in un reparto di artiglieria missilistica. Fu nell’esercito che Raduev si fece riconoscere per la prima volta: dopo aver aderito al Partito Comunista, nel 1987, divenne vice segretario del Komsomol (l’organizzazione giovanile del Partito) presso la sua unità. Una volta rientrato dal servizio militare, Salman entrò un una scuola di saldatura professionale, ma non abbandonò l’impegno politico, continuando a prestare la sua opera nell’organizzazione delle attività del movimento giovanile, in particolare nelle cosiddette “brigate di costruzione studentesca” (collettivi di lavoro che partecipavano alla realizzazione dei grandi progetti edilizi pubblici). In quella sede giunse ad occupare il ruolo di segretario (cioè di capo della sezione locale). Il suo impegno gli valse, nel Novembre del 1988, la nomina a istruttore di dipartimento nel Comitato Repubblicano del Komsomol, diventando a tutti gli effetti uno dei principali esponenti dell’ala giovanile del PCUS. Con l’avvento della Perestrojka, al pari di molti altri cittadini sovietici, Raduev tentò la strada dell’imprenditoria privata. Nel 1990 aveva ventitrè anni, e per quanto dichiarasse di essere ad un passo dall’ottenimento di una laurea in economia, nella realtà aveva poche competenze che potessero fruttargli denaro. La sua posizione di piccolo funzionario politico gli permise tuttavia di avere accesso ai nulla osta necessari per avviare una piccola attività di produzione e commercio di componenti per l’industria leggera, il “Centro delle Associazioni per il Lavoro Volontario”.

PREFETTO DI GUDERMES

L’avvento del Generale Dudaev fu per Raduev un evento epocale. Conquistato dal carisma del leader rivoluzionario, il giovane funzionario del Komsomol si mise a disposizione del Congresso Nazionale del Popolo Ceceno, l’organizzazione favorevole alla rimozione di Doku Zavgaev dalla guida della Repubblica Ceceno – Inguscia e all’istituzione di uno Stato sovrano e democratico. Essendo uno dei più attivi militanti del Congresso presso Gudermes, Raduev riuscì a farsi notare da Dudaev il quale, dopo gli eventi della Rivoluzione Cecena, decise di appuntarlo “Prefetto” della città nel Giugno del 1992. La Costituzione varata appena tre mesi prima non istituiva una simile carica, ma demandava alla popolazione locale il diritto di eleggere propri rappresentanti. La nomina di Raduev da parte di Dudaev fu quindi vista da molti cittadini come un’aperta violazione della legge. Ed in effetti lo era, anche se inserita in un più ampio quadro di conflittualità tra il Presidente della Repubblica ed il Parlamento (del quale abbiamo ampiamente parlato nel libro “Libertà o Morte!” Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria, acquistabile QUI).

Raduev si trovò, in sostanza, ad assumere un incarico politico non previsto dalla Costituzione e sovrapposto all’amministrazione locale. L’unico modo per poter prevalere fu quello di reclutare un nutrito reparto armato ed inquadrarlo nell’organico dell’esercito regolare, in modo da poter “istituzionalizzare” la sua posizione. Nacquero quindi i “Berretti Presidenziali”, una formazione paramilitare all’ombra della quale operavano veri e propri elementi criminali dediti all’estorsione, al racket e al saccheggio dei treni. La loro presenza divenne talmente fastidiosa che nell’Estate del 1994 la popolazione chiese a gran voce la sua destituzione a Dudaev, il quale dovette accordarla, richiamando Raduev a Grozny. A quel momento i rapporti tra i due erano ancora più consolidati, avendo Raduev sposato nel 1993 una delle nipoti del Presidente, Elizaveta (detta Lydia). A livello Mediatico l’ormai ex – Prefetto di Gudermes aveva iniziato a farsi notare quando, nel Settembre del 1992, l’esercito russo aveva pericolosamente avanzato alcuni reparti al confine tra la Cecenia e il Daghestan. In quell’occasione una folla di daghestani arrabbiati, supportati dai loro dirimpettai ceceni aveva impedito che il reparto federale penetrasse in Cecenia, provocando una crisi politica. Raduev si era posto alla guida della delegazione che aveva parlamentato coi militari russi, guadagnandosi le prime pagine dei giornali.

COMANDANTE DI CAMPO

Salman Raduev rilascia un’intervista

La vera svolta nella sua vita Raduev la ebbe con lo scoppio della Prima Guerra Cecena. Nominato da Dudaev Comandante in Capo del Fronte Nord – Orientale (con il centro strategico nella città di Gudermes) il giovane separatista si impegno dapprima nella difesa del capoluogo, poi nel danneggiamento della linea ferroviaria, infine si ritirò verso Vedeno con un piccolo gruppo di fedelissimi, mettendosi agli ordini di Shamil Basayev. La sua prima azione in grande stile fu il “Raid su Gudermes” (14 – 23 Dicembre 1995). Lo scopo dell’operazione era occupare simbolicamente la seconda città del paese proprio mentre il governo filorusso di occupazione, alla testa del quale era da poco tornato Doku Zavgaev, svolgeva le prime elezioni popolari volte a delegittimare il governo separatista di Dudaev. Dopo essersi radunati a sud – est ed aver inviato un’avanguardia nel centro abitato, il 13 dicembre le unità di Raduev entrarono in azione: una quarantina di miliziani occuparono l’ospedale, barricandovisi dentro, mentre altre unità assediavano la stazione bloccando circa centocinquanta tra poliziotti OMON e militari, ed altri circondavano il Quartier Generale cittadino. Alle prime luci dell’alba i miliziani iniziarono a sparare contro il comando russo, che immediatamente chiamò i rinforzi da fuori città. Raduev aveva previsto la mossa, e le unità giunte in soccorso finirono in un’imboscata. Morirono 18 soldati federali, ed altri 28 rimasero feriti. La colonna di soccorso dovette fare dietrofront lasciando sul campo tre mezzi corazzati ed un veicolo da trasporto. La guarnigione cittadina, bloccata nel Quartier Generale ed alla stazione ferroviaria, rimase senza soccorsi. Nel frattempo i miliziani facevano strage dei funzionari del governo collaborazionista, mentre i poliziotti appena arruolati dal governo filorusso passavano in massa dalla parte dei separatisti. L’alto comando inviò allora rinforzi supplementari supportati da artiglieria ed elicotteri, che iniziarono un fitto bombardamento della città, tentando di scacciare i ribelli e costringerli a ritirarsi fuori dal centro abitato.

Combattimenti durante il raid separatista su Gudermes del Dicembre 1995

Si trattò di un violento bombardamento, portato contro un’intera città senza un preciso obiettivo. Centinaia di proiettili caddero indistintamente sui quartieri residenziali, mietendo decine di vittime civili. Il 18, tuttavia, i comandi federali si resero conto che anziché ritirarsi, i guerriglieri continuavano ad affluire in città. Questo costrinse i russi ad intensificare il bombardamento, attaccando con largo dispendio di artiglieria ed aereonautica. Il 23 dicembre, finalmente, Raduev e la sua milizia abbandonarono Gudermes, lasciando a terra circa centocinquanta tra morti e feriti. I russi lasciarono sul campo 70 morti, 150 feriti, quaranta veicoli ed un elicottero. I bombardamenti e gli scontri a fuoco provocarono la morte di centinaia di civili, e la distruzione di gran parte del centro abitato. La battaglia di Gudermes dimostrò alla Russia ed al mondo che l’esercito separatista non soltanto non era finito, ma anzi si era rafforzato al punto da poter organizzare azioni di vasta portata, e di poter costringere i russi a combattere battaglie decisive nel cuore del paese.

KIZLYAR

Se il Raid su Gudermes fu il primo “palcoscenico” militare di Raduev, l’azione che lo fece ascendere all’Olimpo dei comandanti di campo separatisti fu il successivo Raid su Kizlyar. La cittadina daghestana ospitava una base militare federale dalla quale, un anno prima, si era mosso uno dei contingenti di invasione dell’esercito russo. L’obiettivo di Raduev era quello di seguire l’esempio tracciato da Shamil Basayev nel Giugno del 1995, quando al comando di duecento miliziani era riuscito ad occupare la cittadina, occupare l’ospedale locale e tenere in ostaggio più di mille civili, costringendo il governo russo a negoziare una tregua. Il 9 Gennaio 1996 i reparto d’assalto reclutato dal giovane ex prefetto di Gudermes si mise in moto. Oltre a lui erano al comando Khunkharpasha Israpilov, militare dell’ex esercito sovietico veterano dell’Abkhazia e del Nagorno – Karabakh, nominato da poco comandante in capo del settore sudorientale e Turpal Ali Atgeriev, anch’egli veterano dell’Abkhazia e uomo di fiducia di Basayev. Giunto di prima mattina al limitare della città il commando composto da circa duecentocinquanta miliziani attaccò l’aeroporto, la stazione ferroviaria e le caserme della Milizia del Ministero dell’Interno. Lo scopo ufficiale del raid era la distruzione di uno stormo di elicotteri militari che stazionavano all’aeroporto, due dei quali vennero effettivamente danneggiati insieme ad un velivolo da trasporto. Il gruppo più consistente, tuttavia si diresse all’ospedale cittadino, dove prese in ostaggio 314 pazienti, 51 membri dello staff medico e centinaia di abitanti rastrellati in giro per la città. A metà mattinata nell’ospedale erano tenute in ostaggio circa duemila persone. 34 civili e due militari russi erano morti.

Salman Raduev parla al telefono durante la crisi degli ostaggi a Kizlyar

Nel pomeriggio giunsero sul luogo dell’attacco il Presidente del Parlamento del Daghestan, Magomedov, ed il Primo Ministro, Mirzobekov. Raduev non fece richieste di natura politica, ma chiese 11 bus e 2 camion Kamaz dove sistemare i suoi uomini ed un corposo quantitativo di ostaggi da portare con sé per poi rilasciarli al confine daghestano.  Mirzobekov acconsentì a soddisfare le sue richieste, e Raduev rilasciò la maggior parte degli ostaggi. Il mattino seguente i ceceni salirono sul convoglio portando con loro 128 civili e sette ministri del governo daghestano, che si offrirono volontari per accompagnare i sequestratori. Raduev promise di rilasciarli tutti una volta raggiunto il villaggio di Pervomayskoje, a poche centinaia di metri dal confine. Raggiunta la destinazione, tuttavia, Raduev cambiò le sue disposizioni ed ordinò che gli ostaggi rimanessero sugli autobus. Durante il viaggio, infatti, il comportamento delle unità federali aveva reso chiaro che i russi stessero programmando di distruggere il distaccamento separatista non appena passato il confine. Era chiaro, in questo senso, il perché le trattative erano state portate avanti dalle autorità daghestane: una volta superato il confine, le assicurazioni ufficiali di Mirzobekov non avrebbero avuto più valore, essendo la Cecenia sotto l’autorità diretta del governo russo, il quale non solo non aveva partecipato ai negoziati, ma era intenzionato ad infliggere una punizione esemplare i sequestratori. Subito dopo Pervomaiskoje iniziava un rettilineo di sei chilometri, chiuso a nord dal corso del Terek.

LA BATTAGLIA DI PERVOMAISKOYE

Il campo di battaglia al limitare del centro abitato di Pervomaiskoje

Secondo i piani russi due cacciabombardieri avrebbero colpito la colonna, e quando questa si fosse arrestata due compagnie della 7a Divisione Paracadutisti, appoggiate da elicotteri da combattimento avrebbero assaltato i bus, eliminando o catturando i terroristi. I reparti federali tuttavia non vennero informati tempestivamente che Raduev non aveva rilasciato gli ostaggi. Così non appena il convoglio ceceno attraversò il confine i comandi federali, che non potevano più interrompere l’operazione, ordinarono ai paracadutisti di attaccare il convoglio senza attendere l’intervento dei cacciabombardieri. I paracadutisti però non avevano ancora avuto il tempo di occupare le posizioni stabilite, cosicché quando gli elicotteri in loro copertura cominciarono a mitragliare il convoglio non c’era ancora alcun reparto in grado di effettuare l’attacco. Raduev ordinò immediatamente un dietrofront e si barricò con i suoi uomini a Pervomaiskoje. La piccola guarnigione federale di stanza nel villaggio non oppose alcuna resistenza quando i terroristi penetrarono in città, ma anzi si arrese e consegnò le armi, venendo a sua volta presa in ostaggio. Mentre gli abitanti del villaggio fuggivano in tutte le direzioni, unità OMON e forze speciali russe bloccavano la cittadina, chiudendo in una sacca anche tutti i civili che non erano riusciti a mettersi in salvo. Se l’azione dei federali fosse stata immediata, probabilmente i ribelli ceceni non avrebbero avuto modo di organizzarsi. Ma il comando federale impiegò altre ventiquattr’ore per dispiegare unità sufficienti ad effettuare un assalto militare, dando a Raduev ed ai suoi il tempo di fortificarlo. La mattina del 10 gennaio i rappresentanti del governo daghestano giunsero nuovamente al cospetto di Raduev, chiedendogli di rilasciare gli ostaggi come promesso. Il comandante ceceno replicò che dati i cambiamenti occorsi nel frattempo avrebbe acconsentito a rilasciare soltanto donne e bambini, mentre avrebbe portato con sé gli uomini fino a quando il suo commando non fosse stato in salvo in Cecenia. Inoltre pretese che autorità russe autorizzate da Chernomyrdin partecipassero ai negoziati. Per tutta risposta le autorità federali inviarono un ultimatum ai ceceni, ordinando il rilascio degli ostaggi entro il 14 gennaio e la fuoriuscita sotto bandiera bianca dei terroristi. Raduev rispose che avrebbe iniziato a giustiziare gli ostaggi se i federali si fossero avvicinati a meno di cento metri dalle sue posizioni. Nel frattempo 2500 militari federali prendevano posizione intorno alla città, armati con 22 carri armati, 54 mezzi blindati e una venticinquina di pezzi d’artiglieria. Il grosso delle formazioni russe venne tuttavia dispiegato ad est di Pervomaiskoje, come ad evitare che i ceceni fuggissero verso il Daghestan, mentre era abbastanza evidente la loro volontà di aprirsi la strada ad ovest verso la Cecenia. In quel settore c’erano i paracadutisti che avevano provato ad entrare in azione il 9 gennaio e qualche altro piccolo reparto scarsamente armato.

L’abitato di Pervomaiskoje dopo la battaglia

Il 15 gennaio, scaduto l’ultimatum, i federali passarono all’attacco. Elicotteri da guerra ed artiglieria spazzarono il villaggio. Dopo circa un’ora la fanteria iniziò ad avanzare. Per una serie di clamorosi errori organizzativi, tuttavia, l’artiglieria riprese a bombardare mentre i fanti avanzavano verso le difese cecene, costringendoli a rientrare frettolosamente nelle posizioni di partenza. Nei giorni seguenti i federali tentarono di conquistare Pervomaiskoje ben ventidue volte, non riuscendo a penetrare le buone difese messe a punto da Raduev. Soltanto il 17 gennaio, dopo che i russi, ritenendo che nessun ostaggio fosse rimasto in vita, avevano iniziato a radere al suolo il villaggio con i lanciamissili Grad, i Ceceni organizzarono una sortita per uscire dalla sacca. Il Generale Maskhadov, comandante delle forze armate separatiste, si mise in azione dall’esterno per supportare l’azione di Raduev: radunato un contingente fuori dalla sacca, provvide a lanciare attacchi alla periferia dell’anello di accerchiamento, distruggendo un reparto della Milizia del Ministero degli Interni a Sovetskoye, mentre Raduev concentrava tutte le sue forze nell’aprirsi un varco oltre le linee nemiche. Solo un piccolo reparto di “martiri” rimase di stanza nel villaggio, con l’obiettivo di ritardarne il più possibile la conquista da parte russa. Il 18 gennaio l’accerchiamento venne rotto, e Raduev poté uscire dalla sacca lasciando sul campo un centinaio di morti. I federali da parte loro ebbero 37 perdite e 148 feriti, oltre a 4 mezzi corazzati e 7 elicotteri. Il villaggio subì distruzioni tali che dopo la guerra fu ricostruito in un’altra ubicazione. Il destino degli ostaggi rimase per sempre poco chiaro: una trentina morirono nei combattimenti, un’ottantina riuscì a salvarsi. Altri ancora, credendo di avere qualche chance in più seguendo Raduev anziché attendere la fine dei bombardamenti fuggirono insieme ai loro sequestratori. Si trattò di un vero e proprio disastro per le autorità russe, reso ancor più colossale dalle assicurazioni che Eltsin aveva fatto alla stampa, nelle quali aveva promesso di consegnare i criminali alla giustizia e di recuperare gli ostaggi. 

Miliziani di Raduev su uno dei bus in viaggio verso la Cecenia, di ritorno da Kizlyar

L’ATTENTATO DI MARZO

Il Raid su Klizyar e la sortita da Pervomaiskoje dettero a Raduev notorietà mondiale: il governo russo incorse in un secondo, drammatico fiasco nel tentativo di impedire che la guerra in Cecenia tracimasse oltre i confini della piccola repubblica, e tra i cittadini della federazione il malcontento già diffuso prima dello scoppio delle ostilità si trasformò in una vera e propria ondata di dissenso. Dudaev appuntò sul petto di Raduev i due più importanti premi statali della Repubblica, l’Ordine dell’Onore della Nazione e l’Ordine dell’Eroe della Nazione, e lo nominò Generale di Brigata. Da quel momento l’astro nascente della guerriglia venne inserito, assieme a Dudaev e Basayev, tra i “top” target dei servizi di intelligence russi, con l’obiettivo di eliminarlo ad ogni costo. Sui giornali di tutto il mondo egli divenne il “Terrorista numero 2”. Con la notorietà arrivarono anche le prime invidie ed i primi dissidi tra gli uomini del suo stesso campo: i suoi metodi autoritari ed il pugno di ferro con il quale comandava la sue milizie inimicarono a Raduev più di un comandante di campo, e quando l’FSB iniziò a cercare sicari per farlo fuori furono parecchie le mani che si alzarono per svolgere lo sporco lavoro. Un primo tentativo di eliminare il Generale di Brigata fu svolto poco dopo il Raid su Klizyar, quando un potente ordigno esplosivo fece saltare in aria la sua abitazione di famiglia, a Gudermes. Il fato volle che Raduev non fosse in casa, cosicché l’attentato non ebbe buon esito, anche se nell’esplosione rimasero uccisi alcuni dei suoi familiari. Il 3 Marzo 1996 una nuova banda di sicari (secondo i media collegata ai familiari delle vittime di Pervomaiskoje) tentò di ucciderlo e, in un primo momento, sembrò riuscirci: mentre viaggiava da Starye Atagi ad Urus – Martan, il “Terrorista numero 2” fu colpito da un proiettile di cecchino in pieno volto. Il colpo fu talmente violento che buona parte della sua faccia esplose letteralmente, ma il proiettile non trapassò il cranio, lasciandolo gravemente ferito ma pur sempre vivo.

I suoi miliziani lo trasportarono d’urgenza ad Alkhan Khala, dove operava il Dottor Khasan Baiev, chirurgo presso l’ospedale locale. Baiev rattoppò il cranio di Raduev come potè, salvandogli la vita (il racconto dell’evento è trascritto nel suo libro di memorie “A surgeon under fire” acquistabile QUI) dopodichè il Generale di Brigata venne fatto espatriare dapprima in Azerbaijan, poi in Turchia, infine di Germania, dove avrebbe affrontato una lunga serie di interventi maxillo – facciali ed estetici per ricostruire il suo volto sfigurato. Nel frattempo sui media russi circolava la voce che fosse morto. La notizia fu presa talmente sul serio che il 7 Marzo 63 deputati del Parlamento Estone firmarono un documento indirizzato a Dudaev nel quale esprimevano “profonda simpatia per il popolo ceceno” e cordoglio per “il mostruoso assassinio di un eccezionale combattente per la libertà”.  Raduev rimase in silenzio per tre mesi, e lo stesso fecero i separatisti. Anche perché nel frattempo un altro illustre “top target”, il Presidente Dudaev, era stato ucciso dall’intelligence federale (il racconto dell’episodio è reperibile nel libro “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” Acquistabile QUI).  Fu soltanto nel Giugno del 1996 che Raduev tornò a farsi vivo (nel senso letterale del termine) tenendo una conferenza stampa nel pieno centro di Grozny. La città era teoricamente occupata dall’esercito federale, ma il morale delle forze di Mosca era a terra e in periferia scorrazzavano bande di separatisti intente a preparare un nuovo assalto alla città. Raduev si presentò in divisa da ufficiale, il volto nascosto da un cappello a tesa, un paio di occhiali da sole molto larghi ed una folta barba, e dichiarò che l’attentato alla sua vita era stato organizzato dai servizi speciali russi, e di essersi sottoposto ad una lunga serie di interventi di ricostruzione facciale durante la quale una parte del suo cranio era stata sostituita da una placca di titanio. La nuova protesi metallica gli valse da quel giorno l’appellativo informale di “Titanic”.

Il volto sfigurato di Raduev nascosto dietro una folta barba rossa ed un paio di occhiali scuri

IL DOPOGUERRA

Rimessosi al comando delle sue milizie, ora inquadrate nell’altisonante “Esercito di Dzhokhar Dudaev”, partecipò alla vittoriosa Battaglia per Grozny dell’Agosto 1996, a seguito della quale il governo russo dovette accettare di ritirarsi e di riconoscere l’indipendenza de facto della Repubblica Cecena di Ichkeria. I separatisti, ora guidati dal Presidente facente funzioni Zelimkhan Yandarbiev rimasero padroni del campo, ma in un paese completamente distrutto dominato dai comandanti di campo e dalle loro milizie. Anche Raduev mantenne in armi i suoi uomini, dichiarando che la guerra non fosse ancora finita, e che nessuna pace sarebbe stata possibile prima della completa accettazione da parte della Russia dell’indipendenza cecena. Nel frattempo il testimone della leadership stava passando nelle mani del Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Aslan Maskhadov, di orientamento moderato e favorevole alla continuazione dei negoziati di compromesso con la Federazione Russa.

Raduev, da radicale quale era e quale era sempre stato condannò le iniziative di Maskhadov, bollandole come “tradimento” e tentò di raccogliere il dissenso dei veterani di guerra, che adesso si trovavano senza lavoro e senza risorse, e vedevano negli ammiccamenti di Maskhadov la vanificazione dei loro sforzi e delle loro sofferenze. Raduev amplificava la loro frustrazione, giungendo a dichiarare che Dudaev fosse ancora vivo, e che attendesse il ritorno al potere dei “veri figli di Ichkeria”. Durante i raduni pubblici dei veterani di guerra esortò i combattenti a riprendere le ostilità contro la Russia, e dichiarò che lui stesso stava organizzando una serie di attentati coordinati per l’anniversario della morte del Presidente Dudaev. Giunse perfino a minacciare di scatenare una “guerra chimica” contro la Russia, e si assunse la paternità di tutti gli attentati, i disordini e perfino gli incidenti che occorsero in Russia tra il 1997 ed il 1998. In realtà soltanto due di questi (entrambi attentati dinamitardi occorsi nelle cittadine di Armavil e Pytiagorsk) furono direttamente collegati a lui, e l’esosità delle sue dichiarazioni lo portarono ben presto a perdere di ogni credibilità sia nei confronti dei suoi “colleghi” comandanti di campo, sia nei confronti della società civile. Al suo seguito rimasero comunque molti veterani di guerra, e la sia figura continuò a riscuotere la simpatia degli strati più bassi della popolazione e delle vedove di guerra, le quali vedevano nella politica di appeasement di Maskhadov un insulto alla morte dei loro cari. Posta la sua base operativa nella città natale di Gudermes, tornò a spadroneggiare avvalendosi di elementi criminali operanti sotto l’ombrello del reducismo di guerra: l’Esercito di Dzhokhar Dudaev, al pari di molte milizie armate, si riciclò ben presto in una rete di bande dedite al saccheggio dei prodotti petroliferi, alla ricettazione ed addirittura al sequestro di persona, pratica che divenne endemica nella Cecenia postbellica. Il radicalismo politico ed il fiancheggiamento alle attività criminali gli crearono non pochi nemici, tanto che nel solo 1997 Raduev scampò a ben 3 attentati alla sua vita, riportando sovente gravi ferite.

Salman Raduev in divisa da ufficiale, con indosso L’Onore della Nazione (sul suo petto alla sua destra)

RADUEV, L’IRRIDUCIBILE

Nell’estate del 1997 il nuovo Presidente Maskhadov tentò di disarmare le numerose milizie ancora in armi in Cecenia, in parte trasformandole in unità dell’esercito regolare, in parte ordinandone lo scioglimento ed il disarmo. Riguardo la milizia di Raduev, Maskhadov giudicò troppo pericolosa la sua esistenza, e ne ordinò lo scioglimento. Il Generale di Brigata rispose trasformandola in una associazione politica chiamata “La Via di Johar”. Il nuovo partito si collocava nel network di organizzazioni, riviste e partiti “Confederazione Caucasica”, i cui esponenti erano favorevoli alla “esportazione della rivoluzione cecena” in tutto il Caucaso Settentrionale, al fine di estendere l’insurrezione antirussa a tutta la regione e favorire la nascita di un unico Stato confederato dal Mar Nero al Mar Caspio.

La retorica incendiaria di Raduev, il rifiuto di riconoscere la pace siglata da Maskhadov con Eltsin il 12 Maggio 1997 (circostanza che gli valse un deferimento alla Corte della Sharia) e l’istigazione al compiere nuove azioni terroristiche contro i cittadini della Federazione Russa portarono il Generale di Brigata in rotta di collisione con il governo, che infine si risolse ad oscurare l’emittente del suo partito, sequestrando le attrezzature televisive e chiudendole nell’edificio della TV di Stato a Grozny. La cosa non andò giù a Raduev, il quale decise di occupare l’edificio e recuperare l’attrezzatura. Il 21 giugno 1998 le milizie di Raduev, agli ordini del Colonnello Vakha Jafarov, dudaevita di vecchia data, tentarono di assaltare la TV di Stato. nell’edificio si trovava il capo del Servizio di Sicurezza Nazionale governativo, Khultygov, il quale stava portando avanti una campagna molto aggressiva verso le milizie illegali, i wahabiti ed il crimine organizzato, cui appartenevano molti sodali di Raduev. Nello scontro Khultygov rimase ucciso insieme a Jafarov e ad altri due militanti radueviti.

Salman Raduev tiene un comizio di fronte ai veterani di guerra

Il giorno seguente Maskhadov proclamò lo Stato di Emergenza nella Repubblica, imponendo il coprifuoco a Grozny. Raduev si dissociò pubblicamente dall’azione di Jafarov, ma Maskhadov non intese ragioni, si assunse direttamente le deleghe per il Servizio di Sicurezza Nazionale e per tutti gli altri dipartimenti della sicurezza dello Stato, nonché per il Comitato Statale per le trasmissioni televisive e radiofoniche, prendendo così il controllo diretto di tutte le strutture armate dello Stato e stabilendo la sua autorità sulla gestione delle comunicazioni tv e radio pubbliche. Nel suo libro di memorie, Ilyas Akhmadov racconta l’evento partendo dalle premesse dell’assalto fino alla sua partecipazione personale, insieme a Basayev, alla fine di quell’evento. È interessante per capire lo stato di totale caos nel quale viveva la Cecenia in quei giorni, e della troppo bassa qualità umana delle persone che intendevano rappresentarla:

“Raduev aveva la sua stazione televisiva, Marsho, e la usava per diffondere il suo messaggio. Era un oratore di talento e i suoi discorsi erano appassionati e lunghi. Per lo più si lamentava, e non riuscivo mai a capire esattamente cosa volesse. Oltre a lanciare invettive contro il governo, non ha offerto alcun programma politico positivo. Aveva alcuni temi dominanti: il primo era come tutto fosse terribile (almeno questo era vero, e tutti lo sapevano). Il secondo era che con Maskhadov avevamo fatto troppi compromessi, che non dovevamo assolutamente avere relazioni con la Russia e che non avremmo dovuto riconoscere nessuno degli accordi che avevamo stipulato col governo di Eltsin. L’unica proposta positiva, se così si può chiamare, era un progetto amorfo sull’unità del Caucaso, una Confederazione delle nazioni del Caucaso. […] Raduev aveva gente fuori per strada nel centro della città […] che manifestò contro il governo per quasi un anno. […] Le persone che si radunavano erano i segmenti più poveri e disperati della popolazione, comprese le vedove di guerra ed altri che erano profondamente delusi dalle loro vite. C’erano personaggi strani tra loro, come l’esotica figura religiosa Dati, che a me sembrava uno sciamano, avvolto in talismani e amuleti e pronunciando incantesimi. […] Sotto la sua guida i manifestanti iniziarono a costruire una torre d’argilla, un bizzarro memoriale agli eroi della guerra santa. Era chiamato “Arco di Gazotan”, la torre in onore della Gazawat. […] Il governo aveva ripetuto molte volte che la manifestazione non era autorizzata, ma non aveva preso nessuna misura per scioglierla. Nel giugno del 1998 Maskhadov si stufò dei raduni e chiese ad uno dei suoi comandanti, Lecha Khultygov, Presidente del Servizio di Sicurezza Nazionale, di risolvere il problema. […] Khultygov ha preso i suoi uomini, ha distrutto la torre ed ha cacciato i manifestanti fuori dalla piazza. […] Quindi Khultygov andò alla stazione televisiva di Raduev, Marsho, espropriando tutte le attrezzature e spegnendo la stazione. […] Il 21 Giugno 1998, un giorno o due dopo […] gli uomini di Raduev hanno sequestrato la stazione televisiva del governo  […]. Qualcun deve aver chiamato Khultygov, che non ha perso tempo a raggiungere la stazione televisiva con i suoi uomini. Hanno fatto irruzione, e secondo i testimoni, Khultygov ha urlato: “Siete tutti in arresto, faccia a terra!”[…] Jafarov [Il Capo di Stato Maggiore di Raduev, ndr] sparò ed uccise Khultygov. Poi una delle guardie di Khultigov sparò ed uccise Jafarov. E infine, una delle guardie di Jafarov sparò alla guardia di Khultygov. […] Era surreale, andare da una stanza all’altra, e ovunque c’erano combattenti con le armi in pugno. In un corridoio ho visto persone in lutto che iniziavano a cantare e ad esibirsi nello Zykr, la danza circolare cecena. […] Nello studio c’erano Raduev, alcuni dei suoi e Vakha Arsanov. […]Raduev era sconvolto, urlava che il suo capo di stato maggiore era stato ucciso e cercava di raccontare la storia dall’inizio. Arsanov stava cercando di calmarlo, dicendo che questo problema doveva essere risolto in tribunale. […] Ma Shamil [Basayev, ndr] non permise a Raduev di cogliere l’occasione per incendiare ulteriormente la situazione. Interruppe Raduev duramente, dicendo: “Tutto questo deve essere deciso in tribunale. Se ci provi qui ed ora, provocherai un macello e tutte le nostre vite saranno sulla tua coscienza. Hai sequestrato la stazione televisiva, che è un crimine e questo andrà alla Corte della Sharia. Quello che stai facendo in questo momento costituisce un tentativo di colpo di stato. Devi condurre i tuoi uomini via da qui immediatamente. […].” Raduev […] ha detto: “Sono disposto ad andare al tribunale della Sharia, ma dichiaro che la faida per Jafarov è su di me! […] Raduev radunò i suoi uomini intorno a lui. “Stiamo partendo, ma questo non significa che i problemi rimarranno irrisolti. La vendetta del sangue per il mio capo di stato maggiore, Vakha Jafarov, è inziata. Siamo venuti alla stazione solo per riavere la nostra apparecchiatura ed andremo alla Corte della Sharia per risolvere questo problema.”

Il racconto è lungo, e di per sé non aggiunge niente. Ma ritaglia uno scorcio chiaro di quale fosse la drammatica situazione di un popolo ostaggio di personaggi come Raduev, il quale in un mondo normale sarebbe stato relegato ai margini della società, e che invece nella Cecenia del 1997 si poteva permettere il lusso di guidare una milizia armata fin nel cuore della capitale del suo Stato, occupare la stazione televisiva pubblica, eliminare il comandante in capo di un’agenzia di sicurezza nazionale e ritirarsi impunito, circondato dai suoi uomini armati, minacciando una faida di sangue.

FUORI DAI GIOCHI

L’Assalto alla TV di Stato fu interpretato dalle autorità governative come un tentativo di colpo di Stato, e come tale sottoposto al giudizio del tribunale allora in vigore in Cecenia, la Corte della Sharia. Questa lo riconobbe colpevole, lo privò di tutti i titoli pubblici e dei premi statali conferitigli a seguito del Raid di Klizyar e gli comminò una condanna a 4 anni di reclusione, ma Raduev non passò in carcere neanche un giorno: forte del supporto dei suoi seguaci (molti dei quali ancora armati) e dell’amicizia di Basayev (il quale lo protesse adducendo alle sue precarie condizioni di salute) Raduev riuscì ad evitare l’arresto, per poi sparire dalla circolazione. Secondo alcune fonti si ritirò in Pakistan, dove il suo principale protettore politico, l’ex Presidente Yandarbiev, aveva intessuto una buona rete di contatti. Certamente non ebbe più un peso effettivo sulla vita politica della Repubblica.

Quando, nell’Agosto del 1999, le forze leali a Basayev ed a Khattab lanciarono un’offensiva nei distretti montani del Daghestan, nel tentativo di istigare un’insurrezione islamica nella vicina repubblica, sembrò che i propositi da sempre sostenuti da Raduev, cioè quelli di riprendere la guerra fino ad una completa resa della Russia, si stessero avverando. Egli, tuttavia, rimase in ombra, non prese parte all’azione e scomparve dalla scena pubblica, riemergendo soltanto quando, a seguito della sconfitta degli islamisti, l’esercito federale penetrò nuovamente in Cecenia, dando il via alla seconda invasione del paese. Quando fu chiaro che la Russia, ora guidata dall’energico Primo Ministro Vladimir Putin, non si sarebbe accontentata di una fugace “spedizione punitiva”, Raduev fece una nuova apparizione pubblica, proponendo un piano di pace secondo il quale la Cecenia sarebbe stata divisa in una regione settentrionale, annessa al Territorio russo di Stavropol e sottoposta al governo federale, ed una regione meridionale indipendente sotto il governo della ChRI. Le sue proposte caddero nel vuoto, e furono in ogni caso superate dallo scoppio delle ostilità.

Con l’inizio delle ostilità in territorio ceceno Raduev radunò i suoi uomini e ricostituì la sua formazione armata, la organizzò in piccole bande da 10/15 uomini ciascuna e tentò di portare avanti una campagna di guerriglia partigiana nel nordest del paese. Tuttavia la caduta di Gudermes nelle mani dei federali a seguito della resa di Akhmat Kadyrov e dei fratelli Yamadaev (per approfondire la questione leggi “Libertà o Morte! Storia della Repubblica Cecena di Ichkeria” Acquistabile QUI) lasciarono il comandante di campo privo degli appoggi logistici necessari a continuare un’efficace resistenza. Da quel momento la sia formazione armata iniziò a disintegrarsi. Molti dei suoi uomini morirono negli scontri a fuoco con le preponderanti forze federali, altri si arresero o tornarono alle loro case senza combattere. Raduev, con un pugno di seguaci si nascose nel villaggio di Oyskhara, da dove tentò di negoziare una resa per se’ e per i suoi uomini, ma il 12 Marzo venne individuato grazie alle delazioni di alcuni abitanti del villaggio e catturato.

Raduev ricoverato in ospedale dopo uno degli attentati ai quali scampò nel 1997. Pur riportando numerose ferite ed ustioni, il Generale di Brigata riuscì sempre a sfuggire alla morte.

IL PROCESSO

La prima reazione dei russi alla notizia che Raduev era stato arrestato fu poco convinta. Sovente i comandi militari avevano diffuso voci riguardo all’eliminazione o all’arresto di questo o quel comandante di campo, finendo per ritrattare pochi giorni dopo. Anche in questo caso le immagini che la stampa diffuse di Raduev, magrissimo, rasato e tremolante, furono accolte con diffidenza dall’opinione pubblica. Fu soltanto quando i suoi familiari dichiararono di aver nominato i suoi avvocati difensori che la notizia fu ritenuta attendibile e confermata. Il comandante dell’ “Esercito di Dudaev” fu trasferito alla prigione di Makhachkala, in Dagestan, dove sostenne l’esame psichiatrico che lo riconobbe sano di mente, dopodichè, dal 15 Novembre 2001 iniziarono le udienze per il suo processo. Raduev fu accusato di terrorismo, rapimento e presa di ostaggi, omicidio con aggravante della crudeltà, organizzazione di un gruppo armato illegale e banditismo. Insieme a lui furono processati l’ex numero due del governo Maskhadov, Turpal Ali Atgeriev, Aslanbek Alkhazurov e Khusein Gaisumov, tutti partecipanti al Raid di Klizyar ed alla successiva Battaglia di Pervomaiskoje.

Le udienze si svolsero in due aule separate, comunicanti tra loto tramite un collegamento in videoconferenza: in una di queste si trovavano l’accusa, la difesa e gli imputati, nell’altra le vittime, i testimoni e la stampa. Si trattò di un processo pubblico di dimensioni enormi: sul banco dei testimoni sfilarono un centinaio di persone, ed altre tremila furono citati dall’accusa, pur senza presentarsi. Regista del processo fu il Procuratore Generale della Federazione Russa, Vladimir Ustinov, a rimarcare la centralità del procedimento nell’azione di “ripristino della legalità” promossa da Putin come fondamento ideologico dell’intervento armato in Cecenia. Per capire l’importanza di una tale scelta, basti ricordare che l’ultima apparizione di un Procuratore Generale in un processo pubblico era stata nel 1960, in occasione del Processo a Gary Powers durante la cosiddetta “Crisi degli U – 2”.

Raduev rilascia un’intervista in carcere

Raduev non rinnegò le sue azioni, ma le descrisse come parte dei suoi “doveri istituzionali” in quanto Prefetto di Gudermes e Generale di Brigata: “Ho lavorato come prefetto del Distretto di Gudermes, e questa posizione non prevede la possibilità di creare bande”, osservò. “Queste, casomai, sono state istituite da Dudaev.” Riguardo alla costituzione di queste formazioni armate, poi, l’imputato osservò come questa fosse stata esplicitamente incoraggiata dalla “Direttiva 92” con la quale l’esercito federale aveva accettato di trasferire decine di migliaia di armi leggere alla “Parte cecena” e di aver lasciato incustodite numerose armi pesanti, tra le quali carri armati da battaglia, obici e persino armi chimiche. “Perché ci avete dato queste armi?” Chiese. “Se non ci fossero state armi,  non ci sarebbe stata la tentazione di opporre una resistenza armata. E mi accusate di aver acquistato illegalmente delle armi?” Riguardo al Raid su Klizyar, Raduev dichiarò di essere stato incaricato da Dudaev di dare il suo supporto ad un’azione militare in territorio russo, rispetto alla quale egli avrebbe dovuto rappresentare la “parte politica”. Lo scopo dell’azione, secondo lui, era quello di distruggere alcuni elicotteri con il divieto assoluto “di catturare civili” e se possibile “di non uccidere nessuno, dal momento che il Daghestan è la repubblica più amichevole con la Cecenia”. Un’azione di rilievo principalmente politico, quindi, sfortunatamente degenerata a causa dell’intervento dell’esercito federale. Infine, riguardo gli attentati terroristici messi a segno tra il 1997 ed il 1998, e in particolare rispetto all’attacco alla stazione di Pytiagorsk, Il Generale dichiarò di essersene addossato la responsabilità unicamente per “rendermi popolare” ed accreditarsi presso i nazionalisti radicali come un leader capace di guidare l’insurrezione antirussa in tutto il Caucaso.

Il 25 Dicembre 2001 la Corte Suprema del Daghestan dichiarò Raduev colpevole di tutte le accuse a suo carico, fatta eccezione per quella di aver costituito un gruppo armato illegale. Le richieste di Ustinov furono soddisfatte e l’imputato fu condannato all’ergastolo, da scontare nella colonia correttiva di regime speciale “Cigno Bianco”. Raduev si limitò a dichiararsi innocente, pur riconoscendosi “piacevolmente sorpreso dall’equità del processo”. Turpal Ali Atgeriev venne condannato a quindici anni di reclusione, Alkhazurov a dieci e Gaisumov ad otto, poi ridotti per intervento del tribunale. Tutti gli imputati fecero ricorso in cassazione, ottenendo soltanto una riduzione del risarcimento da 268 milioni di rubli a 222.000 (una cifra considerata più realisticamente esigibile da tribunale rispetto a quella esosa precedentemente sancita).

Raduev in cella mostra una foto di se’ stesso quando era in libertà , durante il periodo interbellico

LA PRIGIONIA E LA MORTE

Trasferito al “Cigno Bianco”, al secolo “Colonia Correzionale di Solikamsk”, trascorse la sua prigionia adeguandosi piuttosto in fretta alla disciplina carceraria, almeno secondo i giornalisti che si occuparono di lui. Avrebbe dovuto scontare il carcere a vita, ma rimase convinto che presto tra Russia e Cecenia sarebbe tornata la pace, e che sarebbe tornato a far parte della vita politica della Repubblica Cecena di Ichkeria una volta che anche la seconda invasione russa fosse fallita. Morì il 14 Dicembre 2002, dopo appena un anno di prigionia, ufficialmente per “emorragia interna”. I rapporti sulla sua morte non furono mai confermati con chiarezza, e la richiesta avanzata da Amnesty International riguardo alle circostanze della sua fine caddero nel vuoto. Al pari di altri “morti illustri” del separatismo ceceno, sulla sua dipartita aleggia il sospetto di un “omicidio di Stato”.